Autore: Ayumi Yoshida
Titolo: Felicità
Fandom: Fullmetal Alchemist
Citazione scelta: La felicità
annebbia il cuore
Personaggi e Pairing: Edward e
Alphonse Elric, Winry e Pinako Rockbell, Ed/Win
Genere: angst, introspettivo,
sentimentale
Rating: giallo
Beta-reading: sì
Avvertimenti: one shot
Note ed eventuali dell'autore: Personalmente
vedo questa fic come una sintesi della
citazione che ho usato e che adoro (la
felicità annebbia il cuore), ma soprattutto della visione di Goethe
esplicata nel suo Werther e di Verga.
Insomma, si tratta di angst e introspezioni
a palate. Forse non avrei dovuto leggere Goethe durante la
stesura della
fic. XD Sperando che questo non ti abbia scoraggiata, spero che la fic
risulti
una piacevole lettura. Le altre note dell’autore sono alla fine della
fic. ^^
Introduzione: “
Tornerò
a casa da solo.
Dopotutto non siamo mai stati più di due davanti alla tomba della
mamma.”
~
Felicità
Mamma,
ho paura. Il terrore mi sta schiacciando. So, sento che non riuscirò a
riportare ad Al il suo corpo. Il buio mi terrorizza. Rivedo te, il tuo
funerale, la sera in cui Al ha perso il suo corpo a causa mia e sto
male.
L’angoscia mi divora. Ho paura, mamma, e non posso dirlo a nessuno. Non
voglio
che qualcuno si preoccupi per me. Sono la causa di tutto e voglio che
tutto gravi
su di me.
Edward è triste. Winry
glielo legge negli
occhi e si sente male. Non aveva quello sguardo dalla sera in cui ha
perso un
fratello, una gamba, un braccio. La nausea spinge contro il suo
stomaco. E’
piccolo, troppo per sopportare solo il peso dell’amore che l’ha portato
a
rivolere sua madre indietro. E’ sempre stato così, lui, ha sempre
voluto fare
tutto da solo, ma questa volta non ce la farà. E’ il cuore che martella
nel
petto di Winry a dirglielo, e glielo rivela senza che lei lo voglia.
Ormai non
può più nasconderlo.
Una leggera brezza
soffiava nelle campagne
di Resembool, frigida abbastanza da permettere ad Edward di godere del
calore
del sole senza sudare. Disteso appena lontano da casa Rockbell sotto un
grande
albero, egli fissava i rami verdi d’estate al di sopra della sua testa.
I suoi
occhi erano vuoti, come sempre da quando era ritornato a Resembool per
riposarsi un po’ dopo l’ennesimo viaggio e prima di ripartire. Non
riusciva a
riempirli di nessuna scintilla, di nessuna emozione. Non gli provocava
soddisfazione giocherellare con Den, sempre gioioso ogni volta che lo
rivedeva,
o il sorriso che scorgeva sui volti di zia Pinako e di Al, contento di
essere
di nuovo a Resembool. Non lo rincuorava scorgere i bagliori dorati dei
capelli
di Winry ovunque attorno a lui, non lo rallegrava poter respirare di
nuovo
l’aria rustica di casa. Quella
quotidianità forzata, promessa a Winry tanto tempo prima, riusciva
ad
opprimerlo ancor più di quanto facesse il suo viaggio continuo alla
ricerca del
corpo di Al: dopo due anni di movimenti incessanti, la stanchezza, la
disperazione, la volontà di arrendersi incominciavano a farsi sentire.
Spingevano
contro la pelle del suo cranio ricolmo di nozioni, di nomi, di ricordi,
di sentimenti
e lottavano ferocemente contro la sua personalità instancabile. Il suo
essere
fermo e deciso non voleva assolutamente fermarsi, ma la paura di non
farcela lo
stava sfiancando senza possibilità di ripresa. Doveva riuscirci, doveva
trovare
il corpo che ha sottratto ad Al, a costo di morire di terrore. Ma prima
doveva
restituire a suo fratello il suo corpo. I suoi pugni stretti tanto da
fargli
male furono sfiorati da un tocco caldo, morbido; sembrava il vento.
Edward si
voltò e scoprì che in realtà si trattava di Winry. Le sue mani non
erano mai
state così delicate, se non quando maneggiavano il suo automail, ma non
era la
sua mano meccanica che la ragazza stava sfiorando. I suoi occhi
cristallini
celavano una tempesta sofferta, ma non vacillavano. L’alchimista si
sentì quasi
intimorito dalla sicurezza che poteva leggervi.
“Winry, cosa diavolo
stai…?” le chiese,
dubbioso, ma la ragazza non batté ciglio, anzi, strinse la presa sulla
sua mano
e lo fissò con occhi penetranti.
“Ed.” scandì lentamente.
La sua presa si
strinse e il suo volto si avvicinò a quello del ragazzo, tanto da
sentire il
suo respiro farsi pesante e difficoltoso. I suoi occhi si infiammarono.
“Che
cos’hai Ed? Da quando sei tornato te ne stai sempre da solo, non parli
per
niente! Io e Al siamo preoccupati… Ti prego, Ed, rispondimi!”
Edward sentì il suo cuore
fermarsi per
qualche secondo, poi ricominciare a battere. Sbuffando allontanò la
mano da
quella di Winry.
“Non è successo niente,
Winry.” disse
meccanicamente, continuando a fissare i rami sopra di lui. “Mi hai
fatto
prendere un colpo, cavolo.”
Le labbra arricciate e gli
occhi socchiusi
per il fastidio, non la degnava di alcuna attenzione. La ragazza,
ancora
immobile accanto a lui, si sentì tremare tutta per la rabbia. Con le
ginocchia
che sprofondavano nel terreno, a carponi colmò l’ultimo mezzo metro di
spazio
tra di loro e scoppiò a piangere, infuriata. Edward la guardò senza
sapere cosa
fare, sbattendo le palpebre scombussolato.
“Winry, cosa-”
“Sei un dannato cretino!” cominciò a strillare lei, la voce
irriconoscibile, più
alta di moltissime ottave. Non si preoccupava neppure di coprirsi gli
occhi per
celare le lacrime che, ormai, le bagnavano completamente le guance. “Tu
e
questa tua mania di fare tutto da solo! Non sai che non sei solo? Io,
Al, la
nonna… secondo te perché ci siamo? Sei un cretino!”
Edward digrignò i denti,
risentito. Si era
accorta di tutto soltanto guardandolo negli occhi.
“E questo cosa c’entra?”
urlò a sua volta,
per ribattere tono su tono “Ti ho detto che non è successo nulla!”
“Invece sì!” La voce di
Winry era rotta
dalle lacrime e il ragazzo non riuscì più a rispondere. Ella alzò gli
occhi
abbassati poco prima e lo fissò per l’ultima volta, perforandogli la
mente. “So
che stai male, me lo sento qui.” Il
cenno della sua mano verso il cuore fu appena visibile, perché
l’alchimista si
sentì offuscato, annebbiato dalla sua voce. “Non fingere con me, Ed, ti
prego.”
Le ultime parole di Winry
furono deboli,
smorzate dal viso di Edward che crollò tra le sue braccia distrutto,
esanime,
bevendo tutte le sue lacrime.
Mamma,
ho capito che posso anche non soffrire da solo. Anche se tutta la colpa
di ciò
che è accaduto è mia, avere un paio di spalle accanto alle mie che mi
accompagni
non mi sembra più qualcosa di sbagliato. Quelle di Winry sono così
calde e
accoglienti… Scommetto che lo sapevi già, non è vero, mamma? Mi sento
vivo,
leggero. Che sia giunta finalmente anche per me la felicità?
Da qualche giorno le mani
di Ed e di Winry
sono in ogni momento intrecciate, e Al non può che esserne felice. Sul
volto di
suo fratello è ricomparso il sorriso e la sua vitalità è tornata a
farsi
sentire in casa Rockbell. Litiga con la zia Pinako, respinge
categoricamente il
latte, intavolando discorsi lunghissimi e senza senso per dare
motivazioni
valide al suo rifiuto, cerca di schivare milioni di chiavi inglesi che
Winry
gli lancia per forza d’abitudine, ride come un matto ai racconti di
giovinezza
della vecchia zia, attirandosene le ire furenti. Finalmente è di nuovo
lui.
Combatte con suo fratello, litiga con Winry, sorride, vive.
“Sai, Winry,” esordì
Edward all’improvviso
“qualche ora fa stavo pensando…”
La ragazza, distesa al suo
fianco sotto
quell’albero che ormai era diventato il loro, sorrise.
“Stavi pensando? Però! E’
stato per caso
dopo che ti ho lanciato quella chiave inglese?” gli domandò,
canzonatoria.
“No, prima.”
ribatté lui, offeso. “Se fosse capitato dopo, dubito che sarei riuscito
a fare
qualcosa. Mi disintegri ogniqualvolta uno di quegli aggeggi infernali
mi colpisce!”
Winry scoppiò a ridere
come non mai e
continuò senza fermarsi per qualche minuto mentre il ragazzo,
l’espressione
ancora indispettita, smetteva di guardare le nuvole che riempivano il
cielo
quella mattina e si voltava su un fianco per poterla guardare meglio.
Quando
lei se ne accorse, smise di ridere immediatamente. Il viso di Edward
era
ritornato serio come non lo era più da qualche giorno.
“’Che
cos’è la felicità?’ E’ questo che stavo pensando, Winry.” rivelò
finalmente
prendendole una mano e stringendola per alzarla verso il cielo. “Che
cos’è, per
te, la felicità?”
La ragazza, sorpresa da
quella strana
domanda, sbatté piano le palpebre e per un attimo il suo sguardo
concentrato
vagò sul volto di Edward senza vederlo; poi sorrise piano.
“E’ soltanto una parola.”
affermò
lentamente, catturando completamente l’attenzione dell’alchimista. I
due
restarono in silenzio per un po’, guardandosi negli occhi, ma
improvvisamente
Winry ricominciò a parlare.
“E’ soltanto una parola,
ma prende vita
davvero quando ci sei tu al mio fianco. Non importa per quanto tempo,
per quale
motivo o dove. Se tu non ci sei, la felicità per me non esiste.”
Imbarazzata, distolse lo
sguardo da quello
del ragazzo e lo volse al cielo. Edward, all’improvviso, si sentì la
testa
formicolare, il cuore annebbiarsi e, senza minimamente pensarci, la
attirò a sé.
Chiuse gli occhi.
“Ed…?” mormorò la ragazza,
esitante; lui la
sentì appena, completamente preso da quel vortice latteo che, come una
tormenta, infuriava nel suo petto.
“Sei una scema.”
“Cosa?”
Senza capire come avesse
fatto, in due
secondi netti il ragazzo vide una chiave inglese troneggiare, alta al
cielo,
nella mano di Winry. Deglutì piano.
“Ripetilo!” esclamò la
ragazza fuori si sé,
facendo dondolare l’attrezzo da lavoro sopra la testa dell’alchimista e
cercando contemporaneamente di allontanarsi da lui. Nonostante stesse
impiegando tutta la forza che aveva, non riusciva a smuovere quelle
braccia
neppure di un millimetro dalla propria schiena. Dirle quelle cose che
dopo che
lei aveva aperto il suo cuore! Arrabbiata, digrignò i denti e sibilò:
“Sei
morto!”
Edward, con un gesto
semplice, la costrinse
ad alzare gli occhi infiammati sul suo viso e, improvvisamente, unì le
labbra
alle sue. La chiave inglese scivolò sul terreno con un tonfo appannato.
Winry,
la palpebre spalancate, inquadrò gli occhi del ragazzo: erano limpidi,
non vi
era traccia di malinconia, semmai di impaccio. Felice, chiuse gli occhi
e sentì
davvero le sue labbra in quel momento che da piccola aveva sognato
tante volte.
Il loro primo bacio.
Stretti una all’altro, il
ragazzo sentiva
le proprie guance gonfiarsi sempre di più a causa di quella strana
nebbiolina
nel petto sotto la spinta della quale aveva compiuto mille
ridicolaggini e
azioni schifose e patetiche che, però, lo facevano sentire stranamente
bene.
Pensoso e leggermente a disagio, nonostante tentasse di nasconderlo,
fissò
Winry che, a differenza sua, non era riuscita a dissimulare nulla: le
sue
guance erano liberamente rosse e i suoi occhi vagavano qua e là sui
rami che li
sovrastavano.
Edward non sapeva cosa
dire. Continuò ad
ascoltare gli uccelli che pigolavano nei campi lontani, perso nei suoi
pensieri;
fu Winry a interrompere quella tranquillità con la stessa domanda che
lui
continuava a porsi da giorni.
“E per te, Ed, che cos’è
la felicità?”
La ragazza lo guardò
incuriosita, ma lui si
limitò a sospirare con un battito di ciglia.
“Non riesco ancora a
capirlo, Winry.”
replicò come rassegnato “Ma vorrei tanto che fosse questa.”
Le strinse una mano e lei
sorrise.
Finalmente tutto andava bene.
Mamma,
che cos’è la felicità? Se non troverò una risposta, non potrò mai
capire se per
me essa sia davvero arrivata e si sia fermata. Vorrei tanto poter
rispondere, ma,
non so perché, non ci riesco. Sono certo che tu sapresti aiutarmi.
“Fratellone, che ne dici
di andare a
trovare la mamma più tardi? Da quando siamo arrivati non ci siamo
ancora
andati.”
La voce di Alphonse si
spegne lentamente,
colpevole, quando egli si accorge che suo fratello, il cucchiaio ben
saldo
nella mano, è come paralizzato, abbassati di scatto gli occhi sul
piatto di
minestra che sta mangiando. Winry interviene subito, trasformando la
preoccupazione che l’ha attanagliata in un momento in un sorriso: “Sì,
dai,
andiamoci tutti insieme! Voglio venire anch’io. E’ da un po’ che non
faccio
visita a zia Trisha.”
“Ok” mormora Edward atono,
ricominciando a
mangiare. “Prima però dobbiamo prendere dei fiori.”
Edward, Alphonse e Winry
camminavano da
circa mezz’ora, e il minore dei fratelli Elric non riusciva a smettere
di ridere
ai racconti che la sua amica snocciolava allegramente senza pause. Il
più
grande, invece, camminava lentamente, le mani unite dietro la schiena,
trascinando i piedi a fatica in silenzio. Talvolta Winry si
interrompeva per
lanciargli un’occhiata impensierita e Alphonse faceva lo stesso, ma
poi, per
non farsi scoprire, ricominciavano a parlare senza fermarsi. Nulla,
comunque,
era cambiato lungo la strada: Edward aveva sempre la stessa
espressione, gli
stessi occhi vitrei della mattina, sbiaditi solo da un velo di bufera.
Davanti
alla lapide di Trisha, immediatamente Winry tacque, sentendosi gli
occhi già
lucidi.
Una leggera brezza calda
soffiava da sud,
trasportando tutto il profumo dei frutti dei campi, nonostante ciò i
due
fratelli si sentirono rabbrividire dentro. Edward strinse forte i
pugni,
continuando a fissare, raccolto, la lastra con l’incisione del nome
della
madre, e abbassò la testa. Erano trascorsi più di due anni, ma la loro
situazione non era cambiata: a lui mancavano ancora un braccio e una
gamba,
Alphonse non aveva il suo corpo ed era costretto sentire rumori
metallici ogni
volta che muoveva un passo. Solo a guardare quella tomba si sentiva
mancare
l’aria, schiacciare dalla paura e dall’inquietudine di non farcela,
come ormai
non accadeva più da quella mattina in cui aveva capito che Winry per il
suo
cuore era più che un’amica di infanzia: era il suo sostegno, la sua
forza, la
sua pace nei momenti in cui la sua anima e il suo cervello prendevano
le armi
per farsi guerra, anche se si sentiva patetico ad ammetterlo. Per
questo
motivo, sebbene non desiderasse che stringere la sua mano, si trattenne
e voltò
gli occhi dalla parte opposta al volto della ragazza, malinconico come
non mai.
“Zia Trisha,” mormorò la
ragazza all’aria,
chinandosi in ginocchio sulla lapide “come va?”
Edward, sconvolto, si
voltò di scatto verso
di lei.
“Cosa cavolo stai
facendo?” sbottò, furioso
“Non ti rendi conto che stai parlando da sola? Stupida!”
“Non sto parlando da
sola!” ribatté lei,
risentita. Chinando la testa, sfiorò con le dita la pietra ormai calda
per il
sole al tramonto e congiunse le mani, trattenendo le lacrime. Edward,
al suo
fianco, continuava a mordersi a sangue le labbra pur di non tradire
alcuna
emozione, ma lei già sentiva tutto il suo dolore e la sua disperazione
riaffiorare.
“Al!” chiamò allora con
voce secca
“Andiamo.”
Il più piccolo si era per
tutto il tempo
tenuto in disparte, due o tre passi dietro Winry e suo fratello,
ascoltando,
senza dire nulla, i loro discorsi e stringendo forte un mazzolino di
fiori che,
con il trascorrere dei minuti, gli sembravano sempre più piccoli e
privi di
significato. Solo allora parlò e la sua voce suonò stranamente atona,
nonostante i toni della conversazione fossero stati fino a quel momento
piuttosto
accesi.
“No, tu resta qui con
Winry. Tornerò a casa
da solo. Dopotutto non siamo mai stati più di due davanti alla tomba
della
mamma.”
Edward lo guardò
strabuzzando gli occhi.
“Ma cosa…”
“Ci vediamo dopo.” si
congedò e,
silenziosamente, riprese la via di casa. Persino il rumore metallico
della sua
armatura sembrava essersi spento.
“Ma cosa diavolo gli è
preso?” boccheggiò
il ragazzo, irritato, allargando le braccia con stizza. Winry, ancora
prostrata
sul terreno davanti alla lapide, sentì la determinazione di seguire
Alphonse e
trascinarlo davanti a suo fratello per fare pace e poi prenderli a
schiaffi
entrambi svanire velocemente. Non poteva farlo.
“E’ colpa mia.” mormorò
piano “Ho occupato
il suo posto, non avrei dovuto. Non ti arrabbiare con Al, ti prego!”
Edward abbassò lo sguardo,
cercando di
capire cosa stesse succedendo, perché tutto sembrava sempre più
tremendamente
difficile. Improvvisamente, sentì che la ragazza gli stava stringendo
la mano
con la sua: di nuovo una strana nebbiolina bianca lo invase, offuscando
la sua
sofferenza. Finalmente ritornò a respirare.
“Non volevo che potessi
riprovare quello
che hai sentito quando sei arrivato a Resembool due settimane fa, per
questo ti
ho accompagnato.” disse Winry lentamente “Mi dispiace.”
“Non è colpa tua.” affermò
lui, sicuro
“Sono certo che Al mi stia nascondendo qualcosa.”
“Lo stesso posso dire di
te.”
“Che vuoi dire?”
La ragazza girò la testa e
lo guardò,
penetrante.
“Te lo chiedo di nuovo,
Ed.” gli disse
lentamente, cercando di non mostrarsi spazientita “Non fingere con me,
ti
prego.” I suoi occhi avevano di nuovo indovinato ogni cosa.
L’alchimista scostò
i suoi per non farvi leggere frustrazione.
“Non sto fingendo.” si
schermì, tanto
convinto che per un momento credette alle sue stesse parole.
“Bugiardo!”
Senza che neppure
riuscisse a sfiorarlo con
le braccia, Winry vide i suoi occhi cambiare lentamente espressione.
Avrebbe
voluto abbracciarlo, stringerlo a sé, ma le sue labbra erano state più
veloci e
si erano unite a quelle del ragazzo senza esitazioni nel loro secondo
bacio per
scacciare via da lui ogni traccia di amarezza. Più il loro bacio
diventava
intimo, desiderato, più quella nebbia di cui Edward era sempre più
preda
cresceva nel suo petto, mandandolo su di giri, sconvolgendolo per
l’ascendente che
la ragazza riusciva ad avere su di lui.
Era
davvero quella la sua felicità? Con Winry si sentiva bene
sempre.
Mamma,
voglio rispondere a quella
domanda. Sì, è arrivata anche per me la felicità. Mi sento ridicolo
anche solo
a pensarlo, ma la mia felicità è lei.
Solo con Winry riesco a sentirmi vivo, leggero. Non importa se
litighiamo, se
mi abbraccia o se mi bacia, con lei la paura, la preoccupazione
sembrano passate.
Non mi sentivo così da molto tempo, ormai.
“Pronto? Casa Rockbell.”
“Buongiorno, sono il tenente Hawkeye, chiedo scusa per il disturbo. Sei
tu,
Winry?”
“Sì, buongiorno tenente.
Ha bisogno di
qualcosa?”
La voce di Winry è
preoccupata, quasi
angosciata e la donna dall’altra parte del telefono lo comprende
immediatamente.
“Sì.” afferma, esitando
per un attimo, ma
la sua voce non si piega e subito riprende: “Ho bisogno di parlare con
Edward.”
“Ed adesso non c’è.”
replica piano la
ragazza, ma il suo cuore aumenta i battiti ad una velocità da capogiro
“Se
vuole le passo Al.”
“Va bene, ti ringrazio. Arrivederci.”
“Al! C’è il tenente
Hawkeye al telefono,
vuole parlarti!” esclama Winry con voce strozzata, ma sorridente quando
passa
la cornetta ad Alphonse, taciturno. Ha un brutto presentimento.
Edward e Winry erano
distesi poco lontano da
casa Rockbell, sotto lo stesso albero di sempre. Alphonse non aveva
idea di che
cosa stessero facendo, ma non gli importava di interromperli: aveva
qualcosa di
importante da dire a suo fratello. In compagnia di Den, percorse la
stradina di
terra battuta che si snodava per le campagne e li riconobbe: urlavano
così
tanto che riusciva a sentire tutto ciò che si stavano dicendo.
Battibeccavano,
tanto per cambiare. Con un sospiro, li raggiunse.
“Al!” esclamò Edward,
raggiante, non appena
lo vide. Dall’espressione torva di Winry, Alphonse capì che quella
volta il
litigio doveva essere finito bene per suo fratello, ma la ragazza
sorrise a sua
volta e lo invitò a sedersi accanto a loro. Muovendo i grandi piedi
metallici,
nervoso e incapace di attendere un attimo di più, obbedì e
immediatamente disse
ad Edward che doveva parlargli. Subito Winry si alzò e annunciò che li
avrebbe
lasciati tranquilli, così avrebbero potuto discutere meglio. Il
maggiore degli
Elric era visibilmente contrariato, ma non si oppose alla sua
decisione,
soprattutto perché non aveva più sentito la voce di Alphonse farsi così
seria
da molto tempo.
“Dimmi tutto!” esclamò
Edward con un
sorriso sornione non appena Winry era abbastanza lontana da non poterlo
più
sentire. “Devo ringraziarti, mi hai salvato! Aveva preso a parlare del
fatto
che mutilo i suoi dannati automail e non ti immagini quanto mi stessi
annoiando!”
Alphonse era certo che non stesse dicendo la verità: da quando erano
ritornati
a Resembool quattro settimane prima, ormai suo fratello e Winry erano
inseparabili,
nonostante lei non smettesse un attimo di parlare di automail. Decise,
comunque, di fare finta di nulla e annuì accompagnato da un cigolio
metallico.
“Stamattina ha telefonato
il tenente
Hawkeye” cominciò a raccontargli “per riferirci un messaggio da parte
dell’esercito.”
“Di che si tratta?” domandò Edward, interessato.
“Dice più o meno così:
‘ritornate
immediatamente a Central City. La licenza è finita.’ ”
“Che cosa?!”
L’urlo scandalizzato dell’alchimista d’acciaio rimbombò parecchie volte
nella vallata,
potente come un ruggito. “Come osano
dirci qualcosa del genere? Noi siamo sempre in servizio, per una volta
che
prendiamo una licenza… Scommetto che è stato il colonnello Mustang!”
esclamò,
furibondo per la rabbia. “E’ di sicuro tutta una messinscena
organizzata da
lui!”
“Che cosa hai intenzione
di fare? Ripartiremo
subito, vero?” gli chiese Alphonse, speranzoso.
“Assolutamente no!”
ribatté Edward,
arrabbiato “Non ho intenzione di lasciarlo vincere ancora! Certo, sono
un suo
subordinato, ma non deve permettersi di tra-”
“Puoi tranquillamente dire
che non vuoi
lasciare Winry.” mormorò improvvisamente suo fratello, deluso. In un
momento si
levò in piedi e richiamò a sé Den, che saltellava tranquillo attorno a
loro.
Edward, colto nel segno,
non riuscì a
ribattere nulla. Poté soltanto guardarlo ritornare lentamente verso
casa, per
l’ennesima volta accompagnato solo dalla sua ombra.
Ma perché diavolo si
comportava in modo
così… strano?
“Al!” ansimò senza fiato,
alzandosi di
scatto per inseguirlo. “Aspetta, aspetta, cavolo! Ma cosa diavolo ti
viene in
mente?” La sagoma possente che si stagliava nell’aria a parecchi metri
da lui
si fermò di malavoglia, ma, pazientemente, attese che il ragazzo la
raggiungesse.
“Cosa c’è, fratellone?”
gli chiese Alphonse
con una gentilezza distaccata, algida. Edward sentì un fremito
attraversarlo e,
arrabbiato, gli sferrò un pugno fortissimo sul braccio.
“Che cos’hai tu!”
esplose, inondandolo di rabbia “Ti comporti in modo strano da
quando siamo andati a trovare la mamma! Parla, Al!”
Suo fratello sbatté piano
le palpebre,
senza alcuna espressione. “Voglio soltanto riavere il mio corpo,” svelò
piano,
la voce ovattata da un velo di tristezza “ma mi sembra che tu non
voglia più
continuare questo viaggio.”
L’alchimista sgranò gli
occhi, incredulo.
“Certo che voglio continuarlo!” esclamò, energico, ma Alphonse lo
bloccò con un
cenno della mano.
“Non è vero, non mentire.
Ho capito che non
hai più intenzione di ripartire da qui, che non vuoi lasciare Winry. E’
questo
il problema, non è vero? Ormai hai raggiunto la tua felicità e tutto
quello che
non ti riguarda non conta.” aggiunse freddamente. “Non conta più il
fatto che
scorra nelle nostre vene lo stesso sangue, non conta più la nostra
promessa di
due anni fa. Per te l’unica cosa importante è Winry. Grazie per
l’impegno che
ci hai messo finora, ma proseguirò il viaggio da solo.”
Senza lasciargli il tempo
di dire qualcosa,
il minore degli Elric si voltò nuovamente verso casa e sparì lungo il
sentiero.
Edward, ancora immobile, non riusciva a rilassare il proprio cuore:
batteva,
batteva fortissimo, rischiava di schizzargli fuori dal petto, e non
c’era
traccia di quella nebbiolina bianca che riusciva a rasserenarlo in ogni
momento. Sentiva di nuovo la paura e il fallimento incombere su di lui
come un
animale feroce da cui era sicuro di non poter fuggire. Stringendosi
forte un
lembo della maglietta nera all’altezza della gola, si sentì morire.
Mamma,
ho sbagliato. La mia felicità non può essere questa, perché
non riesco in alcun modo ad immaginare
una felicità come quella che sto vivendo: Al crede che io l’abbia
abbandonato
per restare con Winry. Sì, devo ammetterlo, l’ho pensato. Ultimamente
ho
pensato di lasciare tutto sempre più spesso, ma, se lo facessi, non
potrei in
alcun modo essere felice. Non potrei essere felice sapendo che mio
fratello non
condivide la mia felicità. E’ strano, questo sentimento: l’uomo ne è
costantemente alla ricerca e, quando lo trova, si sente costretto ad
abbandonarlo e a donarlo a qualcun altro per non sentirsi in colpa.
Così mi è
accaduto.
“Winry, Al, zia Pinako,
devo dirvi una
cosa.” esordì Edward all’improvviso, grave. Tutti i cucchiai furono
posati sul tavolo
per smettere di mangiare e il ragazzo si ritrovò gli occhi di tutti,
tranne
quelli del fratello, addosso. Non appena se ne accorse, gonfiò le
guance
irritato.
“Parla pure.” acconsentì
Pinako. Edward
fece un respiro profondo per cercare di calmarsi e cominciò a parlare
precipitosamente: “Dato che il comandante Mustang ci ha fatti chiamare…
e siamo
qui da un po’, insomma, non vorrei che disturbassimo, poi io e Al siamo
fuori
allenamento e non so se… insomma, ripartiamo stasera!” Sorrise
largamente
guardando il volto di Alphonse su cui lo stupore e la meraviglia di
quella
notizia inattesa avevano risvegliato improvvisamente il buonumore.
“Ripartiamo davvero?”
domandò il minore
degli Elric con gli occhi scintillanti.
Suo fratello annuì
energicamente. Solo
allora i suoi occhi incontrarono quelli di Winry e, con timore, li vide
proprio
come li aveva immaginati: tempestosi. Sofferente, girò immediatamente
la testa.
“Sono contenta che
ripartiate.” esclamò la
donna riprendendo in mano il suo cucchiaio e posandolo nel piatto per
metà
vuoto, rivolta all’alchimista “Avevo come l’impressione che vi stesse
rammollendo, tu in particolare!” Egli arrossì leggermente a
quell’allusione, ma
cercò di dissimulare l’impaccio.
“Non mi sono affatto
rammollito!” borbottò,
indispettito, mentre la donna lasciava la cucina con espressione
sostenuta.
Alphonse rise lievemente e
soltanto per
caso il suo sguardo incontrò quello di Winry. Non appena si rese contò
della
tristezza che lo smorzava, sentì un’altra tristezza invadere lui
stesso. Era
diversa da quella che aveva provato per quattro settimane, quando si
era
sentito rimpiazzato da Winry, spodestato da lei: era malinconia,
amarezza per
la consapevolezza di averla resa triste con la decisione di riprendere
il loro
viaggio.
“Mi dispiace, Winry.”
mormorò piano, lo
sguardo addolorato puntato nei suoi occhi. Ella, tremante,
inaspettatamente gli
sorrise.
“Non preoccuparti, Al. Ti
auguro di
ritrovare al più presto il tuo corpo. E’ questo quello che più conta.”
Senza pensarci, si alzò dalla sedia e, di scatto, gli buttò le braccia
al
collo: il suo abbraccio era la dimostrazione di quelle parole che aveva
appena
detto e che, Al lo sentiva, le provenivano realmente dal cuore.
“Non piangere, Winry.” la
pregò allora il
ragazzo, turbato. Fu rassicurato da un cenno del capo tanto deciso che
riuscì a
strappargli un sorriso, il medesimo che ella stessa aveva disegnato in
viso.
“Promettetemi solo di
tornare presto.” si
raccomandò la ragazza “Non vedo l’ora di rivedervi a casa.”
E’ mattino presto, il sole
è appena sorto,
ma tutti sono svegli da un po’ a casa Rockbell. C’è un viavai frenetico
nella
villetta, Edward, Alphonse e Winry scendono e salgono velocemente e più
volte
le scale per finire nel minor tempo possibile i preparativi per la
partenza.
Ognuno si sente triste, malinconico, ma cerca di nasconderlo all’altro,
anche
se è difficile, tremendamente. E’ difficile riempire tasche o valige
sapendo
che una casa sarà lasciata vuota e silenziosa dopo quattro settimane di
vita. Quando tutto è pronto, la risolutezza
di Edward sembra vacillare. Egli indugia fin troppo attorno a Winry,
senza
sapere cosa dire o cosa fare, gli occhi cupi, e suo fratello se ne
accorge. Per
questo gli permette di rientrare in casa per l’ultima volta per
controllare se
hanno preso davvero tutto. E’ soltanto un caso che Winry lo segua con
occhi languidi.
“Avete preso tutto?”
La voce di Winry risuonò
stanca nella
penombra della cucina. Edward lanciò uno sguardo tutto intorno e
sospirò.
“Pare di sì.”
“Allora devi andare.”
“Sì. Mi dispiace, Winry.”
La ragazza gli si avvicinò
e gli sorrise
tristemente. “Non deve dispiacerti. Sapevo bene che sareste ripartiti.
Hai un
viaggio da compiere. Soltanto così potrai capire che cos’è per te la
felicità.”
“Speravo che fosse questa,” mormorò
lui lentamente “ma non mi sembra che lo sia.”
“Lo speravo anch’io.” confessò lei, abbracciandolo. “Però forse lo è
davvero,
forse non riusciamo a capirlo. Forse manca solo un piccolo tassello.
Riporta ad
Al il suo corpo.”
Per l’ultima volta
l’alchimista sentì il
suo petto gonfiarsi e agitarsi sotto il peso di quella foschia bianca,
di
quella felicità disillusa che lo aveva riempito per quattro settimane.
Il suo
richiamo era ancora irresistibile. Poteva ancora decidere di restare.
Poteva
ancora farlo. La sua felicità era ad un passo.
Mamma,
ho capito. Non è la mia felicità ad essere importante. E’ la felicità
di chi mi
sta accanto. Al è felice, adesso, perché è certo che riavrà il suo
corpo e mi
sento felice anch’io. Sono deluso, perché la mia felicità
si è dimostrata ingannatrice: mi
ha annebbiato il cuore e ha reso invisibile ciò che intorno a me era
più importante
facendomi soffrire, finché non me ne sono accorto. Ma io ci credo
ancora, nella
felicità, perché l’ho assaporata. Forse, per costruirla, manca davvero
solo un
tassello e io non posso che cercarlo, qualunque sia il suo prezzo. E’
il
destino di ogni uomo. Solo così potrò essere davvero completo.
“Allora, andiamo,
fratellone?”
“Sì, Al. Abbiamo ancora un
tassello da
incastrare.”
Un ultimo sguardo alla
casa, ai campi in
fiore, ai monti, alle nuvole nel cielo e i due fratelli riprendono a
camminare.
Ormai i loro piedi non calpestano più la terra nativa.
(Fin)
~
Ancora note. XD Comincio dicendo che dovrebbe essere la mia fic di esordio su Fullmetal alchemist e spero, spero con tutto il mio cuore che sia almeno leggibile e che i personaggi siano IC, questo è il mio cruccio. Avrò ricontrollato la loro caratterizzazione ventimila volte. E’ stato un po’ difficile per me muoverli, sicuramente perché era la prima volta, ma anche perché volevo descrivere un Ed impaurito, braccato dal fallimento, schiacciato dal senso del dovere. Spero di esserci riuscita senza andare OOC.
Che altro dire? Nella fic, ho preferito non soffermarmi molto sui perché, sulle motivazioni e sui sentimenti che muovono i personaggi, se non quanto è necessario. Sono convinta che si possa facilmente immaginare quale sentimento li muova, se poi non è così… boh. Tanto io sono la donna delle sperimentazioni durante contest. XD E’ da me scrivere fic incomprensibili e farle partecipare ad un contest. Tuttavia, a differenza dell’ultima fic incomprensibile che ho fatto partecipare ad un concorso, questa mi piace molto. La sento mia. La sua stesura è stata sofferta, lenta, interrotta e ripresa mille volte, ma il risultato mi soddisfa. Spero possa piacere un po’ anche a te. ^^
Ti ringrazio per aver indetto questo splendido contest e per avermi dato la possibilità di scrivere in Fullmetal Alchemist. Un bacio! ^^
Today -23 ottobre 2010
Questo era ciò che scrivevo in calce a luglio, prima dell'invio di questa storia che viene pubblicata in questo momento, dopo 4 mesi. Finalmente abbiamo avuto i risultati del contest a cui ha partecipato (Le sette barriere psichiche) giungendo quinta a parimerito con la splendida storia di NonnaPapera. Non sono tanto convinta della riuscita totale di questa storia, ma mi sembrerebbe un affronto alla cara Aly, la nuova giudicia che si offerta con tanta gentilezza di prendere il posto della vecchia giudice, non pubblicare dopo che ha fatto i salti mortali per darci i risultati in un tempo brevissimo.
Ti ringrazio, quindi, di cuore, Aly, per la tua immensa gentilezza e per le belle parole che hai speso per questa fic. Io non ho molto altro da aggiungere, tranne che era mio desiderio scrivere una fic che parlasse di questo argomento. Sperando che vi sia piaciuta, vi ringrazio per aver letto e per qualunque parere, positivo o negativo che sia, purché costruttivo, che vorrete lasciarmi.
Rinnovo anche con piacere i complimenti alle altre partecipanti al contest, con cui abbiamo condiviso, senza quasi accorgercene, ben 4 mesi.
Grazie, infine, ma non perché sia meno importante, a Sonia, perché è la mia beta e la mia consigliera instancabile. (<3)
Alla prossima,
Ayumi
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