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Autore: Aerith1992    28/09/2010    2 recensioni
Sebbene Arthur Kirkland fosse una Nazione, e anche molto conosciuta, in tutti i secoli di vita che aveva (ed erano tanti) poche persone avevano avuto l'onore di visitare la sua villa. [...]
Una cosa che amava particolarmente fare lì, oltre a leggersi Wilde o Poe davanti a un caminetto e una bella tazza di tea fumante, era perdersi nei ricordi ("proprio come un vecchietto" lo prendeva in giro Francis) davanti a quadri o oggetti particolari che aveva conservato e manteneva con meticolosa cura.
Prima classificata al WLCO fan fiction contest
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Living in memories
Genere: Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: oneshot
Rating: Verde

Note dell'autore: prima classificata al Fan Fiction Contest WCLO. Ringrazio tutti quelli che mi voteranno o apprezzeranno questa piccola fan fiction senza pretese ^^. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito l’altra mia oneshot Solo per il suo Dio, prometto che risponderò il prima possibile da qualche parte. Buona lettura!

 

 

 

Sebbene Arthur Kirkland fosse una Nazione, e anche molto conosciuta, in tutti i secoli di vita che aveva (ed erano tanti) poche persone avevano avuto l'onore di visitare la sua villa. Incontri con importanti personalità nella sua cara Inghilterra erano tenuti a Buckingham Palace, o in altri luoghi di minore importanza. Perfino il luogo in cui la villa si trovava era pressoché sconosciuto, tranne per la certezza che si trovasse nell’algida Albione*.

Così erano girate strane leggende o semplicemente voci, su cosa ci potesse essere lì dentro. C'era chi parlava di immensi tesori raccolti da Arthur durante il suo periodo d'oro tra le varie colonie, chi di numerosissimi volumi di incantesimi (e alcuni c'erano davvero) o di oggetti magici come la mitica spada Excalibur, e alcuni sostenevano che in una delle sue camere nascondesse nientedimeno che il Santo Graal. Quando ad Arthur capitava di sentire una di quelle dicerie sorrideva divertito.

Quei pochi che lo conoscevano intimamente e che erano a conoscenza della posizione della villa sapevano invece che Arthur era il genere di persona amante della "pace e della tranquillità", come la definiva lui, ma che tutti chiamavano solitudine. Così per evitare inutili guai, ad esempio un Hong Kong che faceva scoppiare i petardi nella sua biblioteca o Yao che costruiva una Chinatown nel suo soggiorno, aveva preferito tenere segreta la location della sua abitazione.

Una cosa che amava particolarmente fare lì, oltre a leggersi Wilde o Poe davanti a un caminetto e una bella tazza di tea fumante, era perdersi nei ricordi ("proprio come un vecchietto" lo prendeva in giro Francis) davanti a quadri o oggetti particolari che aveva conservato e manteneva con meticolosa cura.

In un angolo del soggiorno giaceva una dedica di Shakespeare in persona, proprio accanto a un vecchio quadro, unico al mondo, che ritraeva Arthur con la regina Elisabetta I. Sempre risalente a quel periodo, un cappello da pirata piumato era poggiato vicino alla specchiera in camera. Ogni volta che passava lì davanti, Arthur non poteva fare a meno di ridere di gusto, pensando ai suoi attacchi-pirata contro Spagna, ignaro di tutto. Tutti i suoi oggetti erano perfettamente ordinati in punti abbastanza visibili della villa, così che i rari visitatori potessero vederli e ricordare (se erano Nazioni come lui) o semplicemente immaginare quanto Arthur un tempo era stato grande e potente. Vanità mista a un forte orgoglio per la nazione che rappresentava, nonostante qualche rimorso per certi momenti particolarmente sanguinosi della sua storia.

C'era però una piccola eccezione tra i ricordi che Arthur amava condividere, e le prove tangibili erano riposte, sempre però con molta cura, in soffitta. Ogni volta che le vedeva, Arthur sentiva una dolorosa stretta al cuore e una sua vecchia ferita, che ormai doveva essersi rimarginata, dava ancora una volta segni di vita. Aveva cercato di buttare via quegli oggetti, ma non ci era mai riuscito. -Sono fatto troppo vecchio per queste cose- si ripeteva scuotendo la testa a ogni tentativo fallito.

Eppure non era niente che, a prima vista, sembrasse prezioso al confronto con altre cose che Arthur aveva conservato. Dei vecchi disegni di un bambino, un cappello da cow-boy, un vecchio moschetto che si poteva facilmente trovare in un museo.


Forse aveva tendenze masochiste, o forse la sua solita tazza di tea non era riuscita a svegliarlo, o semplicemente il suo cervello aveva d'un tratto smesso di funzionare, fatto sta che una mattina Arthur si era ritrovato in soffitta con l'apparente intenzione di ordinare. Ma non aveva iniziato a ripulirla della polvere che si era formata, che lo sguardo della Nazione si soffermò su un punto, il punto che non avrebbe mai dovuto guardare.

I vecchi disegni. -Tieni, Inghitewwa!- gli aveva detto un bambino, biondo, con gli occhi azzurri, un dolce e allegro sorriso, porgendogli un foglio colorato. Arthur gli aveva sorriso mentre lo prendeva. -Cos'è America? È molto bello!- gli occhi di America avevano brillato al complimento del suo "fratellone", ed era partito in quarta descrivendogli cosa aveva disegnato. -Questo sei tu, Inghitewwa, questo sono io e qui...-

Arthur guardò quel disegno, con una stretta al cuore. Il piccolo America non aveva mancato di disegnare le sue sopracciglia, eppure quel particolare che di solito lo irritava particolarmente, non poté fare altro che farlo sorridere. Sfogliò delicatamente anche gli altri disegni. Per alcuni potevano sembrare solo dei piccoli pasticci, ma Arthur sapeva ancora dire con esattezza cosa rappresentavano. Arthur, un fiore, Arthur, una casetta sotto un cielo azzurro, Arthur, America che giocava con un bisonte. Una risata proruppe dalle labbra di Arthur proprio come la prima volta che aveva visto quel disegno.

-Perché ridi?- gli aveva chiesto America perplesso. Sicuramente non si ricordava di che spavento e della seguente sorpresa che aveva causato all'inglese quando era saltato dalle sue braccia ed era andato a giocare con quel mastodontico animale, dando prova di una forza incredibile. -Niente, niente. È davvero un bel disegno, America. Dove lo appendiamo?-


Arthur appoggiò i disegni, senza però lasciare quello del bisonte. Ignorò il rumore ovattato che veniva dai piani di sotto. Sicuramente qualche essere fatato stava cercando i suoi biscotti. Da quanto si ricordava, gli unici ad apprezzarli erano stati lui stesso, quegli esserini fatati e America. Da piccolo, giacché ora Alfred si manteneva sempre a debita distanza da tutto ciò che Arthur cucinava. -La tua cucina per me è come la criptonite per Superman!- gli aveva detto poco tempo prima con il solito irritante sorriso. Eppure Arthur ricordava con quanta gioia da piccolo mangiava le cose che lui gli preparava.

-Che bello, era da tanto che non mi cucinavi qualcosa, Inghilterra!- e anche se Arthur era ben consapevole di aver preparato qualcosa di immangiabile, si sentiva orgoglioso di ciò che aveva preparato.


Il cappello da cow-boy. Arthur ricordava ancora con quanto dispiacere aveva lasciato quel bambino per tornare in Europa. Era tornato da lui il prima possibile, e si era trovato davanti un bel ragazzone più alto di lui, con quello strano cappello. Arthur era rimasto senza parole. Non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe cresciuto così in fretta. Troppo in fretta per i suoi gusti, dato quello che ne seguì.


Toccò il moschetto sentendo ogni graffio, ogni incrinatura sotto le sue dita. Guerra d'Indipendenza. Arthur era dovuto tornare alla realtà in un colpo solo. Per quanto gli fosse piaciuto stare con America, il piccolo bambino che aveva conosciuto era diventato grande, e non aveva più bisogno del "fratellone" Inghilterra. Una leggera lacrima chiese di uscire, ma Arthur la ricacciò indietro.

Sebbene fossero passati secoli, non riusciva ancora a rassegnarsi a quanto era accaduto. Coprendosi con una maschera di "odio" verso l'americano per eccellenza aveva nascosto la sua speranza che un giorno tornasse come il bambino che aveva cresciuto, che lo rispettava e gli voleva bene come con un fratello maggiore. La sedia di Busby, gli insulti e le offese che periodicamente gli rivolgeva, erano solo un modo per sentirsi più vicino ad America senza scoprirsi. "Tsundere" lo avrebbe definito Giappone.


-Finalmente ti ho trovato Iggy!-

Arthur saltò dalla sorpresa a quella esclamazione pronunciata con un tono di voce troppo alto. Si voltò per osservare dietro di lui un volto fin troppo familiare.

-America! Che diamine ci fai qui? Non sai che si bussa alle porte prima di entrare? E non mi chiamare Iggy!

Alfred ridacchiò divertito alla raffica di domande. -Ho bussato, ma tu non te ne sei accorto! Cosa stavi...

Gli occhi dell'americano si erano posati sul disegno che Arthur ancora aveva con sé e si spostarono sul moschetto, sul quale era ancora poggiata la mano di Inghilterra. Sorpreso, si avvicinò ai vari oggetti e li osservò per un attimo.

-Pensavo che avessi gettato tutto quello che ti rimaneva di quel periodo- -Dovresti sapere benissimo che non getto via niente, hai visto tutto quello che tengo giù- rispose l'inglese, nascondendo il suo imbarazzo.

-Come siamo acidi, eh, Arthur?- -Non sono abituato a essere disturbato mentre sto pulendo la soffitta- ribatté lui poggiando con mal grazia il disegno di America sopra gli altri e avvicinandosi ad un altro baule.

-Sì, pulendo...- Alfred afferrò uno dei disegni che ritraeva Arthur -Sai che non esiste più vero? La tua colonia.

Arthur glielo tolse dalla mano e rispose arrabbiato. Come avrebbe mai potuto scordarlo?

-Lo so benissimo, America. Meglio di quanto tu possa immaginare. Ricordi chi è stato tradito?

Alfred voltò lo sguardo, imbarazzato. -Sai che è stato difficile anche per me. Eri il mio fratellone, non l'ho dimenticato.

Arthur sospirò -Ormai è il passato.

A quella frase Alfred lo guardò sorpreso. I suoi occhi celesti sembrarono brillare come quando era un bambino, mentre si faceva largo tra le sue labbra un grande sorriso splendente.

-Non pensavo l'avresti mai detto, Arthur!

 

Arthur annuì distrattamente. Vedere quegli oggetti, ricordare tutto ciò che aveva vissuto con il piccolo America, senza cercare ne di negarlo ne di scappare dalla verità, lo aveva finalmente aiutato ad accettarla com'era, per quanto potesse fargli ancora male. Però la cicatrice che Alfred gli aveva lasciato in quei tempi lontani infine aveva deciso di tacere.

-Finalmente possiamo andare avanti.

 

 

 

*Algida Albione, comunemente conosciuta come Inghilterra. Non chiedetemi perché, lo vorrei sapere pure io, e ringrazio tutti quelli che me lo spiegheranno.

  
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