“Voglio
proteggere ciò
che è importante per me. Ti dirò grazie con un
sorriso, addio, abbi cura di te”
I still have to say "Thanks"
Le
porte della scuola si spalancarono, lasciando una marea di
studenti sciamare sulle scale e nel cortile.
Tutti gli studenti portavano la divisa impeccabile, e tutti stringevano
fra le
mani un cilindro nero, chi più indifferentemente, chi come
se ne andasse della
loro vita. Le facce erano in gran parte rilassate, altre euforiche. Una
in
particolare, sembrava funerea. Quella di una ragazza esile, piccola,
con grandi
occhi scuri, dalle sfumature bluastre. Un ciuffo di capelli neri le
cadeva
sugli occhi, mentre gli altri le incorniciavano il viso. Guardava
l’oggetto che
aveva in mano con aria triste, come se fosse una missiva nefasta che
non poteva
fare a meno di aprire.
-Yo, Rukia!-
-Kuchiki-san! Ti abbiamo trovato!-
Rukia si girò di scatto, cercando fra la folla che le
scorreva attorno una
familiare testa arancione, il modo migliore per trovare il proprietario
della
prima voce.
Infatti, dopo pochi secondi, il braccio di Ichigo sventolò
sulle teste degli
altri studenti, indicando il punto dove si trovavano. Rukia prese un
profondo
respiro, cominciando a sgomitare fra i corpi degli studenti, per farsi
strada.
Andare controcorrente rispetto al senso di marcia della massa di
ragazzi in
divisa fu più difficile del previsto, e ci mise un minuto
buono a percorrere i
venti metri che la separavano da Ichigo e gli altri. Alla fine
riuscì a
raggiungerli, Ichigo, Orihime e Ishida, sovrastati
dall’imponete quanto quieta
figura di Sado, che stava tranquillo a sentire le sciocchezze di Keigo,
mentre
Tatsuki sembrava decisa a malmenarlo e Mizuiro, come al solito, se ne
infischiava.
Quando li raggiunse, con un’espressione molto diversa da
prima, salutò
allegramente, ricambiata immediatamente da Orihime.
-Kuchiki-san, Kuchiki-san! Finalmente abbiamo finito, faccio fatica a
crederci!-
Perfino Rukia stentava a crederci, di essere riuscita a passare
l’ultimo anno,
specialmente contando che si era trasferita tre mesi dopo
l’inizio delle
lezioni. Passò lo sguardo su tutti i suoi amici, pensando
quanto fosse stato
incredibile riuscire a trovare persone simili in così poco
tempo. Si soffermò a
guardare Ichigo, che fissava apaticamente il nulla, la testa girata
verso
destra. Ma abbassò lo sguardo quando un colpo gli raggiunse
l’avambraccio.
-Ahio, che diavolo fai? – Rukia non scoppiò a
ridere, sebbene quello stolto
avesse un’espressione magnifica.
-Stupido, almeno guarda in faccia chi hai chiamato!- Ichigo
sbuffò, agitando
poi la custodia del diploma con aria seccata.
–Colpa tua che te ne sei andata per conto tuo.-
Non fece in tempo a rispondergli per le rime, che Keigo, con il suo
solito
euforismo interruppe tutti, blaterando qualcosa riguardo al
festeggiare.
L’apprensione di prima oscurò
l’espressione di Rukia, al pensiero che in
teoria, sarebbe dovuta tornare subito a casa. Per fortuna Keigo e
Mizuiro
avevano proposto di rivedersi la sera più tardi, per
festeggiare degnamente
senza divisa scolastica.
Il gruppetto s'incamminò quindi verso i cancelli, il flusso
di persone in
uscita ormai diminuito, ma il piazzale comunque gremito di studenti e
genitori.
Si separarono dopo appena duecento metri, sebbene rimasero fermi ad un
bivio
per parecchi minuti, decidendo il da farsi per la serata. Alla fine
ognuno si
diresse a casa propria. Rukia fu la prima ad andarsene, salutando
frettolosamente gli amici. Suo fratello la stava probabilmente
aspettando, e
non poteva permettersi di fare troppo ritardo.
Lungo la strada che portava alla clinica camminava una sola persona,
con la
divisa da studente delle superiori del quartiere e sgargianti capelli
arancioni. Ichigo stirò le braccia, sbadigliò
sonoramente, e cominciò a frugare
nella tracolla in cerca delle chiavi. Non ne ebbe bisogno
però, perché la porta
si aprì da sola non appena fu abbastanza vicino.
-ICHIGOOOOOOOOOO!-
Ed ecco lì vecchio pazzo che usciva come una furia. Per
essere atterrato due
secondi dopo.
-Ciao pà.-
Ichigo passò tranquillamente sopra l’atterrato
padre, per entrare in casa, e
trovarsi davanti una Yuzu armata di mestolo ed impaziente di sapere
come era
andata, una Karin che chiedeva sarcasticamente se gli avessero davvero
dato il
diploma e… il vecchio che rialzatosi, entrava in cucina di
volata. Che famiglia
stancante.
Rukia raggiunse finalmente la sua camera, e la prima cosa che fece fu
buttare
la tracolla sulla scrivania e tuffarsi sul letto. Atterrò su
un grosso coniglio
di peluche, e finì con il rotolarci abbracciata, godendosi
la morbidezza del
materasso e facendo riposare le gambe dopo un’intera
mattinata in piedi. Rimase
per una mezz’ora così, cercando di auto
convincersi ad alzarsi, farsi il bagno,
e vestirsi per raggiungere gli amici. Era felicissima che il fratello
le avesse
permesso di uscire la sera, ma al tempo stesso trovava tutta la
situazione
scomoda. L’idea di aver concluso il liceo le metteva addosso
una preoccupazione
tremenda. Sapeva che ciò significava che presto, molto
presto, ognuno dei suoi
amici, e lei stessa, avrebbero preso la strada
dell’università, poi quella
della vita da “adulti”. Ognuno avrebbe seguito le
sue passioni, i suoi sogni, o
semplicemente la strada più veloce. E lei? Che cosa avrebbe
fatto, seguito per
inerzia i passi del fratello maggiore, suo unico parente, o trovato una
nuova
strada? Strinse più forte il coniglio, pensando poi a quello
che aveva appreso
appena tornata a casa.
–Chappy, mio caro Chappy, che faccio?-
Il coniglio non rispose, per fortuna. Sarebbe stato... strano? Basta
sciocchezze, andiamo a farci un bel bagno.
Il peluche ruzzolò sui cuscini, mentre lei si dirigeva verso
l’armadio per
prendere gli abiti.
-Aaaah, e dopo di questo, ci vuole del gelato! Ne, Tatsuki-chan?-
Orihime sorrise all’amica, dopo aver appoggiato il
tovagliolo. Era contenta che
Tatsuki avesse accettato di venire a pranzo da lei.
Tatsuki lo era un po’ meno, visto gli accostamenti culinari
improbabili che le
aveva proposto l’amica. Non che glielo avrebbe mai detto. Per
fortuna il gelato
in vaschetta non poteva essere stravolto più di tanto.
Mentre Orihime
trotterellava verso il frigo, la ragazza dai capelli neri rimase a
rimuginare
qualche secondo, guardandola con il volto appoggiato alla mano, il
gomito
puntellato sul tavolo.
-Dimmi un po’, Hime… qualcosa non va?-
L’amica la guardò con la sua aria svampita
migliore, chiedendole cosa
intendesse.
–Nulla, fa nulla-
Non che ci fosse cascata. Ma probabilmente quello che crucciava Orihime
era la
stessa cosa che aveva pensato lei, e la stessa cosa che Tatsuki era
certa di
aver visto sul volto di Kuchiki, e su quello di Ichigo. Che con
Orihime,
facevano un trio di idioti che non volevano dire quello che pensavano
veramente.
Sospirò, prendendo il cucchiaino che le porgeva
l’amica. Ci volle qualche
minuto di silenzio perché Orihime si decidesse a parlare.
-Sai, Tatsuki-chan… -
Lei non parlò, aspettando che finisse la frase.
–Come pensi che continueranno le cose?-
Tatsuki scosse la testa.
–Aspetta, non ti seguo. Intendi fra di noi… nel
gruppo?-
Orihime annuì con aria mesta.
–Voglio dire, adesso non saremo più nella stessa
classe, non torneremo più a
casa insieme, non pranzeremo più tutti sul tetto, non ci
vedremo tutti i
giorni…-
Tatsuki alzò la mano, o meglio il cucchiaino, e lo
puntò verso l’amica.
–Frena, frena, frena. Non mi pare il caso di preoccuparsi
tanto. Cambieremo un
po’ la routine, tutto qui, insomma…-
frammentò la frase, mentre prendeva un boccone di gelato,
che si stava
squagliando a ritmo preoccupante
–Non agitarti. Magari avremo meno tempo libero, ma non
è detto che ognuno se ne
andrà per conto suo.-
Sapeva perfettamente cosa pensava l’amica. Anche lei era un
poco affranta
dall’idea di dover affrontare tanti cambiamenti in quella che
per anni era
stata la sua routine quotidiana. E poi, fra tanti, proprio quella testa
dura
d’Ichigo le doveva piacere. Orihime era tremenda a volte. La
cosa che la
rattristava era che l’idiota non sembrava minimamente
ricambiare, anzi. Anche
Orihime lo sapeva, sapeva che non aveva molte speranze, ora che il
liceo era
terminato meno che mai. Cos’altro avrebbe potuto dire?
–Tatsuki-chan, quando è che Kuchiki-san si
è trasferita?-
Tatsuki, ancora impegnata a stringere i denti contro il cucchiaino,
sgranò gli
occhi, guardando con aria interrogativa la ragazza di fronte a lei.
Orihime
rise della sua espressione, e spiegò il perché
della domanda.
-È da quando è arrivata Kuchiki-san, che noi
abbiamo iniziato ad essere un vero
gruppo. Ha fatto da collante come…-
Tatsuki la fermò annuendo vigorosamente. Orihime aveva
iniziato ad allungare
una mano verso le mensole della cucina, e lei non ci teneva a sentire
strani
paragoni culinari. Effettivamente Orihime aveva ragione,
l’arrivo della piccola
ragazza aveva dato una bella scossa a tutti.
-Intorno alla fine del primo trimestre, no...?-
-Il
mio nome è Rukia
Kuchiki, e da oggi sarò vostra compagna di classe.-
Una figuretta piccola, fina e delicata, quella della nuova studentessa.
Quelli
che non vedevano bene la cattedra si sporgevano dai loro banchi per
guardarla
meglio. Gli studenti trasferiti erano rari da quelle parti, ancora di
più se
trasferitesi a stagione inoltrata.
-Bene Kuchiki, ora vai a sederti, lì
c’è un posto libero.
La ragazza si sedette nel banco indicatole dalla professoressa, che
aveva
ripreso a fare battute strane, almeno per un’insegnate.
Almeno, pensò Rukia,
sembrava simpatica. Invece il suo vicino di banco, capelli arancioni e
aria
annoiata, molto meno. Fissava nell’altra direzione con aria
annoiata, e al
massimo dava un paio di occhiatacce ad uno studente più
avanti, che sembrava
conoscerlo piuttosto bene.
-Piacere di conoscerti, ti dispiacerebbe se dividiamo i libri? Io
ancora non ne
ho.-
Non si rivelò poi così antipatico, in fondo. Le
diede il libro senza fare una
piega, borbottando però qualcosa di indistinguibile. Non si
presentò, non che
ce ne fosse bisogno, visto che il nome era scritto a matita nella prima
pagina
del libro di testo. Kurosaki Ichigo. Che nome strano! Ma non batteva lo
strano
colore di capelli, poco, ma sicuro.
Rukia arrivò a passo spedito, con un minuto scarso di
ritardo. Si erano messi
d’accordo, davanti all’emporio di Urahara alle sei
in punto. Erano le sei e due
minuti, e davanti all’emporio c’era solo Ichigo,
impegnato ad accarezzare il
gatto del proprietario. Non si girò nemmeno quando lo
raggiunse, ma si limitò a
salutare continuando a dare le spalle. Aveva sempre fatto
così, Rukia sapeva
bene che era il suo modo di fare. Rimasero qualche altro minuto ad
aspettare
che arrivassero anche gli altri, finendo con il decidere di entrare, e
cominciare a prendere la loro parte di vivande. Quando entrarono, il
proprietario non si vedeva, ma li salutò la sua compagna. Di
lei Rukia sapeva
solo che si chiamava Yoruichi, e che era una bella donna dalla pelle
scura, il
corpo scolpito, un carattere d’acciaio e la lingua affilata.
Sembrava invece
che Yoruichi conoscesse lei, o meglio suo fratello. Infatti, dopo
averli
salutati, chiese maliziosamente a Rukia se avesse portato i suoi saluti
al
fratello. La ragazza ovviamente l’aveva fatto, tralasciando
il fatto che
Yoruichi lo avesse chiamato “Byakuya-boo”.
La donna rise, mentre Rukia le raccontava la reazione, a
metà fra lo gelido e
il seccato, del fratello.
-Sempre così, mai una volta che saluti degnamente la sua
senpai!-
Yoruichi continuò a ridere fragorosamente, non mancando poi
di raccontare
qualche episodio comico della vita scolastica di Byakuya.
Era incredibile crederci, ma era stata davvero la sua senpai al liceo,
e
sicuramente gli aveva reso la vita dura, Ichigo ne era sicuro. Ma non
molto
dispiaciuto. Aveva visto Byakuya Kuchiki solo una volta, e
l’impressione che ne
aveva tratto era stata quella di un tipo arrogante, snob, e fin troppo
meticoloso per tutto quello che riguardasse norme e regole. Mentre
Yoruichi
raccontava a Rukia una gaffe in particolare del fratello ai tempi della
scuola,
qualcosa riguardante una lattina e un pennarello, erano arrivati anche
Chado,
Tatsuki e Orihime.
-Bene gente, a questo punto ognuno prende la propria parte di vivande,
e i
ritardatari si arrangino. Direi che è ragionevole, no?-
-NON sono in ritardo! Non per colpa mia almeno.-
Era arrivato anche Ishida, che era entrato di corsa nel negozio, col
fiatone, sistemandosi
gli occhiali come suo solito, seguito da Mizuiro e Keigo. Si erano
incontrati a
metà strada, e Keigo aveva perso tempo con qualche
sciocchezza, Ichigo lo
sapeva senza bisogno di chiedere.
-Ulalà, di nuovo a fare prove di coraggio? Conosco qualche
altro posticino infestato
se vi interessa~♪-
Dal retro sbucò fuori il capello del proprietario, seguito
dal suo stupido
ventaglio. Il proprietario, Urahara, era un tipo strano, piuttosto
teatrale,
ecco come lo si poteva definire. Andava sempre in giro con i geta di
legno e un
cappello a strisce bianche e verdi, che gli copriva gli occhi e buona
parte dei
disordinati capelli chiari. Era un tipo assolutamente fuori di testa,
non
c’erano altri modi per descriverlo. Ichigo non lo trovava
particolarmente
simpatico, anzi, pensava fosse un tipo dannatamente irritante, ma era
bravo in
quello che faceva. Non solo l’emporio era fornito, cosa
anomala per un
negozietto così esiguo, ma Urahara sembrava in grado di
trovar qualsiasi cosa i
suoi clienti richiedessero. Informazioni comprese. Solo quattro mesi
prima, era
stato lui a dare l’inizio ad una marea di guai…
-Ichiiiiigooooooooo!-
Keigo fu colpito al volo da un oggetto non meglio identificato, ma a
giudicare
dal rumore, si doveva trattare di un’onigiri confezionato.
–Ichigo, non lanciare parti del mio pranzo!-
-Scusa Mizuiro, ma ci voleva…-
L’arrivo dell’amico significava la fine della pace.
Fino a quel momento avevano
pranzato tranquillamente, lui, Mizuiro e Chad. Sperando che si
trattasse solo
del solito modo di salutare di Keigo, Ichigo tornò a
concentrarsi sul pranzo.
Ma aveva poche speranze. Ci vollero parecchi minuti perché
l’ultimo arrivato
smettesse di fare la vittima, ma alla fine spiegò cosa
l’aveva reso così
euforico. A quanto pareva, per la settimana di vacanze che si
prospettava da li
a pochi giorni, non aveva trovato niente di meglio da fare se non
inventarsi
una stupida prova di coraggio.
–Cosa dovremmo fare Asano-san, andare in giro in un cimitero
durante la notte?
–
-Non usare il –saaaan! Mi fa sentire così escluso!-
-Certo Asano-san.-
-Ascoltami almeno!-
Non
sarebbe finita così presto, pensò Ichigo
esasperato.
-Dove?-
Tatsuki guardò perplessa il gruppetto, appena sceso dalla
terrazza.
Che diavolo se ne uscivano così all’improvviso con
questa storia della prova di
coraggio? Lanciò un’occhiataccia ad Ichigo, che
però guardava insistentemente
fuori dalla finestra. Il suo modo di dire “mi
dissocio”. La ragazza prese un
profondo respiro, per poi tornare ad affrontare quell’idiota
esagitato di
Asano.
–Dimmi, perché dovremmo unirci a voi in questa
pagliacciata?-
-Perché se non ci sono le ragazze non
c’è poi tanto gusto!-
-I-DIO-TA.-
Alla fine diventarono il doppio. Lui, Keigo, Chad, Mizuiro, con
l’aggiunta di
Tatsuki, Orihime, la studentessa nuova, quella Rukia, e perfino il
quattrocchi,
Ishida, con il quale Ichigo aveva parlato sì e no una volta.
E non ci teneva a
farlo di nuovo. Era stato tirato dentro dall’amica di
Tatsuki, Orihime, che lo
conosceva un po’ meglio. Frequentavano il club di lavori
domestici insieme. Sì,
esatto. Cucito e via dicendo. Ichigo aveva fatto una fatica tremenda a
non
scoppiare a ridere. Rukia si era praticamente auto invitata, appena
sentite le
parole “casa infestata”. Non il cimitero, come
facevano tutti i comuni studenti
in cerca del brivido, ma un’accidenti di casa abbandonata
praticamente al
confine del quartiere. Era stato quello svitato dell’emporio
ad indicarla ai
suoi amici. Ichigo prese mentalmente nota di non presentare
più gente strana a
Keigo, era abbastanza fuori di suo così come era ora, non
necessitava di
ulteriori spinte.
Anche solo arrivare a quel posto era una scarpinata lunghissima, e
durante il
tragitto cominciò a calare il sole, e i lampioni lungo la
strada ad accendersi.
Ognuno con il suo passo, avevano formato una specie di fila indiana.
Ichigo
camminava strusciando le scarpe, annoiato, fino a rimanere in coda. Al
suo
fianco si ritrovò Rukia, che camminava tranquillamente.
-Toglimi una curiosità, come mai tanto entusiasmo per una
sciocchezza simile?-
Rukia lo guardò per qualche secondo, ponderando la risposta.
Nei due mesi che
era stata nella classe, Ichigo aveva imparato che nonostante sembrasse
innocua,
era una piccola furia. Si erano messi a discutere sulle minime cose, e
assurdamente, lei vinceva. Sempre. E picchiava bene quanto Tatsuki.
-Non ho mai fatto una cosa del genere! E poi ho sempre desiderato
vedere una
casa infestata!-
-Al massimo sono infestate dalle termiti-
-Parli come se vedessi i veri fantasmi.-
-Eh…-
-Stai dicendo che li vedi davvero?!-
Ichigo strinse i denti, guardando verso l’alto. In
un’altra situazione avrebbe
guardato in basso, ma lì c’era Rukia.
–Non l’ho detto!-
-Ma non lo hai negato, cretino! Sarebbe una cosa incredibile!-
-Non c’è niente di speciale.-
Scrollò le spalle. Era ridicolo, era la prima persona che ci
credesse davvero.
Tutti nella famiglia li vedevano, tranne il vecchio.
–È solo una seccatura, spesso, se si accorgono di
essere visti ti si attaccano
ed è una
cosa che dà solo problemi.-
Rukia rimase qualche secondo zitta, a fissarlo. Di solito lo fissavano
come una
cavia da laboratorio in questi casi, ma lei sembrava stesse pensando ad
altro.
-Stai dicendo che dove stiamo andando non c’è
nulla?-
-Ci sono passato davanti un paio di volte… mai visto nulla
di strano.-
Un ghigno si allargò sul volto della ragazza. Gli
pungolò un gomito nel fianco,
guadagnandoci un’occhiataccia.
–Questo non vuol dire che dobbiamo dirlo agli altri, no?-
Fece un cenno con la testa verso Keigo, che camminava impettito in
testa alla
fila. Ichigo capì al volo, e sorrise, anzi
sghignazzò a sua volta.
–Bhè, vogliono tanto i fantasmi…-
Keigo era l’unico che non aveva riso, mentre raccontavano al
signor Urahara
quello che era successo quella volta. Anzi, aveva ciondolato tutto il
tempo con
l’aria da martire, per poi interrompere ogni tanto con
sceneggiate
tragicomiche.
-Non c’era assolutamente bisogno di fare tanto!-
-Ma come, sembravi così gasato all’idea di entrare
in una casa infestata…-
Rukia era ancora dietro che rideva, mentre tutti gli altri ghignavano
all’indirizzo di Keigo. Tatsuki tirò una pacca
sulla spalla di Ichigo.
–Avete fatto un gran lavoro a terrorizzare questo pagliaccio,
sappiatelo.-
Alla fine uscirono dall’emporio, ognuno con la propria cena.
Si diressero poi
chiassosamente verso il parco, dove stesero un telo uscito fuori dalla
borsa di
qualcuno, sotto un grosso albero. Era strano godersi la pace,
l’idea che da
quel momento, almeno per un poco, sarebbero stati liberi da obblighi
scolastici, dai ritmi delle lezioni, dall’incombenza dei
compiti. La vita da
“studenti” era finita. Era questo che pensava
Rukia, seduta con la schiena
contro l’albero, in silenzio. Ascoltò gli altri
che parlavano, e le fu un poco
di conforto sapere che non era l’unica ad avere le idee
chiare. L’unica
fermamente certa di quello che avrebbe fatto era Tatsuki, decisa ad
intraprendere la strada dello sport a livello agonistico. Ichigo le
aveva
raccontato che era stata in grado di arrivare seconda ai nazionali con
un
braccio ingessato, non c’erano dubbi che non potesse seguire
il suo sogno. Lei
invece non sapeva nemmeno cosa sognasse. Era deprimente,
così come l’idea di
non avere nessun obbiettivo. Quello che la deprimeva ancora di
più era il fatto
che presto o tardi ognuno sarebbe sceso lungo la sua strada. E lei
invece…
Si girò ad osservare Ichigo, l’unico oltre a lei a
stare in silenzio, per conto
suo, un’espressione abbattuta sul volto. Non lo aveva mai
visto con una faccia
simile. Si staccò dall’albero per accostarsi a lui.
–Ichigo?-
Rimasero parecchio a parlare, solo loro due. Rukia tirò
fuori tutto, la sua
preoccupazione, il terrore di dover scegliere cosa fare senza sentirsi
realmente pronta, l’angoscia, e ciò che le aveva
detto quella mattina il
fratello. Si sarebbero trasferiti di nuovo, si sperava questa volta in
maniera
definitiva. Aveva finalmente ottenuto l’ultima promozione,
che però richiedeva
che si trasferissero molto più all’interno del
Giappone, nel cuore pulsante
della capitale. Rukia disse quasi tutto guardando in basso, temendo che
la sua
espressione rivelasse più del dovuto. A causa dei continui
trasferimenti non
era mai riuscita a stringere vere amicizie, la prima volta che aveva
trovato
veramente qualcuno era lì, in quella scuola, in quel
quartiere, con quelle persone.
E ora, l’idea di dover rinunciare a vederle tutti i giorni,
di non sapere dove
sarebbero andati, di non poter semplicemente perdere tempo con loro, le
stringeva il cuore.
Perché le cose dovevano cambiare, perché non
potevano rimanere sempre le
stesse, in quell’equilibrio che si era stabilito in pochi
mesi, ma che era
diventato saldo e stabile?
Era tanto presa dal fiume di parole che, ormai prive di ogni diga,
avevano
preso a scorrere, dopo giorni, mesi di reclusione nel suo cuore, che
quando una
mano le calò sulla spalla sobbalzò. Ichigo non
aveva cambiato espressione, ne
tanto meno la guardava in faccia, ma faceva sempre così, no?
Quel suo
atteggiamento, sempre lo stesso era confortante. Qualcosa che non
sarebbe
cambiato da lì a poco.
Da quel momento in poi fu Ichigo a parlare ininterrottamente. La prima
cosa che
disse, fu ricordarle il significato del suo nome. Rukia già
lo sapeva, e lo
guardò perplessa, non capendo dove voleva arrivare.
Ci volle molto tempo, anche dopo quella serata, perché Rukia
capisse il senso
di ciò che Ichigo le aveva detto. E altro tempo ancora
perché potesse metterlo
in pratica. Ma sapeva che era la cosa giusta, che il ragazzo le aveva
dato il
miglior consiglio possibile.
Trova qualcosa per cui valga la pena vivere, qualcosa da proteggere in
ogni
caso, in ogni evenienza, indifferentemente da cosa accada. Se
è qualcosa –o
qualcuno- che valga davvero tutto ciò, ne sarai felice,
qualunque sia l’esito.
O almeno, convinciti che sarà così, anche se
presto o tardi finirà, tieni a mente
cosa ne hai guadagnato, cosa hai imparato.
Ichigo aveva detto che avrebbe cercato di pensarla sempre
così. Rukia decise
che avrebbe fatto lo stesso.
~
Rukia si fece spazio fra la folla alla stazione, sgomitando
disperatamente. In
tre anni non era cresciuta minimamente! Era davvero scomodo essere
così bassi!
–Permesso, scusi, permesso!-
Quando aveva notato quella persona in mezzo alla folla era rimasta
quasi un
minuto a rimuginarci su, confusa. Non era sicura che fosse lui. Ma
l’entusiasmo
per quell’incontro casuale aveva preso il sopravvento,
così Rukia aveva finito
con il correre in mezzo alla folla.
Alla fine, non riuscendo ad avanzare più di così,
si alzò sulla punta dei
piedi, prendendo fiato e pregando di non fare una figuraccia. Ma un
simile
colore di capelli era inconfondibile.
-ICHIGOOOO!-
La persona con i capelli arancioni si girò di scatto, e
sembrò non vederla
finché lei non agitò il braccio, sovrastando a
malapena le teste della gente
intorno a lei. Alla fine fu Ichigo a raggiungerla. Era proprio lui,
solo
qualche centimetro più alto e con un po’ di
occhiaie, e i capelli un poco più
lunghi. Quando finalmente la vide, sorrise con aria sorpresa, come se
non
credesse davvero di vederla lì.
Quello che si dissero in seguito, in gran parte si perse nel caos della
stazione, nel rumore di voci che si sovrastavano una
sull’altra, della gente
che correva e dei treni che partivano ed arrivavano sferragliando. Era
incredibile, per Rukia, ascoltare dopo tanto tempo, e ancora di
più sapere
quello che Ichigo aveva fatto. Un anno intero all’estero, e
fra tante
università, proprio lingue e letteratura straniera. Il suo
amico sembrava
deciso a diventare professore, e stranamente lei lo vedeva
perfettamente in
quel ruolo.
Scoppiò a ridere, all’idea che proprio Ichigo,
sempre visto come una “mela
marcia” unicamente per il colore dei capelli, tra
l’altro naturale, diventasse
un professore.
–Credo proprio che sarai il tipo di professore che gli
studenti stimeranno,
decisamente!-
Ichigo non fece in tempo a risponderle, che un annuncio delle prossime
partenze
lo distrasse.
–Il treno! ‘ccidenti, rischio di
perderlo!-
Si cacciò la mano in tasca, estraendo frettolosamente una
penna e frugando in
cerca di un foglietto. Nel giro di pochi secondi scribacchiò
qualcosa, per poi
metterle il foglietto in mano.
-Il numero!- urlò, mentre cominciava a correre verso il
binario, il borsone in
spalla e Rukia che lo seguiva.
-Il mio vecchio cellulare ha fatto una brutta fine due anni fa, e ho
perso
tutti in numeri, ecco perché non sono riuscito a contattare
più nessuno!-
Raggiunsero il binario, Rukia completamente senza fiato. Lui si
girò e le diede
un colpetto sulla testa prima di salire sul treno.
–Fatti sentire, anche Tatsuki e gli altri ne saranno
contenti.-
Senza più una briciola d’aria nei polmoni Rukia
annuì, un sorriso stanco, ma
felice sul volto. Ichigo saltò sul vagone, per poi girarsi e
urlare sul fragore
delle porte che si chiudevano.
–Voglio sapere che hai fatto in tutto questo tempo!-
Il sorriso di Rukia si allargò ancora, mentre salutava e
guardava il treno
partire. Non aveva fatto poi molto in quei tre anni, ma aveva capito
molte
cose.
Si sentiva un poco inferiore, lei che aveva deciso di andare ad
un’accademia
privata d’arte. Non aveva dovuto lavorare duramente quanto
lui per ottenere
qualcosa.
Ma sapeva quello che voleva proteggere, e sapeva che sarebbe andato
tutto bene,
ora ne aveva la prova. Strinse il bigliettino che aveva in mano, come
se
temesse che le sfuggisse fra le dita. Anche quello era un piccolo
frammento del
puzzle che aveva composto in tutto quel tempo, a fatica e con pause
lunghissime, ma senza mai perdere la speranza. Mentre il treno spariva
completamente dalla sua vista, solo una cartaccia svolazzante e il
rombo lontano
a provarne il passaggio in quella stazione, Rukia pensò che
aveva fatto bene a
non dire “Sayonara”.
Perché il rumore del treno era troppo forte, e la sua voce
non l’avrebbe mai
superato, e soprattutto, perché quello non era affatto un
addio. Infilò con cura
il biglietto nel portafoglio, per poi tornare a camminare verso la sua
destinazione originaria. C’erano molte persone che doveva
ringraziare, ed era
ora di iniziare a farlo.