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Autore: Bellis    18/10/2010    5 recensioni
In una serata uggiosa, il dottor Topson si ritrova a confrontarsi con un misterioso interrogativo: cosa ci farà mai un manifesto di un posto esotico tra le cartine di Basil?
(One-shot prima classificata al "Great Mouse Detective Contest" indetto da Bebbe5)
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Su un banale fraintendimento ed una profonda riflessione
Autore: Bellis
Rating: Verde
Genere: Comico, Introspettivo
Avvertimenti: One-Shot
Note: Redatta per il "Great Mouse Detective Contest" di Bebbe5, sul prompt 008: Cosa ci faceva un manifesto di un posto esotico tra le cartine di Basil? Commento dell'Autrice: Breve spezzone senza pretese (dal titolo orribile); so perfettamente che in Italiano il nome della padrona di casa di Basil e Topson è "Signora Placidia". Tuttavia è scolpita a fuoco nella mia mente la scenetta così ben costruita della serie di Sherlock Holmes della Granada... "Mrs Hudson! Hot water!", per intenderci... che non ho saputo resistere alla tentazione di trasporla. Ebbene, sì: colpevole.
In seguito al commento redatto dalla stimata Bebbe5, ho corretto alcune imprecisioni lessicali/errori di battitura che mi erano purtroppo sfuggiti nonostante le varie riletture preliminari all'invio. Per quanto riguarda l'uso del lei invece del tu, rivedrò quanto prima l'intero testo.



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Era una serata uggiosa, col fumo fine e giallastro che penetrava dalle imposte socchiuse della finestra. Baker Street sembrava una vasta distesa luccicante e grigia insieme, come una eterea ed imperitura nebbia che permanesse al di là delle pesanti coltri poste a coprire le vetrate.

Il freddo gelido all'esterno sembrava invitarmi a rimanere accomodato in poltrona, con le zampe distese verso il caminetto scoppiettante di crepitanti ed allegre fiamme, beatamente immerso in una tranquillità soffice ed avvolgente, che nessuno al mondo avrebbe mai potuto disturba-

"MRS JUDSON!"

Sobbalzai, afferrando nel mio spavento il vassoio del the e trascinando l'intero servizio in porcellana sul tappeto: non si salvò neppure una tazzina. Un possente tonfo annunciò che la porta principale era stata chiusa, facendo tremare imposte e tende della finestra, ed un turbine parve entrare nel salotto. Vidi uno strampalato proiettile composto da una sorta di giacca da marinaio avvoltolata scagliato verso l'appendiabiti, che fu colpito in pieno e ruotò su se stesso diverse volte prima di rovinare al suolo.

"B-Basil!"

Il mio amico - col quale condividevo il nostro cantuccio nelle fondamenta del 221b di Baker Street - considerò per un attimo la mia presenza prima di gonfiare i polmoni.

"MRS JUDSON!"

La buona padrona di casa, accorsa prontamente, si affacciò alla porta, premendosi le dita sulla cuffietta che, nella corsa e nello spavento, aveva perduto ogni vestigia della passata dignità e si era accartocciata su se stessa; i pizzi arrotolati incorniciavano l'onesto viso dell'ormai anziana buona donna. Incapace di articolare sillaba, ella rimase a fissare in silenzio il suo bizzarro affittuario, ancora sgomenta.

"Acqua calda, se non le dispiace! Ed il pranzo."

La signora Judson scomparve con una intimorita riverenza, ed il salottino piombò nel più completo silenzio. Il mio amico prese a rassettare provette ed altra attrezzatura chimica sul suo tavolo macchiato dagli acidi e bruciacchiato dalle esplosioni di innumerevoli esperimenti scientifici; faceva tintinnare la vetreria con una tale espressione in viso - le orecchie tirate indietro, i baffi ritti ed i lineamenti corrucciati in una smorfia di austera severità - che per parecchi minuti non seppi far altro che rimanere rigido, silente ed immobile al centro del nostro salottino, con la tovaglietta intrisa di infuso caldo che grondava sul pavimento di legno.

Fu quando Basil, con un sospiro di melanconico dolore, si accasciò sulla sua poltrona, che non potei più trattenere le parole.

"Nessun nuovo caso?" mi azzardai a domandare.

Mi rispose un brontolìo indistinto, seguito da un secondo sospiro. Ma alla fine il mio coinquilino si decise a mostrarmi ciò che ribolliva nella sua mente.
"Nessuno. Neppure il più banale, rozzo, ... mondano caso. Nient'altro che... nebbia."

Accennai un triste sorriso, volendo dimostrargli la mia empatia. Comprendevo come si sentisse: ormai lo avevo veduto in quello stato già parecchie volte. Non solo Basil era un topo brillante, dalla mente agile e sveglia... egli aveva bisogno dei suoi clienti almeno quanto essi necessitavano della sua assistenza. Si trattava di una sorta di simbiosi tra committente ed artista, che sarebbe stata piuttosto comica, se non avesse insinuato nel cuore del mio amico un umor nero al quale ancora non sapevo bene come far fronte. Era qualcosa di malsano: come medico e come confidente, dovevo far qualcosa per lui. Mi aggirai attraverso la nostra stanzetta, pensoso, cercando un qualsiasi stratagemma per distrarre il vivace intelletto del detective disoccupato.

Ah, il suo violino. Forse avrebbe voluto suonar qualcosa? Ma no - ogni fibra del mio corpo recalcitrò, all'idea di udire orribili, deprimenti stridii per tutta la serata. Forse avrebbe voluto occuparsi leggendo qualcosa? Avrei potuto introdurre un qualsiasi argomento di conversazione: Basil sapeva essere un eccellente divulgatore.

Sbirciai la sua figura languidamente raggomitolata sulla seggiola: non sembrava molto propenso al dialogo.

Le mappe di Londra e della contea circostante, che il mio camerata conservava accuratamente arrotolate ed infilate nel portaombrelli. Quanti ricordi! Avevamo consultato quelle mappe molte volte, insieme, studiando le stradicciole della City, le fogne, i condotti di scarico... ogni pertugio che potesse dar rifugio a noi oppure ai criminali che Basil si era posto come obiettivo di catturare. V'era una carta del Soho, uno schizzo di Westminster, una piantina dettagliata della Torre di Londra, completa di tutte le cripte nascoste nelle varie torri (chissà come se l'era procurata, quella! Forse grazie a qualche contatto all'interno di Whitehall?), e...

"Esatto, Topson. Messico."

Messico?!?

"Sì, sì, Messico. Ha letto bene."

Allungai una zampa e sollevai il manifesto infilato tra le carte, distendendolo, incredulo, e scorrendolo con occhi sbalorditi. Accanto all'immagine di giovani danzatrici con grandi sombreri e nacchere decorate spiccava il logo pubblicitario: Vieni in Messico, la terra del divertimento! Goditi una siesta a Guadalajara e rilassati nella Perla dell'Occidente.

E - ma questo non faticavo a crederlo, perchè, ahimè, era già accaduto varie volte! - era stata la voce di Basil ad irrompere nei miei pensieri, assolutamente inaspettata, come se egli li avesse seguiti sin dall'inizio di quella mia virtuale peregrinazione alla ricerca di uno svago da prescrivergli.

Con un brillìo ironico negli occhi prima spenti e vuoti, il mio amico balzò dalla sedia, affiancandomi e scrutando con ostentata ammirazione l'amena raffigurazione.

"Pensi, dottore... clima caldo, nessuna umidità... solo la tiepida sabbia ed il Sole accogliente a rallegrare le giornate... non le piacerebbe fare un bel viaggio?"

Lo sgomento di fronte a quella domanda così diretta svanì, infinitesimo al confronto delle visioni di pace, tepore e comfort che si erano sprigionate nella mia fantasia spontaneamente, invadendola con mille promesse di serenità. La prospettiva mi allettava alquanto, e lo dissi al mio amico.

Per tutta risposta, quello camminò, a mento alto, verso la sua scrivania, aprì il cassetto e ne tirò fuori il suo taccuino, aprendolo.

"Molto bene. La nostra nave parte domani."

Ero più che sbalordito, ero allibito.
"D-domani?"

Vagamente infastidito, il mio amico sbuffo. "Sì, Topson, domani mattina. E non mi faccia attendere, o so ben io come svegliarla."

Rabbrividii istintivamente al ricordo dell'acqua ghiacciata che Basil mi aveva gettato sul muso solo poche settimane prima, quando, di fronte all'arrivo improvviso di una nuova cliente, mi ero riaddormentato dopo che egli mi aveva chiamato in salotto.
"M-ma!" esclamai, balbettando; quindi, tutti i miei istinti professionali si risvegliarono, e mi avvicinai a lui, con le mani sui fianchi, "Basil! Lei non sta bene. E' malato? E' forse ferito?"

L'interpellato mi indirizzò una risata silenziosa, sollevando le sopracciglia.
"Sto perfettamente, dottore, e le consiglierei di preparare le valigie, non stavo affatto scherzando. Mi reggerebbe questo?"

Aveva infilato sotto il mio braccio una pesante borsa rivestita in pelle; barcollai, e, privo di fiato, mi appoggiai alla mensola del focolare, mormorando una soffocata risposta affermativa.

"Ah, e sarà meglio prendere anche questi, sì."

Accatastò su di me un altro paio di borselli, infilandovi oggetti presi dal suo scrittoio e dal tavolino, apparentemente a caso. Adocchiò un ombrello appoggiato al muro e miracolosamente riuscì a farlo scivolare tra un fioretto ed una rivoltella che aveva precauzionalmente stipato nel suo bagaglio.

"Amico mio - non le sembra di essere -" esalai, rosso in viso e prossimo allo svenimento, "Un po' paranoico?"

"Non si sa mai cosa potrà accadere, Topson! Oh, sì, sarà meglio portarsi dietro anche un paio di questi."

Pensai che volesse imbottire una terza borsa, giacchè la stava riempiendo di pesanti coperte di lana.

"Basil! Giusto Cielo, stiamo andando in Messico!"

Sordo alle mie proteste richiuse le borse e con uno spintone le mandò ad ammucchiarsi nell'angolo del salottino, con palese noncuranza, proprio mentre stavo per dichiararmi vinto ed ero in procinto di lasciar andare tutto il peso al suolo. La povera signora Judson, entrata col vassoio del pasto, si trovò di fronte a quel gran disordine; la vidi sbiancare ed accasciarsi sul linoleum, priva di sensi, mentre piatti, bicchieri e posate cadevano al suolo ad aggiungersi a teiera e tazzine.

Accigliato, Basil si precipitò a soccorrerla. "Dottore! Penso ci sia lavoro per lei."

Affidò alle mie cure la povera padrona di casa e si lanciò nella propria stanza, come se fosse stato colto da una improvvisa illuminazione. Borbottando qualcosa sulla completa mancanza di tatto che il mio coinquilino puntualmente mostrava, mi procurai dei sali e, con parole gentili e con l'ausilio della scienza medica, mi impegnai nel proposito di far rinvenire la buona signora, cercando di evitare che entrambi ci scottassimo nella pozza d'acqua bollente che si era riversata sul pavimento; la rincuorai promettendole che tutto quel trambusto sarebbe svanito in meno di un'ora, ed offrendomi di raccogliere io stesso tutti i cocci di ceramica sparsi al suolo. Accompagnai la signora Judson in cucina, dove la lasciai.

Nel frattempo, il mio amico aveva aggiunto alla montagnola di valigie un'altra borsa rettangolare, che sapevo contenere gli effetti personali necessari ai suoi brillanti travestimenti.

"Amico mio, ha passato ogni limite!" mi lamentai, "Non vorrà portare questi con sè in vacanza!"

Il mio interlocutore portò su di me lentamente uno sguardo interrogativo, "Vacanza, Topson?"

"Ma sì," risposi, d'istinto, "In Messico! Stiamo per partire per una vacanza in Messico, Basil, e -"

"Noi, dottore, non stiamo affatto andando in vacanza."

"E -"

Interdetto, mi fermai, col dito indice della zampa destra ancora puntato verso l'alto, ed i baffi che tremavano sotto la forza del buon senso che le mie parole stavano esprimendo.

"... no?"

"No, Topson." sbuffò il mio amico, con evidente impazienza, "Ha mai sentito parlare di El Loco, il criminale che sta seminando terrore nelle comunità sotterranee di Guadalajara?"

Mi poggiai una mano sulla fronte, crollando il capo.
Finalmente avevo capito: non si sarebbe trattato di uno svago, né di un viaggio di piacere.
Non per me, almeno.

"Per Giove." sospirai, mentre Basil mi afferrava un braccio, trascinandomi verso il suo sterminato archivio contenente almeno un migliaio di nomi di topi pericolosi, dall'antichità fino ad oggi.

"Vede, dottore, la malavita messicana è ben radicata, è ramificata in tutto il territorio, ma questo delinquente, che oggigiorno imperversa nel sottosuolo, è particolarmente malvagio. Si è reso responsabile di almeno una dozzina di furti nell'ultimo mese, e..."

Rinunciai all'idea di prestare attenzione al filo dei suoi ragionamenti e mi limitai a sospirare di nuovo, lasciandomi sospingere verso la cassettiera di legno, mentre sulle mia labbra affiorava, mio malgrado, un sorriso.

"... mi capisce, Topson? Ed otto mesi fa, quella misteriosa sparizione di un reperto storico dalla sede del museo di Toluca... era opera sua..."

Dopotutto, il segreto della quiete interiore è conoscere se stessi; e da tempo, scavando dentro il mio animo con la minuziosa attenzione del filosofo, avevo già compreso che il mio più grande piacere ed onore era accompagnare il mio amico Basil nelle sue ardite, pericolose ed avventurose investigazioni.
Anche questa volta, non avrei chiesto di meglio che seguirlo; in seguito, avrei riso di quel fraintendimento, e sarei stato grato alla mia ingenuità per aver ribadito nella mia mente una così importante considerazione.

"... prenda la sua arma d'ordinanza, Topson. Temo che questa volta ci troveremo di fronte ad una banda dall'indole spietata."

Annuii, determinato. "Ma certo, Basil. Può contare su di me."

Mi rivolse uno dei suoi rari, sinceri sorrisi, che sottintendeva un non pronunziato Lo so.

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Vorrei ringraziare Bebbe, che ha indetto il Contest, e fare le mie congratulazioni agli altri partecipanti. Grazie di cuore, è stato un onore concorrere con voi.
Bellis
   
 
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