Eva –
La Prima Figlia
Capitolo 8: Remembering the past
Bisogna aspettare che la
pioggia finisca per vedere l’arcobaleno.
Bisogna attendere la fine
di una tempesta per godere della pacatezza del mare.
Le cose belle si circondano
di brutture come una dama vanitosa si circonda di sgraziate accompagnatrici per
esaltare la propria bellezza.
Alle volte, assuefatti
dalle amare vicissitudini della vita, si considera dolce anche semplicemente
ciò che in verità è meno amaro di quanto siamo
abituati ad assaporare.
Rosie aveva assaggiato ben poco miele durante la sua lunga
esistenza. L’arcobaleno aveva colorato ben poche volte il suo cielo, e i toni
di grigio prevalevano nel paesaggio del suo cuore.
Tuttavia, era da tanto che
non si sentiva così triste.
Gli ultimi mesi erano
stati parecchio difficili, ma l’idea che la risalita fosse iniziata le aveva
dato la speranza che la tempesta, oramai, fosse al termine. Da quando si erano
trasferite in quel luogo le cose erano andate per il
meglio: Eva, infatti, sebbene sempre chiusa in se stessa, si era rasserenata e
aveva iniziato la sua nuova vita da teenager nella massima normalità. Ciò che
era stato del passato era momentaneamente sparito, eclissato in ricordi che
entrambe tentavano di tenere ben nascosti nelle loro menti.
Accarezzò la fronte della
sua protetta, passando quasi incantata l’indice sull’arzigogolata linea nera
che le attraversava la fronte.
Esattamente da allora, dal
giorno in cui le aveva fatto imporre quel tatoo magico, non si sentiva più così
triste.
Erano passati solo tre
mesi. Possibile che non avessero diritto a vivere una vita in pace?
Bonnie seguì il suo gesto, e la sua attenzione si poggiò sul
disegno. Aveva notato il magone che gravava
sull’anziana signora, ma era importante per lei – e per tutti quelli presenti –
sapere.
“E’ un sigillo?” Chiese,
col massimo tatto di cui fosse capace. Sapeva già che lo era, come sapeva che quella domanda retorica avrebbe sancito l’inizio
di una storia per niente scontata.
La tata assentì. “Ed è
anche il motivo per cui potete stare tranquilli: lei non vi farà mai alcun male”
“Avrei detto il contrario
fino a poco fa” Commentò Jeremy, serissimo.
“Nessuno
di quei fulmini ti ha colpito.
Puoi stare certo che se ti avesse voluto fare del male non avrebbe sbagliato
mira.
Credo
stesse solo sfogando la sua rabbia”
“Solo?!”
Commentò ironico Damon.
“Tu non t’infuri mai, vampiro? Non
sfoghi mai la tua collera all’esterno? La reprimi nel tuo animo fino a
implodere segretamente?!” Commentò la nera, con un
tono sempre più duro e scettico.
Damon la fissò, mentre il
suo viso assumeva un’espressione oltraggiata. “Sono un bravo ragazzo io!”
Stefan scosse la testa alle parole del fratello,
inchinandosi poi davanti alla signora e incontrando i suoi occhi color
cioccolato. C’era dolore al loro interno, e anche paura: ma la forza che vi si
leggeva tradiva la sua estrema volontà di proteggere quella creatura che, come
una mamma, teneva stretta fra le sue braccia.
“Signora Duriel, se lei ci assicura che Eva è innocua, noi ci fideremo. Nessuno disturberà la vostra quiete.
Ma dovrà darci le prove che ciò che dice è vero, perché quello che
poco fa è successo dimostra tutto il contrario. Siamo qui per ascoltarla, non
per puntare il dito contro lei e la sua protetta”
Rosie, lentamente, gli sorrise. Il
tatto di quel ragazzo sarebbe riuscito a placare perfino il furore di una
tempesta. “E così tu sei il fratello buono, il vampiro dal cuore umano di cui
Sheila mi ha parlato”
“Le ha detto che io sono
il cattivo?” Chiese Damon, mostrandosi offeso.
“No Damon, altrimenti non
ti avrei concesso di venire a conoscenza della nostra
vita, mia e di Eva. Di te mi disse, come già ti riferii…”
“Si si,
ricordo… che stavo diventando un bravo ragazzo”
“Esatto.”
“Mia nonna le ha detto di
fidarsi di lui?!” Chiese Bonnie,
allibita.
“Lo spirito di tua nonna,
sì. E gli spiriti vanno sempre ascoltati!”
“Credevo il contrario…”
“Mentono a coloro con cui
sanno di poter giocare. Con me, tuttavia, non hanno tale opportunità: sono una
medium troppo abile e potente per poter loro permettere di divertirsi a mie
spese”
“E’ modesta almeno quanto me!” Commentò il più
grande dei Salvatore, meritandosi una gomitata da
Elena che, dopo averlo anche incenerito con lo sguardo, si accinse a sedersi sull’erba
al fianco del proprio fidanzato.
“Era molto amica di
Sheila?” Le chiese, curiosa di saperne di più su quelle nuove arrivate. La
donna, poi, col suo viso gentile e quello sguardo saggio le ispirava fiducia:
l’amicizia con la nonna di Bonnie non poteva che
confermare che si trattava di una persona affidabile.
Il suo modo di difendere
Eva, tuttavia, aveva tradito un affetto troppo materno per non farle sorgere
dei dubbi: la proteggeva perché la considerava effettivamente una creatura
innocua, o erano i suoi occhi offuscati dall’amore materno a rendere la ragazza
meno pericolosa di quanto in verità fosse?
“Conoscevo
Sheila dalla nascita. Siamo
cresciute assieme in questi luoghi, legate dall’appartenenza a famiglie magiche
entrambe vantanti una discendenza diretta con le streghe di Salem.
La nostra infanzia cadde
in un periodo oscuro per il paese: tutti i maschi delle nostre famiglie erano
partiti a combattere la guerra in Europa, e nessuno di loro tornò a casa.
Vivevamo fra donne, fra streghe, spesso ai margini della società, in casupole
costruite alla bell’e meglio nel bosco, memori di come, in passato, i nostri
stessi concittadini ci avessero dato la caccia e gettato nel fuoco per via
delle nostre capacità.
Vittime di roghi umani erano
state soprattutto le donne della tua famiglia, Bonnie:
ai tempi della guerra di secessione tutta la tua stirpe fu eliminata. Solo una
sopravvisse: la potente strega Emily, tua antenata, da cui derivano tutti i Bennet presenti in questa Contea”
Nel sentire ciò la mora
rimase scioccata, e una mano andò a coprire, inconsciamente, l’espressione
inorridita del suo volto.
“Nonostante
questo, le tue ave erano le uniche ad avere ancora buoni rapporti con la città:
vi si recavano spesso, erano amiche dei compaesani, e dalla maggior parte della
gente erano viste benevolmente.
Quando Sheila mi parlava dei grandi mercati, delle biblioteche, dei negozi di
abiti e dei numerosi bambini che giocavano per strada, io la ascoltavo
sognante. A me non era capitata tale fortuna.
Vivevo con mia nonna
avendo perso alla nascita entrambi i genitori: lei era una strega molto
potente, e il suo disprezzo per la società mal celava nei suoi confronti un
odio profondo. Quando, verso i dieci anni, sviluppai le mie capacità, non si
vergognò di sfruttarle al massimo a suo piacimento: mi faceva richiamare gli
spiriti anche più volte a settimana per perseguitare i suoi nemici, per
scoprire informazioni a lei utili o semplicemente per guadagnare soldi sulle
spalle di persone troppo affrante dalla morte di un parente per potersene fare
una ragione.”
Sospirò, mentre tutti gli
sguardi si erano catalizzati su di lei, e le orecchie ascoltavano voraci quell’antico racconto pregno di sentimenti, di magia,
di avventura.
La pausa durò ben poco, e
la narratrice riprese il filo del discorso con un tono più duro del precedente.
“La sua
morte fu per me una grande liberazione.
E’ brutto dire certe cose,
ma sarei ipocrita se affermassi che mi dispiacque.
Non piansi neanche una
lacrima.
A causa sua ero ridotta
all’ombra di me stessa ed ero arrivata a pregare Iddio perché se la prendesse
via da me: o lei o io, mi dicevo… o lei o io.
Da allora non usai più i
miei poteri.
L’inizio della mia vita da
donna libera coincise però con la partenza della mia migliore amica… Shee mi lasciò pochi
giorni dopo il funerale per seguire l’uomo di cui si era innamorata: tuo nonno,
Bonnie, un mascalzone che le rubò il cuore, che
gliene combinò di tutti i colori ma che mai lei smise di amare!”
Disse, fissando la mora
con un sorriso dolce. Anche la giovane Bennet
sorrise: sua nonna aveva definito il marito più volte in quello stesso modo. Rosie non mentiva, questo era certo.
“Nonostante
la lontananza, tuttavia, non cessammo mai di sentirci e di incontrarci quando
possibile.
All’epoca avevo diciotto
anni.
Desiderosa di entrare in
quella società a cui mia nonna mi aveva sempre negato
l’accesso, mi cercai un lavoro in un paese vicino. Un paio d’anni dopo, conobbi
un brav’uomo, me ne innamorai… e lo sposai.
Sapete, i cattivi sono
duri a morire… mentre i buoni…
oh, quelli il Signore ha l’abitudine di portarseli via subito. Sarà per questo che il mondo va a rotoli! Quando il nostro
unigenito Samuel aveva appena compiuto dieci anni, mio marito morì per via di
una grave malattia. Otto anni dopo lo stesso morbo minacciava di portarsi via
anche mio figlio.
Inutile dire quanto fossi
disperata.
In quel periodo girava per
questa contea un circo che riscuoteva parecchio
successo, i cui membri erano persone molto particolari. Il direttore di tale
gruppo errante fu colui che mi venne in soccorso,
trovandomi una sera a piangere vicino al suo tendone. Mi stupì dicendomi che
sapeva che grandi poteri nascondevo in me, quale gran
cuore avessi e che, se volevo, poteva salvare il mio ragazzo.
Accettai. Non m’interessava
il prezzo, volevo solo che Samuel vivesse.
Lo portai al suo
capezzale. Davanti a me si tagliò con un gesto secco il polso e diede da bere
il suo sangue al mio unigenito.”
La frase raggelò il sangue
dei presenti: Bonnie sbarrò gli occhi, Elena s’incupì,
Stefan fu come agghiacciato. Gli unici a rimanere
tranquilli parvero essere Jeremy e Damon: il primo divenne più attento,
interessato da quella svolta; il secondo, invece, pareva aspettarsi qualcosa
del genere. In fondo, in ospedale la tata gli aveva già riferito che delle
persone a lei care erano creature dannate.
Alaric guardò, preoccupato, la sua ex moglie.
Da quasi un quarto d’ora
stava seduta davanti alla finestra, non troppo vicina per
evitare di farsi notare da fuori, e scrutava con evidente scrupolosità
il cielo.
“C’è qualcosa che non va?”
Le chiese allora.
Lei non si voltò neanche a
guardarlo.
“Isobel?” La chiamò, di
nuovo.
“Mi era sembrato di
scorgere qualcosa”
“Katherine?”
“No, Katherine non vola”
“… allora cosa?”
“Mah…
forse mi sono sbagliata.” Esclamò, lasciandosi cadere nel divano e finalmente
voltandosi a guardarlo.
“Devo uscire. Parlerò coi Salvatore della situazione, poi vedremo che farne di te.
Hai fame?”
Lei assentì.
“Vedrò
di portarti del cibo. Spero
gradirai la cucina vegetariana” Ironizzò, prendendo le chiavi della vettura e
accingendosi ad uscire.
“La gradisco già da molto
tempo”
Il professore, che già era
sull’uscio aperto, si voltò a fissarla, stupito.
Inutile dire
che quella verità lo avesse spiazzato.
Tuttavia, piuttosto che rallegrarlo, la novità lo rabbuiò ancora di più.
“Tu hai troppe facce Isobel… troppe davvero”
“Troppe per cosa?” Chiese
lei, alzando le sopracciglia con evidente scherno. Ma
lui era anche fin troppo serio.
“Troppe per risultare accettabili… per me.” Sussurrò, chiudendosi la porta
alle spalle.
La donna abbassò lo
sguardo, un forte senso di colpa e nostalgia che le avvinghiavano lo stomaco.
Stupida, si disse. Stupida.
Ormai l’aveva perduto. L’unica cosa su cui ancora poteva contare era la sua
magnanimità.
Il racconto, intanto,
continuava imperterrito.
“Io
chiusi gli occhi, ben sapendo di quale pratica fosse sintomatico quel gesto: lo
straniero stava trasformando mio figlio in un vampiro.
Non risollevai le palpebre
se non dopo che sentii, con un sussulto, lo schiocco secco del collo di mio
figlio che veniva rotto dalle potenti mani
dell’acrobata.
Mentre giaceva come morto
sul letto, il circense gli incise il petto in profondità in due punti,
inserendo in ogni anfratto due pietre che aveva
estratto dalle tasche del suo giaccone: mi disse che una gli avrebbe permesso
di camminare alla luce del sole, e l’altra lo avrebbe reso libero dalla
dipendenza dal sangue umano.”
Ancora una volta, il racconto
sconvolse i presenti. Questa volta furono i due fratelli ad aprire bocca.
“Cos’ha detto?!” Chiese istintivamente Damon, interrompendo con
malagrazia la narrazione.
“Che pratica è mai questa?!” Sbottò invece Stefan, stupito.
“Non ne ho mai sentito parlare!”
“Non esistono pietre che
ci rendono immuni dal desiderio di sangue!” Esclamò ancora il maggiore,
fissando la vecchia.
“Ne sei così sicuro?”
“Certo! Se
ci fossero, tutti le vorrebbero!”
“Sei sicuro anche di
questo?” Ripeté di nuovo la donna, con un sospiro stanco. Quella seconda
domanda colpì Damon dritto al cuore.
Lui sì, lui l’avrebbe
voluta quella pietra… anzi, la sola idea che potesse
esistere lo rendeva fervente dalla voglia di andare a cercarla…
di conquistarla, di possederne una. A qualunque costo.
Stefan indubbiamente
avrebbe fatto lo stesso.
Fu la prima volta che
vide, con chiarezza, la società vampirica stroncata
in due parti: quella delle bestie affamate di sangue e violenza e quella di
coloro che… semplicemente non erano così. Non erano
animali, non erano demoni, non erano umani, ma desideravano oltremodo una vita
lucida, non assoggettata dall’istinto oscuro, libera da qualsivoglia
costrizione nefasta.
Non che non fosse a
conoscenza di tale scissione… ma fu stupefacente
scoprirsi dalla parte opposta a quella a cui aveva
sempre pensato di appartenere.
Perché, se davvero fosse
stato una bestia anche lui, non avrebbe mai ambito possedere quella pietra.
“Quelle
pietre esistono ragazzi, e vi auguro, un giorno, di venirne in possesso.
Tuttavia voglio porre una
precisazione: non è dal sangue in generale che esse liberano
il vampiro, ma dalla necessità di quello umano. Niente può cambiare la vostra
biologia, il rosso nettare vi è essenziale per
rimanere in vita. Il sangue umano non ha niente di diverso da quello animale: è
solo la maledizione a renderlo più appetitoso. La pietra agisce proprio
sull’anatema, annientandolo”
“Maledizione?” Chiese Stefan, non capendo a cosa Rosie
si riferisse.
“Perché, voi vampiri non
siete forse creature dannate?”
“… Beh, si…” Ammise, senza però capire bene se quella definizione
andasse presa come metafora o alla lettera.
“Non credo che quello che
lei dice sia corretto: i vampiri che si nutrono di
solo sangue animale sono più deboli degli altri che…
hanno un’alimentazione più varia!” Obiettò Damon.
La donna scosse il capo a
suo indirizzo. “Nutrendosi di sangue umano rafforzano la
maledizione e quindi il loro lato demoniaco. Continuano, dunque, a
dannarsi.
I vampiri non potranno mai
ritornare le creature celesti che un tempo furono, ma
una condizione simile a quella umana è comunque più accettabile della completa
dannazione”
“Quindi
sono più deboli”
“Ricordati Damon: l’uomo
non è mai inferiore alla bestia, nonostante questa sia più forte
viene sempre battuta”.
“I vampiri erano creature
celesti?!” Chiese Stefan,
allibito.
“No, i vampiri sono sempre
stati creature maledette!”
“Ma
lei ha detto…”
“I vostri antenati erano
creature celesti che, dannate, divennero vampiri.”
“Non lo sapevo…!” Ammise perfino Bonnie, stupita
dalla rivelazione.
Un brontolio seccato del
maggiore tra i Salvatore interrupe quello scambio di
battute. “Bah, poco ci importa, indietro non si può tornare!
Non perdiamoci in chiacchiere, inizio ad avere fame e qui non abbiamo ancora concluso nulla!
Mia cara medium, può continuare il suo racconto!”
“Oh, dov’ero rimasta?”
“A suo figlio crepato in
fase transitoria”
“Si,
giusto!
Un paio d’ore dopo quella
sorta di rituale, Samuel si risvegliò, più bello e vitale di com’era prima che
la malattia lo colpisse.
L’uomo che ci aiutò se ne
andò via: gli chiesi cosa volesse in cambio del suo gesto, ma mi disse
semplicemente che, se mai avesse avuto bisogno di qualcosa, sarebbe tornato a
cercarmi.
Il periodo successivo alla
trasformazione non fu dei migliori. Purtroppo la condizione di mio figlio
suscitava sospetti: un ragazzo dato per morto che da un giorno all’altro torna
a splendere bello e forte come un Dio non poteva passare insospettato. Senza
contare che, nonostante gli anni passassero, la vecchiaia sembrava non toccarlo affatto. Quasi mi pentii di essere entrata a fare parte della società, e rimpiansi gli insegnamenti di
mia nonna.
La mia preoccupazione salì
ai massimi livelli quando seppi dell’esistenza, nella contea, di organizzazioni
segrete che, venute a conoscenza della presenza di vampiri, andavano a
cacciarli.
Temetti di nuovo di
perdere mio figlio, questa volta per sempre.
Fu allora che lo straniero
si rifece vivo, ma senza il suo circo dietro.
Io allora avevo quasi
cinquant’anni, mi consideravo una vecchia. Più volte mio figlio mi aveva
proposto di bere il suo sangue per mantenermi giovane e vitale più a lungo, ma
non avevo mai accettato: avrei vissuto la vita che il Signore aveva deciso di
donarmi. Avevo già stravolto una volta il suo ordine cosmico impedendo a mio
figlio di morire e dandogli addirittura la vita eterna, non volevo oltraggiare
di nuovo la sua misericordia.
Il circense era venuto a
chiedermi indietro quel favore che gli dovevo: voleva che crescessi sua figlia,
che gli facessi da baia, che la educassi e la guidassi durante la sua infanzia
e la sua adolescenza.
Sapendo, inoltre, dei
problemi che stavamo avendo con i nostri concittadini, propose a Samuel di
entrare nel suo circo. “Ti troverai bene” gli disse “là sono tutti come te… come noi!”
Accettai, e mio figlio
pure.
Era la soluzione migliore
per entrambi.
Tuttavia, prima di siglare
il nostro accordo mi obbligò a bere il suo sangue: voleva assicurarsi che sarei
rimasta al fianco della sua bambina per quanto più tempo possibile. Ed io,
questa volta, fui costretta ad accettare il nettare dell’immortalità: gli
dovevo troppi favori, era la seconda volta che aiutava me e mio figlio.
E’ per questo che, ancor
oggi, ho l’aspetto che avevo quel lontano giorno di poco meno che vent’anni fa.”
Inizialmente si era recato
alla dimora dei Salvatore cercando – invano – i
proprietari.
Aveva addirittura passato
un po’ di tempo nel bosco circostante, cacciando qualche animale di piccola
taglia da portare alla sua ospite.
Passava il tempo e dei fratelli
vampiri nessuna traccia.
Alla fine, capendo che lì
stava solo sprecando il suo tempo, si decise ad andare a cercarli altrove.
Fu così che si recò a casa
di Elena, nella speranza di intercettare almeno uno dei due ragazzi.
Fermò la macchina davanti
al vialetto e corse a bussare alla porta.
Più volte.
Con esito assolutamente
negativo.
Ma dove erano finiti tutti?
D’improvviso, si ricordò
della festa che quella sera sarebbe stata data alla casa del sindaco, e che lui
aveva apertamente snobbato ancor prima di sapere che
il suo weekend sarebbe stato disturbato da un’ospite indesiderata.
Sospirò. Non aveva proprio
voglia di stare in mezzo a damerini impomatati e svenevoli fanciulle,
ma doveva trovare Stefan e Damon, quindi si sarebbe
recato lì.
Aveva appena iniziato a
percorrere il vialetto in senso inverso, quando una motocicletta dal motore
rombante si fermò proprio dietro la sua vettura. Si bloccò all’istante,
riconoscendo nella figura aggrappata al gran fusto che guidava quel gioiellino
la cara zia Jenna.
Fra risate divertite e un
po’ civettuole, la donna scese dall’Harley, levandosi
il casco nello stesso momento del suo biker. Inutile dire che la bellezza dello
straniero faceva a gara con quella di dei e semidei
scolpiti dalle abili mani degli antichi artisti greci.
Alaric, stupito, rimase a fissarlo per un po’, cercando di
capire se lo conoscesse anche solo di vista. Era certo, in ogni caso, che fosse
una compagnia ben gradita per Jenna. Da tanto non si incontravano
faccia a faccia, tuttavia tutte le volte che l‘aveva scorta in giro per il
paese aveva notato quanto si fosse spenta, come buttata giù, perdendo quel
frizzante brio che sempre l’aveva caratterizzata. Il sorriso che possedeva in
quel momento era certamente un dono di quell’uomo, e tale
evidenza fece sorgere in lui un inconscio moto di gelosia che glielo rese
piuttosto antipatico.
Era uscito con lei perché
ne era rimasto attratto, e conoscendola l’intuizione iniziale si era
rafforzata. Ma al tempo aveva ancora troppi problemi
da risolvere, troppi cassetti del passato ancora aperti e pregni di ricordi e
sentimenti difficili da scordare. Per rispetto e correttezza, dunque, l’aveva
lasciata andare, certo che prima o poi, altrimenti, i
pesi che portava sarebbero ricaduti anche nelle sue ignare spalle.
Ma le decisioni prese con la mente spesso sono indigeste
alle ragioni del cuore, e se ne rendeva conto solo ora che la vedeva con un
altro.
“Cinque
minuti! Ci abbiamo messo solo
cinque minuti! Ma quanto correvi?!” Esclamò la rossa,
scoppiando a ridere.
“Troppo per essere
replicabile, quindi non imitarmi mai!” Affermò lui, sorridendole.
“Oh, non me lo dire! Sei
un maschilista! Credi che le donne non possano andare così veloce solo perché… sono donne!”
Lui rise. “Io credo che
Jenna non possa andare così veloce solo perché è Jenna! Sbaglio o sei riuscita
a devastare la tua macchina senza neanche toccarla?”
“Oh, dai! E’ una vettura
vecchiotta, sarà per quello che non partiva! A proposito, domani mando il carro attrezzi per recuperarla!”
“Ma
no, non ti disturbare! I miei ragazzi sono già all’opera per rimetterla in
sesto, e ti assicuro che sono migliori di qualsiasi meccanico in zona! Te la
ritroverai davanti a casa stanotte stesso, credo!”
“Oddio, grazie mille! Quanto vi devo per il disturbo?”
“Assolutamente nulla! Ci
hai già rallegrato con la tua presenza per ben due spettacoli, che altro
possiamo chiedere di più?”
“Jenna!” La chiamò alle
spalle una voce ben nota. La donna si voltò, stupita di ritrovarsi proprio lui
davanti.
“Alaric?”
Da quanto è che non lo vedeva? Oh, si: da quando aveva deciso di mollarla
perché ancora troppo ingarbugliato con le faccende della moglie. Certo, ora che
sapeva che la sua ex era una vampira – nonché la vera
madre di Elena – le cose prendevano una sfumatura diversa…
perlomeno in teoria. In pratica, la brutta sensazione di essere stata rifiutata
dall’uomo per cui aveva sofferto una forte attrazione continuava a bruciare,
prevalendo su qualsiasi ragione.
“Ciao! Scusa il disturbo, ma cercavo Stefan.. e Damon magari. Sai se sono andati alla
festa?” Spiegò l’uomo, dirigendosi verso la sua macchina.
“Di Damon non so dirti, ma
Stefan e Elena sono andati
alla serata a casa del sindaco questa sera. E’ successo
qualcosa?”
“Oh no,
niente di grave. Goditi pure la
serata. Ciao!” Le disse, sforzandosi di dedicarle un sorriso
sereno.
“Oh, ok… grazie e altrettanto! Ciao Al!” Lo salutò lei, un attimo
prima che lui chiudesse lo sportello e partisse.
“Sta dicendo…
che un solo sorso del suo sangue l’ha resa immune al
tempo per ben vent’anni?!” Chiese Damon, interrompendo ancora una volta la
narrazione senza il minimo tatto. Indubbiamente quella storia l’aveva scosso
sotto diversi punti di vista, e i nervi tesi non lo aiutavano a mantenere un
atteggiamento da gentiluomo.
“Non era proprio quello
che si po’ definire un sorso…. Ma
sì, esatto. Una sola volta bevetti il suo sangue”
“E’ impossibile! Il corpo
umano smaltisce le tossine vampiri che in quarantotto ore!”
“Damon” lo bloccò Stefan “Lasciala finire. A dopo le
spiegazioni!”
“Ricordami quando ti ho dato il permesso di dirmi cosa fare” Gli sputò addosso il
fratello, guardandolo minacciosamente. E quella scenata sarebbe durata più a
lungo, se non fosse stato per una mano che, gentilmente, si poggiò sul polso
del primogenito di casa Salvatore.
Il vampiro la fissò,
sorpreso da quel contatto, guardando con occhi fermi la sua proprietaria
parlargli con occhi sinceri.
“Damon, per favore!”
Sussurrò Elena. “Lascia almeno che giunga alla fine! Tanto si tratta di domande
che interessano tutti, a dopo le spiegazioni!”
Lui rimase ancora un
attimo a fissarla, poi con un gesto liberatorio del braccio fece intendere alla
narratrice di continuare.
Stefan, tuttavia, non gli risparmiò un’occhiata che sapeva
di gelosia e fastidio: non gli piaceva quel sentimento che il fratello provava
per la sua ragazza e che quella accondiscendenza alle
sue richieste tendeva a mettere in evidenza; Elena era sua, e Damon doveva
farsene una ragione e mettersi da parte.
Se Rosie
si accorse di quelle sottigliezze, non lo diede a vedere. Quando le fu di nuovo
concessa la parola, riprese speditamente a parlare.
“Decisi
di dedicare la mia intera vita alla sua creatura. Quindi salutai mio figlio… ricordo ancora le lacrime di quel giorno. Ero
felice che tutto si fosse risolto al meglio, ma il mio Samuel mi sarebbe
comunque mancato.
Pochi giorni dopo giunsi a
Los Angeles, nella villa dove risiedeva la Famiglia Addams.
Non conobbi da subito la
moglie del mio salvatore: quando entrai nel lussuoso salone d’ingresso della
sontuosa abitazione fu lui a venirmi incontro e a
mettermi fra le mani un minuscolo batuffolo di stoffe pregiate. Fra quelle sete
e quei merletti, due occhi verdi grandi e limpidi come smeraldi mi fissavano
sorridenti: era Eva, la mia piccola Eva.
Così iniziò la mia
avventura con lei.
Del periodo che vissi lì,
tuttavia, o di ciò che più da vicino riguarda Eva, non posso parlarne. Fatti
così intimi preferirei veniste a conoscerli
direttamente dalle sue labbra.
Dal mio racconto spero
abbiate appreso che di me potete fidarvi, e di lei pure, perlomeno per le sue
origini.”
Il silenzio che succedette
a tale conclusione era carico di tensione.
Quel finale aveva lasciato
un po’ tutti con un grosso punto interrogativo in testa e l’idea che non tutta la
matassa fosse stata svolta.
“Io, onestamente, non ho
capito niente delle sue origini!” Commentò subito Jeremy, mentre gli altri
assentivano a ruota.
“Lei…
ha in pratica detto che è figlia di un vampiro!” Aggiunse Bonnie.
“Ed io le assicuro che non
possiamo procreare!” Commentò Damon, stanco di quella faccenda.
“Quando mai avrei detto
che il padre di Eva è un vampiro?!”
“Quando ha detto che è
stato lui a trasformare suo figlio!”
“Ma
il signore non è un vampiro,
ragazzi!”
Damon si passò una mano in
volto, trattenendo a stento i nervi. Le cose stupide non gli piacevano, lo seccavano… e quella discussione stava diventando particolarmente
stupida! “Il signore non è un vampiro… Eppure solo i vampiri
possono creare altri vampiri!” Sbottò, duro.
“Mi spiace dover
dissentire a tale ovvietà ma no, non è così. Sappiate solo che l’uomo che salvò
la mia famiglia, e che con un’umana generò Eva, non è una creatura demoniaca.
Non c’è niente di oscuro nel suo sangue o nei suoi poteri.”
“Ma
in Eva sì, altrimenti non le avrebbe imposto il sigillo!” Obiettò Bonnie.
“Credo che dovrebbe essere
più chiara, signora. La fiducia in lei l’abbiamo, ma è sempre Eva ad essere posta in dubbio” Assentì Elena, gentilmente,
ponendosi come mediatrice fra le sue parti. La fissò coi
suoi dolci occhi color cioccolato, seria come solo colei che teme per la salute
dei suoi cari può esserlo. “Io per prima mi chiedo se ciò che lei dice di Eva
sia la verità oggettiva o la realtà che sceglie di vedere una donna troppo
affezionata alla sua creatura per ammetterne i difetti.”
“Oh, capisco. Le voglio
bene come fosse una figlia, è vero, ma non sono mai stata una madre cieca. Con
lei non posso permettermelo, il rischio è la sua
anima.”
“Intende dire che studia
attentamente ogni suo gesto, ogni suo…”
“… anche il minimo
respiro, pur di essere sicura che la bestia non abbia preso il possesso di lei”
“Parla per assunti a noi
sconosciuti, signora Duriel!” Brontolò Damon. “Bestie,
creature celesti, pietre strane, pratiche misconosciute…
non so quanto possa essere vero ciò che ci dice, ma so che questa non è la
verità che aveva promesso di narrarci. L’incontro non era stato previsto per
ascoltare le allegre vicende della sua vita stregonesca, quanto piuttosto per
sapere del mostriciattolo isterico che tiene in grembo!”
“Se lei non vuole, io non
posso parlare. Quando si risveglierà sarete liberi di
chiederle ciò che volete.”
“Quella aprirà bocca solo
per mandarmi all’inferno!” Gridò stizzito il vampiro, così urtato dall’anziana Duriel da non riuscire neanche a stare fermo al suo posto.
Stefan lo fissò duramente, intollerante ai suoi modi
barbari. Quella era una delle giornata che avrebbe
volentieri passato a menargliene di santa ragione ogni volta che si azzardava
ad aprire bocca. “Io mi fido invece”
“Cosa?!”
Chiese il fratello, allibito.
Elena poggiò una mano sul
braccio di Stefan, come complimentandosi per la sua
scelta. Anche il silenzio degli altri sembrava indicare un tacito consenso. “Anche io mi fido. Onestamente né Eva né lei mi sono mai
sembrate pericolose. Ho iniziato a temere solo dopo che Bonnie
mi aveva informato che qualcosa di soprannaturale avvolgeva la sua protetta.”
La nera
sorrise lievemente, rassicurata da
tali parole.
“Sono
d’accordo con Elena e Stefan. Tuttavia, ho da porle ancora una
domanda: perché se, come immagino, il sigillo è stato posto per bloccare la
parte oscura di Eva, questa sera ha assunto le sembianze di un demone?” Chiese Bonnie.
“Il sigillo non aveva
l’obiettivo di bloccare tutti i suoi poteri, quanto l’incoscienza che le
provocava la bestia quando prendeva il sopravvento in lei.”
“Quindi… ha ancora tutti i poteri attivi!”
“Esatto, ma può solo
usarli con coscienza!”
“E se decidesse
coscientemente di essere malvagia?!” Chiese Jeremy.
“Non è così facile trasformarsi
in una bestia e avere la coscienza ancora attiva. Sono molto rare le creature
che ci riescono e di solito vantano poteri ben più grandi di quelli di un
semplice vampiro: la loro perfidia è assoluta, potrebbero tranquillamente
essere considerate la personificazione del male puro, e la loro aura nefasta è
percepibile con un solo tocco. In tutta la mia vita ne ho conosciuta solo una e
non si tratta di Eva.”
“Non sarà Dart Fener in persona, ma la
signorina stasera non ha dimostrato di essere un angelo!” Aggiunse Damon,
pronto a demolire la sua avversaria in ogni momento. Anche se continuava a
dormire con quel faccino serafico, lui non se la beveva: una che va a cacciare
uccellini innocenti per il paese non può avere la coscienza pulita.
“Stasera non ha ucciso
nessuno. Stasera, né mai.
D’altro canto, non è
l’unica ad avere ancora i poteri attivi. La sola differenza coi
due demoni qui presenti è che lei non è un demone, e non si nutre di sangue
umano”
“Ah no?” Sbottò stizzito
il vampiro, storcendo il naso.
“No, preferisce pizza e
cioccolatini”
“Sa, lei mi stava molto
simpatica prima di questo momento!” Precisò Damon, puntandole un dito
accusatore contro.
“Tu, invece, mi stai sempre più sulle palle” Mormorò una voce assonnata.
Immersi nel generale
stupore, gli occhi dei presenti si catalizzarono sulla figura di Eva che aveva
preso a stiracchiarsi, come cercando di liberarsi di qualcosa che non le
permetteva di svegliarsi.
“Era un incantesimo molto
blando?” Chiese Rosie alla Bennet.
Quella assentì.
“Così blando che ho
sentito tutto, sebbene fossi obbligata a stare nel mondo dei sogni” Sussurrò la Addams aprendo lentamente gli
occhi. Vedeva ancora sfocato, ma piano piano il mondo
circostante stava iniziando a prendere forma davanti a lei. “Brutta strega,
toglimi subito di dosso l’anatema che mi hai lanciato!” Mormorò con una durezza
smorzata dal torpore, rivolta ovviamente a Bonnie.
“Eva, non essere sgarbata!
Gliel’ho chiesto io, avevi sorpassato il limite!”
Lei rimase in silenzio,
corrugando la fronte e continuando la sua lotta contro l’incantesimo. “Anche tu
lo hai sorpassato…”
“Fidati della mia scelta, bambina… l’ho fatto per te!”
Lei rimase in silenzio,
probabilmente troppo arrabbiata per decidere al
momento se perdonare o meno la sua tata. Di una cosa, tuttavia, era certa. “Loro
non sapranno mia niente di me”
Improvvisamente i suoi
occhi si spalancarono, verdi e vivaci come quelli di un gatto. Era riuscita a
vincere l’anatema. Adagio si mise a sedere, scrollandosi di dosso gli ultimi
residui di torpore.
Poi, uno ad uno, fisso tutti i presenti con sguardo tutt’altro che
amichevole. “Lasciatemi in pace” Disse infine, più un
avvertimento che una richiesta.
Si alzò, avvicinandosi con
sicurezza a Damon e levandogli di dosso, con la velocità tipica delle creature
soprannaturali, il diario da sotto la giacca.
Inavvertitamente, mentre
allontanava la mano dal suo dorso, gli sfiorò la pelle del braccio, che lui
aveva portato automaticamente al petto come a proteggersi.
Come una scossa di energia
gli attraversò il corpo, un fulmine a ciel sereno dalle sembianze anche fin
troppo note, ma che da tempo non provava.
“Questo è mio, vampiro” Gli soffiò lei in faccia,
irritata.
Poi, senza degnare nessuno
di uno sguardo, nemmeno la sua cara Rosie, se ne andò
via dal cimitero.
Damon rimase lì,
imbambolato, mentre il caldo sapore delle labbra di Katherine gli ritornava
prepotentemente alla mente.
Poco dopo, il gruppo si
sciolse. Damon, Bonnie, Elena e Stefan
si diressero insieme alla festa alla casa del sindaco, mentre Jeremy tornava
nella sua dimora e la signora Duriel andava alla
ricerca della sua protetta: non sapeva se sarebbe riuscita a trovarla, né se
fosse il caso di andarla a cercare… ma voleva
tentare, almeno per spiegarle le sue ragioni e dissipare quel senso di colpa
che, seppur coscientemente insensato, continuava con
prepotenza a divorarle il cuore.
“Sono tuoi
figli?”
“Chi?!”
“I ragazzi citati da …”
“Oh no! No assolutamente!
In verità sono ben più grandi di quello che sembrano…
ed io non sono così vecchia!”
“Mi scuso, sono stato
indiscreto, e tra l’altro non era mia intenzione darti della…”
“A dire il vero due
ragazzi abitano con me, ma sono miei nipoti. Elena e Jeremy.”
“Spero di conoscerli,
allora.” Disse l’uomo, sorridendole.
“Beh…
se non sparirai subito col tuo circo a seguito, può anche essere!”
“Credo mi fermerò per un po’ qua, è un posto piacevole. Ora vado, mi
attende l’ultimo spettacolo della serata!”
“Herm,
aspetta un attimo!”
“Dimmi pure, non scappo!”
Sorrise lui, in quel modo celestiale che le faceva venire il latte alle
ginocchia.
“Vorrei ringraziarti per
la tua gentilezza. Sarebbe troppo invitarti ad una
cena a casa mia domani sera? Niente di troppo impegnativo…
o intimo, non preoccuparti! Ci saranno anche i miei nipoti!”
“Ne sarei onorato, madama… ma proprio domani sera non ce la faccio, ho
spettacoli perfino sul tardi!”
Un’espressione triste si appropriò
del di lei viso. “E’ un modo gentile per darmi buca e
farmi capire che non hai intenzione di rivedermi?”
Lui la fissò, scoppiando a
ridere per quell’incredibile mancanza di peli sulla lingua. “No, era un modo
gentile per convincerti ad invitarmi fra qualche
giorno... magari, sabato prossimo?”
Jenna quasi si mise a
saltare per la soddisfazione. “Ma è perfetto!”
“Ne sono felice!” Disse
lui, portandosi una sua mano alle labbra e baciandola con eleganza. “Perdoni le galanterie d’altri tempi –
aggiunse poi, mentre la lasciava andare - ma sa com’è, a noi circensi piace lo
spettacolo!”
“Me ne sono accorta!” E pure a lei piaceva, molto….
“A presto, allora!”
“A presto!”
Poco dopo, la moto
sfrecciò veloce far le ombre del tramonto, lasciando alla bella rossa
nient’altro che un sorriso estasiato.
“Chi era il lumacone?!”
Jenna, ancora con gli
occhi brillanti per l’entusiasmo, si voltò, saltando quasi addosso
il nipote.
“Oh, lui è l’uomo dei miei
sogni!”
Quello scoppiò a ridere,
senza riuscire però a nascondere un certo sguardo preoccupato. “E credi che lo
rimarrà a lungo prima che tu lo faccia fuggire a gambe
levate?”
“Nipotastro
del malaugurio! Che mi dici mai! Herm non è un fuggitivo!”
“Nessuno dei tuoi uomini
lo è mai stato…”
“Mmmm…
Dove vuoi arrivare?”
“…Fino
a quando non hanno capito che eri una terrorista!”
“Basta, stanotte rimani
senza cena!”
Lui rise ancora di più,
dirigendosi verso la casa in compagnia dell’effervescente trentenne. “Quindi, ho sentito male o l’hai davvero invitato a cena sabato
prossimo?”
“Da quando hai un udito
così fine?!”
“Allora è vero!”
“Certo, e non autorizzarti
a mancare!”
“Ovviamente no! Non sia
mai che me lo ritrovi zio senza rendermene conto!”
“Ma
quanto siamo loquaci oggi! A proposito… dov’eri?” Disse, aprendo la
porta di casa.
“Con gli altri” Replicò,
impercettibilmente più freddo. La domanda lo aveva colto di sorpresa, ma doveva
stare attento a non fare venire sospetti alla zia: l’affare Eva non era niente
di preoccupante, ma un solo accenno a quanto accadeva nella villa dirimpetto
alla loro avrebbe potuto mandare in fumo il benessere appena ritrovato della
giovane parente. Dopo tutto quello che aveva passato e
aveva fatto per loro, una ricaduta non se la meritava proprio.
Sapeva bene che mentire
non era mai la cosa giusta da fare… era di menzogna,
infatti, che aveva accusato Elena quando, in passato, non gli aveva riferito
quanto stesse accadendogli intorno. Ora, invece, per la prima volta si sentì di
riconoscere la giustezza delle sue azioni: alle volte, una piccola bugia può
salvare da sofferenze non necessarie.
“Intendi Elena, Stefan…”
“Si,
ci siamo fatti quattro chiacchiere insieme prima che loro andassero dal
sindaco!” Spiegò il ragazzo, levandosi il giubbotto e gettandolo con malagrazia
sul divano, al cui fianco sprofondò pure lui un attimo dopo.
“Sta succedendo qualcosa?”
“No, perché?” Replicò,
facendo spallucce.
Lei rimase un attimo a
pensare, fino a lasciar perdere il tutto con
noncuranza. “E’ passato anche Al poco fa, cercava i ragazzi”
“Il professore cercava Stefan e Damon?”
“Esatto. Sai perché?”
“Assolutamente no! Cosa
c’è per cena?”
“Che ne dici di una
pizza?”
“Non ti dovresti mettere a
dieta ora che hai un ragazzo attorno?” Domandò con estrema nonchalance il
nipote, scoppiando poi a ridere davanti all’espressione indignata della zia.
“No! Tu, invece, mi sa
proprio che hai deciso di rimanere a digiuno per molto, molto tempo!”
Si guardò intorno,
lanciando affabili sorrisi un po’ in tutte le direzioni.
Non c’è che dire, quando
si trattava di fingere, lui era il numero uno. Per quello alle feste d’alto
borgo, in giacca e cravatta, poteva perfino apparire come un affabile
gentiluomo.
Afferrò una
flute di champagne, la terza da quando era arrivato – neanche mezz’ora – e si
mise a girovagare in cerca di qualche chiacchierata superficiale e distensiva.
La bottiglia di vodka che
per caso aveva trovato prima in balcone e che si era scolato senza ritegno nel
giro di qualche minuto iniziava a fare il suo effetto, ma non gli interessava
di fare brutte figure o, peggio, danni. Non aveva più voglia di pensare alle
delusioni di quella serata, alle speranze andate in fumo e ai nervi decisamente incandescenti che ancora tentava di calmare.
Eva: un nome, un tormento.
Possibilmente da eliminare. Almeno dalla sua mente, almeno per quella sera… visto che misure più
drastiche non le avrebbe potute attuare senza scatenare le ire del cane da
guardia più rabbioso di tutta Mystic Falls, la sua terribile stregaccia Bennet!
A proposito di lei… era da un po’ che non la vedeva. Chissà dov’era
finita.
Girovagò fra una stanza e
l’altra, capendo poi che si doveva essere certamente rifugiata in giardino, giacché
in casa non c’era.
La trovò, infatti, comodamente
seduta su una panchina davanti all’immenso prato, ben lontana dalla folla e in
compagnia della sola luce lunare.
Senza dire una parola si sedette al suo fianco, finendo di scolarsi il suo drink
preferito.
“Da quando in qua cerchi
la mia compagnia?” Domandò quella, corrugando la fronte.
“Da
quando faccio quello che mi pare. Ma di solito non stai in silenzio? Come
mai stai cambiando abitudine?” Replicò con estremo garbo, deliziato dallo
champagne appena ingurgitato.
“E’ un modo vagamente
garbato per dirmi perché non sto zitta?!”
“Wow, che cervellino
laborioso!”
“Sei
ubriaco?!”
“Non ancora…
dopo spero di sì. Tu no?”
“No!”
“Dovresti. Hai avuto tante
rivelazioni scottanti questa sera”
Lei sospirò, e Damon capì
che era proprio per quello che si era rifugiata
laggiù, tutta sola: le parole pronunciate dalla vecchia Duriel
avevano riportato alla luce antichi enigmi e dolorosi ricordi.
“Sai, era da tanto che mi
chiedevo perché Emily avesse scelto di seguire Katherine. L’ho capito solo ora:
era così arrabbiata per ciò che i suoi stessi simili avevano fatto alla sua
famiglia da allearsi col peggior nemico dell’umanità per vendicarsi delle
perdite subite, mettendo a disposizione della sua padrona quelle magie che i
compaesani tanto avevano disprezzato”
“Già, credo sia proprio
così. Siete molto… familisti, voi Bennet”
“Cosa?!”
“Ci tenete alla famiglia!”
“Non tutti siamo come te e
Stefan. Anzi, come te e basta!”
“Oh, touché! Non esiste nessuno come me! Propongo un brindisi! A quanto sono magnifico!” Esclamò, alzando in aria il calice vuoto.
Bonnie lo fissò schifata. “Fatti un favore, girami alla
larga quando sei ubriaco, o te le faccio scontare tutte!”
“Anche io
ne ho qualcuna da farti scontare da ieri sera!” Borbottò, lasciando cadere il
calice sull’erba e fiondandosi sulle sue labbra prima che lei avesse il tempo
di scostarsi.
Bonnie si ritrovò a seguire i movimenti morbidi e sinuosi
della sua bocca quasi senza rendersene conto, mentre il disprezzo per lui veniva sconfitto da un’attrazione che neanche sapeva di
provare.
Quel ragazzo era sbagliato;
qualsiasi cosa facesse si trasformava in un danno, e creare problemi era l’arte
in cui era più pratico.
Eppure, la dolcezza delle
sue labbra e le leggere carezze delle sue mani sapevano fare sembrare tutto
giusto.
Fu solo l’acre sapore
dell’acool a costringerla, qualche minuto dopo, ad
allontanarsi e a non farlo più riavvicinare.
“Ma quanto hai bevuto?!”
“Più di quanto tu potresti
reggere senza crepare”
“Perché?!
Che bisogno avevi?!”
“Dovresti ringraziarmi,
l’ho fatto per te. Altrimenti, come trovavo il coraggio di baciarti di nuovo?”
“Bah, la smetto di
ascoltarti, da ubriaco sei più seccante che da sobrio.
E’ ovvio che qualcosa ti ha scosso, altrimenti non
saresti in questo stato. Affari tuoi, se non ne vuoi parlarne!”
Mormorò stizzita la ragazza, alzandosi e facendo per andarsene.
Fu la sua confessione a
bloccarla, per qualche attimo, dal suo intento.
“E’ Katherine. C’è
qualcosa nella Addams che me
la ricorda brutalmente”
“C’è
ovunque qualcosa che te la ricorda.
Sei ossessionato da lei! Quella donna ti porterà alla morte!”
Disse con rabbia, prima di sparire dentro la villa.
“L’ha già fatto” sussurrò
Damon, mezzo sdraiato sulla panchina. “L’ha già fatto”.
Fissò la luna, il cui
colorito perlaceo gli riportò alla mente la serica pelle della sua antica
amante.
I suoi sospiri, i suoi
baci ardenti, i suoi morsi dolorosi.
Alcool. Quella sera aveva
bisogno di molto, molto alcool.
RINGRAZIAMENTI
Grazie ancora a tutti coloro che seguono la mia storia…
e ancora di più a quei pochi che recensiscono!!!
Grazie grazie grazie!!
Fatemi sapere cosa pensate del
progredire del racconto!
Alla prossima puntata!
Kishal