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Autore: A Dream Called Death    20/10/2010    3 recensioni
Sono qui, idiota. Ancora mi chiedo se tutto questo sia realtà. Devo ancora realizzare che davanti a me... c'è tutto quello che ho sempre desiderato. E mi sento scema, mentre una lacrima scende sul mio viso. Loro sorridono di quella lacrima, scambiandola per amara gioia.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono qui.
In qualche modo, anche grazie al mio fratellastro, sono
riuscita ad entrare.
Ed a ripararmi dalla pioggia, dalla grandine, da tutto
l'orrore che regna lì fuori, incontrastato.
Sono qui, ora.
Sola.
Infreddolita.
Delusa, confusa.
Sento la gente urlare, lì fuori.
Sento l'acqua piombare violenta contro le maledette
pareti di questo fottuto tendone bianco.
Sì, le sento.
E tento inutilmente di appoggiarmi ad esse, riscaldarmi,
trovando conforto, in qualche modo.
Tento inutilmente di tapparmi le orecchie, premendo le
mani contro di esse, per non sentire le urla dei ragazzi lì fuori.
Tento inutilmente di darmi pace, di trovare una spiegazione
a tutto quello che sta accadendo intorno a me.
Ma... ma no.
Provo in tutti i modi a calmarmi, a frenare i brividi improvvisi
di freddo che percorrono il corpo.
Mi raggomitolo per terra, mi stringo, chiudo in me stessa.
Eppure, ancora lì, ancora la sento, l'acqua che scende giù.
Ancora non si ferma, crolla inesorabile come le mie
speranze in questo momento.
E più bagna il suolo più quelle speranze si sgretolano, più
ci inzuppa dalla testa ai piedi e più io sento il mio sogno
allontanarsi silenzioso.
E più cade, questa fottuta pioggia, più io vorrei urlare.
Più cade, più vorrei morire.
Qui, sotto questo fottuto tendone.
Sono qui, a pochi metri da quel maledetto sogno.
Mi guardo intorno.
Lentamente cado giù.
Piccola, come non sono mai stata.
Sto per perdermi nel tenebrore della mia tristezza quando
sento la porta aprirsi violentemente.
E vedo, confusamente, un uomo grosso e minaccioso
avvicinarsi a me.
-Che cazzo ci fai qui, tu? Chi ti ha fatta entrare? Vai fuori
dai coglioni!- mi grida l'uomo.
Sento la testa pesante.
I brividi lungo il corpo.
Respiro a malapena ed a malapena riesco ad osservare
l'uomo che dalle scale si sta avvicinando a me.
-Hai sentito cosa ti ho detto, ragazza? Ti ho detto di andare
fuori dai coglioni!- mi ripete.
Io non me lo faccio ripetere due volte, mi alzo con le
poche forze che ho e tento di non lasciar intravedere il
mio maledessere.
-Come sei entrata qui?- mi chiede.
-Mio... mio fratello- rispondo, tentando di mettere insieme
due parole in croce.
-Tuo fratello ti ha fatta entrare? Bene, ora esci! Se tutti
quelli che sono lì fuori entrassero, sai che casino!- borbotta
lui, afferrandomi per un braccio.
Sento le sue dita stringersi, avvinghiarlo come pungenti spine.
Sento il freddo pervadermi ancora l'anima e la forza della
volontà, l'unica ad avermi sorretto fino a quel momento,
abbandonarmi come il mio fottuto sogno.
Sento le grida dei ragazzi fuori, le sirene avvicinarsi.
Sento il dolore di tutti loro, di tutti noi.
Lo percepisco, mi entra nella pelle.
E non se ne va, rimane lì.
Impresso in me.
Ma è realmente la pioggia a bagnare il suolo oppure sono
le mie lacrime ad innondarlo?
Lui mi tira, mi strattona.
Ed io piango, continuo a piangere.
Lui tira ancora, mi spinge, mi vuole sbattere lì fuori.
Io lentamente muoio.
Lui si incazza, mi tira nuovamente, bestemmia, mi ordina di uscire.
Ma io sto male e lui non lo sa, non lo può sapere.
-Che cazzo hai? Stai male? Non fingere, con me non attacca!-
ringhia lui, inviperito.
Io non rispondo, non riesco a parlare. In realtà non riesco a
muovere nemmeno un passo ma lui è più grosso, forte e cattivo
di me, riesce a farmi avanzare.
Uno, due, tre passi.
Pochi respiri.
Ed infine, l'ultimo.
Crollo a terra, stremata.
Nonostante tutto, sento ancora il mio corpo, riesco ad avvertirlo.
Due mani mi afferrano, diventano quattro, sei, otto.
Si moltiplicano secondo dopo secondo.
Quando mi risveglio, sono stesa sopra ad un lettino.
Una specie di divanetto, non lo vedo bene.
Faccio fatica a riprendermi, la vista è ancora annebbiata.
Apro gli occhi, confusa.
Li richiudo, la luce è troppo forte lì dentro.
E sento delle voci, poche voci che bisbigliano parole incomprensibili.
Voci non familiari, ma già sentite da qualche parte.
Non riesco a riconoscerle, tento di riprendermi, inutilmente.
Riapro lentamente gli occhi e vedo delle sagome appannate che
mi fissano: tre visi che non riesco a riconoscere, si guardano,
parlano e tornano a fissarmi.
La vista si fa più nitida.
O forse no, non lo so.
Mi massaggio gli occhi.
Una, due, tre volte.
Li richiudo, li riapro.
Li massaggio ancora, ma loro sono ancora lì, ancora mi fissano
interrogativi mentre io chiudo e riapro gli occhi in continuazione.
E mi sento una stupida, una fottuta stupida.
Davanti a me, sopra di me, ci sono loro.
Billie, Trè, Mike.
Ed io sono qui, idiota, ancora mi chiedo se tutto ciò sia realtà.
Sono qui ed ancora mi sento mezza rincoglionita, sconvolta.
Devo ancora realizzare che davanti a me... c'è tutto quello che ho
sempre desiderato.
Devo ancora realizzare che d'ora in poi la mia vita cambierà,
fottutamente cambierà ed io non sarò più la stessa.
E mi sento scema, mentre una lacrima scende sul mio viso.
Loro ridono, sorridono di quella mia frustrazione.
Sorridono di quella lacrima, scambiandola per amara gioia.
Continuo a guardarli, apro invano la bocca per dire qualcosa, ma...
mi rendo conto che non ho nulla da dire.
Vorrei alzare una mano per toccarli, verificare, avere la certezza
che tutto questo non sia un sogno.
Vorrei poterlo sentire, capire, sfiorare, questo sogno.
Ma non faccio in tempo perchè l'afferrano loro, la mia.
Ed il cuore sprofonda lentamente.
Ogni minuto che passa questo tocco mi fa cadere.
Ogni secondo ancora, io non so più chi sono, cosa sono o
cosa sto facendo: ho sognato questo momento ogni sera, per
dieci lunghi anni ho sperato di poterlo realizzare.
Ed ora che c'è, ora che loro ci sono e sono qui, accanto a me,
mi osservano e bisbigliano... beh, ora mi rendo conto di non
saperlo gestire in nessun modo, questo momento.
Solo ora mi rendo conto di non poterlo tenere stretto a me,
di non potermici accoccolare dentro.
Non sono in grado di farlo, poichè è talmente grande, intenso,
sfuggente da non poter essere conservato ma solo vissuto.
E' troppo grande, troppo.
Forse più di me.
Ed ora che lo sto vivendo, mi accorgo di essere troppo piccina
rispetto ad esso.
Ancora non so se credere a ciò che vedo: loro parlano, si girano,
ridacchiano, sorridono, si voltano e mi domandano qualcosa.
Ma, fottuta me, non riesco a capirli.
Non so l'inglese e non so minimamente di che cazzo stanno parlando.
In realtà, non so più che fare.
Non so dove andare, come muovermi, cosa pensare, come agire,
cosa dire. Non so più niente di niente.
E quindi me ne sto qui, ferma immobile.
Loro sorridono ancora, mi domandano qualcosa ed ancora sorridono
notando la mia inespressività totale.
Vorrei solo piangere in questo momento, ma nemmeno quello
mi è concesso: le lacrime devo tenerle per dopo, se anche quelle
le esaurisco ora, cosa mi rimane?
Vorrei solo urlare.
Eppure più me ne sto qui, distesa, senza forza, più non
so se ridere o piangere di me stessa.
Mi sento prosciugata.
Siamo qui, noi quattro: voi, me.
Io, comune mortale.
Voi, comuni mortali.
Con una sola, grande, differenza: voi non mi amate più di ogni
altra cosa al mondo, voi non dareste la vita per me.
Oh, io sì.
Io ho sputato sangue per voi, ho combattuto durissime lotte con
me stessa e con gli altri, pur di difendervi.
Ed ora sono qui.
Vi osservo mentre mi salutate, lasciandomi alle cure di mio
fratello che è appena entrato.
Vorrei chiamarvi, trattenervi, ma le parole non escono.
Ora, solo ora, mi accorgo che ne è valsa la pena.
Non so dire se tutto cambierà, da ora in avanti.
Non so dire se tutto sarà migliore, più chiaro.
Anche se non ho la forza per parlare, anche se non riesco a
pronunciare una sola parola, nemmeno per ringraziarvi, voi lo
sapete già: mi guardate un'ultima volta, perplessi, chiedendovi
se io sia pazza o altro.
Beh, lo sono.
Domani andrò in giro raccontando ciò che è successo.
Sì lo farò, lo prometto.
Racconterò di avervi incontrato, a chi vorrà ascoltarmi.
Le persone non mi crederanno, rideranno di me.
Ed io riderò di loro.

Okay.
Non so precisamente come sia nata questa storia.
Ma l'ho tirata fuori e assolutamente volevo pubblicarla.
Il contesto, ovviamente, è dell' Heineken Jammin Festival.
Non voglio aggiungere altro.
   
 
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