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Autore: Oducchan    04/09/2010    2 recensioni
Arancio. E oro. E rosso intenso. E… quella tinta, che non ha un nome suo definito, che è il risultato dei colori del sole, mischiati assieme, uniti, che non sono più singoli ma un tutt’uno. Era meraviglioso, il tramonto.
E il fiume, il fiume che scorreva placido nei suoi argini, le tinte fosche con cui gioca l’inverno. Lì, sotto la vetrata, pareva quasi di poter immergervisi le mani come se niente fosse, magari di tuffarcisi pure, una rincorsa e via, con l’abbraccio gelido dell’acqua ad accogliere il corpo, tra i capelli, sulla pelle, pace e nessun pensiero, poi nuotare verso nord...
-Mister Williams?-

Di quando disse no la prima volta, incapace di fargli del male. Di quando decise di diventar grande, a modo suo.[To sushi, per il suo compleanno, with love] [CubaCanada]
Genere: Generale, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Canada/Matthew Williams, Cuba
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Arancio

Per sushi, che compie gli anni. Con tutto l’affetto di questo mondo <3

 

Embargadero [Growing up]

 

 

 

 

Arancio. E oro. E rosso intenso. E… quella tinta, che non ha un nome suo definito, che è il risultato dei colori del sole, mischiati assieme, uniti, che non sono più singoli ma un tutt’uno. Era meraviglioso, il tramonto.

E il fiume, il fiume che scorreva placido nei suoi argini, le tinte fosche con cui gioca l’inverno. Lì, sotto la vetrata, pareva quasi di poter immergervisi le mani come se niente fosse, magari di tuffarcisi pure, una rincorsa e via, con l’abbraccio gelido dell’acqua ad accogliere il corpo, tra i capelli, sulla pelle, pace e nessun pensiero, poi nuotare verso nord…

-Mister Williams?-

Canada si riscosse, tornando immediatamente nel suo presente –più precisamente, la sala fuori dall’ufficio del suo boss- e si voltò rapidamente verso il giovane assistente che era venuto a richiamarlo. Arrossì, sentendosi colto sul fallo, e annuì con un movimento concitato del capo, Kumajiro stretto al petto.

-Il primo Ministro la sta aspettando, Prego, da questa parte-

Il ragazzo gli indicò educatamente la porta dello studio aperto, e Matthew lo ringraziò con un filo di voce, prima di affrettarsi nella stanza chiudendosi maldestramente la porta alle spalle. Il suo boss lo attendeva seduto alla scrivania, semisepolto dietro un numero impressionante di fascicoli di carta, e si accorse blandamente del suo arrivo, limitandosi a un cenno del capo per invitarlo a sedersi sulla poltroncina dirimpetto allo scrittoio, prima di tornare ad affaccendarsi sui documenti.

La Nazione non se lo fece ripetere, accomodandosi in silenzio, e rimase in attesa di una reazione da parte dell’uomo che gli stava dinnanzi. Vedendo però che non pareva avere alcuna intenzione di prestargli attenzione o comunque di rivolgergli la parola per illustrargli il motivo della convocazione, Matthew prese un bel respiro, cercando di trovare tutto il coraggio di cui era dotato.

-Mi… mi ha fatto chiamare… signore?-

Il Primo Ministro parve risvegliarsi improvvisamente, a quelle fioche parole: si bloccò a metà del moto di risistemazione dei fogli che teneva in mano, batté un paio di volte le palpebre e focalizzò la sua attenzione sulla persona del povero Canada, con espressione quasi meravigliata. Dopodiché tossicchiò, forse imbarazzato, abbandonò i documenti accatastandoli in un angolo e poggiò entrambi i palmi delle mani sul piano di legno, fissandolo con attenzione negli occhi.

-Sì, Canada. Ti devo parlare di una questione molto importante riguardo Cuba e gli Stati Uniti-

Matthew sussultò, a sentire quei due nomi accostati assieme. Non avrebbe dovuto, ma non riuscì ad esimersi; era mortalmente preoccupato per quello che stava succedendo nell’isola caraibica, e quel poco che si veniva a sapere tramite radio e televisione non era in grado di rassicurarlo. Cuba era una testa calda, si ricordava bene come avesse tentato di picchiarlo a sangue credendo che fosse suo fratello; ma sapeva bene quale fosse la vera natura della piccola nazione, e non riusciva a credere a quello che sentiva. Rivoluzione? Comunisti? Crisi internazionale? Non era possibile.

-… e quindi America ha imposto un embargo, in modo che tutti gli scambi commerciali siano bloccati a tempo indefinito…-

Canada deglutì a vuoto. Non gli era chiarissimo il significato di quella parola, embargo, ma cosa fosse un blocco commerciale quello sì. Era pazzesco. Alfred non poteva essere stato tanto…tanto Alfred da fare una cosa del genere: l’economia di Cuba non godeva di estrema vitalità, era cosa risaputa, e faceva affidamento sugli scambi con l’ingombrante vicino per sopravvivere. Cosa sarebbe accaduto ora?

-…ovviamente tutti i paesi del blocco occidentale hanno accettato questa posizione, aderendo a loro volta al blocco…-

-Ovviamente…- fu il suo commento, anche se ormai la sua attenzione era ormai labile e navigava persa in altri lidi. Cuba stava veramente bene come volevano fargli credere? Forse era ferito, oppure malato, oppure… E America che si ostinava ad essere arrabbiato e a non voler transigere, sproloquiando che l’eroe doveva difendere il mondo da certe idee, che già Russia bastava e avanzava, e ci mancava solo che ne spuntasse fuori un altro lì vicino a casa. Però Canada avrebbe voluto replicare che Cuba poteva sembrare un po’ aggressivo, ma in realtà era una brava persona, e anche gentile, visto quanto ci teneva ogni volta a scusarsi per i fraintendimenti di cui era oggetto, eppoi…

-Quindi daremo anche noi il nostro consenso. Immagino che tu sia d’accordo…-

Matthew batté un paio di volte le palpebre. Il suo consenso. All’embargo. Come erano arrivati a parlare di questo? Sembrava dover essere un discorso generale. Non si sentiva in grado di decidere, insomma, lui era quello che nessuno notava mai e a cui nessuno domandava mai cosa stesse pensando o cosa volesse fare, e ritrovarsi a decidere non faceva per lui, specie se da una parte c’erano suo fratello, Inghilterra, Francia e tutti gli altri, e dall’altra c’era cuba. Cuba. Cuba che gli offriva il gelato per chiedergli scusa. Cuba che arrossiva imbarazzato per averlo confuso. Cuba, pragmatico e di poche parole, che lo portava a visitare casa sua e non commentava se per caso commetteva qualche gaffe. Cuba che beh, gli telefonava sempre e gli chiedeva come stava. Cuba che si ricordava dove stava, come si chiamava, e magari anche che faccia aveva –perlomeno, faceva meno fatica, con l’abitudine.

-No!-

Il ministro sobbalzò, preso alla sprovvista, tanto che la penna che aveva preso tra le dita per firmare il documento in esame cadde rumorosamente sul piano di legno. Sgranò gli occhi, salvo poi sporgersi verso di lui, incredulo.

-Come?!?-

-Io… ecco…- a disagio, Canada si contorse sulla sedia, desiderando improvvisamente poter scomparire di qualche metro sotto terra, mentre le sue guance acquisivano parecchi toni di colore. Tuttavia, dato che la fuga dalla stanza non era contemplata –stava parlando con il suo boss, per tutte le foglie d’acero!- si costrinse a restarsene seduto e a esporre la sua opinione. Senza tentennamenti. Doveva farlo.

-Io non voglio imporre nessun embargo a Cuba. È mio amico- sussurrò con un filo di voce.

L’uomo non replicò immediatamente, la mascella che pareva non voler più rispondere alle funzioni motorie per cui era destinata. Tentò una vaga replica, chiedendosi in cuor suo chi glielo avesse fatto fare, di entrare in politica.

-Ma Canada… non posso mettermi contro gli Stati Uniti… nella nostra posizione, e considerando gli avvenimenti globali…-.

Matthew tacque, a disagio. Sapeva bene che, per il bene di tutto il suo popolo, non si poteva accontentare ogni suo capriccio, e che le decisioni andavano prese con lucidità, a discapito degli interessi personali. Era una delle tante lezioni che Inghilterra si era prodigato a inculcare nelle sua adorate colonie e che in lui avevano trovato terreno fertile. Però, gli ricordò una vocina spersa negli anfratti della sua mente, non era più un bambino, era una Nazione sovrana in grado di decidere da sola il da farse. E forse era arrivato il momento di ricordarlo anche al resto del mondo.

-Noi… potremmo. Lei ed io. Insomma, non dobbiamo…rispondere a nessuno che non sia la gente del Canada, giusto? E Cuba non ha mosso nessuna pretesa nei nostri confronti. Non ci ha fatto niente. Non siamo obbligati ad appoggiare America.Sono…. sono abbastanza grande da poter decidere ciò che è meglio per me stesso, e un embargo contro Cuba non lo è-

Il Primo Ministro parve pensare attentamente, ponderando la questione nei vari aspetti, una mano poggiata sul mento e lo sguardo perso sul muro su cui faceva bella mostra di sé una gigantesca cartina del Paese. Gettò un’occhiata furtiva sui documenti in attesa, sospirò, poi sorrise, fregandosi le mani.

-Bene. D’altronde, quel pallone gonfiato del Presidente americano non mi è mai stato simpatico… voglio proprio vedere la faccia che farà alla notizia. Su, su, circolare, puoi andare, ho del lavoro da sbrigare-

Matthew non se lo fece ripetere due volte, sgattaiolando lestamente fuori dalla stanza e chiudendosi con delicatezza la porta alle spalle. Solo, quando rimase nuovamente solo, nell’avviarsi verso l’uscita dell’edificio avvertì un lieve tuffo al cuore e un tremore scuotergli le mani.

Ce l’aveva fatta.

 

 

Lo specchio sporco gli rimandò un’immagine assai distorta della sua espressione. Non ricordava quelle occhiaie spesse e quel colorito grigiastro, né quel taglio a livello dello zigomo, che gli dava l’aria di un povero zotico appena uscito da una zuffa. Maldiciòn.

Si sporse per studiare meglio la ferita, ma proprio in quel momento il telefono alla parete iniziò a squillare furioso, così allungò una mano per afferrare la cornetta, accostandola all’orecchio senza interrompere il contatto visivo con il riflesso dei suoi occhi.

-!Diga!-

-Cuba?-

Un lieve sussultò gli scosse il corpo provato. Ramòn vide le proprie iridi dilatarsi dalla sorpresa nel sentire la voce che gli si rivolgeva dalla linea telefonica, tanto lontana da ricordargli da quanto tempo era che non vedeva il suo proprietario.

-Canada?-

-Sono io. Stai…ecco… stai bene?-

Una famigliare sensazione di benessere gli scivolò leggiadra nel petto, scaldandolo appena. Matthew era sempre così goffo, anche quando si preoccupava per gli altri, che bastava poco per fargli scuotere il capo rassegnato; tuttavia, la delicatezza e la gentilezza che sprigionava la sua persona lo mettevano sempre a suo agio, come con nessun altro al mondo. Sospirò, massaggiandosi la fronte

-Starò meglio-

-Senti, ho sentito dell’embargo. Me l’ha detto il mio primo Ministro.

Il ragazzo si morse nervosamente le labbra, a disagio, e diede un lieve colpo di stizza alla testiera del letto vicino, cercando di suonare controllato nel rispondere.

-Capisco. Senti, non…-

-Ho detto no-

Silenzio. Ramòn strabuzzò nuovamente gli occhi, incapace di comprendere quella frase-

-Hai…hai detto…no?-

-Ho detto no-.

E il petto che gli esplodeva in una girandola di calore soffocante, e risaliva in gola in un groppo pulsante, quasi doloroso. E il sapore dolce della lacrima che gli solcò la guancia, stupendolo nella sua semplicità, mischiandosi a quel moto di gratitudine stupefatto che gli nacque spontaneo dal cuore.

 

Muy gracias, Canadà

De rien, Cuba

 

 

 

Noticine.

Nel 1962 il primo Ministro canadese era sicuramente John Diefenbaker (il quale aveva diversi attriti con l’allora presidente USA Kennedy, da quel che ho capito scatenati da un errore di pronuncia… mah XD). Nel cercare informazioni non ho trovato niente di preciso al riguardo; resta il fatto che Canada e Messico sono stati gli unici due paesi dell’emisfero nord a non aver mai interrotto i contatti diplomatici con Cuba, nemmeno Durante la Rivoluzione castrista.

Altri dettagli specifici non ce ne sono –ho evitato accuratamente di approfondire troppo perché sarebbe stato un suicidio.

Sushi, cherie, spero che nonostante il ritardo ti sia gradita *smack*

Per Cuba, ho utilizzato il nome Ramòn, sperando che nessuno ci abbia già pensato... nel qual caso chiedo venia (insomma, avrei tanto voluto fare Fidel, ma mi sono trattenuta XD)

 A presto, besitos

wolvie

   
 
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