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Autore: AryYuna    03/09/2010    3 recensioni
Final Fantasy X da un’altra inquadratura, un normale ragazzo di Spira in primo piano, i “supereroi sullo sfondo, insieme ai grattacieli” (Marvels)
Versione riveduta e corretta
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Final Fantasy X e i suoi personaggi, luoghi e situazioni appartengono alla Square Enix. Mia è solo questa fanfiction, realizzata senza alcuno scopo di lucro


Beside the heroes




Premessa

L’idea mi è venuta leggendo “Marvels”, i supereroi visti dal marciapiede, un uomo comune protagonista, gli eroi sullo sfondo insieme ai grattacieli.
I protagonisti li conosciamo tutti: Tidus, Yuna, Auron… i sette che compongono la squadra, no? Ma quanti altri protagonisti ci sono? Tanto per cominciare ci sono gli altri invocatori, il clero, i mercanti, gli Albhed… gli uomini comuni, che riempiono le strade di Luka e i ponti disastrati di Kilika, quelli che guardano in alto mentre Sin cade su Bevelle, quelli che gridano l’inno per aiutare Yuna…

Il protagonista di questa storia si chiama Maon, e di eroico non ha proprio nulla.

NOTA: questa fanfiction era già presente su questo sito, ma l’ho cancellata, riscritta e ora riuppata. Il motivo è che quando la scrissi non sapevo alcune cose su FFX che ho scoperto più di recente (per esempio che nella storia ci sono stati solo cinque Grandi Invocatori prima di Yuna), e mi ero tanto affezionata a questa storia e ai suoi personaggi che volevo fosse quanto più canon possibile.
Chiedo perdono a chi aveva già letto, commentato e favvato la precedente versione (un enooorme grazie a Kabubi e a Sisthra, sono veramente felice vi sia piaciuta la mia storia), spero la nuova vi piaccia quanto la vecchia ^^




Vivo accanto alla stazione sud del Fluvilunio da quando sono nato… beh, quasi, avevo quattro anni quando ci siamo trasferiti qui, per cui non è che mi ricordi molto della mia vita di prima, a Luka. Credo che quando mio padre annunciò che ci saremmo trasferiti in una stazione sorsi il naso. Ma ora non riesco ad immaginare luogo più bello in cui vivere.
Mio padre lavorava con gli shoopuf, insieme alle squadre di Hypello, mentre io e mio fratello Hagon restavamo a casa a dare una mano alla mamma - o più precisamente a fingere di darle una mano, dato che per lo più giocavamo e litigavamo. È strano dire questo a distanza di tanto tempo, quando tante cose sono cambiate, ora ricordo solo che mio fratello era il mio migliore amico, e che mi dispiacque quando a dodici anni iniziò a lavorare sugli shoopuf con papà mentre il ero costretto a rimanere a casa ad annoiarmi da solo, troppo piccolo per fare altro.
Fu allora che conobbi Han, un Hypello. Aveva quasi quattrocento anni quando io ne avevo sette, ma per la sua razza era un adolescente, per cui non gli pesava giocare con un bambino - ricordo che più di una volta organizzammo degli scherzi ai suoi compagni che lavoravano, rimediandone sonore strigliate e qualche punizione.
Mi mancano quei momenti. Allora non sapevo ancora quanto fossi fortunato: avevo quasi dieci anni e non avevo ancora visto Sin nemmeno una volta.

Ma poi Sin decise di sorvolare il Fluvilunio. Il giorno in cui la mia vita iniziò a precipitare.
Hagon era in camera sua, non so se a vestirsi o ancora a dormire. La mamma preparava la colazione, mentre papà stava per uscire con la cassettina degli attrezzi in mano. Io vidi tutta la scena - la peggiore scena della mia vita.
Sentimmo delle urla da fuori, mio padre aprì la porta e non ebbe nemmeno il tempo di fare un passo: fu spazzato via da una scaglia sulla soglia di casa, mia madre urlò, io mi tappai gli occhi e mi nascosi sotto il tavolo.
Nei successivi cinque minuti l’inferno scese in terra. Sentii mia madre urlarmi di non muovermi, mentre lei andava a combattere le scaglie perché non entrassero in casa. Hagon scese dalla sua stanza e andò con lei.
Io non mi mossi, da bravo bambino terrorizzato.
Cinque minuti dopo eravamo tutti e tre sul pavimento della cucina, abbracciati, piangendo.

La vita al Fluvilunio riprese tranquilla - Han mi portava con sé mentre lavorava, mio fratello addestrava gli shoopuf con gli altri Hypello, mia madre cucinava, puliva e a volte dava una mano in stazione - come se Sin non fosse mai passato.
“Come se Sin non fosse mai passato”.
Ma intanto era passato. E mio padre era andato via con lui.

Una sera, Hagon chiese a mia madre se avesse mai visto un invocatore. Fu la prima volta che sentii quel nome.
Mia madre sospirò.
–Quando ero bambina. Ma non riuscì a completare il pellegrinaggio, lui e il suo unico guardiano furono uccisi lungo la Via Mihen, appena due giorni dopo aver passato Luka.
Quella sera mi addormentai sperando che venisse presto qualche invocatore ad uccidere Sin.

Nei mesi successivi notai che mia madre ingrassava, e me ne sorpresi - non mangiava così tanto, in fondo - così gliene chiesi il motivo. Ricordo che mio fratello scoppiò a ridere della mia ingenua domanda, e continuò a prendermi in giro per i restanti mesi che ci separavano dalla nascita di Aeona (NdA. Leggetelo “Eona” con l’accento sulla “E”), la nostra sorellina.
–Che razza di nome è?– chiesi storcendo il naso.
Mia madre mi spiegò che era un augurio. Aeon, Eone, le entità che vengono donate agli invocatori per sconfiggere Sin… ci misi secoli a capire la storia degli Eoni.
Ad ogni modo, quando avevo quasi dodici anni, iniziai anche io a lavorare sugli shoopuf, dato che un solo stipendio cominciava ad essere insufficiente con una bambina piccola in casa.
Han mi spiegò allegramente i miei compiti, contento che ora potessimo lavorare insieme.
Pochi mesi dopo, un altro frammento della mia vita cadde in pezzi: mia madre andò a Guadosalam per comprare qualcosa, e non tornò più. Dopo due giorni, mio fratello trovò il suo corpo galleggiare sulle acque del fiume mentre faceva abbeverare uno shoopuf.
Ne rimase comprensibilmente sconvolto.
Comunque, ora eravamo rimasti solo noi tre: un ragazzo di diciannove anni, una bambina di quasi quattro, e io, che ne avevo quattordici.

Il lavoro procedeva bene.
Io e Hagon ci davamo il cambio per stare con Aeona, e quando non potevamo ci aiutavano gli Hypello, che in qualche modo da quel momento ci adottarono.
Tutto sommato andava abbastanza bene.
Ma Sin passò di nuovo sul Fluvilunio. Due, tre volte. Sembrava aver trovato un nuovo modo per divertirsi.
Io rimasi con Aeona e coi bambini Hypello, mentre Hagon e gli altri combattevano le scaglie. Piangemmo per tutto il tempo. Non volevo perdere anche mo fratello.
Ma per fortuna Hagon tornò da noi ogni volta, ferito, ma vivo.
Gli attacchi di Sin divennero così frequenti che Bevelle inviò dei miliziani a proteggerci per quanto possibile. Quando Sin sorvolava la regione, loro ci spedivano nell’edificio della stazione e si preparavano ad accogliere le scaglie. Ma erano solo misure temporanee, ciò che serviva era un invocatore.
Un invocatore.
Da quanto tempo non c’erano invocatori? Da quanto Spira non vedeva un Bonacciale?
–Sharebbe bello godershi il Fluvilunio shenza dover lavorare né ashpettare Shin– disse Han un giorno, mentre addestravamo uno shoopuf appena nato a riconoscere il percorso tra le due rive.
–Sarebbe bello se Sin sparisse.
–Shai, ho shentito che Bevelle ha una barriera che la protegge dai moshtri e da Shin…
–Sono solo storie– risposi io. –Bevelle non ha nessuna barriera, è solo pieno di sacerdoti.
–E credi shia queshto a proteggerla da Shin?
–I sacerdoti sono potenti– risposi alzando le spalle.
Han stava per obiettare qualcosa, quando vedemmo i nostri compagni correre sulla riva gridando e sbracciandosi nella nostra direzione.
–Maon! Han! Shin shta tornando!
Alzando lo sguardo vedemmo il mostro lanciare le sue scaglie sul bosco circostante, mentre i miliziani correvano ad affrontarle gridandoci di metterci al riparo, ma io non riuscii a muovermi. Ero terrorizzato, immerso nel fiume fino a metà busto, accanto al cucciolo di shoopuf su cui montava Han, apertamente sotto tiro di Sin.
–Maon? Che facciamo adessho?
–Non… lo so– balbettai. –Ma non possiamo abbandonare lo shoopuf…
Non so come mi enne di dirlo, quando il mio cervello urlava solo “muoviti, scappa”, ma comunque il mio corpo sembrava di piombo, e non aveva intenzione di collaborare.
Lo shoopuf mi strisciò il lungo naso contro il braccio, mentre Sin si allontanava.
Quando sparì dietro il bosco di Guadosalam, tornammo a riva. Io tremavo.
Hagon si staccò dalla folla di Hypello e mi abbracciò forte, mentre io non sapendo cosa fare piansi.

–Shecondo te verranno mai dei nuovi invocatori?– mi chiese Han quella sera.
Non risposi. Onestamente iniziavo a dubitarne.
–Verranno, dobbiamo solo aspettare– rispose mio fratello.
–Quando? Da quanti secoli continua questa storia?
–Di che parlate?– intervenne Aeona che fino a quel momento era rimasta a giocare sul pavimento ascoltando attentamente.
–Gli invocatori– le rispose Han, e Aeona gli tirò un’antenna ridendo.
–È vero che hanno poteri enormi e portano la pace?– chiese.
–Quando ci riescono…– fu la mia pessimistica risposta.
–Voglio vedere un invocatore– stabilì allora lei, e non potemmo fare a meno di scoppiare a ridere tutti e tre, mentre Hagon la prendeva in braccio per portarla a dormire.
La risata fu di breve durata, comunque, perché sentimmo i miliziani annunciare dalle finestre aperte che Sin stava di nuovo sorvolando il Fluvilunio, ma per fortuna non attaccò.
–Arriveranno presto, vedrai– mi disse Hagon tornando e mettendomi una mano sulla spalla.
Annuii poco convinto.

Passarono ancora due o tre anni prima che vedessi per la prima volta un invocatore. Arrivò un mattino al Fluvilunio chiedendo di essere traghettato a nord.
Io, Aeona, Hagon, gli altri umani della stazione, gli Hypello, tutti quelli che si trovavano in quel momento sulla riva sud, ci accalcammo intorno a lui e ai suoi guardiani, cantando l’inno con quanto fiato avevamo in gola, e nei mesi successivi non passò giorno senza che chiedessimo a chiunque venisse da nord se ci fossero notizie su di loro.
Ma tre mesi dopo venimmo a sapere che i quattro erano stati attaccati da Sin al Lago di Macalania e che i tre guardiani erano morti. Le voci che ci giunsero poi sostenevano che l’invocatore avesse proseguito per Bevelle da solo, determinato a completare comunque il pellegrinaggio, ma fosse misteriosamente morto nel tempio.

Al Fluvilunio c’era sempre la stessa routine, ma nessuno aveva più voglia di fare nulla. Vidi Han prendersela con due di Luka che dovevano andare a Guadosalam.
–Non c’è il Bonacciale! Non è shtagione turishtica! Tornatevene a casha a guardare il blitzball!
Dovettero intervenire in tre per calmarlo, ma intanto aveva ragione: ogni giorno trasportavamo stupidi “turisti” che volevano provare il brivido di morire lontano dalla propria città, mentre Sin continuava a passare sulle nostre teste, a volte attaccando, a volte no. E ogni volta ci nascondevamo all’interno della stazione, mentre i miliziani e i più coraggiosi tra noi - Hagon e alcuni Hypello - respingevano le scaglie.

Un giorno, quando avevo diciannove anni, mi recai per la prima volta nella mia vita al tempio di Djose per pregare. Non fu una grande idea, dato che non avevo mai combattuto in vita mia, ma avevo davvero bisogno di implorare che arrivasse qualcuno a sconfiggere Sin.
Fui fortunato: né all’andata né al ritorno fui attaccato, e anche se vidi un uomo poco lontano combattere contro un Ochu, mi guardai bene dall’avvicinarmi.
Non ero fiero di me, ma non mi sentivo abbastanza coraggioso.
Alcuni nostri compagni, intanto - quasi tutti gli altri umani della stazione, in effetti - iniziarono a lasciare il Fluvilunio per entrare nella milizia, ma di soluzioni vere a Sin - gli invocatori - non se ne presentarono.

Un giorno, mentre sellavo uno shoopuf insieme ad Han, sentimmo delle urla provenire dall’altra riva. Han mi trascinò a controllare, e io non dissi di no solo perché mi vergognavo.
Ma non era Sin.
Un uomo, probabilmente ubriaco, aveva colpito uno shoopuf scambiandolo per un mostro. A quanto pareva non ne aveva mai visto uno - da dove diavolo veniva?
Uno dei suoi compagni si scusò per lui offrendoci tutti i suoi guil, mentre il terzo membro del gruppo si arrabbiava con entrambi: col primo perché era un idiota - e su questo ero completamente d’accordo - e col secondo perché non doveva pagare lui per la stupidità dell’altro.
Più tardi venimmo a sapere che l’uomo gentile era un invocatore, e gli altri due i suoi guardiani.
–Fantastico!– esclamai quando me lo raccontarono. –Due invocatori sono venuti, due! Uno è sparito nel nulla, e l’altro… ridiamo pure! Con un guardiano come quello è stato fortunato ad arrivare vivo da Bevelle!
Hagon cercò di calmarmi, e così Han, ma io ero stufo: se a nessuno importava più di uccidere Sin, Spira era condannata.
–Tu lo faresti?– mi chiese Hagon.
Lo fissai confuso.
–Ti lamenti che non vengono invocatori, quando tu per primo non fai nulla per cambiare la situazione.
Continuai a fissarlo senza capire.
–Non fraintendermi, Maon, non ti permetterei mai di farlo, ma come te in tanti non vogliono morire per portare una pace solo temporanea.
Hagon aveva ragione, e io lo sapevo, così continuai a non rispondere.
Poco dopo uscii, vagando un po’ per la stazione fino a fermarmi presso la riva del riva del fiume per pensare. Era tardi, molto tardi, e i lunioli davano al posto un aspetto incantato.
Sospirai. Hagon aveva maledettamente ragione. E io ero un codardo. Sapevo solo aspettare che altri risolvessero per me i problemi, mi nascondevo quando arrivava Sin con le sue scaglie, fuggivo davanti ai mostri, ai problemi…
Evadevo senza troppe difficoltà la realtà triste di Spira, protetto da quella fiaba che era il Fluvilunio, acqua cristallina tra fiori e lunioli, con un fratello che per me avrebbe dato la vita, una sorellina di dieci anni più piccola che credeva nel Bonacciale Eterno e degli Hypello centenari come amici.
–Mi arruolo nella milizia.
La voce di Hagon mi fece sobbalzare prima ancora che capissi quello che diceva.
–Cosa?– balbettai.
–Domani parto per la Microrocciosa– disse con decisione prima di voltarsi per rientrare.
–E Aeona?– riuscii solo a dire.
–Sei in grado di occuparti di lei da solo, e Han e gli altri ti potranno dare una mano. Sarà al sicuro.
Lei.
E io?
–Hagon…
–Maon, se hai fiducia puoi fare qualunque cosa. Credici.
La mia fiaba aveva resistito a lungo.
Mi aveva protetto dopo la morte di papà, mi era stata vicina quando mamma lo aveva raggiunto, lasciandoci adolescenti con una sorellina piccola di cui occuparci.
Era stata sempre con me.
Ora, ad ogni passo che Hagon faceva verso la nostra casa, verso quella che sarebbe stata la sua ultima notte al Fluvilunio, la mia fiaba si sgretolava, pezzo dopo pezzo. E a me non restava niente.

Quando mi svegliai la mattina seguente, Hagon stava salutando una Aeona in lacrime stretta ad un Moguri di pezza che non le vedevo in braccio da quando aveva tre anni.
–Allora vai sul serio– gli dissi con una voce piatta che mi appariva estranea come tutta la situazione.
–Sì– rispose Hagon.
Sorrideva, accarezzando Aeona.
–Buona fortuna– dissi con la stessa voce strana.
–Abbi cura di te– mi rispose mio fratello battendomi una mano sulla spalla, senza smettere di sorridere.
Poi se ne andò.

Quando uscii di casa per andare a lavorare, trovai Han intento a discutere con gli altri.
–Che succede, Han?– chiesi. La voce piatta non accennava ad abbandonarmi.
–Voglio partire.
–Eh?– chiesi senza capire. Il mio cervello era rimasto bloccato alla sera prima.
–Voglio rendermi utile, vishto che come Hypello non ho poteri!
–Tu… sei pazzo– mormorai scuotendo la testa.
–Perché?– ribatté un altro Hypello. –Ha ragione.
Molti altri annuirono.
Troppo in fretta.
Troppo improvviso.
Non ero pronto.
Indietreggiai e mi allontanai urlando.
Non capivo più niente. Mi sentivo come se nel bel mezzo di uno spettacolo tutti gli attori tranne me avessero iniziato a improvvisare, cambiando il copione predefinito che io avevo imparato così bene.
Non sapevo cosa fare.
Non capivo niente.
Improvvisamente mi ritrovai a sperare che quel tizio, Braska, sconfiggesse Sin in fretta, ma in qualche modo sapevo che nulla sarebbe più stato come prima.
Rivolevo i miei genitori. Volevo piangere tra le loro braccia. Rivolevo mio fratello. Rivolevo la mia fiaba.

Quando Han mi trovò, era sera.
–Maon… che shuccede?
Non risposi.
Mi vergognavo, ma nonostante tutto non riuscivo a dirmi di cambiare.
–Shei arrabbiato per quello che ho detto? Perché voglio partire?
Scossi la testa.
Non era Han. Né Hagon. Era tutto insieme.
Han sedette accanto a me.
–Tutto sta cambiando.
–C’è shempre qualcosha che cambia.
–Sì, ma non così in fretta– protestai ostinato come un bambino.
Han mi osservò in silenzio per alcuni minuti.
–Devi penshare a Aeona.
–Non sono in grado di pensare a nessuno. Era Hagon a occuparsi di tutto. Io ero solo il fratellino fifone.
Han non rispose.
–Era lui– continuai. –Se Aeona aveva paura, andava da lui, se era arrabbiata, andava da lui, se era triste, andava da lui… e anche io. Lui ci proteggeva.
Man mano che parlavo, la vista mi diventava annebbiata e gli occhi mi si riempivano di lacrime, finché non fui più in grado di trattenerle e mi ritrovai a piangere con la testa sulle ginocchia.
–Aeona ha bishogno di te, non penshare che non shia coshì. Lei ti vuole bene.
–Da solo non ce la faccio– protestai ancora, piangendo. –Ho bisogno di mio fratello!
Han mi passò le tre dita nei capelli, cercando di consolarmi.
–Se vai via anche tu… io sono solo– conclusi con un filo di voce.
Piansi, piansi a lungo, forse per ore, forse per tutta la notte.
Sin sorvolò silenziosamente il Fluvilunio, e il mattino dopo tutte le normali operazioni di traghettamento continuavano come sempre.
Entrai in casa, dove Aeona giocava sul pavimento coi pupazzetti di legno che le aveva fatto Hagon.
No, non aveva bisogno di me.
Quando Hagon faceva tardi, piangeva finché non tornava, anche se ci volevano ore e ore. Una volta, rimase sveglia fino al mattino dopo, perché Hagon aveva dovuto finire le riparazioni alla stazione e il lavoro si era rivelato più lungo del previsto.
Ora, invece, giocava come se nulla fosse successo.
Il Moguri era sempre accanto a lei, e avevo l’impressione che ci sarebbe rimasto fino al ritorno di Hagon - ammesso che fosse tornato - ma oltre questo, nulla la faceva apparire diversa dal solito.
No, non aveva affatto bisogno di me. Probabilmente non si era nemmeno accorta che ero in piedi accanto a lei.
Salii nella mia stanza e misi alcuni vestiti, guil e cibo in una piccola borsa che era stata di Hagon, quando giocava nei giovani dei Luka Goers, prima che ci trasferissimo al Fluvilunio. Poi scrissi due righe per chiedere che qualcuno si occupasse di Aeona, e uscii di casa senza nemmeno che Aeona se ne accorgesse, allontanandomi verso la Via Djose.
Avevo un pugnale con me, che mio padre mi aveva regalato quando ero piccolo e che io non avevo mai usato, data la mia poca propensione al combattimento.
Lungo la strada, incontrai un mercante che per una protezione contro i mostri mi chiese tutti i miei guil più il mio pugnale, e accettai.
Ancora, non una delle cose di cui vado più fiero, ma una protezione contro i mostri mi sarebbe servita più di un pugnale che non sapevo usare.
Arrivai a Luka senza un graffio, nonostante mi fossi fermato due volte per riposare. Non so perché scelsi proprio Luka, volevo solo allontanarmi il più possibile dal Fluvilunio.
Arrivato in città, comunque, barattai la mia protezione contro i mostri per una discreta quantità di guil con cui presi una stanza in un piccolo ostello e finalmente mi fermai a riflettere.
Che stavo facendo? Che diavolo stavo facendo?
Me lo chiesi più volte quel giorno, e quella notte, e i giorni e le notti successive.
Stavo scappando.
La mia fiaba era andata in pezzi e volevo costruirne una nuova, lontana dai ricordi della prima.
Luka era perfetta. Vi ero nato, era la mia città, anche se non mi ricordavo nulla - e forse proprio questo era un bene.
L’immagine di Aeona che nemmeno mi vedeva era una tortura, come pure l’annuncio di Hagon di arruolarsi nella milizia, ma dopo un po’ riuscii a seppellire tutto in fondo alla testa, a negare ogni cosa che non fosse la mia nuova fiaba a Luka. Cambiai nome, trovai un lavoro allo stadio per pagarmi vitto e alloggio, e dopo un po’ Hagon, Aeona, Han e il Fluvilunio smisero di apparirmi in sogno.
A volte, ripensando al passato, mi odiavo per ciò che avevo fatto, per essere fuggito, per aver abbandonato - abbandonato!- mia sorella, ma come sempre ricacciavo ogni cosa che potesse turbare la pace della mia nuova vita in fondo alla mia testa, in attesa che quell’angolo troppo pieno scoppiasse, un giorno, e mi facesse impazzire.

Erano mesi che vivevo a Luka.
L’invocatore Braska era diventato Grande Invocatore sconfiggendo Sin e regalando a Spira il primo Bonacciale dopo un secolo. La gente era talmente felice che i locali iniziarono a chiudere sempre più tardi, ed erano sempre pieni. Finalmente, Spira poteva divertirsi.
Dividevo un appartamento accanto alle banchine con altri ragazzi della mia età e con la mia stessa voglia di dimenticare un passato, e lavoravo in una caffetteria sulla sopraelevata accanto allo stadio. Durante la stagione di blitzball si guadagnava bene, e le mance erano alte.
Iniziai a seguire le partite grazie agli schermi che riempivano le strade della città e che erano anche nel locale in cui lavoravo, e un paio di volte andai anche al teatro coi miei coinquilini.
Una sera un omino mi si avvicinò chiedendomi se volessi delle filmosfere.
–Puoi ricordare il passato e registrarlo qui senza mai rischiare di dimenticarlo.
Rifiutai.
I miei ricordi di prima di Luka dovevano restare sepolti, non volevo più pensarci.

Passai così anni.
Ma ciò che è stato non si cancella, e anche se cerchi di dimenticarlo, torna sempre.
Un giorno, a metà del Bonacciale, più o meno, nel locale entrò una ragazza. Dimostrava quindici, sedici anni. Aveva lunghi capelli biondi e l’aria stanca di chi ha viaggiato molto.
Credo che mi vide, perché si avvicinò diretta al bancone e fece per ordinarmi qualcosa, ma fui preceduto da un altro collega che prese l’ordinazione al mio posto. Mi dispiacque. La ragazza era proprio carina.
Finito di bene e di mangiare, la ragazza pagò e andò via senza guardarmi.
–Bella ragazza– commentò il padrone del locale, ammiccando verso di me. La rividi alcuni giorni dopo, davanti a uno schermo alle banchine che trasmetteva la partita dei Goers.
Mi avvicinai a lei senza farmi notare troppo, cercando un modo per attaccare bottone. Forse non fu una buona idea.
Alzò lo sguardo verso di me e mi fissò per un po’, come se mi conoscesse, prima di tornare a guardare la partita. Allora penasi che forse le piacevo.
–Bel goal– commentai quando i Goers segnarono, cogliendo l’occasione per attaccare discorso.
Lei però si limitò ad alzare le spalle, e poco dopo, senza che la partita fosse ancora finita, si allontanò.
–Non sei di qui, vero?– le chiesi diretto seguendola.
Avevo una strana sensazione su quella ragazza, mi attirava in qualche modo, e non volevo lasciarmela scappare così.
Lei si fece raggiungere senza protestare.
–La mia famiglia era di qui– rispose, ma non sembrava intenzionata a sostenere una conversazione.
Stavo pensando a qualcosa da dire quando lei inaspettatamente continuò.
–Io sono del Fluvilunio.
Mi fermai, e lei con me.
“Fluvilunio”. Come lo aveva detto… c’era uno strano accento.
–Ci sei mai stato?– mi chiese guardandomi negli occhi. Non riuscivo a sostenere quello sguardo. –Al Fluvilunio?
Di nuovo quell’accento.
–Sì…– risposi. La voce mi tremava, incontrollabile.
–Bel posto, vero?– chiese ancora facendo un passo verso di me, la voce bassa e melliflua.
Desiderai non averla mai avvicinata. Il mio cuore prese ad accelerare i suoi battiti.
–Sì…
–Ci sei solo passato? Io ci ho vissuto. È bellissimo viverci– aggiunse con la stessa voce untuosa.
Vissuto.
Vissuto.
Vissuto.
Quella parola si ripeteva dentro di me al ritmo dei battiti del mio cuore, sempre più veloci.
–Chi… sei?– chiesi con un filo di voce.
–Non mi riconosci– disse. Non era una domanda, era una constatazione. Come se non si fosse aspettata altro. –Eppure sono passati solo cinque anni.
Fece un altro passo verso di me, ormai era vicinissima.
–Vero, Maon?
Trasalii. Nessuno a Luka conosceva il mio vero nome.
–Aeona?– chiesi prima che la voce mi sparisse del tutto in fondo alla gola.
–Ricordi ancora il mio nome!– esclamò perdendo quella calma viscida di poco prima. –Sono colpita– commentò sarcastica.
Aeona.
Perché? Perché era lì?
Cercai di calmarmi, ma lo sguardo accusatore di mia sorella mi schiacciava.
–Per… perdonami– riuscii a dire.
–No!– gridò lei. Molti passanti si fermarono, ma io non vi badai. La strada avrebbe potuto benissimo essere deserta. –Non ti perdono, Maon. Non ti perdono per avermi abbandonata quando ero solo una bambina– sibilò poi a denti stretti prima di allontanarsi disgustata.
Avevo cercato di dimenticare, di vivere una vita normale, da solo, lontano da tutti.
Egoista.
“Non ti perdono”.
E come darle torno?
D’un tratto mi tornò in mente Hagon. Cosa avrebbe detto lui, se cinque anni prima avesse saputo che volevo lasciare il Fluvilunio? Immaginai la stessa espressione disgustata di Aeona sul volto di mio fratello.
Perché non potevo essere come lui?
–Aeona!– chiamai.
Corsi per Luka chiamandola a gran voce, e la trovai in piazza.
–Aspetta– la pregai.
Aeona si fermò a pochi passi da me, ma non volle voltarsi a guardarmi.
–Ho sbagliato. Lo so. E capisco che non vuoi - non puoi- perdonarmi. Ma mi… mi dispiace. Davvero.
Mi fermai, per essere certo che mia sorella mi ascoltasse. Che volesse ascoltarmi.
–Se posso fare qualcosa…– ripresi, ma lei mi interruppe.
–È troppo tardi– disse continuando a darmi le spalle. –Non sono più una bambina. Se prima potevo avere bisogno di un fratello maggiore, ora non più.
Era più calma di prima.
–Quello che non hai capito, Maon– riprese dopo un po’, –è che dopo la partenza di Hagon mi restavi solo tu. E invece mi hai abbandonata. Come lui– concluse a voce più bassa, ma la sentii ugualmente.
Rimasi lì impalato, fissandola mentre si allontanava verso le scale che portavano fuori città.
“Come lui”.
Aveva detto “come lui”.
Egoista, solo un egoista, ecco cos’ero. Dopo la partenza di Hagon mi ero sentito abbandonato. Non mi aveva nemmeno sfiorato il pensiero che anche mia sorella doveva essersi sentita così.
Esistevo solo io.
Ma Hagon non aveva lasciato solo me, aveva lasciato prima di tutto lei, una bambina. Io, almeno, ero grande, anche se non mi ero mai comportato come se lo fossi.
E ora lei era cresciuta, senza nessuno dei suoi fratelli che, per un motivo o per un altro, ma comunque entrambi, l’avevano abbandonata.
Mi voltai per tornare indietro, allo stadio, a casa, alla caffetteria… da qualche parte. Girai per la città, giunsi fino alle banchine e poi tornai indietro. Entrai quasi senza accorgermene al teatro.
–Signore, vuole comprare delle filmosfere?– mi chiese l’omino accanto alla reception.
–Filmosfere– ripetei. –Sì, grazie.
–Quante?
–Tutte quelle che riesco a registrare.

Note post fanfiction
Prima di tutto voglio ringraziare chi ha letto fin qui, perché come ho detto questa è una delle fanfiction a cui sono più affezionata. Poi vorrei far notare un paio di piccole cose (mi sono impegnata a idearle, quindi abbiate pietà e leggete le note ^^’): l’invocatore che si presenta prima di Braska e che perde i suoi guardiani “sparisce” nel tempio di Bevelle proprio perché non ha guardiani (e niente guardiani significa niente Invocazione Finale, anche se lui non lo sa… quel simpaticone di Mika non poteva permettergli di proseguire così); Maon alla fine rimpiange di non essere come Hagon, ma dieci secondi dopo Aeona gli fa notare quanto Hagon abbia sbagliato. Mi piaceva l’idea che lui abbia idealizzato la figura del fratello maggiore e debba alla fine rendersi conto che anche lui era imperfetto.

Ri-ringrazio chi ha letto, e ringrazio doppiamente chi commenterà, bene o male, questa mia fanfiction, a cui sono tanto affezionata.
E un bacio a Maon, che è in fondo è solo un essere umano come tanti.



   
 
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