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Autore: _Ella_    31/10/2010    4 recensioni
Contro il destino non si può lottare, lo so perfettamente ma si può benissimo farlo arrivare più lentamente. Rallenta il battito, Icaro, i raggi della morte ti bruceranno dopo. Fa come ti dico caro e, credimi, raggiungerai il tuo scopo.
Genere: Dark, Poesia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Deathless Love

La sfida.

 

Rigirava la matita fra le mani, guardandola con interesse quasi scientifico, mentre il resto della sua classe era troppo impegnata a discutere della festa per accorgersi di lui. In realtà di lui non si accorgevano quasi mai. Odiava stare a scuola, avrebbe preferito mille volte studiare a casa con degli insegnanti privati, anche perché così avrebbe potuto sfruttare al massimo il suo potenziale intellettivo. No, semplicemente avrebbe voluto stare a casa per stare davvero solo.
Sospirò ancora, annoiato, cominciando a picchiettare sul banco.
Sentì una mano poggiarsi sulla spalla e si girò indietro, trovando la faccia sorridente di suo fratello maggiore. Non aveva nemmeno la più pallida idea di cosa ci facesse in classe sua. Scrollò le spalle, rigirandosi avanti, già era impossibile per lui sopportarlo a casa, figurarsi avercelo anche nella stessa classe!
Lo ignorò, cominciando a scarabocchiare sul foglio bianco. Ultimamente faceva sempre lo stesso sogno… o meglio, sognava sempre la stessa persona. Scosse la testa, anche perché da un po’ di tempo a quella parte si svegliava di notte piangendo, quando smetteva di sognare.
-Che ci fai qui?-
Chiese, dopo essersi ricordato che suo fratello era lì ad aspettare che lo degnasse di uno sguardo; a volte non capiva che avrebbe preferito che lo lasciasse in pace.
-Lo sai che quando si festeggia si fa quello che vuole- sorrise Sora.
Gli veniva la nausea, sorrideva sempre. Bhè, avrebbe sorriso anche lui se non avesse capito che la vita faceva schifo. In effetti però aveva ragione, perché in quel posto tutti erano troppo buoni e lasciavano correre molte cose. Se avesse voluto, se ne sarebbe anche potuto andare a casa. È un idea, dopotutto.
Buttò la matita e il quaderno nella tracolla sformata, si infilò distrattamente il giubbino ed uscì dalla classe, senza nemmeno avvisare il professore. Dopotutto, qualsiasi cosa avrebbe fatto, sarebbe rimasto sempre e solo il responsabile e studioso Roxas. Persino la sua descrizione era noiosa.

 

Era tutto buio, camminava sulle strade bagnate e fredde, le poche luci che c’erano illuminavano il cartone di qualche barbone che cercava di ripararsi dal freddo come poteva. Lui si stringeva nel suo giubbino, la sciarpa che gli circondava la gola, le orecchie gelide dovevano essere rosse come la punta del naso. Sembrava non esserci un rumore, oltre allo scalpiccio delle sue scarpe da ginnastica.
Infilò le mani livide nelle tasche e svoltò l’angolo, senza prestare attenzione a nessuno, ignorando chi gli rivolgeva la parola. Aveva molto coraggio – oppure era molto stupido – per essersi ‘addentrato’ nel dimenticatoio delle Destiny Island.
Omicidi, sesso, droga. Era tutto all’ordine del giorno. A volte si era trovato a pensare  – nonostante fosse un tipo molto tranquillo, responsabile e forse anche schizzinoso – che quella vita sarebbe stata perfetta per lui. Rise, scettico. Come al solito pensava un mucchio di stronzate.
Il lampione illuminava solo ad intermittenza ed era persino l’unica fonte di luce, ma i suoi occhi sembravano abituati al buio, come quelli dei gatti. Si fermò un attimo di fronte al cancello, poi lo aprì e quello cigolò sinistramente, spezzando alcune rampicanti secche che erano intrecciate con le sbarre metalliche del cancello.
Da lontano si sentiva il rumore delle onde del mare che si infrangevano violente sugli scogli. Era l’unico rumore, adesso. Camminò seguendo la via fatta di sassi che si incastravano tra loro, dai quali spuntavano dei piccoli ciuffi d’erbaccia.
Le ombre di quei pezzi di pietra posati sul prato facevano comparire visi mostruosi nell’erba ormai secca e malandata, i rami degli alberi erano curvati verso il basso, trasformandoli in braccia rinsecchite che erano pronte ad afferrare qualsiasi cosa. Sembravano tanto deboli, ma avrebbe scommesso che sarebbero stati capaci di spezzargli le ossa. L’ululato del vento sembrava un lamento instancabile, raccapricciante.
Si fermò, una volta arrivato vicino un arco, ricoperto di rampicanti rinsecchite, che rendevano tutto ancora più vecchio. Abbassò lo sguardo sulla lapide, era l’unica che era degna della sua attenzione, in quel cimitero abbandonato.
Sentì dei passi, ma non si girò. Se fosse stato in pericolo tanto meglio. Morire in quel posto non gli sarebbe dispiaciuto. Si girò e gli parve di essere accecato da un paio di occhi felini, verdi quanto il fondale del mare limpido delle isole tropicali, i capelli rossi quando il sole che si infuocava durante il tramonto.

 

Si alzò di scatto dal guanciale, come al solito le lacrime che gli scendevano sulle guance. Strofinò gli occhi col palmo della mano chiuso a pugno, poi si stese nuovamente sul cuscino. Ogni mattina era sempre più stanco di quando era andato a dormire.
Non aveva voglia di entrare a scuola quel giorno, per vari motivi: non avrebbe fatto niente se non annoiarsi, avrebbe dovuto sopportare tutto il vociare dei suoi compagni nonostante il mal di testa e, in primis, il cielo nuvoloso e il freddo gli stavano pregando di rimanere a godersi quell’aria invernale.
Rallentò il passo, lasciando che Sora e i suoi amici arrivassero fuori la scuola, poi ritornò indietro senza fare rumore, ci sarebbero voluti almeno altri due minuti perché si accorgessero della sua mancanza e lui sarebbe già stato lontano.
Si abbassò meglio il cappello sulla testa, andando verso la scogliera. In tv avevano detto che c’era una tempesta di mare. Perfetto, niente di meglio che godersi il mare in tutta la sua potenza. Aggiustò meglio la tracolla sulla spalla, poi infilò le mani in tasca e si avviò verso la spiaggia.
Il cielo era tutto un’unica massa uniforme di grigio piombo, il mare ceruleo sembrava riflettere le nuvole. La sabbia che in estate era sempre di un giallo sgargiante sembrava smorta, niente spezzava quella monotonia e ne era felice. Nemmeno i suoi occhi, che di solito erano sempre luminosi.
No, quelli sono gli occhi di Sora.
Si circondò le gambe con le braccia, facendole aderire al petto e ci posò il mento sopra. Il mare era stupendo quel giorno, l’odore di salsedine gli solleticava il naso, il vento freddo picchiava sul suo viso, facendolo bagnare ogni tanto con l’acqua che portava. Era tutto monotono, ma infinitamente bello, una monotonia che non l’avrebbe mai stancato.
Erano ore che era lì, aveva tutti i muscoli intorpiditi dal freddo, per non parlare delle dita delle mani che non sentiva più, come le orecchie e la punta del naso.
-Sembri infreddolito, piccoletto-.
Stranamente non sobbalzò dalla paura, dopotutto preso com’era dal fissare il mare non si era accorto che qualcuno gli si fosse avvicinato. Si strinse nelle spalle, alzando il volto dalle ginocchia.
Due occhi verdissimi lo fissavano curiosi, erano contornati da una sottile linea nera che li rendeva ancora più sottili, maliziosi, ma erano luccicanti come quelli di un bambino. Un viso sottile e spigoloso, pelle lattea e i capelli rossissimi stonavano quasi, innaturali. Le sopracciglia erano come un leggero segno di matita e a rendere quel viso ancora più curioso ci pensavano due segni sotto gli occhi, erano viola ed avevano la forma di lacrime rovesciate. Era davvero alto, slanciato, le spalle larghe.
Arrossì leggermente, al ghigno che Axel gli rivolse, forse si era accorto che lo stava fissando con interesse quasi scientifico. Da un po’ di tempo a quella parte lo guardava con una particolare e quantomeno strana attenzione
-Di certo non sono affari tuoi- sbottò, infastidito.
-Non siamo in vena, eh?- quello gli si sedette accanto, le gambe aperte e leggermente piegate, ci posò i gomiti sopra, per poi fissarlo -Un bimbo dovrebbe portare rispetto agli adulti-
-Bimbo sarai tu, idiota- gli fece la linguaccia e quello rise, poi scosse la testa e gli posò gli occhi addosso.
-Perché non sei a scuola?- chiese il rosso, ammiccando alla tracolla che aveva al suo fianco
-Non ne avevo voglia. In questi periodi non facciamo nulla che non sia organizzare feste… sai, quella per Halloween in questo caso. Non mi piace starmene a parlare-
-Ah, no?- chiese scettico -A me sembrava il contrario!- arrossì, senza un vero motivo
-Lo sai che… cioè, tu sei diverso-
-Io sono speciale!-
-E modesto- fece, ironico, scoppiando a ridere insieme all’altro.
Axel era il suo migliore amico da… da una vita, ecco. Non aveva ricordi che fossero prima di averlo conosciuto. Gli diceva sempre che si erano conosciuti perché lui l’aveva salvato dalle grinfie di uno più grande e da allora lui aveva cominciato a girargli sempre intorno, come un cagnolino fedele, finché non avevano cominciato a vedersi anche fuori dalla scuola. Migliori amici da sempre. Ogni volta che gli raccontava quella storia, Roxas storceva il naso, incredulo che anche lui un tempo fosse stato esuberante come Sora.
Erano rimasti in silenzio a fissare il mare, ora che ci faceva caso tremava leggermente dal freddo. Dopotutto era tantissimo tempo che se ne stava lì, senza muovere nemmeno un muscolo. Starnutì, strofinandosi poi la punta del naso con le dita ghiacciate; il rosso ridacchiò leggermente. Prima che potesse dire qualcosa, lo fermò.
-Ti ho sognato, sai?- Axel lo fissò, malizioso
-Davvero?-
-Idiota- l’apostrofò -È una cosa seria… non è bello, il sogno-
-Parliamone-.
Era un po’ strano, che la sua voce fosse così seria. Lo fissò sottecchi, poi prese fiato.
-Camminavo dall’altra parte della città. Sai, il posto che nessuno vorrebbe mai nemmeno attraversare per sbaglio. Ero in un cimitero e mi fermavo di fronte una lapide, l’avevo cercata in mezzo ad altre, tantissime, nel buio non riesco nemmeno ad immaginare come io abbia potuto trovarla. Quando mi sono girato, c’eri tu, credo-
-Poi?-
-Poi mi sveglio e mi accorgo di piangere. Ormai questo sogno non mi ricordo nemmeno da quanto tempo lo sto facendo-.
Rimasero in silenzio per un po’, poi fu il biondo a spezzarlo, continuando a parlare
-Vorrei andarci- gli occhi verdi lo fissarono gravosi, il suo amico scosse la testa
-Non ci pensare nemmeno. È pericoloso-.
Se lo diceva Axel…
-Per me è importante- insistette
-Per me sei importante tu, Roxas. Quel posto è pericoloso e tu… potrebbero farti del male, lì- si alzò, stiracchiandosi -Io torno a casa, dovresti farlo anche tu, fra poco sarà buio-.
‘Fra poco sarà buio’. L’ora di pranzo non era nemmeno passata. Forse si preoccupava un po’ troppo per lui.
Non aveva la minima voglia di tornarsene a casa a dire il vero ma si alzò comunque, altrimenti era sicuro che le gambe gli si sarebbero congelate. Cominciò a girovagare per le strade, la tracolla sempre sulla spalla, il cellulare che nella sua tasca vibrava. Lo prese, storcendo il naso, buttandolo nel primo cassonetto che incontrò.

Quel momento, avrebbe dovuto fargli capire tante cose.

Il dimenticatoio dell’isola, la città fantasma. Attorno a quel luogo c’erano diversi isolati completamente deserti. Prese un lungo sospiro e cominciò a camminare. Il cielo scuro rendeva ancora più tetro quel luogo, non c’era un suono, era tutto perfettamente calmo.

Lui era la preda, i predatori erano nascosti in silenzio nel buio.

Si fermò, ad un certo punto. Aveva fatto quel sogno così tante volte che ricordava le strade a memoria e si stupì quando si accorse che era tutto identico. Cosa molto strana, visto che un piede lì – nella realtà – non ce lo aveva mai messo fino ad allora.
Le case erano distrutte, le pareti piene di muffa e graffiti, le porte sbarrate o inesistenti. Negli angoli più bui si riversavano alcune persone e ad essere sincero, non voleva sapere cosa stessero facendo.
Ora che era vicino al cimitero, continuava a ripetersi che aveva fatto un immonda stronzata. Strinse convulsamente le mani alla tracolla, per darsi forza. Non aveva niente da temere, sua nonna gli aveva sempre detto che i vivi facevano più paura dei morti.
Il cancello cigolò sinistramente, gli lasciò appena un po’ di spazio per passare.
Era tutto spaventosamente identico. Il rumore del mare lo ipnotizzò per qualche minuto, finché una voce non lo fece sussultare.
-Non ti ho mai visto da queste parti-.
Il cuore sembrò esplodergli dal petto, si girò di scatto, e non riuscì a vedere bene chi c’era, era tutto troppo buio.

Era solo il primo pomeriggio.

L’ombra sembrò sputarlo, il ragazzo sembrò emergere dalle tenebre. Non era molto più alto di lui, i capelli cerulei, quasi mercurio, gli occhi pozze scure, incredibilmente vitrei. Il sorriso che gli rivolse lo fece tremare dentro dalla paura. Folle e pura paura.
Lo guardò meglio negli occhi, uno era semicoperto dal ciuffo, l’altro era arrossato, leggermente cerchiato di nero e la pelle era troppo pallida per essere normale.
-Questa è la prima volta che vieni?- insistette e Roxas annuì debolmente in risposta.
Un altro sorriso smielato, forse quello che ti faceva la morte prima di farti esalare il tuo ultimo respiro.
-Se sei venuto, è perché sei stato scelto-
-Che intendi?- le parole gli scivolarono via dalla bocca senza che riuscisse a controllarle, ad essere sincero, non avrebbe mai voluto cominciare a parlare, aveva solo un’irritante voglia di andarsene
-La lapide è da quella parte-.
Disse solo, poi lo vide scomparire di nuovo nel buio della stradina da cui era comparso.
Tremò impercettibilmente, quel ragazzo sapeva perché era lì, cosa stava cercando. C’era qualcosa di maledettamente malsano in quel posto. Avrebbe voluto continuare, tuttavia, qualcosa lo attirava, eppure le sue gambe chiedevano solo di fare marcia indietro.

Ma la sua anima era già stata stregata da tempo.

Scosse la testa, era meglio ritornarsene a casa.

 

Il buio ha già conquistato il tuo cuore
Quello che puoi aspettarti, sarà solo immenso dolore.

Credimi, troppo presto hai ceduto
Lasciati alle spalle tutto ciò che fino ad ora hai creduto.

Dei morti non bisogna aver paura
Ma dei non morti? Non ne sarei tanto sicura.

Hai gettato le tue fondamenta, Icaro
Questo viaggio non ti porterà nulla di buono,
Mi dispiace per te, caro
Ma delle tue urla, nessuno udirà un suono.


Infilò le chiavi nella toppa anche se sicuramente a casa c’erano tutti. Proprio come aveva immaginato, la sua famiglia era tutta lì, non appena mise piede in salotto gli occhi gli si puntarono contro. Suo padre si alzò in piedi di scatto
-Dove sei stato?! Perché non rispondi al cellulare?!-.
Si strinse nelle spalle, di certo non poteva dire che l’aveva buttato nel primo cassonetto che gli era capitato a tiro.
-L’avrò perso mentre facevo un giro-.
Posò la tracolla per terra, massaggiandosi la spalla dolorante.
-L’ho detto che non c’era nulla da preoccuparsi- sbottò Sora, sollevato.
Senza aggiungere altro salì in camera. Si sentiva spossato, stranamente stanco, come se avesse un peso sulle spalle. Socchiuse gli occhi, nonostante non avesse voglia di dormire, era come se il suo corpo si rifiutasse l’ennesima volta e la mente non poteva far altro che zittirsi.

 

Voci, tante voci indistinte che aleggiavano nella stanza, rimbalzando contro le sporche pareti umide. Un odore nauseabondo, misto tra incenso, fiori marci, terriccio e morte. Tante ombre, volti comuni che però avevano qualcosa di particolare, come se sapesse che quei visi non avrebbero mai mutato forma, la pelle candida non avrebbe mai avuto un imperfezione.
Due occhi grigio cielo lo fissavano imperterriti, quasi inespressivi, eppure il sorriso che c’era su quel volto d’angelo lasciava percepire tutt’altro che indifferenza. Era… soddisfatto. Felice. Però celava un ché di sadico che lo fece sentire male.
Ci era caduto, come una preda nella ragnatela fine e sottile del ragno.

 

Sobbalzò, aveva il fiatone, il volto imperlato di sudore. Il cuore gli batteva furiosamente nel petto, ci posò una mano sopra, socchiudendo gli occhi, cercando di calmarsi. Non ne poteva più di quei sogni, preferiva di gran lunga quando diverse settimane prima le sue notti erano nere, senza alcun immagine, monotone.
Andò a farsi una doccia bollente, aveva ancora il freddo nelle ossa. Sarebbe andato da Axel, dopo, meglio distrarsi. Poi avrebbe fatto i compiti, forse.
Si vestì velocemente, salutando distrattamente i suoi, poi si avviò a passo svelto dal suo migliore amico.
Bussò al citofono e senza nemmeno chiedere chi fosse aprirono il cancelletto; ormai quella era la sua seconda casa, conosceva ogni angolo di quel giardinetto curato, ogni mattonella del pavimento della casa.
Senza nemmeno annunciarsi, entrò in camera del rosso che era beatamente steso sul lettino a sonnecchiare. Sentendo la porta aprirsi aveva alzato lo sguardo, per poi richiudere nuovamente le palpebre.
-Dove eri, si può sapere?-
-Ho perso il cellulare-
-Non sei andato nella ‘città fantasma’, vero?-.
Negò, sedendosi ai piedi di Axel, che ritirò le gambe per fargli un po’ di spazio sul letto.
-Allora ti sarai volatilizzato, perché nessuno ti ha visto in giro, dopo che ti ho salutato. E a casa non c’eri-.
Cazzo.
Restò in silenzio, lo sguardo basso, finché il maggiore non si mise a sedere e prendendogli il volto fra le dita lo costrinse a guardarlo. In quegli occhi verdi ci lesse più preoccupazione del dovuto, era inoltre molto strano solo il fatto che Axel si preoccupasse.
-Non ritornarci, Roxas. Altrimenti te la faccio pagare-.
Deglutì, poi si ritrasse, indispettito.
-Non è successo niente, sono intero. Poi non capisco perché hai così paura- l’altro lo guardò severo, per poi sospirare
-Dimmi che non hai incontrato nessuno-.
Scosse la testa, dopotutto l’unica persona che aveva incontrato non gli aveva fatto niente, anche se solo a ripensarci, gli veniva paura. Un sorriso finto si impossessò delle sue labbra, sembrò bastare per rassicurare il rosso. Quest’ultimo si rilassò, stendendosi di nuovo con la schiena sul materasso. Il biondo lo fissò in silenzio per un po’, entrambi assorti nei propri pensieri, poi scivolò sul petto di Axel, insinuandosi fra le sue gambe che – assieme alle braccia – avevano preso a stringerlo. Strofinò la guancia contro la sua spalla, sbadigliando.
-Stanco?- domanda retorica -Il bimbo ha fatto un brutto sogno?-
-Ne ho fatto un altro- fece in un sussurro, tanto che all’altro parve di esserselo immaginato -È più confuso, però-
-Credi siano importanti?-.
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal ritmo regolare del respiro di Axel, il petto che saliva e scendeva leggermente, schiacciato sotto il suo peso, seppure minimo. Smise quasi di respirare, per rilassarsi sotto le sue mani che gli carezzavano la testa, giocando ogni tanto coi suoi capelli.
-Non lo so- fece ad un tratto -Ma non sono nemmeno da tralasciare-.
Non poté vedere il rosso annuire, avendo ancora gli occhi chiusi. Se non avesse parlato, si sarebbe anche addormentato contro il suo petto. Non che la cosa non fosse mai capitata, per intenderci.
C’era qualcosa di speciale tra di loro. Lo sapevano di per certo ma non se ne rendevano conto effettivamente. Si erano accorti che in pubblico non si trattavano così, non si lasciavano andare così tanto; forse per vergogna, ma ad entrambi non era mai importato nulla del parere della gente. Era più che altro una sorta di gelosia per quello che era il loro tesoro, un segreto. Bussarono un paio di volte alla porta, giusto il tempo che si staccassero e Roxas, un po’ rosso in volto, si abbassò la felpa che Axel gli aveva leggermente alzato per carezzargli la schiena. Fece capolino una chioma castana, il volto uguale al suo. Fissò in cagnesco Sora e prima che potesse dirgli un sonoro “vaffanculo” quello parlò.
-Mamma ha detto che stasera non è a casa, io vado a dormire da Kairi, c’è anche Riku. Quindi sei da solo-
-E me lo dici perché…?- sbottò
-Oh, Rox! Come sei antipatico!- rispose -Ci vediamo domani a scuola!- detto questo chiuse la porta.
Sospirò, scocciato. Aveva rovinato quel momento… scosse la testa immediatamente, non c’era niente in quel momento. Erano solo lui e Axel, nient’altro! Amici sin da bambini. Punto, stop.
-Bhè, allora ti fermi qui, no?-
-Non voglio dormire da solo- fece, annuendo convinto. Magari quella era la volta buona che dormiva senza problemi.
Di andare il giorno dopo a scuola, non se ne parlava nemmeno, tanto quelle non le consideravano nemmeno assenze e dato che il rosso gli aveva proposto un intera giornata assieme, non aveva detto di no, ovviamente. Non era andato nemmeno a prendersi il pigiama, avrebbe dormito coi boxer ed una maglia di Axel, tanto quelle gli andavano lunghe. Credeva fossero fatte apposta per sottolineare il fatto che fosse basso un metro e mezza gomma.
Una pizza per cena, il film più idiota del mondo come sottofondo, mentre loro ridevano come matti, un po’ brilli per la birra bevuta, senza importarsi del tono della voce poiché erano soli. Era sempre così, con Axel. Tutto straordinariamente perfetto e semplice.
Erano le tre, forse più tardi e lui moriva dal sonno, anche per l’alcool e sbadigliò sonoramente, stropicciandosi gli occhi. Si strinse il plaid attorno la vita – aveva tutte le gambe scoperte – e seguì il rosso sopra le scale, verso la sua stanza lasciandosi poi cadere sul letto a pancia in giù, la faccia affondata nel cuscino. Le mani bollenti di Axel gli alzarono leggermente le gambe per sfilare la coperta e mettergliela addosso, rimboccandola gentilmente, facendo più piano possibile. Rabbrividì piacevolmente, quando gli carezzò la nuca, augurandogli la buonanotte in un sussurro che percepì appena, prima di addormentarsi definitivamente.
Era nel cuore della notte che si svegliò di soprassalto, col fiatone e le lacrime agli occhi. Sempre lo stesso sogno, sempre quegli occhi grigio cielo che lo fissavano senza sosta. Si sentì stringere e quando fu più lucido si abbandonò contro di Axel, il corpo scosso dai tremiti di paura.
-Va tutto bene-.
Annuì, distrattamente, prima di dirgli che voleva la luce accesa, quel buio non faceva altro che agitarlo. Si rilassò difatti, quando la luce seppur fioca della lampada illuminò la stanza.
-Scusa, non volevo farti preoccupare- borbottò, senza lasciare la sua maglia, catturata fra le sue dita ghiacciate
-Figurati- fece, posandogli la mano calda sulla guancia -Vuoi che resti qui?-.
Annuì, facendogli spazio nel letto, intrecciando le gambe scoperte a quelle del più grande, che lo strinse forte contro il suo petto, senza fare altre domande. Lo ringraziò mentalmente, i tremiti che scemavano lentamente. Arrossì un po’, sentendo il calore al viso, quando le labbra sottili di Axel gli si posarono sulla fronte, scendendo poi a baciare la pelle fino alla punta del naso.
Lo guardò negli occhi per diverso tempo, il verde talmente luminoso che gli sembrava la luce provenisse da lì piuttosto che dalla lampada, senza riuscire a spostare lo sguardo, senza dire niente. Il rosso si sporse di nuovo contro il suo viso, costringendogli a chiudere gli occhi per controllarsi, per non arrossire miseramente. Lenti, asciutti, i baci che gli lasciava sulle gote arrossate, scendendo sino al mento, salendo verso l’altra guancia, sfiorandogli l’angolo delle labbra.
-A… Axel?- fece con voce tremante, mentre l’altro gli lasciava ancora dolci baci sulla tempia
-Vuoi che la smetta?- sussurrò nel suo orecchio, prima di posarci le labbra, facendolo rabbrividire.
Mugugnò qualcosa di indefinito, quando lo baciò sul pomo d’Adamo e inconsciamente cominciò a spostarsi, stendendosi con la schiena sul materasso, lasciando che il rosso gli si ponesse sopra, continuando a baciarlo lentamente.  Si guardarono negli occhi per un attimo, prima che Axel si concentrasse sulle sue labbra, leccandole, baciandole e mordendole leggermente. Sospirò, intrecciando le mani nei capelli del rosso, la mente completamente in tilt, sia per la situazione eccitante, sia per quello che stava succedendo: era il suo migliore amico. Il ragazzo con cui aveva dormito un mare di volte, quello che gli raccontava tutte le sue ‘avventure’. Non c’erano mai stati segreti, erano sempre stati diretti, forse un po’ troppo, sia nel bene che nel male. Ed ora? Che diamine succedeva?
Si irrigidì, quando si rese conto della situazione, staccandosi bruscamente, seppur di malavoglia. L’altro lo guardò interrogativo, poi abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro.
-Mi era parso di capire che non ti dispiacesse-, boccheggiò per qualche secondo, poi lo fissò sottecchi
-Tu sei il mio migliore amico!- esclamò, guardandolo negli occhi, quando quello cercò il suo sguardo.
C’era sempre stato qualcosa di strano, ora che ci pensava. Migliori amici maschi, non si sarebbero mai sognati di farsi le coccole, baciarsi di sfuggita sulle labbra. Si sarebbero sognati ancora meno di fare quello che loro avevano fatto adesso.
Possibile, che fosse attratto da Axel? Possibile che tutta la loro amicizia non fosse stato che il principio? Si tormentò il lembo della maglia, il freddo gli aveva fatto venire la pelle d’oca, eppure sentiva un prepotente caldo sulle guance e all’altezza del cuore. Si leccò le labbra, inumidendole, riconoscendo il sapore di Axel, sentendone la mancanza. Socchiuse gli occhi sporgendo il viso in avanti, riprendendo il contatto che lui stesso aveva spezzato. Non ci misero molto a trasformarlo in qualcosa di più passionale, che li lasciò senza fiato, i sospiri e lo schioccare umido che erano gli unici rumori nella stanza. Axel si staccò dalla bocca di Roxas, con enorme disappunto del biondo, che inarcò la schiena, sfregando la sua eccitazione a quella dell’altro, che sembrò soddisfatto. Gli sfilò la maglietta e rabbrividì, non di freddo, si sentiva andare a fuoco e preso dalla foga tolse al rosso la maglia del pigiama, baciandolo famelico. Si staccò, riprendendo fiato, passandogli il polpastrello del pollice sul tatuaggio viola, che con quella luce pareva ancora più scuro.
-Perché, Axel?- sussurrò, cingendogli il collo con le braccia, rabbrividendo quando la mano del rosso seguì la linea della sua schiena
-Perché ti voglio- rispose, riportandolo con la schiena sul materasso -Perché ti amo- aggiunse, dopo averlo baciato dolcemente.
Non sapeva se il suo era amore, non ne aveva la più pallida idea. Sapeva solo che con Axel ogni cosa era bella, perfetta; sapeva che senza di lui si sentiva un pesce fuor d’acqua, incompleto. Sapeva che – nonostante fosse la prima volta che si spingevano così oltre – era tutto naturale, come se non fossero fatti che per stare uniti, in ogni modo.
Si rendeva conto, forse più di altre volte, che stare stretto al suo petto imperlato di sudore, mentre Axel gli carezzava i capelli appiccicati al viso, era la cosa più bella che potesse capitargli, mentre il cuore gli batteva forte nel petto.
Posò il suo palmo a quello di Axel, fissando la differenza tra le loro mani, curioso come un bambino. Arrossì al pensiero di quello che aveva provato quella note stessa, sentendo le mani del rosso sul suo corpo, decise e delicate, come artigli col tocco delicato di una farfalla.
-Axel?- lo chiamò, constatando che il rosso già lo stava fissando, probabilmente incuriosito dal suo gesto -Ora? Non sarà più come prima- poté chiaramente sentire contro il suo orecchio il battito del cuore del rosso accelerare improvvisamente
-Se vuoi- sbottò e la mano con cui carezzava i suoi capelli tremò leggermente
-Io… mi sta bene. Insomma… non so se ti amo però credo di farlo. Insomma, io non avrei mai creduto che… cioè io e te…-
-Calma piccoletto, got it memorized? Va tutto bene-.
Annuì, anche se non ne era convinto. La sua mente era confusa, il suo cuore provava un misto di emozioni sconvolgenti, credeva che da un momento all’altro potesse scoppiargli. Aveva paura, una terribile paura di poter perdere Axel, solo il pensiero lo faceva star male. Fra le sue braccia sentiva che però niente poteva andar storto, nonostante la confusione. Forse l’aveva sempre amato, semplicemente non se ne era mai reso conto. Ora tutto quello che voleva era stargli abbracciato, intrecciare le dita alle sue, più unito possibile, sia col corpo che con l’anima. Lui, di certo, non l’avrebbe mai abbandonato.

 

Al cimitero non tornò il giorno dopo, né quello successivo. Non voleva deludere Axel, gliel’aveva promesso e poi, sinceramente, preferiva stare con lui tutta la giornata a baciarsi in segreto, rinchiudersi in casa e coccolarsi avvolti fra le coperte. Inoltre il rosso gli stava addosso come un ombra e persino lui sentiva che c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa di particolarmente strano in quel posto. Anche perché da quando ci era andato, il sogno che aveva fatto per intere notti aveva lasciato spazio a quello che aveva fatto pochi giorni prima. E si ripeteva sempre, in continuazione. Come un replay.
Halloween si avvicinava, sentiva che l’atmosfera cambiava. Non sapeva come definirlo, però. Era una cosa impalpabile, come quando ‘senti l’odore del Natale’. È una cosa assurda, eppure un odore diverso lo percepisci sul serio, come tutta l’atmosfera. E lui, quell’anno, non sentiva l’atmosfera allegra e gioiosa come al solito. L’aria era pregna di qualcosa che ogni tanto gli faceva venire la nausea e sapeva, sentiva, che c’era qualcosa di diverso.
Inquietudine, ansia, era quello che provava ogni giorno ed aumentava ogni volta che si svegliava dopo una notte preda di incubi. Ormai le volte in cui era sereno, si contavano sulle punte delle dita.
Quel giorno, nonostante tutto, ci sarebbe ritornato, al cimitero.
Se si fosse accorto di qualcosa, sarebbe scappato via a gambe levate, si sarebbe chiuso in camera ed avrebbe pianto per il resto della sua vita, probabilmente. Ma come ogni altra persona che c’era passata prima di lui, quel qualcosa tangibile, visibile, quella cosa che ti diceva che eri nel posto sbagliato al momento sbagliato, diventava solo una semplice e insulsa sensazione, appena accennata, che sembrava dettata solo dalla leggera paura.
Se ci fosse stato qualcun altro con lui lo avrebbe portato via immediatamente, facendogli rendere conto che – nonostante fosse una giornata piena di sole – era improvvisamente calata una notte surreale. Ma forse, se qualcun altro fosse stato con lui, la notte non sarebbe mai calata e tutto sarebbe rimasto come era sul serio.
L’unica preoccupazione – nonostante tutto – era rivolta ad Axel e sperava che non scoprisse dove si era cacciato.
Spedito, senza guardare indietro nonostante si sentisse osservato, arrivò alla lapide. L’unica sormontata da un arco. Doveva esser stato tutto bello un tempo ed invece ora si stava tutto sgretolando, come il corpo di un cadavere.
-Questa città è stata il cuore dell’isola per molto tempo-
-Cos’è successo?-
-Arrivò una ragazza, apparentemente innocua. Ci scelse uno ad uno… o fummo noi che scegliemmo di seguirla, questo non ci fu mai chiaro. Ci scelse per creare una città che non aveva mai avuto, voleva essere la regina di un popolo immortale-.
Si girò verso il ragazzo, lo stesso di alcuni giorni prima e – per qualche motivo a lui sconosciuto – lo sentiva talmente uguale a lui che il timore della prima volta era scoppiato come una bolla.
-Perché vi sogno?-
-Sei il prossimo. È successo a tutti noi, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di venirci. È lei, che ha trovato noi-
-Il prossimo per cosa?-.
Quello non rispose, semplicemente si fece seguire. Si avvicinarono di più alla lapide, il ragazzo aprì la botola che c’era dietro di esso e cominciò a scendere le strette e piccole scale.
Tentennò, quella era pura e semplice follia. Eppure…
Il buio non gli permetteva di vedere nulla, così mise le mani contro la parete e scese ogni gradino lentamente, per evitare di cadere. Forse un minuto, poi cominciò ad esserci più luce e si rilassò, scendendo con passo più sicuro.
Avrebbe voluto urlare, scappare lontano. Affermare di non aver mai visto niente, dire che quello era solo e soltanto uno dei suoi orribili sogni.
Cadaveri, intatti nel tempo, corpi addossati l’uno sull’altro, coperti da teche di vetro che formavano le pareti di quell’angusta stanza, gli occhi vuoti e spenti. Una pozza per terra, al centro della sala e grande quando una bacinella, piena di sangue. Sgranò gli occhi, posando una mano sulla bocca, eppure – differentemente a quanto avrebbe voluto – la bile non salì alla gola e quel peso portato dalla paura e il disgusto gli rimase nello stomaco, come un macigno.
L’espressione neutrale del ragazzo si tramutò in un ghigno spaventoso.
-Lei ti ha scelto e tu le hai risposto. Venendo nel cimitero, non hai fatto altro che confermarle che le appartieni-
-Che significa?! Cos’è questo posto?!-
-Siamo tutti morti, Roxas, loro semplicemente non sono riusciti a tenersi stretti la vita-
-Non ha alcun senso-
-E invece sì- rise, una risata priva di alcuna emozione -Io sono morto, presto lo sarai anche tu. Io ho lottato, come altri, ci siamo tenuti la vita stretta a noi, ma oltre le mura di questa città, non siamo altro che cadaveri. È un’esistenza effimera… e loro hanno preferito morire, piuttosto che vivere con dei limiti. Ma la vita limitata, Roxas, porta all’immortalità-.
Arretrò, inorridito, sentiva le lacrime salirgli agli occhi.

 

Avresti dovuto ascoltare, non lo hai fatto
Nel momento in cui sei venuto, hai firmato il tuo patto.

No, non devi aver paura della morte
Piuttosto di quello che ti porterà la tua triste sorte.

La curiosità ha lasciato posto alla paura,
la paura presto lascerà posto al terrore,
poi rimarrai vuoto, ne sono sicura
quando accadrà, ti rimarranno solo poche ed insulse ore.

 

-Dove credi di andare?- sobbalzò, congelandosi al suo posto, quando alle sue spalle comparvero improvvisamente due uomini, che lo spinsero contro il muro.
Sgranò gli occhi per il dolore acuto che sentì alla spalla, artigliandola con le mani per tenerla più immobile possibile. Era slogata, se non peggio. Alzò lo sguardo, deglutendo quando incrociò lo sguardo dei due che l’avevano sbattuto contro la parete di vetro, aldilà della quale si ammassavano tutti i cadaveri.
-Se sorpassi quella porta, brucerai per sempre nelle fiamme dell’Inferno- fece il ceruleo, avvicinandosi -Se ci dai ascolto, avrai una seconda opportunità-
-Che potrebbe andarti bene, come non potrebbe- rise uno, molto più alto e robusto del ceruleo, il volto coperto da un cappuccio di pelle nera; riusciva solo a vedere due schizzi di viola intenso che dovevano essere gli occhi.
C’era qualcosa che gli sfuggiva, incredibilmente incapace di rendersi conto di quanto stava accadendo, come se gli mancasse un dettaglio importante. Forse quello più importante, perché lui ancora non ci credeva a quella storia, come se fosse uno dei suoi tanti sogni, troppo surreale.
Era condannato alla morte, era l’unica cosa che riusciva a realizzare.  

Era già morto.

Sentì una fitta allo stomaco che gli costrinse ad accasciarsi su se stesso, mantenendosi la parte dolorante con il braccio che non doleva. Tossì e vide indistintamente una macchia di sangue sporcare il pavimento, mentre la vista si appannava.

Una ragazza camminava silenziosamente, avvolta da un cappotto blu scuro, i capelli biondi che si poggiavano sulle spalle, pelle lattea.
Occhi grigio cielo.
Alzò lo sguardo sulla lapide, un arcata piena di rampicanti fiorite la circondava. Il sole batteva sugli alberi rigogliosi, il mare si infrangeva sulle sponde non molto lontane.

Quest’isola non merita di sopravvivere,
hanno lasciato il loro sovrano nelle braccia della morte.
Ma io voglio continuare a regnare
e di morti come me, sarà composta la mia corte.

Vennero scelti uno ad uno, sogni ricorrenti e sempre uguali. Solo chi avrebbe potuto soddisfare il suo potere, solo chi sarebbe stato in grado di mantenere il segreto oscuro. Solo loro, sarebbero sopravvissuti.
Un regno immortale come i suoi abitanti, immutabili nel tempo mentre gli altri si piegavano al volere della morte eterna. Loro erano i prescelti, come quella ragazza che non aveva fatto altro che dare il via a quella ‘stirpe’, insinuandosi nei loro sogni, fino a portarli alla pazzia, fino a che non si decideva a cancellare la loro memoria e portarli in quella tomba.
La sua tomba.
In cui le sfide per una vita immortale si susseguivano anno dopo anno, dimezzando i prescelti. Chi non riusciva a resistere moriva lentamente, dolorosamente, finché il cuore non smetteva di battere una volta per tutte.

Prese più aria possibile, come se fosse stato in apnea tutto quel tempo, tremando come una foglia schiacciata dalla potenza del vento. Vide distintamente una striscia rosso sangue che continuava a scorrere verso l’enorme bacino, come un serpente sinuoso. Non ci mise che qualche secondo, per capire che era il suo.
-Più sangue del previsto- fece il ceruleo
-Già, Zexion. Questa volta Lei ha scelto bene- fece quello dagli occhi viola
-Un ragazzino- sputò con disappunto l’altro, il volto ancora coperto, impedendogli di guardarlo -Un ragazzino è il Prescelto-.
La testa gli scoppiava preda ad una confusione totale, mentre alcune immagini indistinte si susseguivano disordinatamente, fu costretto a sorreggerla con le mani, ancora inginocchiato per terra.
-Possibile che abbia ancora visioni?-
-Forse è più forte di quel che credevamo- l’uomo incappucciato lo prese per le spalle, alzandolo dal pavimento -L’altro non avrà scampo-
-È tutto nelle Sue mani-.
Fu l’ultima cosa che udì, prima di svenire per il troppo dolore, preda ancora delle visioni.

Quando aprì gli occhi ci volle un po’ per focalizzare il tutto, capendo poi che era nella sua stanza, sotto le calde coperte. Provò ad alzarsi ma la fitta alla spalla gli fece arrivare le lacrime agli occhi e lo costrinse ad abbandonarsi di nuovo sul cuscino. No, non era stato un sogno.
Era tutto maledettamente vero.

I giorni procedevano lenti, monotoni, grigi come non mai. Il giorno della sfida si avvicinava prepotente e più si avvicinava più visioni aveva, più volte sveniva, più volte vomitava sangue e la pelle impallidiva, quasi a farlo sembrare una bambola di ceramica anche per lo sguardo vuoto che avevano i suoi occhi. Era completamente vuoto. Guardava le cose susseguirsi avanti i suoi occhi ma quelli non si soffermavano su niente. Il suo cervello non captava una parola in particolare, era come se tutti i sensi funzionassero ma non abbastanza, come se il suo corpo lentamente smettesse di vivere. Come se tutto fosse un film in bianco e nero.
Non capiva, continuava a non riuscirci. Sarebbe morto… e poi? Avrebbe vissuto per sempre in quel cimitero? E tutti quelli che conosceva, come si sarebbero spiegati della sua scomparsa?
Axel?!
Non ricordava più l’ultima volta in cui aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
Era davvero così che finiva? Scompariva senza lasciare traccia? In silenzio? Era incredibilmente desolante, scialbo.

-Roxas, ti amo-
-Anche io, Axel-.
Rimpiangeva solo di averlo scoperto troppo tardi. Entrambi avevano in mano solo un pugno di sabbia.

La notte era scesa. Sapeva che se non fosse andato di propria volontà la sua mente avrebbe cancellato ogni ricordo e il suo corpo si sarebbe mosso da solo verso il cimitero. E lui non voleva che succedesse, voleva essere cosciente, voleva ricordare, mentre lottava per la sua vita effimera.

Questa notte segnerà la tua vita
Prendila in mano, adesso
Da qui incomincia la salita
Fai di tutto per tenerla in tuo possesso.

Si calò il cappuccio sulla testa, l’alito che si condensava in un alone bianco ad ogni respiro. Fortuna che la pelle nera del cappotto lo proteggeva dal freddo pungente che c’era quella notte. Doveva ammettere che avrebbe preferito essere ad una delle stupide feste di Halloween.
-Sai quello che devi fare-
-Non c’è bisogno di ripetermelo- sputò pungente, sollevando la zip con uno strattone.
Guardò un ultima volta Zexion, affiancato dai due che gli avevano rotto la spalla ancora messa male, Xaldin e Xigbar, che ridacchiavano sotto i baffi.
Uscì fuori, il mare si infrangeva violento sugli scogli, poco più lontano. Un tuono rimbombò nel silenzio, senza smuoverlo, non batté nemmeno un ciglio. Socchiuse gli occhi, respirando a pieno l’aria intrisa di salsedine, di umido. Un altro secondo, poi ogni rumore, ogni odore, ogni percezione sparì, lasciandolo completamente solo, distaccato dal resto. Si alzò un forte vento che lo costrinse a pararsi gli occhi col braccio, quando cessò il cimitero aveva mutato completamente il suo aspetto. Ai suoi piedi c’era solo terra ed erba secca, arida, tutt’intorno erano comparse le lapidi sino a formare un grande cerchio, un ring; si accesero quattro fiaccole e lui si trovava perfettamente al centro fra loro, come se fosse sia il centro della croce che del cerchio. Alzò lo sguardo, il cielo era completamente nero, proprio come il suo cappotto, e l’unica luce che gli permetteva di vedere e di orientarsi, era proprio quella delle fiaccole che bruciavano in silenzio.
C’erano da fare solo quattro prove, tre battaglie con essere immondi, alla quarta avrebbe affrontato il suo sfidante. Non avrebbe mollato, non aveva intenzione di farlo.
Dalla terra emersero silenziosamente dei corpi, dapprima rannicchiati poi si mostrarono in tutto il loro orrore. Corpi scheletrici, voragini al posto degli occhi, pelle livida e putrida, uno squarcio enorme al posto della bocca che gli permetteva di vedere senza difficoltà i denti aguzzi e sporchi di sangue. Deglutì, impugnando la sua arma nella mano destra; non ci sarebbe voluto molto a spazzarli via. Bastò solo qualche fendente per dividerli in due parti nette, lasciando che i corpi di accasciassero al suolo senza che nemmeno avesse avuto bisogno di combattere davvero. Osservò in silenzio i resti, finché dalle singole parti non si formarono altri mostri, raddoppiando il loro numero; strinse la presa sull’elsa del Keyblade, non gli rimaneva che usare la magia.

Lasciali bruciare nelle fiamme dell’Inferno.

Pochi colpi precisi, i corpi degli inferi si contorsero su sé stessi, producendo versi disumani, urla che rimbombarono nelle sue orecchie fino a fare male a storidirlo.
Prima sfida: vinta.
Si guardò intorno, il silenzio era troppo. Né un rumore né un soffio di vento. Fu abbastanza veloce per schivare un colpo che gli stava arrivando dritto alle spalle, rotolò di lato, fino a trovarsi di fronte quello che doveva essere un gigante. Alto, enorme – lui non era che un suo dito –, pelle gialla e malata, piena di pus verde. Occhi cechi e vuoti, le pupille che andavano da destra a sinistra senza controllo; almeno non avrebbe potuto vederlo. L’essere annusò l’aria, individuandolo in mezzo secondo, schivò di nuovo la clava appuntita per pura fortuna. Con lui la sola magia non sarebbe mai servita. Arretrò di qualche passo, per guardarlo meglio: un punto debole doveva esserci sicuramente. Schivò altri colpi, ogni singolo spuntone della clava era più grande di un suo braccio, se fosse stato colpito sarebbe morto sul colpo, ma per il momento era aiutato dal fatto che il gigante fosse abbastanza lento e prevedibile.
Cercò di colpirlo più volte, con attacchi più o meno forti, con tutte le magie che erano nel suo arsenale. Ma niente, la pelle sembrava insensibile ad ogni attacco. All’ennesimo colpo della clava saltò sulla mano del gigante, fino a salire alla spalla; se lui non poteva ferirlo in alcun modo, meglio che si ferisse da solo. Ci volle qualche secondo, il gigante sferrò un attacco contro se stesso, colpendosi in pieno parte del volto e della spalla, Roxas saltò giù appena in tempo per non venir colpito dall’arma sporcandosi appena con qualche goccia di sangue. Per fortuna, quello non era il suo. L’urlo fu agghiacciante, doloroso, forte; ci portò le mani alle orecchie e per un attimo credette di poter perdere l’udito. Poi, con un urlo ancora più rabbioso, il gigante gli si lanciò contro, colpendo senza alcuna logica, accecato dalla rabbia e dal terrore. Ci vollero altri pochi minuti, riuscì a salirgli ancora sopra, fino alla testa, che il gigante fracassò con un colpo netto e preciso. Girò la testa dall’altra parte, preso dai conati di vomito. La testa del gigante era fracassata, il cervello lacerato in più parti, il sangue grondava a fiotti, scuro e vermiglio, fetido.
Si rialzò a fatica, quando il corpo scomparve nella terra da cui era comparso poco prima.
Seconda sfida: vinta.
Girò lo sguardo a destra e a manca, girando su se stesso per guardare un po’ ovunque. Almeno fin dove gli permetteva la fioca e traballante luce delle torce. Sgranò gli occhi, un dolore acuto al fianco, si accasciò per terra, il fiato che mancava. Posò la mano sul posto dolorante e con orrore scoprì che il sangue che gli sporcava i guanti era il suo. Alzò lo sguardo, trovandosi avanti un essere meno orribile degli altri due che c’erano prima; sembrava un giaguaro, il corpo affilato era tuttavia in piedi, curvato leggermente in avanti, le zampe erano in possesso di artigli enormi e ricurvi, micidiali, come i denti aguzzi. Si morse il labbro, veloce com’era, gli ci sarebbe voluto molto più tempo del dovuto. Sempre che non fosse morto prima.
Si alzò, traballante, reggendosi col Keyblade impiantato nel terreno sporco del suo stesso sangue. Puntò gli occhi in quelli gialli e felini dell’animale che, tuttavia, stava a guardare, come per schernirlo della sua debolezza. Si mise in piedi, dritto, ignorando il dolore acuto che aveva al fianco destro. Non fece nemmeno in tempo a pronunciare la magia che il giaguaro scomparve dalla sua vista, cominciando a girargli intorno velocemente, dandogli l’impressione di essere al centro di un tornado, confondendolo. Quando aveva le difese abbassate, l’essere l’attaccò di nuovo, più volte, lasciandogli però tagli piuttosto piccoli. Voleva divertirsi con lui, prima di ucciderlo definitivamente. Se avesse potuto, avrebbe potuto benissimo farlo a pezzi senza trovare resistenza. Sputò un grumo di sangue, pulendosi il labbro con il dorso della mano. Un modo doveva esserci. Sorrise da sotto il cappuccio, bagnando con una magia tutto il terreno, per poi congelarlo; il giaguaro scivolò – l’elevata velocità gli rese impossibile trovare l’equilibrio – fino a farlo schiantare contro una lapide. Gli si scagliò contro con un fendente che però venne bloccato dalle fauci. Rabbioso riuscì a liberare il Keyblade, fu abbastanza veloce per evocare un fulmine, che prese in pieno il giaguaro, lasciandolo accasciato ed elettrizzato al suolo. Si alzò in piedi, puntandogli l’arma contro il muso; un po’ d’acqua e la carcassa si dimenò in preda all’elettricità, bruciando il corpo che cominciò a fumare, emanando un odore nauseabondo.
Terza sfida: vinta.
Fece dissolvere il Keyblade, si girò verso il centro dell’arena, mentre le lapidi e le torce scomparivano senza un rumore.
Due uomini incappucciati lo affiancarono, per poi superarlo e mostrargli la strada, illuminandola con delle torce. Camminarono poco, poi i due scomparvero dissolvendosi e le torce caddero per terra – in quella che sembrava acqua – e il fuoco si allungò fino a formare un cerchio enorme; un ennesima arena. Avanzò lentamente, finché non gli fu possibile vedere una figura incappucciata in nero, alta e slanciata. La fissò con attenzione, non riuscendone però a vedere il volto. La voce delicata della ragazza si udì distintamente, sembrava però un eco lontano ed immaginario.
-Atravas pulchri va robatas notri-.

Che le anime si innalzino in una sola vita.

Si accasciò al suolo, il respiro azzerato, mentre si sentiva strappare via la pelle, le interiora. Poté vedere una striscia di bianco – simile all’aria che si condensava uscendo dalla sua bocca – unirsi a quella che aveva abbandonato il suo avversario, che si manteneva a stento in piedi, formando una sfera lattescente, grande quanto il pugno di una mano, il nucleo nero.
-Matrori fha-

Inizi la sfida.

Si alzò a fatica, l’arma si materializzò nel suo palmo, particolare nella sua forma, potente come nessuna. Un ennesimo sguardo all’avversario, poi diedero il via alla battaglia.
Fuoco, era l’unica cosa che riusciva a percepire, gli attacchi che gli venivano inflitti erano troppo veloci, precisi e letali per lui che aveva un braccio quasi inutilizzabile. Ma non avrebbe mollato, non quella notte.
Il fuoco – gli aveva detto Zexion – era la cosa che gli immortali temono più di ogni cosa, perché è una delle poche cose che può danneggiarli gravemente, se usato bene. Di certo, però, non faceva bene a nessuno se usato per ferire.
Cominciò a piovere, tuttavia il fuoco degli attacchi che il suo nemico gli sferrava contro sembrava non risentirne, l’acqua pareva non indebolirlo. L’uomo gli si scagliò contro, puntando gli addosso entrambi dei cerchi infuocati e appuntiti che erano le sue armi; parò col Keyblade, arretrando appena per l’impatto, l’altro scivolò sul terreno bagnato dalla pioggia, cadendo per terra. Roxas attaccò subito, puntando al cuore; l’altro però schivò velocemente, tuttavia riuscì a ferirgli il petto. Vide il sangue sgorgare da una ferita piuttosto profonda, un altro colpo e di quello non sarebbe nemmeno rimasto il ricordo…
La pioggia batté più forte, il cappuccio scivolò dalla testa del suo avversario, scoprendone il colpo. Rimase col Keyblade immobile, il braccio congelato come tutto il corpo, mentre un paio di occhi verde smeraldo lo fissavano intensamente, i capelli rossi che non risentivano dell’acqua che scendeva violenta.
Sentì il cuore esplodergli, incapace di sopportare una simile cosa, mentre Axel con un calcio lo fece cadere per terra, le lacrime che cominciavano a scendergli lungo il viso.
Non poteva ucciderlo, non voleva. Preferiva soccombere.

Contro il destino non si può lottare, lo so perfettamente
Ma si può benissimo farlo arrivare più lentamente.
Rallenta il battito, Icaro
I raggi della morte ti bruceranno dopo
Fa come ti dico, caro
E, credimi, raggiungerai il tuo scopo.

Indietreggiò, parandosi dall’attacco, facendo ben attenzione che il volto non gli si scoprisse. Sempre che Axel non si fosse dimenticato ogni cosa.
Parava, schivava, senza mai attaccare, non ne aveva il coraggio ora che sapeva chi era la persona che aveva di fronte. A tutto aveva pensato, tranne di trovarsi di fronte Axel. Ormai le forze venivano a mancare; aveva ustioni ovunque, tagli profondi che segnavano la sua pelle come una mappa precisa che conduceva alla morte.
Si inginocchiò, l’arma volata chissà dove, mentre si vedeva passare avanti tutta la vita velocemente, insieme a varie visioni che non l’avevano mai abbandonato per tutta la lotta.

La ragazza bionda, colei che aveva dato inizio a quella perversità lo fissò dolcemente, un sorriso stanco le si impossessò delle labbra sottili e rosee. Gli occhi grigi lo squadrarono a lungo per poi posarsi su un foglio che aveva sulle gambe, scrivendo qualcosa con la matita che impugnava.

Chi sono io? Il Fato.
Quello che dico, accade, senza portarmi sgomento
Come fiori che sbocciano in un prato
Prima o poi succede, anche se ogni vita ha bisogno del tuo tempo
Sappi, però, che è da stupidi non lottare
E tu hai fatto ciò che potevi, non dubitare.

Chiuse gli occhi per un attimo, poi puntò nuovamente il suo sguardo su Axel che – il chakram fiammeggiante nella mano – minacciava di tagliargli la gola. Vide gli occhi vuoti di quei cadaveri, provandone pietà, provandone forse anche per se stesso.
Morire per amore, aveva molto più senso.
Il colpo fu netto, il dolore acuto. Si portò le mani alla gola, sconvolto che fosse ancora intera, poi ricordò: sarebbe morto lentamente e dolorosamente, ma non per il colpo dell’avversario.
L’aria mancava nei polmoni, sentì distintamente chiamare il suo nome ed alzò lo sguardo su Axel, gli occhi verdi invasi dalle lacrime. Aveva ricordato, alla fine. Sorrise, sentendosi per un momento meglio, quando lo strinse contro il suo petto.
-Dio, che ho fatto?!-
-Quello che avrei fatto anche io, se non ti avessi riconosciuto- fece flebilmente, col fiatone.

Il tuo sbaglio è stato pagato, sarò clemente:
Ogni anno, potrai vedere il sole nascente,
La luna tramontare.
Ma cerca di ricordare:
A tua disposizione hai solo un giorno,
Poi nel mondo a cui appartieni, dovrai fare ritorno.

-Farò di tutto per farti ritornare per sempre. Ho un infinità di tempo. Te lo giuro- pianse, stringendolo forte
-So che… che lo farai-.
Strinse la pelle del cappotto fra le dita, all’altezza del cuore, gli faceva un male tremendo. Tossì, i polmoni che si contraevano sempre di più, le membra che si indebolivano.
Sapeva che Axel avrebbe fatto di tutto per farlo ritornare definitivamente, non solo in un insulso giorno. Ora che ci pensava, gli era andata bene, il sonno non gli avrebbe fatto pesare le giornate, l’altro invece le avrebbe sentite e sarebbe stato costretto a tenere sotto lo sguardo il suo cadavere. Si sentiva meschino, in un certo senso. Aveva voluto fare la cosa più buona, invece era andata meglio a lui.
Un'altra fitta al cuore, la vista si appannò bruscamente, un’altra fitta ancora e i polmoni non lasciarono più che l’aria entrasse. Boccheggiò per qualche secondo, il volto basso, poi con un dolore acuto si spense tutto e rimase a brancolare nel buio.

Doveva solo aspettare un altro anno, poi sarebbe stato immortale.

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Eccomi con l'ennesima fic... questa volta in tema Halloweeniano. ^ ^
Mi c'è voluto quasi un mese per scriverla .-. le idee mancavano ma.... bhè. Eccola qui. *w*
Spero piaccia... e intanto ringrazio MihaChan per averla letta e per avermi consigliato un po' ^ ^
Bhè... che altro dire. Spero di avere recensioni *w* Ah... diciamo che forse ci sarà un continuo ù.ù magari pubblicherò il prossimo Halloween...

Buon Halloween!

   
 
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