In qualche modo
è precedente al capitolo diciannove,
quindi... fuck.
Non so che dire, dunque buona lettura e buonanotte al secchio
– questa è carina
e mi ha convinto che la prima cosa scritta e postata per il fandom va
rivista e
ri-postata *A* Aaamen.
[
C
h e r i s h
]
A Gareki, Yogi
non piaceva molto.
Era rumoroso, anche troppo; era d’umore piuttosto volubile e,
in un certo modo,
alcune cose lasciavano intuire che avesse vissuto un’infanzia
normale – metteva
da parte le verdure amare però le mangiava comunque, versava
da bere facendo il
giro della tavola e servendosi per ultimo, attendeva che tutti avessero
finito
di mangiare prima di andare (e lo costringeva a fare altrettanto).
Chiamava questa consuetudine «rispetto familiare»,
e i suoi occhi brillavano in
maniera particolare ogni volta che affrontava con lui
quell’argomento:
probabilmente si sentiva come un fratello maggiore, o forse un padre
adottivo.
«Ti fiderai mai di me, Gareki-kun?»
«Chi saresti?»
Yogi apparteneva a Circus, che oggettivamente era la loro unica
speranza sotto
molti punti di vista, però continuava a cercare il suo
consenso, e gi sorrideva
mentre gli parlava, e spesso porgeva domande che sembravano atte solo
ad
accrescere la propria autostima – Gareki non riusciva a
vederla se non così.
Quando non aveva da fare, sembrava che il ronzargli attorno fosse una
delle
attività che il luogotenente preferiva, insieme con il
giocare con Nai e
sparire, probabilmente andare a socializzare con altri che fossero
disposti a
interagire con lui.
Il ladruncolo restava fra le proprie esplorazioni della nave, i libri
soporiferi e la noia.
«Gareki-kun~» L’uomo gli veniva incontro
con la sua solita, stupida allegria.
«Mi hanno chiesto di aggiornare dei dati però di
là da solo mi annoio,
quindi... insieme?»
Ridacchiò, però in qualche modo sembrava
più un indice di nervosismo. Sotto
braccio aveva la borsa del portatile e un paio di cartellette deformate
dal
volume dei documenti contenuti.
Qualche volta, durante quelle sedute di lavoro condiviso, il ragazzo
sbirciava
gli “importantissimi e segretissimi segreti” di
Circus: erano numeri, e
resoconti di esperimenti, e missioni, ed esperimenti tenutisi durante
missioni;
pagine e pagine che aveva sempre poca voglia di leggere per intero. In
ogni
caso, anche se avesse voluto, Yogi non glielo avrebbe permesso.
Lo stesso uomo che, con serietà invidiabile, sfogliava con
gli occhi i
documenti, li divideva, li leggeva anche più di una volta,
li riassumeva e
riportava con il computer, li metteva da parte se necessitavano firme
da altri
membri dello staff. Quando lavorava non mangiava dolci e non parlava,
era poco
incline alla cortesia e tutto il resto. Poi sospirava, si massaggiava
le tempie
e gli rivolgeva un sorriso stanco.
«Se vuoi puoi guardare un film», «se ti
annoi puoi anche andare, io ho quasi
finito», «puoi dormire, non mi disturba».
Nonostante Gareki trovasse il solito Yogi irritante, questo non gli
piaceva:
era (abbastanza) agghiacciante.
Talvolta lo assecondava; si appoggiava con la testa al bracciolo
opposto e,
tenendo una gamba piegata sul divano e lasciando l’altra
penzoloni, chiudeva
gli occhi, cercando di riposare.
E non importava dove fossero o se facesse caldo o freddo: Yogi
abbandonava il
lavoro quando credeva che il più giovane ormai dormisse, si
procurava chissà
dove o da chissà chi una coperta per proteggergli almeno le
spalle e lo
stomaco, baciava la tempia che rivolgeva al soffitto oppure la fronte,
soffiava
un affettuoso «Buonanotte Gareki-kun». Quindi
tornava ai suoi documenti, con
quale spirito il ragazzo non poteva saperlo perché spesso
dormiva per davvero.
Godeva di un sonno leggero, disarmato, sullo stesso divano dove
quell’uomo
allegro e agghiacciante continuava a visionare e catalogare risultati.
«Farei questo e altro per un amico.»
«Ah
sì? E dov’è questo amico?»
«Che
cattivo, Gareki-kun!»