Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: _Ella_    14/09/2010    5 recensioni
Le cicatrici non se ne sarebbero andate, i polmoni non sarebbero guariti mai del tutto. Quasi inutile smettere di continuare, anzi, era del tutto inutile. Però entrambi preferivano essere dipendenti l’uno dall’altro, perché non sarebbero mai stati nocivi, non avrebbero mai portato del male.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sangue al Cioccolato

Clic, clac. . .

Il rumore era uguale, identico ad un rubinetto che gocciola, eppure adesso sentiva dolore. E guardava ad occhi sgranati – quei magnifici occhi celesti – quello che aveva fatto, un sorriso sulle labbra che di sadico non aveva niente. Era incredibilmente rilassato, ingenuo. Eppure, c’era una nota di pazzia – impercettibile ma c’era – che stonava sul quel volto angelico e perfetto.
Fissò distrattamente le macchie sulle piastrelle bianche della sua stanza, i pezzi di vetro sparsi come quelli di un puzzle sfatto. E le sue nocche sanguinavano, per il pugno che aveva sferrato nello specchio, e due solchi profondissimi gli coprivano l’indice e il medio mancini.
Sarebbe rimasta di sicuro la cicatrice.
E aveva sentito dolore, tanto, poi però col sangue era scivolata via anche l’ansia, la rabbia. Come scorreva il sangue, così si liberava di ogni cosa. Ed era un guscio vuoto. Ed era rilassato, felice.
La mano destra ancora tremava però, era
inorridito
per quello che aveva fatto, fissava le dita che stringevano il pezzo di vetro, il lato sporco di sangue, lo stesso sangue che usciva ancora dal polso sinistro.
Anche lì, la cicatrice sarebbe rimasta senza dubbi. Ed era meglio così.
In un attimo, tutta la felicità che aveva sentito, era volata via e nonostante il sangue non smettesse di uscire, lo stomaco era attanagliato da un dolore pazzesco. Ansia, colpa, paura.
Ormai, la sua dignità l’aveva già persa.
Disinfettò le ferite, mettendoci sopra dello scotch medico per chiuderle. Ci sarebbe voluto tempo, erano abbastanza profonde, almeno quelle sul polso. Poi, segnò un ennesima pecca sulla sua sanità mentale.
Chiuse la porta del bagno, non ebbe nemmeno il coraggio di guardarsi nello specchio. Fu facile, più del previsto. Sentì la bile salire alla gola, veloce, e in un attimo vomitò tutti i succhi gastrici. Nel suo stomaco ormai non c’era più traccia della colazione – che gli aveva costretto di fare il suo migliore amico – dopotutto era quasi notte fonda.
Era una cosa sbagliata, dannatamente sbagliata, eppure anche se il dolore e la stanchezza erano più forti del piacere che dava era sicuro che l’avrebbe rifatto.

Ormai era un drogato. Non riusciva a stare più un giorno senza tagliarsi, senza vomitare. Era drogato di una cosa che faceva altrettanto male della droga vera e propria o del fumo, solo che quello che faceva, era visibile anche da fuori, non era iniettato nelle vene, non era concentrato nei polmoni.
Si aggiustò meglio il polsino, infilò i due anelli, strinse nuovamente il buco della cintura. Ormai, i più lo credevano un fantasma. Pallido, quasi bianco – con tutto il sangue che perdeva, era ovvio – , magro in una maniera quasi spaventosa – mancava poco ed avrebbe sfiorato l’anoressia, lo sapeva – eppure… eppure non ne voleva sapere di smettere.
E nessuno, nessuno di loro, neppure il suo migliore amico, avevano capito che era depresso, che era diventato un autolesionista. Forse perché ai loro occhi era sempre il solito. Sempre il solito pungente e menefreghista Roxas, quello che non avrebbe fatto una cazzata nemmeno a pagarlo.
Invece, di cazzate ne faceva da quasi mezzo anno e prima o poi, sarebbe ceduto o – più probabilmente – lo avrebbero scoperto.
Ma non ci pensava, tanto era quasi impossibile che si accorgessero di quello che faceva. Il pallore l’aveva sempre avuto, forse un po’ di più negli ultimi tempi ma dava la scusa al fatto che stesse sempre in casa il pomeriggio. La magrezza, aveva sempre avuto anche quella, ma bastava dire che lo studio eccessivo gli consumava energie.
Non aveva calcolato che per “cedere” stesse anche lo svenire improvvisamente per colpa delle energie inesistenti, del ferro basso.
Si strofinò gli occhi, prima di riaprirli e trovarsi sul divano di una casa che conosceva come le sue tasche. Notò che i piedi erano posati su un paio di cuscini, così da tenere le gambe alzate, e che era tutto in penombra. Meglio così, non sopportava più la luce del sole.
-Ti sei ripreso, finalmente. Ci hai fatto prendere un bello spavento-.
Dalla soglia della camera comparvero quelli che di sicuro l’avevano portato lì. Zexion gli si avvicinò, aiutandolo a mettersi a sedere, mentre dal fondo della stanza Axel e Demyx lo fissavano in silenzio. Abbassò lo sguardo, senza riuscire a guardare nessuno negli occhi. Stranamente, perché – i tre lo sapevano bene – il biondo era di una faccia tosta pazzesca.
Il blu si ritrasse delicatamente, raggiungendo gli altri due e prendendo per un braccio Demyx, era meglio lasciare da soli i due migliori amici. Il rosso gli rivolse uno sguardo d’intesa e li accompagnò fino alla porta.
Roxas si morse il labbro furiosamente, gli veniva da piangere, le mani e il corpo scosse dai tremiti.
Ne.
Aveva.
Bisogno.
. . .
Adesso.
Sospirò pesantemente, scattando giù dal divano e prendendo il suo zaino, che era posato in corridoio, dirigendosi verso il bagno e chiudendocisi dentro. Poté sentire l’urletto isterico di Axel quando non lo trovò dove lo avevano lasciato.
Sospirò, tirando fuori dallo zaino la lametta. Ormai la guardava sempre allo stesso modo, come una sbagliatissima salvezza, quanto lo può essere vendere l’anima al Diavolo. Si sfilò il polsino, la fitta rete di cicatrici era come una ragnatela ben tessuta, che non sarebbe mai stata rotta, che ogni giorno invece sarebbe diventata sempre più resistente. Era sempre uguale, una  maggiore pressione sulla pelle, muoveva lentamente per assaporarsi il momento in cui avrebbe sentito la pelle schiudersi, quando il sangue sarebbe uscito fuori e i lembi della pelle tagliata avrebbero cominciato a pizzicare.

Clic, clac…

Sempre lo stesso rumore. Impercettibile eppure marcato.
Mise una striscia di scotch medico attorno al polso, per fasciare la ferita e ci rinfilò il polsino. Non aveva il tempo di vomitare, ora, già sentiva i passi di Axel avvicinarsi al bagno. Lasciò lo zaino per terra e tirò lo scarico, l’acqua che da rossa divenne mano a mano più trasparente. Si sciacquò il viso con l’acqua gelida, fissò i suoi occhi vitrei attraverso lo specchio. Era sempre così, quando lo faceva, aveva lo sguardo inespressivo, freddo, che rifletteva gli altri.
Aprì la porta, tenendo un braccio stretto sullo stomaco, faceva così male adesso. Fissò i piedi di Axel, non aveva il coraggio di guardarlo, non ora, in quei momenti non aveva nemmeno il coraggio di ricordarsi chi era un tempo e che fine ne aveva fatto.
-Roxas?-
Oh, no, non lo era più da tempo.
Non rispose, avviandosi verso il salotto, trascinando i piedi, lo stomaco che faceva maledettamente male, stretto in una morsa dolorosa, come se l’acido stesse sciogliendo le sue interiora. Si lasciò cadere sul divano, l’altro braccio posato sugli occhi, la bocca leggermente socchiusa per incamerare più aria, nonostante questo gli facesse arrivare fitte al cervello. Gli veniva da piangere, ancora, ma non poteva vomitare, Axel avrebbe sentito.

Era strano, vederlo con lo sguardo basso, silenzioso più del solito e non perché non aveva niente da dire, ma perché si stava tenendo tutto dentro. Si avvicinò lentamente, sedendosi al suo fianco. Mancava poco e sarebbe diventato uno scheletro. Non ci aveva mai creduto alle balle che diceva ma non aveva mai trovato il coraggio di chiedergli cosa ci fosse realmente che non andava. Ed ora, che lo vedeva con le gambe raccolte al petto, lo sguardo vuoto e perso nel nulla celato dai ciuffi biondi che gli coprivano gli occhi, il coraggio era venuto fuori prepotentemente. Non poteva vederlo così, non ci riusciva. Da un po’ di tempo Roxas odiava tutto e tutti. Axel si era accorto quanto si sforzasse mascherare tutto e con gli altri ci riusciva anche bene. Ma con lui… Axel l’aveva visto crescere, non sarebbe mai riuscito a fregarlo. Gli posò delicatamente la mano fra i capelli, aveva paura di romperlo, anche perché in quel momento lo vedeva più vulnerabile che mai.
-Che ti prende?-
-Mi odio-.
E non c’era amarezza nella sua voce, solo una consapevolezza schiacciante. Si morse il labbro, cercando di stare calmo.
-Devi smetterla di darti la colpa… non ne hai-.
Voleva abbracciarlo, ma il biondo era gelido, sul volto né un espressione triste, né disperata. Niente di niente e non si decideva nemmeno a consolarsi tra le sue braccia, come aveva fatto spesso. Come aveva fatto all’inizio, quando Sora era morto. Tutti avevano pianto per parecchio tempo, disperati, il gemello era stato l’unico che non aveva versato una lacrima e che solo ogni tanto aveva cercato un abbraccio. Si dava la colpa, perché quel giorno non aveva voluto portare il motorino a fare una revisione, così c’era andato il castano e una macchina – che aveva passato l’incrocio col rosso e a tutta velocità – lo aveva preso in pieno uccidendolo sul colpo. Diceva che sarebbe dovuto andare lui, perché gli toccava, ma il solito menefreghismo lo aveva portato a non importarsene del suo turno perché “non aveva voglia”. Diceva che era ingiusto, che ora lui sarebbe dovuto essere morto. Diceva che sentiva la colpa pesante addosso, come un macigno, e che anche loro – soprattutto Riku e i suoi genitori – lo odiavano. Non era vero.
-Roxas, guardami-.
Fece scorrere la mano dal capo al volto, alzandogli il mento, prendendogli con l’altra mano il polso sinistro, per spingerselo più vicino. Si gelò, quando l’altro ritirò il braccio immediatamente, cercando di nascondere la macchia scura che sporcava la stoffa.
Era inorridito. Non riusciva a muoversi, non riusciva a staccare lo sguardo dal polso nascosto e sperò con tutto sé stesso che si era sporcato di fango quando era caduto, che quello non era sangue. Avvicinò lentamente la mano, ancora, tenne fermo il braccio di Roxas tra le sue dita, senza però trovare alcuna resistenza. Aveva capito, che era inutile. Oppure, non aveva la forza di ribellarsi. Appena toccò la stoffa, sentì un singhiozzo e si trattenne dall’alzare gli occhi verdi in quelli azzurri. Sfilò lentamente il polsino, inorridito anche al pensiero che lo teneva da quasi sei mesi e che quindi, mezzo anno prima aveva cominciato…
Sgranò gli occhi, cercando di non ritrarsi per l’orrore. Non era inorridito per il sangue e le cicatrici, no, era inorridito perché Roxas si tagliava le vene. Non disse una parola, si alzò e andò a prendere il disinfettante e delle bende pulite, occupandosi poi di pulirgli la ferita che altrimenti avrebbe preso infezione. Non disse una parola, ascoltava solo i singhiozzi di Roxas, che faceva di tutto per non guardare.
-Guarda che diamine ti sei combinato- sussurrò, quasi infastidito -Avevi una pelle splendida…- commentò, completando la fasciatura.
Sfilò i due anelli, notando che c’erano due cicatrici vecchie, belle grandi ma non nette come quelle dei polsi. Sospirò, abbracciandolo, lasciando che piangesse contro il suo petto. Eppure, veniva da piangere anche a lui. Scommetteva che non mangiava niente da giorni, scommetteva che vomitava sempre. Il suo migliore amico era depresso e lui – incredibilmente incapace – aveva lasciato correre.
-Piangi, è molto meglio, credimi-.
Lo cullò, accarezzandolo dolcemente, lasciandogli dolci baci sulla fronte e tra i capelli. Se Roxas fosse stato in sé, non glielo avrebbe mai permesso. Ma Roxas, non era in sé.
Quando si addormentò, ancora fra le lacrime, lo prese di peso e lo posò sul letto di camera sua, sicuramente molto più comodo del divano. Gli sfilò le scarpe e i vestiti, mettendogli una sua polo addosso che gli arrivava fino alle ginocchia e lo infilò sotto le coperte, accomodandosi al suo fianco.
Vegliò per un paio di ore il suo sonno inquieto, il corpicino scosso dai singhiozzi. Era rimasto senza fiato, quando aveva notato quanto fosse dimagrito. Bhè, che gli piacesse o no, ora ci avrebbe pensato lui. Si alzò, smettendo per un attimo di carezzargli i capelli, avviandosi in cucina per preparargli una cioccolata calda, di quelle che gli piacevano tanto, con un tocco di anice che gli ricordava i ghiaccioli che amava tanto. La mise in un termos e se la portò dietro, posandola sul comodino ed aspettando che si svegliasse per dargliela.
Intanto, Roxas piangeva ancora. Gli faceva male il cuore a vederlo così, le lacrime gli pizzicavano gli occhi, finché non uscirono lente, accompagnate da qualche singhiozzo silenzioso. Era stato inutile, era un amico incapace, si era ripromesso non sapeva quante volte di proteggere Roxas, l’aveva rifatto anche quando aveva provato a  tirarlo su di morale, di non farlo sprofondare nel dolore. E invece, non era riuscito a un bel niente.
Si asciugò velocemente il volto dalle lacrime, quando il biondo si svegliò di soprassalto, il volto pallido e madido di sudore, gli occhi lucidi. Fu incapace di fermarlo, quando questo scattò via dalle coperte, correndo verso il bagno mentre si teneva una mano sulle labbra. Lo seguì subito, tirò un sospiro di sollievo quando vide che cominciò a vomitare, senza però causarsi tutto da solo. Forse era solo la tensione che l’aveva fatto sentire male.

-Come ti senti, ora?- chiese, togliendogli dalla fronte una pezza bagnata, gli era salita anche la febbre e sperò che non fosse causata da un infezione
-Un po’ meglio- sbottò, tremava dal freddo ma rinfrescarlo era l’unico modo per far scendere la temperatura -Non voglio tornare a casa, Axel-
-Non ti ci avrei fatto tornare…-.
Ed era vero, aveva una incredibile paura che… che continuasse a farlo. Il biondino sorrise tristemente, guardandosi poi il polso, studiandolo come se non gli fosse mai appartenuto. Era proprio vero, che non era in sé quelle volte che lo scopriva.
-Perché l’hai fatto?-
-Sto bene, Axel. Quando lo faccio mi sento bene-
-Stronzate-
-Tu fumi. Ti piace farlo ma ti fa male… quanto può essere diverso?-.
Il rosso scosse la testa, era tutto insensato, era diverso. Sospirò e tirò fuori dalla tasca il pacco delle sigarette.
-Allora facciamo una cosa. Io non fumo, ma tu cominci a mangiare e la smetti di farti del male. Va bene?-.
Rimase fermo per un attimo, sconcertato, quando Roxas gli legò le braccia dietro al collo, abbracciandolo forte. Ricambiò poco dopo, sorridendo e baciandogli la tempia.
-Non mi lasciare- gli sussurrò, stringendosi di più ad Axel.
Non era in sé nemmeno ora, non era da lui lasciarsi andare così, nonostante fosse il suo migliore amico. Non era il tipo che sbandierava i suoi sentimenti così, ma per una volta gli andava bene di mostrarli e voleva mostrarli. Perché aveva l’insensata paura che – dopo quello che aveva fatto – Axel l’avesse abbandonato, rinfacciandogli che era un pazzo.
Ma questo, il rosso non l’avrebbe mai fatto.
-Non voglio farlo, soprattutto adesso-.
Singhiozzò a quelle parole, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo chiaro. Si sentiva debole, esposto in berlina, tutte le muri che aveva creato attorno a sé per non far accorgere a nessuno quello che sentiva, che provava, erano crollate. Ma era felice che fosse Axel a consolarlo.
Quando si calmò, il rosso lo infilò di nuovo sotto le coperte, versandogli nella tazza la cioccolata che era ancora bollente. Sorrise rincuorato, vedendo il biondo finalmente calmo. Gli si sedette accanto, posando la testa su quella del più piccolo che cel’aveva sulla sua spalla.
Avrebbero entrambi voluto che quel momento non finisse mai. Sarebbero voluti restare così per sempre.
-Non lo farò mai più- sbottò ad un tratto Roxas, continuando a sorseggiare la cioccolata
-Ci conto- sorrise l’altro -Intanto, resti qui così ti tengo d’occhio e tu tieni d’occhio me, va bene? Sarà il nostro piccolo segreto-.
“Piccolo”, poi. Bhè, meglio sdrammatizzare. Strofinò la punta del naso in quei fili d’oro, profumavano sempre, un odore delicato e deciso allo stesso tempo, che aveva un retrogusto – sorrise per questo – d’anice. Preferiva che si imbottisse di ghiaccioli.
-Facciamo una cosa. Ogni volta che abbiamo voglia di… bhè, di fare quello che non possiamo, lo diciamo così ci vestiamo ed andiamo a comprarci un gelato-
-Salmastro?-
-Certo!-.
Gli si sciolse il cuore, quando lo vide sorridere.
Axel azzerò le distanze, il naso che si sfiorava col suo ed il cuore gli saltò in gola, battendo furiosamente, gli occhi si persero in quelli verdissimi. Socchiuse gli occhi, schiudendo leggermente le labbra e posando la fronte a quella del più grande, respirando il suo odore così buono. Sentì che la tazza gli veniva tolta dalle mani, delicatamente, quando furono libere le fece scivolare fino alla nuca del più grande e tenne stretti i capelli morbidi ed intrisi di gel, esattamente come i suoi. Sussultò, sentendo le mani di Axel scivolargli dietro la schiena, una seguendo la linea della colonna vertebrale fino alle spalle, l’altra che rimase nella zona lombare, solleticandogli il fianco.
Capì in un attimo che c’era qualcosa di meglio per sentirsi bene, qualcosa che non gli avrebbe fatto male, una droga che non avrebbe fatto male né al corpo ne allo spirito. Anzi. Le labbra di Axel erano morbide, bollenti, proprio come le mani che lo tenevano stretto a sé. La sua lingua era così accattivante, quel bacio era così dolce.
Sapeva di cioccolato.
Gli arpionò più forte i capelli, lasciò scorrere le gambe attorno il suo bacino e si stese sul materasso, portandoselo sopra.
Si staccarono, lasciando i nasi e la fronte in contatto, le labbra ancora schiuse che si sfioravano.
-Ho un idea, Axel- dichiarò, guardandolo negli occhi felini -Ogni volta che abbiamo voglia di rovinarci la salute, invece di mangiare un gelato, potremmo fare questo-.
La risata roca gli vibrò sulla gola, che il rosso aveva preso a baciare, mentre le sue mani gli stringevano i fianchi. Lo prese per un sì.

Le cicatrici non se ne sarebbero andate, i polmoni non sarebbero guariti mai del tutto.
Quasi inutile smettere di continuare, anzi, era del tutto inutile.
Però entrambi preferivano essere dipendenti l’uno dall’altro, perché non sarebbero mai stati nocivi, non avrebbero mai portato del male.
Tutt’altro.
Preferivano essere dipendenti dal baciarsi e dal fare l’amore.
Erano vizi molto più belli.

 

Eccomi qui con un ennesima one-shoot >.< non mi riescono più le fiction a più capitoli ç______ç perdo ispirazione!
Ma non gliene frega a nessuno, quindi ringrazio chi ha commentato la mia scorsa os {Memories} e chi commenterà questa! ^^

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: _Ella_