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Autore: hotaru    05/11/2010    1 recensioni
«- Cos'è? Cos'è? Vedere, vedere! -.
Kerochan non stava più nella pelle, ma Sakura sfiorò a malapena il contenuto della scatola con la punta delle dita. Malgrado non fosse scritto da nessuna parte, era lampante che fosse appartenuta a sua madre; indossava ancora il suo vestito, e il leggero profumo che emanava dalla stoffa la faceva sentire in un altro posto, in un altro tempo.
Un tempo in cui sua madre era stata bambina, ancora viva.»
Partecipante al "Tournament Contest" di vogue91, Fabi_Fabi e liliblack.
Dedicata a Return_to_Nibelheim
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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1- Salti di pietre Questa storia partecipa al contest "Six Months": le parole utilizzate sono "sole" e "foglio" nel 2° capitolo


Il luogo che vede l'inizio della storia e ritorna più volte nel corso dei capitoli è questo.

Senza la lettura di una certa "Vento (una storia di cibo cucinato male)" di Return_to_Nibelheim, probabilmente questa long non sarebbe mai stata scritta.
Perciò la ringrazio e gliela dedico, sperando che le piaccia.



Giochi di fate

Salti di pietre

"O sui sentieri
dove corrono le fate..."

(Modena City Ramblers, "Ninna nanna")


Una delle prime mattine di gennaio, qualche giorno dopo il Capodanno, una bambina stava raccogliendo sassi sulla riva di un lago grigio come il cielo. Ogni tanto i capelli le si impigliavano tra i rami più bassi di un albero nero e spoglio lì accanto, spettinandole l'elaborata acconciatura.
Cercava le pietre più piatte e dai contorni più regolari, ammucchiandole poi fra le radici dell'albero. Malgrado cercasse di stare attenta, l'acqua gelida delle onde che lambivano la riva le era arrivata fino ai geta (¹), bagnandole irrimediabilmente le calze. Cominciava a sentire i piedi ghiacciati e intirizziti, ma era ben decisa a non andarsene di lì finché non avesse raccolto ventiquattro pietre.
Non sapeva esattamente che ora fosse: il sole era nascosto dietro le nubi grigie che offuscavano il cielo come nebbia, e non riusciva a calcolare da quanto tempo si trovasse lì. Ma ci avrebbe pensato più tardi.
Era ormai tutta sudata, sicura che il costoso cappotto che indossava sarebbe stato decisamente da lavare una volta tornata a casa, ma non poteva rinunciare proprio ora: le mancavano soltanto quattro pietre per completare il numero. Poi si sarebbe presentato un altro problema- ossia come trasportarle fino a casa, visto che le tasche del suo cappotto non erano molto capienti- ma anche a quello avrebbe pensato più tardi.
Stava giusto tastando la possibile ventunesima pietra, assicurandosi che fosse sufficientemente liscia al tatto, quando sentì una voce chiamarla.
- Nadeshiko, ma che stai facendo? -.
- Ah, Sonomi, arrivi proprio al momento giusto! Ho quasi finito; poi mi daresti una mano? - rispose allegramente lei, spostando dal viso le ciocche uscite dalla pettinatura.
- E che stai facendo? - ripeté l'altra, una ragazzina della sua età che non aveva tutti questi problemi con i capelli, visto che i suoi erano corti e lisci.
- Raccolgo sassi – spiegò tranquillamente Nadeshiko, rischiando di perdere l'equilibrio per mostrarle quello che teneva in mano. Ma riuscì a non cadere, e decise che quella pietra andava bene. Adesso ne mancavano tre – Me ne servono altre tre all'incirca come questa: di grandezza simile e abbastanza liscia -.
L'altra non rispose, ma si avvicinò a iniziò a cercare, schivando agilmente l'acqua che scorreva tra i sassi sulla riva.
- Questo può andar bene? - domandò mostrandogliene uno, e Nadeshiko annuì.
- È perfetto. Mettilo assieme agli altri, sotto l'albero -.
Sonomi obbedì, e in breve trovarono le ultime due pietre che servivano a raggiungere il numero prefissato.
- Senti, ma... si può sapere cosa te ne fai? - domandò poi.
- Dopo te lo mostro. Intanto dobbiamo trovare il modo di portarle tutte a casa; mi aiuti? -.
Sonomi annuì, rassegnata al fatto che la cameriera avrebbe di certo storto il naso non appena avesse visto le tasche dei loro cappotti tutte inzaccherate. Tuttavia prese qualche manciata di sassi e se li infilò in tasca.
- Dai, andiamo. Ero venuta a chiamarti perché fra mezz'ora si mangia -.
Nadeshiko non se lo fece ripetere: raccolse le pietre rimaste e le tenne fra le braccia, rischiando di farle cadere tutte mentre raggiungeva la cugina.
Aveva un'aria estremamente soddisfatta e, mentre raggiungevano la casa del nonno situata a poca distanza dal lago, pensò che non vedeva l'ora di mettersi al lavoro.
 
Qualche ora più tardi, ripulitasi e cambiatasi d'abito, con un nastro giallo fra i capelli, Nadeshiko era intenta a fare degli strani disegni sulle pietre raccolte.
- Ah, stai copiando questi disegni? - le chiese Sonomi quando la raggiunse – Non è il libro sulle fate che ti ha regalato il nonno per Capodanno? -.
Nadeshiko annuì, intingendo il pennello nell'inchiostro indelebile e a prova d'acqua che la cameriera le aveva procurato.
- E quelle che stai dipingendo sono... - lesse di nuovo la pagina che teneva aperta - ... delle rune? -.
- Esatto – gli occhi verdi di Nadeshiko brillavano di entusiasmo, mentre tracciava un segno dopo l'altro.
- E per fare cosa? -.
Nadeshiko alzò lo sguardo, gli occhi che sorridevano.
- Ti va di fare una prova? -.


Sonomi sapeva che, malgrado fosse di cinque mesi più vecchia, Nadeshiko era molto più ingenua di lei. Lo sapeva già allora che avevano solo undici anni, e mentre lei si impegnava nello studio e nello sport con tutta se stessa, sua cugina aveva al massimo un po' di talento nelle attività artistiche. Eppure, malgrado ciò, non credeva che al mondo ci fosse una persona migliore di lei: sapeva bene che era la preferita del nonno e in generale di tutta la famiglia, ma non ne era mai stata gelosa; semplicemente perché non si poteva fare altro che volerle bene.
Quella sera, quando i disegni sulle pietre si furono asciugati, si sistemarono entrambe sul lettone matrimoniale che condividevano in quei giorni: non che la tenuta Amamiya non disponesse di un'altra stanza da letto, ma avevano ottenuto di poter dormire insieme, divertendosi un mondo a chiacchierare finché il pendolo all'entrata non batteva cupamente la mezzanotte.
- E che cosa sarebbero queste rune? - domandò Sonomi, suo malgrado curiosa.
- Un antico alfabeto europeo: la parola "runa" significa "segreto da sussurrare" -.
- C'è scritto nel libro che ti ha regalato il nonno? -.
Nadeshiko annuì.
- Si utilizzavano per predire il futuro – mosse leggermente il sacchetto di velluto rosso in cui le aveva infilate – Perché non proviamo? -.
Sonomi fece spallucce.
- D'accordo, perché no? -.
- Va bene, allora -.
Ne estrassero soltanto una, per poi rimetterla dentro al sacchetto, scuoterlo un po' e ripetere l'operazione altre due volte. Sonomi estrasse rispettivamente "Fehu", "Sowulo" e "Raido": Nadeshiko le rivelò che significavano "lavoro che dà i suoi frutti", "successo" e "un viaggio".
- In effetti devo andare a Kagoshima per delle gare di atletica – disse Sonomi.
- Beh, in realtà possono essere anche profezie a lungo termine – le spiegò la cugina – Il "successo" può anche riferirsi al tuo lavoro futuro -.
L'amica annuì, non molto convinta, anche se parecchi anni più tardi, quando diventò presidente di una grande società di giocattoli, non poté fare a meno di ricordare quella strana profezia fatta con sua cugina in una serata di gennaio.
- E tu, invece? - chiese, al momento parecchio più interessata alle tre pietre che aveva pescato Nadeshiko, tutte rappresentanti la stessa runa – Non è strano che ti sia capitata sempre la stessa? Che cosa significa? -.
- Si chiama "Perdh" e significa... - disse la cugina, leggendo dal suo libro - ... "gioco delle fate, predizione" -.
- Come? E cosa vuol dire? Predizione di cosa? -.
- Questo non lo so – ammise Nadeshiko, per niente delusa – Può darsi che risulti più chiaro in futuro -.
- Mah... sinceramente preferisco il gioco delle probabilità. È più convincente -.
- Ma come? Lo dici proprio tu, dopo che ti sono capitati dei segni così favorevoli? Non è da tutti, sai? -.
- Dici che sarò fortunata? - domandò Sonomi con un sorriso.
- Assolutamente – annuì convinta Nadeshiko.
- Anche in amore? -.
Ridacchiarono entrambe, visto che sapevano che sarebbero finite di nuovo su quell'argomento.
- A proposito, Sonomi, cosa mi dici di quel senpai che ti piace? -.
- Oh, è sempre più carino. Ma io sono troppo piccola, non mi faccio illusioni -.
- Non dire sciocchezze. Non ti ha inserito nella gara di atletica? Significa che ti trova in gamba, no? -.
Si infilarono entrambe sotto le coperte e Nadeshiko mise il sacchetto con le rune sotto il cuscino, al sicuro. Vi appoggiò poi la testa, i lunghi capelli castani che lo ricoprivano completamente.
- Allora? - la incalzò.
- Ecco... mi ha chiesto se durante il viaggio per Kagoshima può sedersi vicino a me... -.
- Lo sapevo! -.
- Ma smettila! - Sonomi le lanciò addosso uno dei cuscini più piccoli che avevano lì attorno, e Nadeshiko scoppiò a ridere – Tu piuttosto: che hai detto ai tuoi mille pretendenti? -.
La cugina si strinse nelle spalle.
- Che sono tutti molto simpatici – rispose semplicemente.
Sonomi sbuffò: Nadeshiko era talmente bella che praticamente ogni giorno trovava un mazzolino di fiori sul banco e la conseguente dichiarazione di un qualunque ragazzo della sua classe o della scuola. Eppure non si era mai attirata l'invidia delle compagne, che le volevano tutte un gran bene. Solo lei poteva riuscirci: a ben pensarci, il suo più grande talento stava nell'arte di farsi amare.
- Andiamo, Nadeshiko: possibile che non te ne piaccia neanche uno? A volte mi viene voglia di picchiarti! -.
- Guarda che l'hai già fatto: quel cuscino è stato una chiara manifestazione di violenza! -.
Sonomi scoppiò a ridere, imitata dalla cugina, ma quando tornò seria insistette:
- Dai, dico sul serio. Possibile che non ti sia mai piaciuto nessuno? -.
- Beh... non dico che non siano carini. O simpatici – Nadeshiko sembrò pensarci un po' su, mentre la luce soffusa dell'abat-jour riempiva i suoi capelli di riflessi dorati – Ma... non sono lui -.
- Lui chi? -.
- Lui. Un giorno arriverà, lo so. E sarà amore eterno -.
Sonomi avrebbe sfoderato la più incredula delle espressioni, se non avesse avuto perfettamente chiaro con chi stava parlando. Da un lato era certa che Nadeshiko sarebbe andata incontro a una grossa delusione, perché anche se aveva solamente undici anni sapeva bene che i principi delle fiabe non esistevano nella vita reale. C'erano tanti ragazzi carini, questo sì, ma erano tutti perfettamente umani. Eppure, sotto sotto, si augurava che sua cugina avesse ragione: che per lei potesse esistere davvero una persona così, come quella che stava aspettando.
- Lo spero per te – concluse, ed era sincera.
- Anch'io lo spero per te – mormorò Nadeshiko, che dopo le fatiche della giornata era ormai piuttosto stanca – Buonanotte -.
- Buonanotte, cugina -.


Il vento soffiava leggero, come un respiro. Un respiro che si mescolava al suo, mentre si destreggiava senza fatica tra i sassi sulla riva. Che strano: e pensare che quella mattina era stata impacciata come al solito, mentre adesso si sentiva agile quanto Sonomi.
Lanciò un'occhiata all'albero presso la riva, piacevolmente sorpresa di trovarlo completamente fiorito, pieno di piccoli boccioli color rosa acceso che non potevano essere altro che garofani selvatici: non che fosse un'esperta di botanica, ma i suoi fiori era perfettamente in grado di riconoscerli. (²) Anche se, da quel che ricordava, avrebbero dovuto fiorire per terra, e non sugli alberi.
Ma non aveva tempo di pensare a queste cose, adesso. Era lì per un motivo, lo sentiva.
Allentò i cordoncini del sacchetto di velluto rosso che aveva con sé, aprendolo e tirando fuori la prima pietra. La lanciò verso le onde, con un ampio gesto del braccio che non sapeva di essere in grado di fare, facendole fare due o tre salti sul pelo dell'acqua prima che si inabissasse. Era una cosa che non le era mai riuscita in vita sua, malgrado sia Sonomi che suo nonno avessero cercato di insegnargliela.
Ma adesso non aveva tempo per pensarci. Prese un'altra pietra dal sacchetto, lanciandola come la precedente: altri tre salti, e poi il nulla. Fece lo stesso con un'altra decina di sassi, che scomparvero uno dopo l'altro nell'acqua cheta e grigia.
Non li guardava nemmeno, quando li prendeva in mano: lanciava e basta. Ma ad un certo punto, la pietra che aveva appena tirato non si inabissò dopo il terzo salto, ma continuò a saltare. Saltò tanto a lungo da disegnare una grande parabola e tornare incredibilmente indietro, tanto che Nadeshiko mollò il suo sacchetto a terra per riuscire a prenderla al volo.
Fu come se quella pietra le fosse saltata letteralmente in mano, perché di norma non riusciva ad acchiappare nemmeno una palla, figurarsi qualcosa di così piccolo.
Quando la guardò, riconobbe subito il simbolo che lei stessa vi aveva dipinto sopra. Perdh.
- Gioco delle fate, predizione – mormorò – Ma predizione di cos... -.
Non fece in tempo a terminare la frase che il lago davanti a lei si illuminò, come dall'interno, rendendo l'acqua quasi argentata. Il cielo si era fatto buio, ma i fiori sull'albero si aprirono come sotto i raggi del sole più luminoso, rigogliosi come nel pieno della primavera.
L'aria si popolò di tanti esseri luminosi, dalle forme vagamente femminili: strani spiriti avvolti nel fuoco, nell'acqua o nella nebbia; un'altra bizzarra fanciulla che danzava disseminando fiori, mentre una voce dolcissima, proveniente da chissà dove, cantava una melodia che non sembrava affatto umana. Nadeshiko si riempì gli occhi di tutto ciò, felice come non mai: forse delle fate avevano davvero iniziato a giocare con lei.
A un tratto, però, intorno a lei si fece silenzio. E una figura incappucciata si alzò dall'acqua lì davanti, procedendo verso la riva. Troppo spaventata per spostarsi, Nadeshiko rimase immobile e inquieta, ma quell'ombra scura la evitò, avventandosi invece sull'albero dietro di lei. E vide quegli splendidi fiori rigogliosi farsi grigi, perdere il loro colore e tutti i petali, finché caddero morti a terra e l'albero rimase spoglio come quella mattina.
Quella strana figura scomparve, assieme alle fate e alla luce che aveva illuminato l'acqua. Nadeshiko, affranta, si avvicinò ai fiori caduti, raccogliendone uno fra le mani. Era freddo e spento, grigio come una pietra: era morto.








(¹) Geta: sandali tradizionali giapponesi, a infradito e solitamente con la base del piede in legno sostenuta da due listelli
(²) Il nome Nadeshiko significa "garofano selvatico"





Questa storia ha partecipato al "Tournament Contest" indetto da vogue91, Fabi_Fabi e liliblack. Purtroppo alla fine abbiamo consegnato solo in due, perciò non è stata stilata alcuna classifica, anche se ringrazio le giudici per l'accuratezza dei loro giudizi. Inoltre faccio i complimenti a crimsontriforce, mia unica compagna di contest.
Nel contest dovevamo ispirarci ad un'immagine e a degli abbinamenti: i miei erano il giallo chiaro (a rappresentare la gioia), la runa Perdh (che significa gioco di fate, predizione), il non-ti-scordar-di-me (a simboleggiare l'amore eterno) e il corallo (simbolo del sangue e delle origini familiari).
In realtà mi sono poi ispirata anche ad altre rune presenti nei vari prompt.

È una storia un po' particolare, che parte da un appunto trovato su Wikipedia: il manga di "Card Captor Sakura" fa pensare che Nadeshiko, madre di Sakura, possedesse dei poteri che ha poi trasmesso ai figli. Io non ho letto il manga, ma ho deciso di prendere spunto da questa nota (dato che spiega perché sia Sakura che Touya possiedano dei poteri magici: vederli come ereditari ha più senso), immaginando che in effetti Nadeshiko possa essere entrata in contatto con la magia.
Ipotesi e missing-moment, quindi, per forza di cose.
Spero che vi piaccia! ^^
   
 
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