È stata una delle one-shot
più difficili che abbia mai scritto, se non quella con cui ho avuto
maggiormente problemi. Ma sono contenta di averla finita.
Ci tengo a dire che
l'ambientazione non l'ho scelta a caso: per chi non conoscesse
l'evento, il 2 Agosto del 1980 scoppiò una bomba alla stazione di
Bologna -ecco la
pagina dedicata su Wikipedia. Alla fine il loro
morire per una cosa che non dipende assolutamente da loro stronca sul
nascere quella che sarebbe potuta diventare una relazione: tutto ciò
che si andava costruendo grazie al caso, si è distrutta proprio
grazie ad esso; tutto ciò che si costruisce può essere anche
distrutto con la stessa facilità e la stessa imprevedibilità.
A Cla/Amaranth93,
per il suo compleanno.
Non potevo che scriverti
questa SasuSaku dalla dubbia qualità, e spero che l'apprezzerai
perché ci ho messo davvero tutto in questa shot.
Happy B-Day, Cla (L)
Sakura alzò il volume della
musica, le cuffie sulle orecchie, poi infilò le mani in tasca
osservando il respiro che formava una nuvoletta nell'aria gelida di
Febbraio.
Quando
il treno Ancona-Chiasso arrivò e si fermò davanti a lei, salì
velocemente beandosi del riscaldamento e si diresse nel primo vagone
che le capitò davanti per cercare un posto: la carrozza era quasi
piena, rimanevano solo due sedili liberi uno di fianco all'altro
perciò rapidamente andò a mettersi su quello accanto al finestrino,
poggiando la tracolla sulle ginocchia e incrociando le braccia al
petto. Puntò lo sguardo fuori dal mezzo, scostandolo subito e
chiudendo gli occhi, immergendosi nella musica.
Era fatta così, Sakura: non
riusciva a sopravvivere molto nel mondo reale, perciò fuggiva nella
sua dimensione dove tutto e nulla aveva un senso, dove se lei voleva
poteva volare.
A volte poteva sembrare una
bambina, una bambina che crede ancora nelle favole: una bambina che
non voleva crescere per non dover affrontare il grigio mondo degli
adulti.
***
Erano gli ultimi giorni di
Luglio dell'anno 1980, e Sakura era ormai da un pò di tempo una
diciottenne.
Ma lo sguardo era rimasto lo
stesso, lei era rimasta la stessa: lo sguardo perennemente assente,
frasi pronunciate a mezza voce che apparentemente un senso non
avevano, ma che invece si incastravano perfettamente nella sua realtà
erano diventate costanti. Qualcuno avrebbe detto che era pazza,
magari lo era davvero, ma probabilmente era solo una sognatrice che
guardando l'orizzonte vedeva l'infinito.
Sasuke Uchiha, invece, se
avesse guardato l'orizzonte avrebbe visto il vuoto: il nero più
assoluto, che risucchia tutto senza lasciare alcuna traccia.
Sbuffò, adocchiando
nervosamente l'orologio che portava al polso e sospirando irritato:
ecco perché odiava prendere il treno. Era sempre e irrimediabilmente
in ritardo.
Ma purtroppo non aveva
alternative: la macchina era fuori discussione poiché la patente gli
era stata ritirata -maledetto Naruto e con lui anche la festa di fine
anno scolastico con annessi alcolici-, Itachi non aveva tempo di
portarlo all'Università e di certo non poteva prendere il traghetto
per arrivare a Bologna. Non sapeva nemmeno volare, quindi l'unico
modo di arrivare alla facoltà di Economia di Bologna era prendere
quell'ammasso di lamiere sferraglianti che stava arrancando sui
binari per poi arrestarsi davanti a lui. Le porte si aprirono e lui
si affrettò a entrare nel vagone che, ovviamente era pieno:
oppure... no, c'era ancora un posto. Si diresse verso il sedile
libero quando i suoi occhi si posarono sulla ragazza seduta di fianco
a quello che ormai era diventato il suo posto: le cuffie sulle
orecchie e lo sguardo perso fuori dal finestrino gli fecero capire
che probabilmente non si sarebbe nemmeno accorta della sua presenza
-ma questo a lui non importava.
E, di nuovo, sbagliò:
nessuno seppe mai cosa portò lo sguardo della giovane a posarsi su
Sasuke, nessuno seppe mai perché i loro sguardi si incrociarono.
Verde nel nero, nero nel
verde: l'inizio di qualcosa di nuovo che avrebbe segnato le loro
esistenze.
Fu l'Uchiha a spezzare quel
contatto voltando il capo con stizza e sedendosi, lo zaino tra le
ginocchia. Lei invece continuava a fissarlo, lo sguardo assente come
se lo guardasse ma non lo vedesse per davvero; Sasuke, seccato, si
voltò di nuovo verso di lei e sibilò: «Che vuoi?»
«Che vuoi?»
Sakura scosse la testa e
abbassò lo sguardo, arrossendo imbarazzata: ecco, una delle sue
solite figuracce. Ma non le dispiaceva, non riusciva a dispiacerle
sentire quegli occhi penetranti che sostavano sulla sua figura: li
avvertiva spostarsi dal volto alle spalle, percependoli catturare
ogni dettaglio.
Rabbrividì e tacque,
chinando il capo e mormorando qualcosa che assomigliava a uno
"scusi".
«Tsk»
Con la coda dell'occhio vide
il ragazzo osservarla con disprezzo, per poi voltare il capo con
quella che sembrava una vaga irritazione.
Trattenendo il fiato per un
motivo a lei sconosciuto, continuò ad osservarlo di sottecchi.
Sasuke sbuffò ancora,
infastidito.
Che quella ragazza fosse una
debole l'aveva già capito non appena l'aveva vista, ma che fosse
anche noiosa no. Era da minuti interi che quelle due iridi smeraldo
erano posate incessantemente su di lui e per qualche motivo questo
gli dava molto fastidio: in vita sua era stato fissato molto spesso e
non sempre con ammirazione o affetto, ma non se ne era mai curato.
Quella volta, invece, era
diverso e lui non sapeva il perché.
Fu con uno strano sollievo
che si alzò dal suo posto per scendere dal mezzo, spalancando
l'ingresso del vagone con troppa foga e facendo sbattere la porta
contro la parete: si voltò di nuovo, incrociando quegli occhi verdi
che tanto lo infastidivano ancora una volta; Sasuke si disse che
quegli occhi per lui non valevano nulla.
Ma nonostante questa sua
convinzione scese dal treno con un nodo allo stomaco e con il ricordo
di quelle due iridi fisse su di lui.
Sakura osservò il ragazzo
scendere dal treno, le cuffie posate sulle ginocchia e la musica che
stranamente non le riempiva le orecchie.
Non smise per un istante di
guardarlo, quel ragazzo, così diverso dal resto del mondo che era
impossibile non notarlo: egli era nero quanto lei era colorata, ed
entrambi erano lontani dal grigio mondo che Sakura detestava.
Strinse le mani a pugno con
tanta forza che le nocche sbiancarono, mentre il suo sguardo era
ancora fisso là, dove l'aveva visto l'ultima volta.
***
Il giorno seguente Sakura
salì ancora sul treno, senza però avere le cuffie sulle orecchie:
stesso vagone della volta precedente -perché sì, non poteva
dimenticarlo- e stesso posto.
Il nuovo sferragliare del
treno riempiva le orecchie della ragazza, il nuovo allegro
chiacchiericcio che le persone sul treno creavano l'avvolgeva come
una spessa e morbida coperta, intontendola, fino a che lo stridio dei
freni non la riportò bruscamente alla realtà: spostò lo zaino dal
sedile di fianco al suo poggiandolo per terra, le mani strette l'una
nell'altra e posate sul grembo.
E con l'inutile speranza che
lui varcasse di nuovo l'ingresso di quel vagone che le pesava sul
cuore.
Non sapeva cosa l'aveva
spinto ad aprire quella porta.
Non voleva sapere cosa
l'avesse spinto a cercare quello che si era ripromesso di
dimenticare, semplicemente l'aveva fatto e basta: fu con una strana
sensazione che avvistò quello che voleva e di fianco, quasi come se
il destino ci avesse messo lo zampino, l'ultimo posto libero di tutto
il vagone.
«Non avevo voglia di
cercare un altro vagone e quello era l'unico posto libero»
all'orgoglio di Sasuke Uchiha parve una scusa sufficientemente buona.
Così, scrollando le spalle,
Sasuke si sedette.
Sakura non avrebbe mai
ammesso che quel posto non era libero per caso, così come non
avrebbe mai ammesso che fino a pochi minuti prima il suo zaino era
posato proprio su quel sedile e che al ragazzo biondo che le aveva
chiesto se poteva sedersi aveva risposto con un gentile "Occupato"
accompagnato da un sorriso.
Scoccò piuttosto l'ennesimo
sguardo al suo vicino, mentre questi osservava dritto davanti a sé:
ora che lo osservava, Sakura capiva che erano davvero diversi. Forse
addirittura opposti.
«Io sono S-Sakura, Sakura
Haruno» Balbettò, alzando lo sguardo per fissare il soffitto -e non
lui- del vagone e arrossendo.
Normalmente Sasuke avrebbe
risposto un «Ma chi te l'ha chiesto?», ma ancora una volta qualcosa
volle fargli capire che quella situazione non era una normale.
Invece che ribattere,
infatti, tacque. Tacque puntando la sua attenzione verso colei che
gli aveva rivolto la parola: si soffermò sui capelli di un inusuale
colore rosa pastello, sul viso ovale e sulla sua esile figura, per
poi arrestarsi su quegli occhi che tanto lo avevano tormentato.
Sakura continuava a fissare
in alto, rifiutandosi di guardarlo: Sasuke invece non staccò gli
occhi da lei, osservandola spostare nervosamente lo sguardo ovunque
tranne che sulla sua figura ed affannarsi nel tentativo di ignorarlo.
Fu solo quando lo stridore
dei freni riempì le loro orecchie che l'Uchiha si alzò in piedi e,
voltandosi appena prima di scendere dal treno, le rivolse la parola:
«Sasuke, Sasuke Uchiha».
E sparì fuori dal mezzo.
Questa volta Sakura non potè
evitare di guardarlo e mettere da parte il suo imbarazzo: lo vide
svanire in un istante e, di nuovo, l'attanagliò la sciocca speranza
di rivederlo.
Di rivedere Sasuke
Uchiha.
***
Il caldo di Agosto era
arrivato anche quell'anno e sembrava non avere intenzione di
andarsene o di mitigarsi: Sakura aveva aperto il più possibile il
finestrino del treno, godendo della fresca brezza che entrava da
esso.
E a Sasuke venne da
ripetersi che, normalmente, avrebbe scostato infastidito il braccio
per evitare il contatto con quello dell'altra ma -un'altra volta-
qualcosa gli disse di non farlo. Allora egli rimase lì a fissare la
sua mano che, nonostante tutto, era ancora appoggiata vicino a quella
di Sakura.
E di lì non aveva
intenzione di muoversi.
Una parte di Sakura aveva
già capito cos'era successo fra di loro, ed era convinta che in
fondo anche Sasuke lo sapesse. Non c'era altro modo di interpretare
il rossore che si impossessava delle sue guance quando lo vedeva,
oppure l'impercettibile mutamento negli occhi di Sasuke quando le si
sedeva vicino.
O le loro braccia vicine che
nessuno dei due voleva spostare.
E fu proprio quella parte
della ragazza che, al consueto stridore dei freni del treno,
rabbrividì.
Perché c'era qualcosa di
strano e di sbagliato, in quella mattina.
Sasuke scese dal treno come
tutte le mattine e si incamminò verso l'uscita.
Dei passi affrettati dietro
di lui, e qualcosa che gli afferrava il braccio: si voltò di scatto,
senza però scacciare la mano che lo stringeva.
Due occhi verdi lo
fissavano, spaventati: Sakura era terrorizzata, il viso a pochi
centimetri dal suo.
«Ma che...» Mormorò
l'Uchiha, assottigliando gli occhi e scrutando la ragazza con
attenzione.
Sakura non rispose: la
domanda rimase sospesa fra di loro, mentre entrambi rimasero lì a
guardarsi per istanti infiniti.
Erano cambiati, entrambi: in
quei pochi giorni lo sguardo di Sakura non era più perso in
lontananza, ma rimaneva ben attento a ciò che succedeva intorno a
lei mentre quello di Sasuke aveva imparato a vedere dietro la mera
apparenza, a capire che qualcosa più in là poteva esserci.
Sasuke si chiese
distrattamente come avrebbe potuto cambiarlo quella ragazzina se solo
gli fosse stata accanto di più...
Sakura si alzò in punta di
piedi, chiudendo gli occhi.
Fu il sapore delle labbra
fresche di Sasuke ad accompagnare lo scoccare della loro fine: erano
le 10.25 del 20 Agosto 1980, alla Stazione di Bologna.
Sopra il frastuono dello
scoppio, Sakura sentiva solo le braccia di Sasuke stringerle la vita:
non le importava più di nulla, perché la sua vita era diventata
completa quel giorno alle 10.25 quando le sue labbra avevano toccato
per la prima volta quelle di Sasuke Uchiha.