I’m screaming “I love you so”.
La ragazza
alzò una mano in aria a salutare il grande pubblico
riunitosi al Palasharp di
Milano e fece un mezzo inchino. Le urla non cessavano, ma solo
perché mancava
pochissimo che quel palco venisse occupato dalle vere star.
Si voltò e
tornò nel backstage, seguita dal resto della band.
Suo cugino
Karim – nonché bassista della band -
l’affiancò e le fece l’occhiolino.
«Siamo
stati bravi, vero?».
Lei gettò
la testa all’indietro e rise, annuendo compiaciuta.
«No. Siamo stati
grandiosi!».
Jensen e Sam, rispettivamente chitarrista e batterista, risero
all’unisono e
abbracciarono i loro compagni di avventura che li precedevano di
qualche passo.
«Bambolina
ha ragione: siamo stati perfetti!».
Tutti e quattro risero, scaricando così il nervosismo e
l’adrenalina che
avevano usato sul palco. Per quante volte affrontassero una folla come
quella,
non si abituavano mai. C’era sempre il terrore da
palcoscenico, che poi passava
appena uno di loro incominciava a suonare il proprio strumento.
Arrivati
alla porta del camerino, Bambolina bussò per pura cortesia.
Più che altro gli
era già capitato di entrare e di trovare i ragazzi mezzi
nudi e prima di
riprendersi e di uscire dal camerino rossa di vergogna, era rimasta
qualche
secondo ad osservare quei gran bei corpi che si ritrovava davanti.
Alla fine
le risatine generali l’avevano fatta riprendere per poi farla
fuggire a gambe
levate.
Sospirò al ricordo e scosse la testa, scacciando il
pensiero. Sapeva che le
capitava spesso di assumere un’espressione da pesce lesso al
pensiero.
La porta si aprì e un Tim circospetto si guardò
in giro, per poi abbassare lo
sguardo di molto. Lui era fin troppo alto e se Bambolina era solo un
metro e
cinquantacinque di altezza, non era colpa sua.
La ragazza
notò la sua manovra fin troppo recitata e porto le braccia
incrociate al petto,
sollevando un sopracciglio con evidente disapprovazione.
«Ehi, bentornati!».
Tim si spostò di fianco, facendo entrare la band di supporto.
«Thank
you, baby!». Bambolina sorrise, entrando nel camerino. Si
guardò attorno e notò
che tutti erano vestiti, per sua immensa fortuna. Voleva evitare altre
figure
poco carine.
Tomo le si avvicinò, appoggiando un braccio sulle sue
spalle. «Com’è andata?».
Jared interruppe le sue elucubrazioni mentali di cui stava mettendo a
corrente
anche Emma e si voltò verso la band, avvicinandosi a
Bambolina.
«C’è gente
lì fuori, Bambi?». La luce nel suoi occhi chiari
bruciava spietata.
Jared
sapeva perfettamente quanto la ragazza odiasse quel soprannome, ma
aveva
incominciato ad usarlo… Con il risultato che tutti ora la
chiamavano così.
Ormai la ragazza faticava anche a ricordarsi il suo vero nome.
Sonia –
questo era il suo nome – era nata a cresciuta a Milano e a
diciannove anni si
era trasferita a Los Angeles dove viveva suo zio, il fratello di sua
madre. Una
volta approdata lì, aveva scoperto che suo cugino Karim, che
era il figlio
dello zio, aveva una band.
Una
giornata al karaoke aveva convinto Karim che Sonia sarebbe stata la
vocalist
perfetta per la loro band rock. E lei, ben contenta, aveva accettato.
Aveva
studiato canto e chitarra, scrivendo al tempo stesso canzoni. Poi
avevano
deciso di fare la loro gavetta esibendosi in vari locali ed erano stati
notati
in modo positivo. Avevano trovato una piccola cerchia di fan e si erano
autoprodotti un CD.
Infine
erano approdati sui più importanti palchi del mondo come
supporter dei Thirty
Seconds To Mars.
«Per prima cosa, non mi chiamare Bambi». Sapeva di
parlare con un muro, però ci
teneva a precisarlo sempre. Il soprannome di Bambolina le era stato
appioppato
fin da piccolissima per le sue dimensioni ridotte. Ora, a ventidue
anni, era
alta un metro e un tappo di sughero. «E secondo…
Ma che cacchio di domanda è?
Certo che c’è gente! E’…
stupendo. Non ne hai idea».
In realtà
un’idea Jared l’aveva eccome. Aveva affrontato
concerti su concerti e capiva
benissimo l’entusiasmo da principiante che aveva Bambolina.
Pure a lui capitava
di esserne travolto, benché fosse un veterano del
palcoscenico.
«E’ bello essere a casa»,
continuò la ragazza con gli occhi sognanti.
Finalmente erano a Milano e il giorno dopo avrebbero potuto riposare e
girovagare per la città. Lei però non vedeva
l’ora di essere buttata giù dal
letto per correre a casa tra le braccia della sua mamma, del suo
papà e del fratello
minore.
Shannon
entrò in quel momento ma fu bellamente ignorato. Tutti erano
stretti intorno
alla band di supporto, chiedendo loro cosa ne pensassero del pubblico.
Era
sempre la solita storia e le risposte erano sempre quelle.
L’uomo
ridacchiò. Cosa potevano aspettarsi da una band alla loro
prima esperienza? Per
loro era tutto stupendo, fighissimo. Erano sempre elettrizzati ed
entusiasti.
Ma alla fine il pubblico faceva quell’effetto anche ai Thirty
Seconds To Mars.
Era rimasto a guardare il loro show per quella mezz’ora che
gli era stata
dedicata e gli era piaciuto. Avevano un grande impatto sul pubblico e
Bambolina
aveva una grande energia. Non aveva niente da invidiare a Jared
– che aveva
preso da modello - in quanto a muoversi continuamente sul palco insieme
alla
sua chitarra.
Non
bastava solo una bella voce per quel lavoro; servivano anche una grande
energia
e moltissimo carisma, doti di cui la ragazza era estremamente dotata.
Si mise a
fare stretching. Prima alle braccia, tirandole per bene.
Scrocchiò le dita e le
mosse, appurando il loro funzionamento. Poi si chinò su
sé stesso, portando le
mani alle caviglie e stirandosi per bene anche quelle.
«YATTA!».
Quella sottospecie di verso giapponese proveniva da pochi metri di
distanza da
lui. Non fece in tempo ad alzarsi che si trovò Bambolina
accozzata alla sua
schiena e per poco non rischiò di schiantarsi per terra a
causa dello
sbilanciamento subito. Per fortuna la ragazza non era molto pesante.
«Ma che cazzo…», si lamentò
Shannon, puntando le mani sul pavimento per evitare
di trovarselo appiccicato al viso.
«Dai, se fai stretching con me sopra ti stiri maggiormente.
Su, tutti questi
muscoli serviranno a qualcosa!». E gli tastò il
braccio sinistro, dove faceva
bella mostra di sé il tatuaggio di arte astratta che si era
fatto tatuare anni
e anni prima.
Shannon sbuffò e si sollevò, tenendo la ragazza
per le gambe prima che cadesse.
In tutta risposta, lei gliele cinse intorno alla vita.
«Sì, a
suonare la batteria, non ha portare una balena come te!».
Rise alzandosi di
colpo.
Per tutta
risposta Bambolina si aggrappò maggiormente a lui,
stringendogli il collo con
il braccio destro e bloccandogli la testa con il sinistro.
«Che cos’hai detto, nanerottolo?».
Con il fiato corto per lo strangolamento, Shannon ridacchiò.
«Senti chi parla,
l’altissima!».
«Ma almeno
io sono una ragazza! Tu sei l’ottavo nano di
Biancaneve!».
«Ma come
osi, brutta…».
Shannon si
gettò all’indietro e cadde sul divanetto bianco
posizionato alle sua spalle.
Bambolina rimane schiacciata sotto di lui e tossì
affaticata, per poi
strangolare maggiormente Shannon.
Jared li guardò esasperato e scosse la testa, avvicinandosi.
Il fratello,
anziché rilassarsi o prepararsi mentalmente al fatto che
mancavano dieci minuti
allo show, stava giocando allegramente con Bambi. Li guardò
con disappunto,
scrutandoli con gli occhi grigi.
«Ma vi sembra il momento di pomiciare?»,
domandò indicandoli, lì avvinghiati
sul divano.
Il fratello ormai era nella più completa agitazione e gli
chiedeva aiuto per
evitare il soffocamento, indicando le braccia della ragazza intorno al
suo
collo. Lei, nel frattempo, si teneva avvinghiata anche con le gambe.
Bambi strabuzzò gli occhi senza lasciare la presa.
«E questo tu lo chiami
pomiciare? Lo fai in un modo piuttosto strano, Jared».
Jared le
punto le iridi addosso, scrutandola minacciosamente. Aiutò
il fratello ad
alzarsi annaspante appena Bambi lo lasciò andare e prima che
anche lei si
alzasse, gli fu addosso.
La spinse
di nuovo contro il divano e fece aderire il proprio corpo contro a
quello di
lei, bloccandole i polsi sopra la testa.
«Se vuoi ti do una dimostrazione pratica di come lo faccio
io, così vediamo se
si differenzia molto dal tuo».
Fece un
sorriso assolutamente sexy e bastardo, inclinando leggermente la testa.
Gli altri
assistevano allibiti alla scena, così come Bambi che
guardava il frontman un
po’ spaesata.
Gli ci
volle giusto qualche secondo per riprendersi e con aria di sfida cinse
i
fianchi a Jared con le gambe.
«E io che
invece pensavo lo facessi strano… invece sembri uguale agli
altri».
«Ma io
sono molto più bravo».
«Questo è
da vedere, Leto».
Jared gettò la testa all’indietro e rise di gusto,
lasciando andare la presa
sui polsi della ragazza. Si mise a cavalcioni su di lei, guardandola
dall’alto
in basso.
«Un giorno
ti farò vedere, te lo prometto». L’uomo
era decisamente sicuro di sé. Quel
sorriso poteva appartenere solo a chi aveva davvero soddisfatto un
sacco di
donne.
Bambi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, cercando di
alzarsi in qualche
modo, ma il corpo di Jared glielo impediva.
Puntò lo
sguardo smeraldino in quello azzurrino di lui.
«Il fatto che tu abbia un nome importante, non significa che
tu sia importante
anche lì sotto!». Sorrise maliziosa, indicando il
cavallo dei pantaloni
dell’uomo.
Karim, Jensen e Sam si lasciano sfuggire un coro di
“UUUUUH!” con in sottofondo
le risatine di Tomo e Tim, che si nascondevano alla vista del frontman
per non
pagarla cara. Vicki e Emma invece si fissavano, cercando a vicenda di
non
ridere e serrando le labbra il più possibile.
Braxton era incredulo e fissava Jared aspettandosi una qualsiasi
punizione
divina per la ragazza.
L’unico
impassibile che fissava la coppia appropinquata sul divano era Shannon.
Jared fissò la ragazza incredulo, per poi diventare
apertamente minaccioso.
«Staremo a vedere».
Una mano si posò sulla sua spalla, stringendola con
eccessiva forza. Jared si
voltò e incontrò lo sguardo assassino del
fratello maggiore.
«Potresti
toglierti da lei, per favore?», domandò Shannon
con voce tremante.
Jared sorrise e gli lanciò uno sguardo d’intesa,
portando le mani dietro alla
testa come qualcuno che stava per essere arrestato.
«Come desideri tu, bro». Si alzò
lentamente per non fare male a Bambi. Appoggiò
le mani sulle ginocchia della ragazza per evitare strani scherzi alle
sue parti
basse. Un’occhiata al viso imbronciato di lei gli fece
intuire che aveva avuto
ragione a temere per i suoi gioielli e ringraziò il cielo
per quell’improvviso
campanello d’allarme che era scattato nel suo cervellino.
Quando fu in piedi guardò Shannon e gli passò a
fianco, con un sorrisino
divertito sul volto.
«E’ tutta tua».
In
risposta ricevette una gomitata dal fratello e barcollando, Jared
raggiunse
Tomo, pronto a salire sul palco.
Bambolina si tirò su a sedere ed infine si alzò.
Incontrò per caso lo sguardo
stranito di Shannon e corrugò le sopracciglia.
«Ehi, tutto bene?», domandò,
avvicinandosi di qualche passo.
Shannon si affrettò ad annuire e indietreggiò.
«Tutto okay. Stiamo per salire
sul palco». E fece un sorrisino.
Bambolina
sorrise a sua volta, pensando che dietro a quello strano comportamento
si
celasse solo un po’ di nervosismo pre concerto.
L’uomo si
voltò e raggiunse il resto della band, mettendosi a
chiacchierare con Tim e
sistemandosi lo smanicato di jeans borchiato.
Bambi si appoggiò al muro, fissando la band che parlava
tranquillamente.
Adorava vedere quella scena che praticamente si ripeteva quasi ogni
sera. Amava
vedere la loro preparazione, sentire le loro idee per lo show. Era
sempre un
momento magico quello.
Un uomo della security bussò alla porta e sbucò
solo con la testa, guardando
Jared negli occhi.
«Cinque
minuti!». E detto ciò, richiuse la porta
scomparendo.
Shannon incominciò a saltellare, seguito da Tomo. Tim invece
rideva e scherzava
con Braxton, mentre Jared stava dicendo qualcosa a Emma.
«Ohi, Jared!», urlò Bambi e tutti si
fermarono a guardarla. Staccò la schiena
dal muro e lo guardò divertita.
«Volevo ricordarti qualche lezioncina d’italiano.
Si dice GRAZIE e non Grazi o
Gratzia».
L’uomo la
fulminò con lo sguardo. Si allontanò dal gruppo
giusto di un metro e la guardò
con le braccia ai fianchi. Una posa da Diva.
«Di che stai parlando?».
«Del fatto
che ti fai sempre figo negli altri paesi. In Francia poi non ne
parliamo:
interi monologhi in francese, per non parlare delle canzoncine. E qui
non sai
nemmeno dire GRAZIE!».
«Ma io lo so dire!». Gli occhi del frontman
saettavano.
Bambi scosse la testa, incrociando le braccia al petto. «Tu
credi di saperlo,
ma sbagli sempre. Ripeti con me, su: GRAZIE!».
Jared
sembrava restio ma con un sospirò si arrese.
«Ehm… Grazi?».
Bambolina scosse la testa, alzando le braccia al cielo.
«Noooo! GRAZIE!
Ricordati la E».
Jared ritentò. «Grazie!».
«Oh, perfetto! Vedi di non dimenticartelo!».
«Okay! Grazie!».
«No, Grazie a te».
Bambolina rise vedendo Jared che gongolava felice e continuava a
ripetere
quella parola – che finalmente sembrava aver imparato
– a bassa voce,
premendosi una tempia.
La ragazza tornò a godersi la scena appoggiandosi al muro.
Che Jared avesse
finalmente imparato? O almeno per quella sera.
Il frontman si voltò all’improvviso a guardarla e
si avvicinò di nuovo.
«Devo chiederti un’altra lezione di
italiano», disse con una luce strana negli
occhi, pieni di curiosità.
Bambi alzò un sopracciglio. «Dimmi
tutto».
Jared si
grattò la testa a lato, per non rovinare la cresta che
svettava in cima alla
sua testa. «Volevo chiederti…
com’è che si dice “I love you”
in italiano?».
Bambi sorrise e si apprestò a spiegare il significato che I
love you aveva in
italiano.
«Dunque, la frase “I love you” ha due
significati in italiano». Jared increspò
le sopracciglia attento alla spiegazione, così la ragazza
continuò. «C’è il
“ti
voglio bene” che si usa con la famiglia, con gli amici in
generale. Poi c’è il
“ti amo”. Questo viene usato per la persona con cui
si sta insieme o di cui si
è innamorati».
Jared
aveva seguito attentamente la lezione. «E io quale dovrei
usare?».
Bambolina
rifletté. Tutti e due andavo bene per l’occasione,
ma sicuramente il “ti amo”
aveva una connotazione migliore, sia da sentirsi dire che per
l’affetto che
legava la band agli Echelon. E in più era molto
più semplice da ricordare.
«Direi il “ti amo”. Però dato
che ti devi rivolgere a molte persone devi dire
“vi amo”, che è plurale».
Jared annuì, congiungendo le mani. «Vi
amo».
Bambi lo imitò con un sorriso.
«Bravissimo», si complimentò per poi
scandire
ancora quelle due parole. «Vi amo».
Jared la ringraziò e tornò indietro ripetendo le
parole apprese come un mantra.
Alternava il “vi amo” al
“grazie”.
Bambolina rise di gusto a quella scena. Tornò a guardare la
band con un certo
affetto. Ebbene sì, anche lei era una Echelon e amava ogni
singolo momento che
passava insieme ai suoi beniamini, senza contare che poteva seguire
tutti i
concerti.
All’improvviso si accorse dell’occhiata insistente
di Shannon e inarcò un
sopracciglio, sorpresa. Di solito quello era uno dei momenti in cui
saltellava
o dove si metteva d’accordo con Tomo su alcuni pezzi. Invece,
in quel momento,
aveva escluso tutti gli altri per guardarla.
«Che c’è?»,
sussurrò appena, facendo in modo che Shannon leggesse
labiale.
L’uomo sorrise e si avvicinò quando ormai mancava
un solo minuto allo show.
«Puoi spiegare anche a me il significato di “I love
you”?».
La domanda
era seria, eppure Bambolina si domandò il perché
gli interessasse tanto.
Ma non
fece domande e spiegò anche a lui la stessa cosa che aveva
detto al fratello.
Magari voleva fare un regalo ai fan italiani destreggiandosi in quella
nuova
lingua… sempre che Jared gli concedesse l’uso del
microfono.
Shannon rimase ad ascoltare con attenzione. La indicò un
momento, con aria
confusa.
«Quindi a te dovrei dire “ti
amo”?».
Bambolina arrossì violentemente, abbassando la testa. Si
passò una mano sulla
fronte e ritrovò il proprio contegno. Non era il caso di
farsi smascherare così
per un errore.
Scosse la testa e sul viso le si dipinse un sorriso tenerissimo.
«No.
Essendo tua amica devi dirmi “ti voglio bene”. Il
“ti amo” devi usarlo con la
persona di cui sei innamorato».
Il silenziò sembrò calare
all’improvviso, rotto solo da Braxton che incitava la
band a salire sul palco. Ormai era ora.
Una lunga occhiata passò tra Shannon e Bambolina.
Un’occhiata piena di
significati e di segreti celati.
Shannon aveva capito perfettamente i due significati della parola
“I love you”
e sapeva come doveva usarli. Aveva ascoltato attentamente la lezione
che Bambi
aveva dato a suo fratello.
Aveva fatto finta di partecipare alla discussione tra Vicki, Emma e
Tomo,
annuendo appena quando qualcuno chiedeva il suo intervento. Tomo aveva
capito
ben presto che Shannon era lì con il corpo ma la sua mente
era su Marte, così
lo aveva lasciato perdere, lanciandogli qualche occhiata ogni tanto.
Shannon invece non si stava accorgendo di niente, a parte della voce di
Bambolina che spiegava a Jared quello che doveva dire e con una scusa
se lo era
fatto rispiegare, per capire al meglio e per memorizzare dentro di
sé quello
che avrebbe dovuto dire.
Un sorriso e un’occhiata di quelle sexy che solo Shannon
sapeva fare. Si chinò
su Bambolina, avvicinandosi al suo viso e deviando all’ultimo.
«E allora torno a ripetermi», sussurrò
roco al suo orecchio, assicurandosi che
solo lei sentisse. «Ti amo».
Tornò in posizione eretta e la guardò
intensamente.
Bambolina
si sentì quasi svenire. Quelle parole che aveva agognato da
un anno a questa
parte ora erano lì, risuonavano ancora nell’aria e
soprattutto nella sua testa.
Le erano
appena state dette e tutto ciò che riusciva a fare era
tenere gli occhi
smeraldini esageratamente larghi e una mano sulla bocca.
«Shannon?
Andiamo! Jared sta già salendo sul palco e noi dobbiamo
andare prima di lui!».
Tomo sbuffò d’impazienza.
Shannon
non si voltò nemmeno verso l’amico. «Si,
arrivo».
Guardò un’ultima volta Bambolina e poi si
avviò nel corridoio, pronto a dare al
pubblico le più belle emozioni che avrebbero provato nella
loro vita.
Erano
tutti seduti ad una lunga tavolata in un famoso ristorante di Milano e
se la
gente intorno cercava di mantenere un certo contengo, loro se ne
fregavano
altamente.
Erano quelli che urlavano di più, che facevano
più casino ma nessuno gli diceva
di abbassare la voce. Un po’ di sana allegria non guastava
mai.
Bambolina era seduta alla sinistra di Vicki che a sua volta aveva a
fianco
Tomo. Emma era davanti a lei con Braxton.
Lungo la
tavolata si distribuivano poi i membri della sua band insieme a Tim e
altri
collaboratori. Al lato opposto al suo sedevano Shannon e Jared.
Non tutti si erano accorti di quella stranezza, forse solo Tomo, Jared
e Vicki.
Infatti i due componenti della band lanciavano occhiate strane a
Shannon mentre
Vicki teneva le iridi blu su Bambolina.
Era strano che quei due stessero separati. Di solito durante le cene
stavano
sempre vicino. Erano i classici culo e camicia, inseparabili.
Ed ora,
ecco che all’improvviso erano uno all’opposto
dell’altra. Senza contare che
Bambolina non degnava di un’occhiata Shannon, mentre lui non
intendeva lasciar
scivolare il suo sguardo da lei.
Jared si sporse leggermente verso il fratello al suo fianco.
«Non ti
sta degnando di uno sguardo».
L’occhiata furiosa del fratello non lo fece desistere.
«Cosa le hai fatto per farti trattare
così?», continuò.
Se Shannon non gli conficcò la forchetta nel palmo della
mano, fu un vero
miracolo. «Oh, ma vuoi stare zitto?».
Jared sembrò offeso. «Scusami, eh! Mi stavo solo
preoccupando! Fa un po’ come
vuoi!».
E detto ciò si alzò e percorse tutto il tavolo
fino a Bambolina. Giusto per
rompere ulteriormente le palle al fratello maggiore e farlo rodere come
un
criceto che non riesce a mangiare il suo seme di girasole.
Shannon
era veramente arrabbiato. Non credeva che Bambolina fosse una di quelle
persone.
Una di quelle che appena gli dici che ti piace, non ti parlano
più, come se le
avessi insultate pesantemente.
Eppure si
stava comportando proprio così.
Durante
gli show dei Thirty Seconds To Mars, Bambi stava nel backstage a
seguirsi tutti
i concerti. Cantava, saltava al ritmo dei “Jump” di
Jared e incoraggiava
Shannon ogni volta che lui si voltava a guardarla. C’era
sempre un pollice
puntato verso l’alto, un sorriso, qualcosa. Quella sera
invece no.
Bambolina sembrava essere stata svuotata di qualsiasi energia. Guardava
il
concerto con aria pensierosa e senza mai incrociare lo sguardo
preoccupato di
Shannon. Lui cercava di attirare la sua attenzione in tutti i modi, ma
gli
occhi di lei seguivano la figura di Jared.
E quando
il frontman si posizionava davanti alla batteria, lei guardava il
pubblico. Non
c’erano più stati segni di incoraggiamento, niente
di niente.
Shannon si
era sentito sempre più a disagio e arrabbiato, non solo
perché Bambi fingeva
che non esistesse, ma soprattutto per lo sguardo smeraldino che sentiva
perforagli la schiena ogni volta che non guardava.
Non poteva davvero crederci. Non si aspettava un comportamento simile.
Forse era
stata la sorpresa del momento. Forse doveva ancora digerire la notizia.
Ma nel
frattempo lei continuava a ridere, a scherzare… ma non con
lui.
Jared si
sedette al suo fianco, fissandolo.
«Qualsiasi cosa tu voglia dire, non dirla», si
raccomandò Shannon.
Il fratello lo guardò e alzò le spalle,
affondando la forchetta nel pesce che
aveva nel piatto.
Mangiarono in silenzio giusto qualche secondo.
«Se ti può interessare, anche lei non è
felice».
I due fratelli si guardarono negli occhi per un istante, infine Jared
abbassò di
nuovo le azzurrine sul piatto, lasciando Shannon perso nei suoi
pensieri.
Bambolina stava camminando tra le strade della sua città.
All’improvviso si era
alzata dal tavolo appena finita la cena e aveva appioppato come scusa
la voglia
di tornare a girovagare per la città.
Tutti ci avevano creduto: come i Thirty Seconds To Mars correvano nella
loro
amata Los Angeles appena avevano qualche giorno libero, lei voleva
poter stare
tranquillamente nella sua città.
In realtà
aveva solo bisogno di staccare da tutto quel caos e di stare da sola,
di
pensare.
Gli altri sarebbero tornati in l’albergo in macchina mentre
lei aveva preferito
andare a piedi e non le importava quanto fosse distante.
Al momento voleva solo rimanere da sola. Si era sentita a disagio per
tutta la
sera e aveva creduto di impazzire letteralmente. Soprattutto non
sopportava di
sentire lo sguardo di Shannon addosso.
Aveva
sempre avuto occhi molto penetranti e magnetici e quel giorno era stato
anche
peggio.
Solo che
non poteva credere alle parole che gli aveva detto. Inizialmente lo
aveva
scambiato per un errore e non era poi difficile crederlo. Tra i tre,
quello che
aveva maggiori difficoltà con le lingue straniere era
Shannon. Se gli altri due
tentavano di ripetere come pappagalli quello che gli intervistatori gli
dicevano, lui preferiva dirlo in inglese.
Quando poi
gli aveva fatto capire che non stava scherzando si era quasi sentita
male.
Quelle
erano parole importanti che non si sarebbe mai aspettata di sentirsi
dire, non
da Shannon almeno. Tra loro c’era una splendida amicizia. Era
un toccasana, una
di quelle amicizie di cui non vedi l’ora che finisca un
giorno per
incominciarne un altro altrettanto splendido.
Di certo non avrebbe mai pensato che quella non fosse semplice
amicizia… da
entrambe le parti.
Sospirò e cacciò le mani nelle
profondità delle tasche dello spolverino che
indossava. Affondò il viso nella kefiah, fino al naso.
L’aria
gelida di Dicembre le sferzava il viso e le schiariva le idee.
Guardò
affascinata la facciata maestosa del Duomo, rimanendo incantata. Lo
aveva visto
per anni, prima di trasferirsi a Los Angeles, ma ne rimaneva sempre
affascinata.
Amava la sua città, anche se era sempre molto caotica.
Tranne la notte, e
infatti non c’era quasi nessuno in giro. Giusto qualche
persona di passaggio,
qualcuno che andava di fretta, in ritardo per un appuntamento o
chissà cosa.
Sentì una strana sensazione quando si voltò per
guardare alle sue spalle. Poche
persone. Una donna le passò velocemente di fianco mentre due
fidanzatini svoltarono
nella vita al suo fianco. Rimase solo un uomo che si fermò a
guardare una delle
vetrine illuminate.
Tornò sui suoi passi, non del tutto sicura. Conosceva quella
sensazione, quella
di essere pedinata.
Gli bastava incrociare lo sguardo di qualcuno per capire le sue
intenzioni, se
non erano buone. Gli era già capitato di essere seguita in
metropolitana e per
fortuna era così pratica di quei luoghi e della folla
milanese che era facile
seminare il pervertito.
Gli era
anche capitato di essere palpata in mezzo alla folla.
Era una sensazione singolare quella di pericolo: un brivido gelato
lungo la
schiena e tutti i sensi all’erta.
Si voltò di nuovo, come se niente fosse e tornò a
guardare alle sue spalle.
Sempre quell’uomo che la seguiva, o così credeva.
Però il tizio si fermò di
nuovo come se niente fosse. Lo guardò voltarsi verso
l’ennesima vetrina –
biancheria da donna che sicuramente gli sarebbe andata bene, come no
– e si
accese una sigaretta.
Bambolina tornò a camminare accelerando l’andatura
ma senza farsi prendere dal
panico. Non doveva farsi vedere spaventata o simili e non poteva
nemmeno andare
in albergo facendosi seguire da un possibile maniaco che avrebbe potuto
ritrovare il giorno dopo.
Poteva essere un fan, ma dubitava di avere fan così grandi e
soprattutto che la
seguissero in quel modo. Non era ancora così famosa.
Girò bruscamente nella prima via che incontrò e
attese dietro l’angolo. Non ne
aveva la certezza, a parte delle sensazioni che sentiva sulla pelle, ma
se
l’uomo avesse girato nella via c’era una grande
probabilità che la stesse
pedinando.
Lì non
c’era niente di interessante da guardare, a parte la vetrina
di una biblioteca.
E le vie laterali a quella potevano essere raggiunte da altre strade.
Attese qualche istante e poi vide l’uomo che girava nella
via. Prima che lui
potesse accorgersi della sua presenza, lo afferrò per il
giubbotto pronta a
difendersi.
Dopo essere stata palpata più volte in metropolitana e sui
pullman, aveva
imparato a difendersi, soprattutto perché era piccolina e
doveva saper reagire
prontamente. E la miglior difesa è l’attacco.
Prima di fare qualsiasi domanda o di tirargli una ginocchiata nelle
parti
basse, Bambi si concesse un’occhiata al pervertito, rimanendo
di stucco.
Ancora più sorpreso era Shannon che la fissava con gli
occhioni nocciola
spalancati.
«Shannon?», domandò Bambolina incredula,
accorgendosi di aver lasciato la presa
sul giubbotto. Per la sorpresa aveva appoggiato le mani sul suo petto.
Le
allontanò ma non prima di dargli un sonoro pugno
all’altezza del cuore.
Shannon si massaggiò il punto colpito, corrucciando le
sopracciglia. «Ehi!».
«Ma sei
scemo? Pensavo fossi un maniaco, credevo di essere seguita!».
«E perché un maniaco dovrebbe seguirti?».
Bambolina lo fissò sconcertata. «Vuoi il disegno
di quello che di solito fa un
maniaco? Hai quarant’anni, dovresti saperle certe
cose».
Shannon sbuffò una nuvoletta di calore nell’aria
gelida di Milano. «Non
intendevo questo. Volevo sapere se ti sembra che io abbia la faccia da
maniaco».
La ragazza
si soffermò a guardarlo. Occhi magnetici, sguardo super
sexy… Voltò la testa
dall’altra parte. «Mi avvalgo della
facoltà di non rispondere».
Gli diede
le spalle e riprese a camminare, diretta all’albergo. Ora era
decisamente più
tranquilla dato che aveva accertato di non essere seguita da un
pervertito.
Shannon però non era dello stesso avviso.
L’indifferenza della ragazza lo
feriva e lo faceva arrabbiare a livelli improponibili.
Rimase
fermo dove si trovava e infilò le mani in tasca.
«Mi stai evitando».
Bambolina
si bloccò, sbarrando gli occhi. Tornò a guardarlo
lentamente e capì quanto
l’aveva ferito con il suo comportamento. Avrebbe voluto
urlargli che gli
dispiaceva, che era stata proprio deficiente a comportarsi
così ma non era
riuscita a reagire in un altro modo.
Era
terrorizzata dalle parole di Shannon.
Si portò una mano tremante al viso, a massaggiarsi gli occhi
stanchi. «Non è
così…».
«E invece
sì. Hai incominciato a farlo dopo che ti ho detto quella
cosa».
«Non è vero!».
Shannon strinse i pugni dentro alle tasche e fissò il viso
di Bambolina. Cristo
santissimo, teneva gli occhi bassi e non osava guardarlo, ignorandolo
di nuovo.
Era
arrivato al limite per quella sera.
«Lo hai
fatto durante il concerto! Ogni volta che ti guardavo, spostavi lo
sguardo! E a
cena ti sei seduta lontana da me quando di solito sei sempre vicino! Le
chiameresti coincidenze? Se ti ha dato fastidio quello che ho detto,
basta
dirlo! Sono grande abbastanza per accettarlo!».
Quasi
urlava ed erano solo i denti stretti ad impedirgli di farlo.
Bambi alzò gli occhi su di lui, triste.
«Io… Non lo so». Disse e di certo non
era una scusa. Non sapeva come spiegarsi.
«E’ stato strano. Cioè, tu hai
semplicemente sbagliato a dire una cosa e io…».
Non lo vide nemmeno. Un attimo prima Shannon era fermo a fissarla
furioso e
l’attimo dopo le stringeva il viso tra le mani,
costringendola a guardarlo.
La
determinazione bruciava negli occhi cangianti dell’uomo.
«Io non ho
sbagliato a dire proprio niente. Ho capito perfettamente la differenza
tra “ti
amo” e…». Strinse un attimo le labbra,
pensieroso, le sopracciglia aggrottate.
Aveva riflettuto così tanto sulla differenza tra le due
frasi che non gli fu
difficile trovare l’altra. «e il “ti
voglio bene”».
La ragazza rispose con uno sguardo smarrito. Tutto ciò che
riuscì a fare fu
stringere le mani di lui appoggiate sul proprio viso.
«All’inizio non capivo»,
continuò Shannon senza lasciarla andare. Si
umettò le
labbra, spostò un secondo lo sguardo e poi tornò
a lei. «Per te è così facile
dire “I love you”. Lo dici a me, lo dici a Jared,
lo dici a Tomo, lo dici a
Vicki, a tuo cugino… a chiunque vuoi bene».
Era così. Bambolina era molto facile al “ti voglio
bene”, era espansiva nelle
sue dimostrazioni d’affetto. Non ci vedeva niente di male e
non capiva dove
fosse il problema.
Shannon sospirò, accarezzandole lo zigomo destro con il
pollice.
«Quando mi
sono accorto di provare più del semplice affetto che si
prova per un’amica, ho
provato a dirtelo».
Non era
stato esplicito, non si era prostrato davanti a lei dicendogli
“Ehi tu, sai che
mi attiri?” o qualcosa di simile. Si era semplicemente
avvicinato e le aveva
sussurrato all’orecchio un dolcissimo “I love
you”. Bambolina si era voltata a
guardarlo con le guance colorate di un bel rosso acceso. Aveva sorriso
teneramente e aveva risposto con un semplice
“anch’io”.
Shannon aveva sperato che quello fosse il punto di svolta e invece non
era
cambiato niente. Si era sforzato di andare da lei e di dirle che
l’amava,
quando di solito rispondeva alla dimostrazione di affetto che Bambi gli
riservava con un veloce “sì, si,
anch’io”.
«Quando
oggi hai spiegato la differenza che c’è in
italiano, ho capito tutto», riprese.
Nei suoi occhi ora c’era una tenerezza palpabile, che faceva
mancare il respiro
alla ragazza. «Dovevo fare in modo che tu distinguessi
ciò che realmente
intendevo».
Inclinò la
testa di lato e avvicinò il viso a quello di Bambolina. Non
lo allontanò e
lasciò che si chinasse su di lei e che le loro labbra si
sfiorassero.
Le labbra dell’uomo bruciavano su quelle della ragazza, che
sentiva il cuore
accelerare e il sangue che le scorreva nelle vene pareva ustionarla.
Portò le mani al suo viso, sentendo sotto i polpastrelli la
rassicurante
sensazione che le dava la barba che lui portava abitualmente.
Non protestò quando la lingua di lui cercò la sua
e rispose al bacio, forse con
troppo impeto, tanto che Shannon si ritrasse sorpreso.
La guardò mente gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Che succede?», domandò preoccupato,
accarezzandole i capelli corvini. «Mi… mi
dispiace. Se tu non vuoi non sei obbligata a…».
Ma prima
che potesse finire, la ragazza lo colpì con un pugno sul
petto, mentre con
l’altra mano provvedeva ad asciugarsi le lacrime che le
avevano rigato le
guance.
«Sei un imbecille».
Shannon le
strinse la mano appoggiata al petto. «Questo è
abbastanza noto… ma perché?».
«Perché di
sì», rispose Bambi con rabbia, alzando la testa
fieramente. «Non c’è un motivo
vero e proprio!».
«E infatti
questo mi rassicura. Insomma, mi picchi e mi dai
dell’imbecille giusto per
sport?».
«Ho
aspettato così a lungo che ormai credevo fosse
impossibile…».
Abbassò
gli occhi a terra, evitando lo sguardo dell’uomo.
«Cosa stavi aspettando?», chiese Shannon, alla
ricerca di una spiegazione
plausibile.
Bambolina tornò a guardarlo, un misto di felicità
e imbarazzo nella sua
espressione.
«Te».
Shannon aggrottò le sopracciglia, grattandosi la barba.
«Credo di non capire».
Bambi
sospirò, stringendogli il giubbotto per non lasciarlo
allontanare.
«Tutti quelli della mia band e i miei amici me lo hanno
raccomandato: “non ti
innamorare di uno di loro”». Fece una breve
smorfia, alzando gli occhi al
cielo. «Io vi adoro, adoro i Thirty Seconds To Mars, mi piace
un sacco la
vostra musica e l’energia che mettete nella band. Ma adoro
anche gli uomini che
siete. Non dei montati idioti ma persone normalissime che vanno avanti
a
coltivare un sogno». Si interruppe umettandosi le labbra.
«E io ho cercato di
non farmi coinvolgere troppo dai sentimenti, ma non sono un freddo
pezzo di
ghiaccio. Ho provato a vedervi solo come datori di lavoro, ecco. Ma poi
mi
avete coinvolto nelle vostre cazzate, come se fossimo grandi amici e
allora mi
sono lasciata andare».
Ridacchiò scuotendo la testa, senza togliere gli occhi dalle
proprie mani che
tenevano la giacca di lui.
Shannon
non disse niente per parecchio tempo e Bambolina temette di aver fatto
una
cazzata. Era meglio se stava zitta.
Infine Shannon si riprese, facendo un lungo respiro.
«Mi stai dicendo che…». Le prese il
mento tra le mani, costringendola a
guardarlo.
Si fissarono negli occhi e lei annuì. «Che sono
innamorata di te. Che sto
sempre insieme a te perché mi fai stare bene. E che quando
mi hai detto che mi
amavi ho avuto paura che il tuo fosse un errore e non volevo credere
alle tue
parole. Ho avuto paura di una delusione».
Shannon ora si sentiva… bene. Leggero. Perfetto.
Appoggiò le braccia sulle
spalle di Bambi e si chinò in modo da avere il viso alla sua
altezza.
Sorrise contento e gongolante. «E allora te lo
ripeterò, in modo che ti si
infili per bene in quel cervello bacato che ti ritrovi». Fece
silenzio per un
istante, giusto per aumentare la suspance. «Ti amo,
Sonia».
Si
avvicinò a baciarla, ma Bambi gli posò una mano
sulle labbra.
«Ripetilo».
«Ti amo».
«No!»,
protestò con il broncio. «Ripetilo dicendo il mio
nome».
«Sonia, io
ti amo», sussurrò roco, incerto sul
perché dovesse ripeterlo. «Ora sei
contenta?».
La ragazza
sorrise, lasciandosi stringere da Shannon che era tornato in posizione
eretta.
«E’ la
prima volta che dici il mio vero nome. Di solito mi chiami sempre
Bambolina o
Bambi».
Shannon storse il naso. «Veramente l’ho detto due
volte».
Bambi gli diede un pugno sul fianco, prima di abbracciarlo.
«Imbecille».
E ridacchiando come due scolaretti innamorati, si baciarono di nuovo.
«Domani ti
va di venire con me a casa della mia famiglia?», chiese
Bambi, intrecciando le
dita a quelle di Shannon. Si stavano dirigendo verso
l’albergo molto
lentamente.
L’uomo parve spaventato. «Vuoi già
presentarmi ufficialmente?».
La ragazza scrollò le spalle. «E’
l’unica occasione che ho e poi mia mamma
sarebbe felice. “Oh finalmente ci sei riuscita!”.
Ecco cosa mi direbbe».
L’uomo si era perso un’altra volta nel discorso.
«Di che parli?».
Bambolina rise, sfregando il viso contro la spalla di lui.
«Beh, diciamo che
prima di innamorarmi definitivamente di te avevo una semplice cotta.
Mia mamma
si è sorbita il canto alle lodi su Shannon Leto per anni,
poverina».
Questa volta fu l’uomo a ridere di gusto e annuì.
«A una
sola condizione!».
«Tutto ciò che vuoi».
«Mi
prometti che non farai più la scema con Jared?»,
supplicò Shannon, lasciando
che Bambi dondolasse le loro mani. Era parecchio felice e lo si notava
da come
sorrideva. Praticamente gli angoli della bocca raggiungevano gli occhi.
«Sei geloso?». Gli lanciò
un’occhiata divertita.
«Beh,
diciamo che non sono felicissimo quando mio fratello fa allusioni
sessuali su
di te. Il punto è che tu gli dai man forte».
Bambolina rise, scuotendo la testa. «Se non lo faccio, vince
lui! Va bene,
smetterò e lascerò che dia aria a quella
boccaccia che si ritrova, come se
parlasse già poco. E comunque sia tra noi non potrebbe mai
succedere niente:
non sono bionda».
Shannon ridacchiò.
«Non credo che ti darà fastidio quando gli
dirò che stiamo insieme».
«Si arrabbierà?».
«Al
contrario. Credo che ti importunasse solo per farmi ingelosire e per
darmi una
svegliata».
Bambolina
si fermò di colpo, costringendo Shannon a fare lo stesso a
causa delle mani
intrecciate.
«Vorresti
dire che lui lo sapeva già?».
L’uomo
alzò gli occhi al cielo. «Credo che tutti lo
sapessero. Jared è mio fratello,
ci diciamo praticamente tutto. E anche con Tomo e comunque lo avevano
capito da
soli. Vicki… beh, è la ragazza di Tomo. Emma
sicuramente lo sa grazie a Vicki o
Jared. Braxton e Tim… beh, le voci girano».
«L’unica a non saperlo ero io, in
pratica». La ragazza boccheggiò. Era stata
così imbecille da non capire niente o Shannon aveva nascosto
il tutto molto
bene?
«Credo di sì, ma ormai è una cosa
superata».
Entrarono in albergo e si diressero all’ascensore. Bambolina
era ancora silenziosa.
«A
proposito di allusioni sessuali…», disse Shannon,
distogliendola dai suoi
pensieri. Quando si voltò, sul viso del suo ragazzo
c’era un sorriso malizioso.
«Ti va di dormire con me?».
Bambolina non poteva credere alle sue orecchie. «Stiamo
insieme da un quarto
d’ora e già mi chiedi di venire a letto con
te?».
Shannon strinse le labbra, piegando leggermente la testa di lato.
«Tecnicamente
non è esatto. Ti ho chiesto solo se vuoi dormire con
me».
Bambi affilò lo sguardo. «Ma tu dormi nudo, lo
sanno tutte». Ovviamente era il
pubblico femminile a gioire a tale notizia.
L’uomo la
fissò con sguardo sexy. Faceva proprio parte del suo essere
quell’occhiata.
«Appunto».
Bambi si
strinse nelle spalle. «Allora la sensazione di essere seguita
da un maniaco era
esatta…».
Shannon
infilò le mani in tasca, fissando i numeri luminosi che
indicavano i piani.
«Va beh,
se non vuoi…».
«Io non
l’ho mai detto».
Sul viso
della ragazza comparve un sorriso perverso. I suoi occhi chiari non
davano
spazio all’immaginazione.
Appena le
porte dell’ascensore si aprirono con un plin acuto, Shannon
prese Bambolina per
mano e si lanciò fuori nel corridoio. Ridevano come due
ragazzini eccitati che
stavano facendo qualcosa di stupido e illegale.
E invece
era una cosa del tutto normale. Forse era solo tutta
quell’attesa, quelle
parole non dette, ad averli resi così impazienti.
«Ehi Shan! Bambi!».
I due si
voltarono e si trovarono davanti Jared e Tomo che girovagavano per il
corridoio. Probabilmente li avevano aspettati.
«Vi va di
andare in camera di Braxton a…».
«STAI ZITTO!», urlarono i due
all’unisono. Tomo si trattenne dal ridere mentre
il sorriso di Jared morì sulle sue labbra, lasciando spazio
ad un’incazzatura
di dimensioni stratosferiche.
Shannon
tentò di rimediare.
«Ehm,
scusa bro, ma io e Sonia abbiamo da fare». Indicò
la ragazza con un cenno della
testa, mentre apriva la porta della sua camera.
Bambi entrò
dentro e fece capolino solo con la testa.
«Dobbiamo fare un altro gioco, noi. Voi andate da Braxton a
giocare a carte,
su, da bravi. E vedete di non disturbare!».
Shannon fece spallucce, salutò il fratello e
l’amico ed entrò nella camera,
chiudendosi le porta alle spalle.
Jared e
Tomo si guardarono.
«L’ha chiamata Sonia…»,
incominciò Tomo.
«E hanno
un gioco da fare…», continuò Jared.
Sorrisero
trionfanti per poi scoppiare a ridere.
«Finalmente!».
Sempre
ridendo come degli idioti, si voltarono e si diressero verso la stanza
di
Braxton dove li aspettavano Vicki, Emma e Tim per una partita a carte.
Ovviamente pronti a spettegolare su quello che avevano appena visto.
*******
Beh, da
cosa sia nata questa shot non lo so. E’ Shannon che mi ispira
e stop ù_ù
E’ la
prima volta che posto in questa sezione *_* Ho così tante
idee da buttare giù
sui 30 Seconds To Mars ma non trovo mai il tempo di mettermi a scrivere
seriamente.
Va beh, per ora accontentiamoci di questa *w*
Detto ciò,
spero di non aver fatto vomitare nessuno °-° Ah, il
titolo è tratto dalla
canzone Decode, dei Paramore.
Amo loro, amo la canzone e
pensavo che quella particolare frase ci stesse molto bene come titolo!
See you soon!
…Conoscendomi,
potrebbe benissimo essere il Jared
Leto’s SOON xDDD