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Autore: Guardian1    15/10/2010    0 recensioni
[Completa, riveduta e corretta.]
Sono passati tredici anni dagli eventi di Final Fantasy IX, ed ecco che la vita di Eiko Carol viene stravolta di nuovo da un nemico creduto morto da tempo. Che cosa può fare una ragazza sola per cambiare le cose?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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capitolo tredici
la differenza di esistere



Where I walk out
to meet you on the
cloth of burning
fields

the goldfinches
leap up about my
feet like angry
dandelions

quiver like a
heartbeat in the
air and are
no more


Quando esco
ti incontro sul
manto degli ardenti
campi

i cardellini
mi saltellano
ai piedi come
furiosi soffioni

palpitano come un
battito di cuore in
aria e poi non
ci sono più


- yvor winters



Venne chiamata “l’ora della farsa;” niente di più sbagliato, perché è durata circa un’ora, venti minuti e cinquanta secondi, stando ai calcoli di Gaya.

In parte.

L’unica parte di cui importi qualcosa a qualcuno, alla fine, il rovesciamento del mondo, il grande Nero – e la maggior parte del tempo lo sperperammo in volo, attraversando una notte densa, buia e torrida come catrame sulla scia ardente della mia evocazione, racchiusi in un ventre che si era formato da sé. Trivia era apparso come un’arma e stava facendo ribollire i mari vicini alla piattaforma continentale, e nonostante avessi una certa, vaga consapevolezza che Lui avrebbe distrutto qualcosa se fossimo stati lenti, non avrebbe potuto fregarmene di meno. Mi dichiaro colpevole in virtù della follia e mi rimetto al giudizio di Trivia. La follia era impetuosa, e feroce, e liberatoria, e per me non c’erano più lacrime. Avevo passato gli ultimi mesi a piangere, copiosamente, e ora mi sentivo un po’ la versione redux e sfrenata di Eiko Carol Anni Sei.

Ci tenevamo per mano, strillando e schiamazzando di gioia come rondini tornate dopo l’inverno, lui un urlo lungo che perforava la notte e io grida di battaglia. Le nostre voci erano incrinate, sgradevoli, stupide, eravamo ebbri di magia, maga-bianca mago-nero nel brodo primordiale della Morte. I nostri figli erano morti. Volavamo.

« Vivi! » gridai al corvo nero immerso nel buio di morte, « Vivi- »

« Cosa c’è, linden-bloom, angelo d’amore, sposa bianca? Io voglio mangiare il cuore di Trivia. »

« Io voglio la sua lingua. »

« Io voglio i suoi occhi. »

« Io voglio la sua carne. »

« Eiko, di c-carne ce ne sarà parecchia. Metterai su la ciccia- »

« Spaventapasseri, guarda che sono più scheletrica di te! »

Volavamo sul getto delle nostre Trance e lui rotolò lentamente in aria. Io ero di schiena e lui sul davanti, le braccia e le gambe distese e allungate come stelle marine per poterci toccare le dita, e da quella posizione potevo leggere la pazzia del suo viso. Eravamo l’uno il riflesso dell’altro, persi, Tango Nero e Tango Bianco, insensibili e aggrovigliati nei rispettivi fili da marionetta. Io provavo per lui un qualcosa di simile all’amore. Io lo adoravo, lo veneravo, lo detestavo con ogni fibra del mio essere, io lo volevo, e ci avvinghiammo come serpenti e gli passai le dita tra i lunghi capelli rossi alla Kuja.

« A volte è come se fossi due ombre » mi mormorò, la bocca che sembrava il tatuaggio di un’esplosione di cicatrici, illuminata solo dall’alone di luce delle nostre Trance. Stillavamo magia che si diramava dal nostro volo in nubi affusolate di stelle arcobaleno, mentre il mio prepotente corno di perla lungo quanto quello di un unicorno minacciava di arpionargli il cappello. « Orunitia e Tango, Vivinero, che si fondono fra loro, che si toccano quando tu tocchi me, il morto e il vivo. Crisantemo, io sono un fantasma. »

È peggio di un fantasma. –

– Madein, levati dalle palle.


« Certo che di stronzate ne dici » replicai, folle di gioia, e gli allacciai le gambe attorno ai fianchi, nei metri di cuoio della sua giacca e sotto le ali che si inclinarono appena all’aggiunta del mio peso. Mi appesi a lui, i fianchi rilassati, allungando le mani per poter sfiorare le nuvole con la punta delle dita e per poter scaldare i muscoli in attesa del combattimento imminente. Mi sentivo come fatta di scintille. « Vorrei che lui potesse vederci- »

« Chi? »

« Gidan, Gidan, chi se no- »

« Gli spaccherei comunque la testa e gli mangerei le cervella mentre ancora si contorcono » cantò lui al cielo, « Le cervella, le meningi, il cranio coi linfonodi – Carol, mia perfida eroina di turno, lo pregheresti di sposarti? Credi che lascerebbe Garnet per te? Ti strapperebbe i vestiti di dosso? »

« Che stronzo geloso che sei, sarebbe – sarebbe – ma poi ci sarebbe adulterio? Perché devo andare da lui? Tu ce l’hai già la coda! »

La Morte era ormai vicina. Un qualche mio organo ancora la chiamava, la possedeva, era il padrone malfermo dell’entità indomata, lo sciocco mittente pronto all’evocazione totale. Di tanto in tanto mi rannicchiavo e mi contorcevo nell’abbraccio di Tango, le ossa e la carne gelatinosa attraversate da una specie di scarica elettrica, un’epilessia spirituale azionata dal tacito latrato di derisione e trionfo di Trivia. Era stato il mio ricordo a evocarlo, lo stesso che ora mi stava sgretolando; ero già a pezzi. Sotto la spina dorsale sentivo flebilmente le mani dei miei Eidolon, che mossi da irrefrenabile amore mi spingevano avanti come se stessero portando in spalla una bara, mi spingevano verso la Morte, mi spingevano come mi spingeva lui. Il ricordo vivrà con me fino alla morte.

« Voglio che veda quello che facciamo » strillai all’improvviso, il vento che mi sferzava i capelli verdi. « Voglio che tutti vedano quello che facciamo, voglio che tutti – oh, santi numi, Vivi, se ce la facciamo possiamo tornare a casa insieme, posso presentarti a papà- »

Ciao, papà. Questo è mio marito. Ha la sua reggia e tutte le credenziali.

« -posso presentarti Elia, e tutti quanti, e puoi toglierti la roba nera, Garnie, Freija, Steiner, Beatrix, mamma, Quina, città e villaggi e colazione alla mattina, magia per nutrire gli affamati, magia per curare i morenti, possiamo fare qualcosa del resto dei nostri giorni – andrà tutto bene come prima – Vivi, tornerà mai tutto come prima? »

« Certo nero non se ne va mai via, linden-bloom. L’unico nero che se n’è venuto via da me è finito su di te. » E ci fu silenzio.

E poi ci fu

Io esisto

Le mie dita iniziarono a sudare nelle spalle del suo soprabito e le mie ali rabbrividirono al buio; rasentavamo il mare, rasentavamo il risveglio di qualcosa che mangiava la luna. Le mie interiora stridettero, avrei potuto pisciare in segno di sfida; mi aggrappai al mio mago nero come in un gesto molto più intimo e lui sibilò. Il mio cuore taceva; la pelle mi stava sgusciando di dosso, e le tenebre minacciavano di ingoiarmi tutta intera. Quando avevo avuto sei anni e lo sguardo tremolante di Trivia si era posato su di me avevo avuto paura; ora di anni ne avevo venti e la paura, la sofferenza e la lucidità erano storia vecchia. Stringevo la bacchetta tra i denti come una specie di pirata, e sputavo incantesimi: rigene, shell, reflex, doppio-reflex, levita levita levita come una piuma sul mare. t(x+v)=m, .9999999-

esclusivamente ad un unico scopo

Io esisto solo per uccidere. (Salta nel tempo, Rain, sta arrivando.)

slegato dalla dimensione finale

Io esisto solo per vivere. (Ho vissuto fin qui.)

sono divenuto il mondo zero.

Io esisto solo per creare. (Nella mia pancia c’è qualcos’altro oltre al dolore.)

Mi avete sfidato già una volta; siete degli illusi. Voi temete la morte

Io esisto solo per distruggere. (Ho rotto abbastanza cose da saperlo.)

e la vita, in un sol respiro, e vorreste chiedermi

Io esisto, non basta?

di dipanare le funi. Ogni cosa vive per perire.

È incontrovertibile, è irrimediabile, è ineluttabile e

sebbene io abbia protratto la mia esistenza confinato alle frange del tempo, sono

tornato. Io sono l’Oscurità Eterna.

Sciamana, ti ringrazio della tua avidità.

Ora posso portare a termine ciò che tu hai principiato.


« Tu conosci il mio desiderio » disse Tango, distanziandosi da me. Danzammo a mezz’aria come due granelli di polvere, il soprabito che gli si schiudeva attorno per il calore della sua voce. Eravamo illuminati e accecati dalla Sua rete a incastro, dalla macchina di morte, dal motore che si trovava al cuore dell’universo. Non c’era più Gaya; il mondo vacillava e brillava come un’onda di calore, e l’unica cosa visibile era l’oceano, tanto che sembrava che avesse sommerso di nuovo la terra. E in quell’attimo le onde si fermarono: divennero fredde, grigie e rocciose, aspre e implacabili, oltre un chilometro sotto di noi. « Tu conosci la mia richiesta. Tu conosci la mia offerta, tu conosci la mia penitenza. Tu sai chi sono, Nulla. »

Sì.

« Concedimelo subito, Nulla! »

Vuoi riavere i tuoi figli.

È un desiderio molto mortale da parte tua, Vivi.


« RIDACCI I NOSTRI FIGLI, GROSSO STRONZO BLU! » (Odio i discorsi verbosi.)

Il sangue di Kuja e le ossa di Kuja. La tua esistenza

comprova la mia teoria sulla natura dei viventi,

come la tua copia ha fatto prima di te.

Voi scegliete la distruzione. Avete sempre

scelto la distruzione, non avete mai dato

niente.


« Chi sei tu per giudicare? » lo schernì Vivi, mentre venivamo di colpo frustati da un vento crescente, come due passerotti pazzi e appena nati che stentano a non farsi trascinare dalle correnti. Gidan aveva avuto sedici anni quando aveva affrontato Trivia – era stato tanto giovane? La sua mente era stata tanto giovane? Le sue mani erano antiche, senza limiti – e io e Tango eravamo bambini soli. Eravamo le metà contro l’intero. Tanto Bianco, Tango Nero. « Chi ti dà il diritto di essere così ipocrita? Tu sei la matrice che affoga il mondo per purificarlo! Tu sei la morte, tu sei la vita, e non comprendi la natura né della prima né della seconda! Sarà mia, la vita sarà mia, la morte sarà mia, ti vincerò come ho già fatto una volta. »

Tu non hai mai dato niente, né la morte né la

vita. Tu non hai sconfitto niente, né la vita né la

morte. Ti tieni stretto ad una parodia e sei

tu stesso una parodia; tutta la tua vita non è che

una copia, magnifichi il tuo ruolo lavorando

riproducendoti e morendo. Mi hai ceduto tu stesso

ogni persona, e ogni persona è ogni cosa,

tutto per la perversione di un ricordo sotto

forma di bambole difettose.

Ma sarò clemente, poiché la sciamana mi ha offerto

questa manna;

Ti farò ricongiungere a loro.




(Il corpo retrocede dall’attacco alla Morte. L’anima chiede perdono.)

Il trucco, aveva detto Gidan, tanti anni prima, è continuare a muoversi, muovetevi, muovetevi, forza! Andate, bambini. Abbiamo fatto fuori Adegheiz. Abbiamo fatto fuori Tiamath. Abbiamo fatto fuori Shinryu. Abbiamo fatto fuori – lui – io – continuate a muovervi, andate. E Eiko e Vivi si erano mossi; ancora fumanti dal Flare della stella strangolata di Kuja, continuavano a spostarsi, il viso della bambina solcato dal sudore mentre il calore di migliaia di incantesimi rimbalzavano sul suo Reflex. Vivi rifulgeva e abbagliava come una stella, tanto che quasi le faceva paura – quasi, perché troppo inaridita dalle troppe battaglie, troppo abituata allo shock che ne conseguiva – mentre tutti gli altri avevano paura di lui, lui viveva sulla paura, andava ad abbeverarsi alla sponda del fiume con mani bianche e pensava a come ci si sentiva a essere usati come un’arma. Pensò a Steiner, e alle spade, e alla paura, e a quanta paura avrebbe avuto Steiner se la magia avesse superato la spada e si fosse intrufolata nelle viscere viscide del suo corpo nerboruto, e si spruzzò l’acqua in faccia. Eiko! Vivi! Ora!

(Ora assomiglia un po’ al mio Flauto d’Angelo, il mio bastoncino di – l’ho preso davvero da un cassettone? Sembrano passati migliaia di anni – le sue viti mi si sono avviluppate al polso, non la potrei far cadere nemmeno volendo, fior di cachi, di rosa, di tulipano, di pera. Ci muoviamo come piume al vento di poppa, scivoliamo in archi di sapone, Meteo uno-tre-cinque. Stavolta è più difficile. La coreografia dei Reflex non funziona mai esattamente come dovrebbe. Tango ha abbastanza potere da distruggere il cielo, ma limitarlo per distruggere una cosa più piccola ne diluisce la forza. Avrebbe dovuto bruciare il mondo, tendere le braccia e)

Erano gli unici che tutti proteggevano col proprio corpo. Freija scattava, col forcone alzato, per incassare una frustata tremenda sul davanti; Amarant si lasciava lavare la schiena con l’acido sbraitando imprecazioni con ingrato dolore. Quina ondeggiava in prima linea a ricevere colpi sulla sua grossa massa. Gidan era sempre lì, a spostarli, a rotolare e a schivare, ad atterrare da grandi altezze; e così Garnet, che riusciva a stento a reggere le batoste indirizzate a lei, e Steiner, che sembrava un’orchestra di latta sotto assedio. Salvate i bambini. Salvateli perché abbiano qualcosa di meglio, non che ci sia, questo qualcosa di meglio, ma perché di qui non si torna più indietro. Erano sì e no dei bambini: Eiko dal volto di pietra, Vivi dalle mani di fuoco, rumorosi, e forti, e arrabbiati, e ricoperti delle vesciche delle battaglie. Eiko ripensò al Muro dell’Invocazione, alla promessa morente di una nazione fatta a due semi, ricordò Madein che in parte era una sua creazione e in parte era qualcos’altro che aveva oltrepassato il tempo ed era tornata a mani vuote.

(friggerlo. Grazie a tutti gli Dei, gli Eidolon non hanno più bisogno di persuasioni. Fenril azzanna, ulula, potrebbe staccarmi una mano ma assale il Consumatore di Ogni Cosa; sempre intorno, intorno, intorno, ci tocchiamo le mani per rassicurarci furiosamente a vicenda, gli poggio le mie sulla schiena mentre ci uniamo fondiamo curiamo. I mari sono mulinelli tangibili di glassa scura, torbidi, velati di nebbia, densi di sale; l’aria è pressoché veleno lungo la scia della Crocifissione di Trivia. È un processo lento, laborioso, per due lucciole come noi. Siamo le donne al pozzo che lo prosciugano con un ditale, gli uomini al deserto che spalano la sabbia, la regina al telaio che disfa l’arazzo e ricomincia da)

Non avevano mai chiesto di essere lì. Non avevano mai chiesto di nascere. Senza madre; senza padre; ciascuno con un solo nonno, la ferita decadente della saggezza di un popolo, esuli morenti che avevano inviato i propri pargoli nel mondo con un sospiro e una preghiera. Erano nati l’una il parallelo dell’altro, l’uno il negativo dell’altra – Eiko aveva messo tutto per iscritto quando aveva sedici anni e rimuginava su questo genere di cose nelle lacrime mentali della tumultuosa adolescenza, pur avendo abbandonato le sue debolezze alle porte del castello e passando il tempo ad avviare i motori delle aeronavi. La sua penna si era mossa nello stesso istante di quella di Vivi, che usava una piuma che si era strappato dalle ali in rovina e riportava innumerevoli calcoli sulla matematica della vita. Lei aveva trovato dei genitori; lui aveva trovato dei figli; non erano più i mocciosi di un tempo che frugavano nella spazzatura e prendevano affetto ovunque lo trovassero, arrampicandosi sulle ginocchia di Amarant e dormendoci fino all’alba quando era troppo stanco per scacciarli con le sue mani enormi e pesanti. Erano diventati ingegneri. Erano diventati maghi. Evocavano tutti e due, ciascuno a modo suo: lei richiamava i suoi spiriti dall’etere, e lui i suoi dalla chimica della Nebbia e dalle proprie mani capaci di creare bambole. I maghi neri non erano mai stati figli suoi. Gli Eidolon non erano mai stati i suoi genitori.

(capo; il suo Firaga mi sfrigola una ciocca di capelli e la riduce a un nulla putrido, e Vivi si è rotto il polso a causa del mero scatto della velocità dell’aria rimpallata da una raffica dell’Apocalisse di Trivia dal pessimo tempismo. Me ne accorgo perché se lo tiene accanto al fianco, un po’ penzolante, storto e difficile da muovere. La magia oscura mi mette sempre un sapore di vomito in bocca. Cercare di sistemargli le ossa in una posizione che mi permetta di sanargliele è tutta un’altra storia; siamo piegati e lui ringhia, mentre tentiamo di allontanarci contemporaneamente per evitare un attacco, accecati dal blu, le piume rosse che mi sferzano le guance lacere mentre gli raddrizzo il polso. Abbandonare il mondo all’annichilamento totale con un solo Flare che inglobi la superficie non è più una delle alternative, ma l’unica strada possibile; lui succhia magia dal Nulla Finale come un neonato da un capezzolo, con una cupidigia dettata dalla disperazione.

« Maiden » piagnucolo, « Mogu, Dio, aiutateci » e i mari vengono agitati dal Meteosisma.

« Ho fatto male i miei calcoli » mi ruggisce Tango nel collo, il polso che scotta quasi al punto di fondersi tra le mie mani.

« Shhh, spaventapasseri » sussurro, mentre veniamo sballottati da venti glaciali. Adesso è calato il buio delle tempeste cosparso di fuochi fatui, ardenti e luminosi quanto le luci abbacinanti che impiantano a Toleno. « Shhh. Andrà tutto bene, un altro po’, assimila un altro po’ e affetteremo la zucca dalle ossa. »

« Ho fatto male i miei calcoli e ti ho stuprato come un pazzo » dice, e)

Il piccolo granello incandescente che risuona da qualche parte nella testa di Tango Nero, e che rappresenta lui quando era più piccolo, si interroga sui figli, e sui numeri che forse nessuno credeva si sarebbero mai aggiunti, e sulla disfatta dei Maghi Neri, il cui peccato originale era stato allontanarsi dalla simbiosi con i Bianchi. Tutto il mondo li aveva temuti, sempre; la magia nera è la più esplosiva e letale di tutte. Erano stati gli umani a tingerla per la prima volta di rosso, gli uomini. Le donne erano sempre state bianche, una stirpe dai capelli rossi che era scappata nuda dalle foreste del brodo primordiale dell’inizio della vita, che aveva aperto le mani e aveva Curato. Vivevano insieme nei loro piccoli villaggi, lontani dalla gretta quotidianità dell’umanità, una razza a sé, i mistici dal sangue puro e i maghi tinti di nero, e venivano odiati ma non li si poteva toccare. Perché i maghi erano coperti di nero? Per modestia? Perché i guaritori vestivano di bianco? Umiltà? Come si riproducevano? Come facevano? La parte più adulta di Tango Nero aveva risposto scopavano, alla fine sempre di scopare si tratta, eppure lui aveva creato i suoi bambini dall’argilla come il Dio Senza Nome e gli si erano sbriciolati davanti dopo essersi raffreddati dal forno. Lui è fatto di carne e nebbia; loro erano solo nebbia; lui è il simbionte, la chiave mancante, Eiko Carol è l’usurpatrice, il bullo, colei che lui ha abbandonato e la serratura. Forse questa cosa l’ha capita male. Non se ne stupirebbe. Lui è sempre stato imperfetto. Lui esiste solo per, lui Esiste solo per, lui esiste Per e Solo e c’è tanto altro ancora.

(mi morde la spalla fino a farmi uscire il sangue, che penetra nel cappotto doppio di Rain; il Rigene a momenti gli cuce quegli stramaledetti denti nella mia pelle, con io che guaisco senza opporre resistenza. « Ho fatto male i miei calcoli e verremo entrambi mangiati come pallidi acini di uva, il mondo come un’arancia, la luna come una mela. Tera come – T-Tera come- »

« E se pure morissimo? Moriremo insieme, noi moriamo sempre insieme – volevo morire quando tu sei morto, prima, volevo sparire e farmi mangiare e cadere in un motore e sprofondare come la mia collana, con tutte quelle perle e poco filo – non lasciarmi, Tango, vaffanculo e non osare. Tera è morta, e se dobbiamo morire, moriremo! »

Le grida dei morti eternamente torturati di Trivia hanno perforato l’oscurità; ci siamo tuffati giù e abbiamo scansato per un soffio la sua mano destra scesa per schiacciarci nella sua grinfia, virando come uccellini verso il basso sul ciglio del mare grigio. Il mio Levita ci porta alla deriva, ci fa piombare nel dolore con la frusta dell’acqua che ci raschia le ferite come una pietra.

« Tera è morta, piccola Carol » ribatte, premendosi caldo alle mie ossa. « Tera è morta e così i miei bambini, Fermati, inerti, un punto di libertà e nulla nei loro nomi. Il primo l’ho chiamato Bibi, tanti e tanti anni fa. I miei figli non ci sono più. Me l’ha detto lei. I miei figli non ci sono più. »

« Non vuoi riabbracciarli? Non pensi che io voglia riabbracciarli? »

Ci sono centinaia di pesci morti che affiorano sulla superficie dell’oceano mosso, balene morte, delfini morti, animali marini morti – Leviathan stava probabilmente urlando nella testa di Garnet – morte ovunque, morte irrefrenabile, la nostra morte. Gli occhi di Tango luccicano, oroviolarossi, orribili, distanti come un sole lontano; e poi lui scoppia a ridere. « Ti ho stuprato come un pazzo, dolceprato, sul momento sembrava una buona idea, e adesso stai morendo- »)

Io esisto solo per uccidere non si contrappone a Io esisto solo per vivere. Si contrappone a Io esisto solo per creare. Vivi ha fallito come creatore, si è ritenuto mediocre, si è ritenuto indegno. Io esisto solo per uccidere. Far scoppiare il mondo sarebbe riposante, rilassante. Sarebbe come riavvolgere lentamente le coperte prima di strisciare in un letto soffice alla fine di una giornata interminabile, togliendosi il cappello e riponendolo sul comodino, prendendo la candela e spegnendola tra pollice e indice. Spianerebbe la trapunta, e appoggerebbe la testa sui cuscini, e guarderebbe il soffitto, circondato dalla notte e dal suo sommesso respiro irregolare, dal ritrovo ronzante delle cicale fuori dalla finestra e dalle luci tremolanti dei lampioni. La morte è l’unica cosa che abbia mai voluto, che abbia mai desiderato, al di sopra e al di là del richiamo delle sfornate e sfornate di alberelli sciupati che ha allevato come la muffa nelle cantine – morte, morte, solo morte-

Io esisto solo per morire.

(Un altro colpo. Il calore scalpita sulla nostra pelle, ci fonde le ciglia, ci brucia fino a farci diventare neri come i menestrelli travestiti da maghi di una qualche commedia recitata nei villaggi. Lui mi si affloscia tra le braccia; la tensione di entrambi si è esaurita, condannata a morte e al cappio, si ritrae da noi come l’acqua da uno scoglio.

Non possiamo sconfiggerlo. La consapevolezza ci sprofonda addosso, decisiva, eterna. Non così. Così è finita.

« Per distruggere la Morte, la Cosa finale smembrata e con un nome- »

« Non posso disfare l’evocazione, Tango, non se ne andrà. Io non ho il potere, non l’ho mai avuto- »

« -io devo distruggere il mondo, linden-bloom, regina di spade, per il bene di pianeti che neanche conosciamo- »

« Spaventapasseri » dico io, con voce lenta, delicata, mentre scampiamo di nuovo e per un soffio a un Trivia non molto interessato alla distruzione di mosche come noi mentre fissa affamato la penisola del Continente della Nebbia e il cuore tenero al centro del mondo. Non è altro che una zecca, una pulce, un parassita- « Vivi, no, c’è un altro modo. Può andare tutto bene. Può andare tutto bene. Devi distruggere il mondo, per distruggere lui,)

Esiste solo per morire e qualcosa dentro di lui cerca di agguantare lei, vorrebbe squartarla, vorrebbe sentirla su di sé e divorarla. Non sapeva se chiamarlo amore, ancora non lo sa. Non sa se saprà mai cos’è l’amore. Sa soltanto che è pieno di lei, di bile al sapore di Eiko, sono diventati un essere unico; i misteri finali della verginità e del sesso e del simbiote magonero-magobianco, tutti e due Tango, tutti e due lì a danzare l’ultimo ballo. Lui esiste solo per morire, però, però, però forse può ancora salvare-

(… ma non deve essere per forza questo. »

Un’altra pausa, un’altra risata, eccezionale e dolce, e alla fine rido anch’io, e stiamo morendo, ci stiamo sporcando di sangue a vicenda e lui si è fratturato di nuovo il polso. Siamo i pezzi rotti, sgraziati e crepati di un meccanismo a orologeria. Golem. Isterici. Cieli azzurri e campi verdi e ogni cosa che vi è di buono e dolce, porridge caldo al mattino, occhiali che non si rompono, città riempite di stelle.

« Fammi fare i miei calcoli, Principessa » dice. « Fammi scrivere l’equazione nella mia testa. Facciamo che x è Tera e y è Trivia, facciamo che io sono il portale che li unisce. Facciamo che Cornelia da grande diventi Regina. Facciamo che Tribal e Garnet invecchino nei loro letti. »)

Può ancora essere un salvatore.

(« Li perdoni, Vivi? »

« No; mai; sì; credi che io possa dare il perdono, Carol? Credi che mi sia rimasto in corpo? Io sono un gomitolo di polvere. Sono un cappello nero. Sono un- »

« Tu sei mio marito » dico. « Chiudi quella cazzo di bocca. » E lo bacio.)

Può ancora salvare lei.

(Su Tera potremo ucciderlo. Su Tera, Vivi potrà prendere le mie mani, e io potrò dargli tutto ciò che ho, il mio corpo, la mia magia, la mia anima, me stessa, e lui potrà usarli e farli montare e tutto sparirà in una pioggia incandescente e definitiva, permanente, Ultima, potrei farlo per lui, gli darei tutto, lui lo sa, lui lo sa, lui lo sa. Possiamo distruggere la Morte. Noi distruggeremo la Morte. Lo faremo cadere in ginocchio e moriremo anche noi, sono pronta – non sono mai stata più pronta in vita mia – io e il bambino, non importa, alfa gamma omega. Su Tera non sarà un problema, e Cornelia potrà dormire nel suo letto, togliendosi le coperte nel sonno e tamburellando impaziente la coda sui lati del copriletto. Il mondo si aggiusterà ancora. Uccideremo un Pianeta già ucciso, un nemico che abbiamo già distrutto, e tutto)

L’ha distrutta e depredata. Lei può ancora salvare se stessa.

(si rimetterà a posto. Facciamo i calcoli, insieme, io gli correggo le cifre, do forma alle sue equazioni, mentre ci solleviamo nel manto grigio delle morbide nuvole fradicie di acqua. Non c’è luna, non ci sono stelle, non ci sono luci del sud. Non è mai stato creato un portale così grande in volo, e lo trasciniamo danzando attorno a Trivia, insieme – questa è magia che possiamo fare, squarciamo il tessuto dell’aria, stridori nella notte, come quel suo primo portale che ha fatto quando ha dato fuoco a Lindblum con io che gli stavo alle costole. Ce l’abbiamo fatta anche con le ossa rotte – Vivi era un nipote di Tera, figlio dei suoi figli, erede del mondo-tomba, e lei ha risposto alla sua chiamata. Nei suoi spasmi di morte, Gaya ha riconosciuto i suoi eroi e ci ha concesso di aprire la spaccatura ampia un miglio congiunta al cielo plumbeo di Tera, come un fulmine in una tempesta infinita.

Sì! –

Cos’è questa scioc

Gocce di pioggia si alzano e ci superano, e così le creature morte dell’oceano: tutto segue lentamente l’inesorabile discesa di Trivia nel risucchio del vortice. Nuvole. Pesci. Il buio, la luce, io e lui che veniamo trascinati lentamente sulla loro scia, le ali dislocate che si affannano per spiegarsi nella nostra ascesa verso la Morte. Io rido tra le braccia del mio mago nero, calpestando il vento, dolorosamente ansiosa di salire e lasciarmi tutto alle spalle; lui mi abbassa le braccia e ci libriamo nel vuoto.

« Spaventapasseri, dobbiamo andare, il portale ci)

Se non altro, non riesce a smettere di guardarla. I suoi capelli si sono bruciati e sono ormai strisce fragili e ondulate, verdi come i giardini, verdi come le colline, verdi come i suoi occhi, il viso sottile color cenere e il corno di unicorno più fiero di una corona. Il cappotto di suo figlio si è sbrindellato quasi del tutto, rivelando quel corpo poco femminile, e si è rotta gli alluci dei piedi. Lei lo ha stretto forte a sé come un coltello nel fianco, e gli fa male agli occhi, gli fa male guardarla.

Lei è Tango Bianco, ed è l’unica cosa che il mondo gli abbia mai dato. Voleva farla a pezzi perché smettesse di bruciargli gli occhi.

(risucchierà fino all’osso. »

Le fauci spalancate sopra di noi si contorcono, sbadigliano, languiscono. L’oceano sotto di noi ora è più azzurro, con il rifluire dell’oscurità che tutto consuma, e lui mi stringe le mani scorticate tra i guanti sfilacciati. Il suo sorriso radioso e folle è come una cicatrice sul volto rovinato, e di colpo dimostra più dei suoi vent’anni: trenta, quaranta, senza tempo, antico.

« Linden-bloom » bisbiglia, « parlami di un mulino a vento. »

« … Tango – perderemo quel cazzo di portale, idiota- »

« Sposa germoglio, parlami di un mulino o ti strappo la bocca. »

Sembra che non sappia più come dirlo; c’è una cosa vuota, spenta, che gli si dimena in gola, quel sorriso fisso come se qualcuno ce l’avesse dipinto. Il sorriso trema, si crepa, e la sua mano si serra molto delicatamente attorno alla mia gola. Chiazze di pelle ricoperta di calli si intravedono tra i buchi sdruciti del cuoio nero mentre cerco di sfrangiarli ancora di più con la mascella. « A Dali c’è un mulino » gorgoglio, patetica. « Spaventapasseri, cosa stai facendo- »

« Eiko, l’hai mai visto quel mulino? »

« No. » Ogni forza mi scivola via, vedo delle luci danzarmi davanti agli occhi, col ruggito del portale che turbina attorno a noi. Le sue labbra sono vicinissime alle mie, ormai blu; riesco a sentire il suo respiro su di esse, e all’improvviso ho paura come non ho mai avuto paura in vita mia – non di essere fatta fuori dall’ultimo colpo dello Strangolatore di Lindblum, ma di qualcos’altro, di qualcosa di peggio. Comincio a scalciare debolmente contro la sua stretta, contro il suo abbraccio, sui suoi stinchi e sull’inguine, ma le mie gambe sono come lo stelo di un fiore ammaccato. « No, Tango, non ho mai visto quel – quel m-maledetto – mulino- »)

Lei non smetterà mai di bruciare. Lei è il pugnale nel suo stomaco. Lei è la scritta nelle sue palpebre.

(E poi capisco cosa sta facendo. Le luci ci sono davvero, davanti ai miei occhi.

« No! » Con un calcio, lui lascia cadere le mani, la mia Trance viene via, e mi avvolge le braccia attorno alla vita per non farmi precipitare ora che non ho più le ali, mentre vengo lentamente prosciugata dal fuoco del suo Aspir. « Vaffanculo! Rimettimela! Io vengo con te! Non puoi farcela da solo, brutto stronzo piumato! Rimettimela! »

« Io esisto ad un unico scopo » mormora, tenue e dolce, luminoso e ricaricatosi delle mie forze, e d’improvviso vuoto come una conchiglia ripulita sulla spiaggia. « Io esisto solo per – una volta era tanto semplice, linden-love, un tempo era tanto chiaro. C’eravamo solo io, e i miei bambini, e la fine del mondo. Poi tu ti sei messa in mezzo ai miei numeri e ora cadrà tutto in rovina. »

« Tango! Non puoi farcela! Non funzionerà! Non vuoi rivedere i tuoi figli? Non vuoi stare con loro da qualche cazzo di parte? Noi siamo uno. Io sono te. Tu sei me. Rimettimela. »

Lui ride; lui ride, e ride, finché la risata non diventa un mezzo sospiro. La sua voce è di colpo molto tranquilla, misurata, e incolore. « Fanculo, E-Eiko. Le mie mani ormai sono troppo sporche per poterli abbracciare. »

« Vivi- »

« Cara » dice. « Regina germoglio, forse tu morirai e verrai sepolta in un cimitero, ma se io non avessi fatto così allora avresti potuto marcire quanto ti pareva in un buco di due metri. Sei l’unica che può continuare, Eiko Carol, sei l’unica che può vivere, perché io sono già esistito, sono dieci volte un golem e poi sei venuta tu e io ti odio. Non smetterò mai di odiarti. Non ti perdonerò mai. Non portò mai sentire il tuo nome senza sputare. »

« Io- »

« E io ti amo. »

Non mi divincolo; mi divincolo nella testa, mi divincolo con gli occhi, cade il fondo di ogni cosa, il mondo ruota, il portale è aperto, il mio cuore batte come se stesse cercando di uscirmi dal petto. « Vivi, non lasciarmi andare. »

« Pensavi che stessi espiando, angelo bianco? Era suicidio, è sempre stato suicidio. Una gloriosa morte di fuoco. Sarebbe bello andare all’inferno. »

« Non adesso. Non senza di me. Non lasciarmi andare. »

« Guardami volare, piccola Carol. » Dispiega le ali, tutte e sei; è quasi troppo caldo per stargli accanto. « Guardami lottare. Guardami mentre lo distruggo. Luce abbacinante, e poi scintille, e poi più nulla. I miei ricordi diverranno davvero parte del cielo, così come il mio corpo, il mio sangue, il mio nome, il mio mandato, tutto me stesso, guardami uccidere, guardami mentre vinco. Pensa a me. Sputa. Odiami. Odia ogni cosa. Tocca ogni cosa. Costruisci le tue aeronavi. Ricostruisci le tue città. Svegliati ogni giorno ripensando ai Maghi Neri. Questa è la mia maledizione. »

« Ti amo » dico, e lui mi bacia; mi bacia come un bambino di nove anni, mi bacia sulle labbra, mi bacia come Tango Nero e mi ustiona la bocca e i denti e la lingua come fuoco sacro, tanto che la mia saliva prende il sapore dei resti della cenere scompigliata dal vento. È il bacio d’addio.

« -Dai frutto, Eiko. »

« Vivi! »)

Lui la lascia andare, ascende. Lei cade, e a causa della gravità del portale è come se penetrasse in della melassa pastosa. Il suo soprabito nero e cencioso si apre per il calore, i suoi capelli sono un’aureola morbida e rossa, e lui non si volta a guardarla. È un piccolo corvo marcio, un puntolino sempre più nero, che brucia sempre più mentre sale e la sua molle bambola di pezza crolla senza volare nel mare freddo. Vivi Orunitia entra nel varco con le mani che ardono e gli occhi che brillano, e il volto nero, lei sulle labbra e sulla lingua; il varco si chiude, e Trivia gli viene incontro, sprizzando sdegno:

(L’anima chiede perdono.)

Lei non lo rivedrà mai più.
   
 
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