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Autore: elyxyz    07/11/2010    24 recensioni
Se chiude gli occhi, la sabbia invade il suo campo visivo ed è quasi peggio dell’incubo nero.
(...)
Forse Sherlock Holmes non saprà mai intrattenerlo con un’amabile conversazione, senza farlo sentire un completo idiota, ma sa alleviare i suoi tormenti, riempiendo di musica quel buio.
E forse quel buio farà meno paura.

[John Watson & Sherlock Holmes, friendship]
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock BBC

Confesso che sono alquanto titubante al momento – mi spaventa sempre entrare in un fandom nuovo – e sinceramente spero che questa fic sia un primo esperimento almeno decente (sto cercando di impadronirmi dei personaggi, ma non è semplice padroneggiarli, vista la complessità degli stessi).

 

 

Vorrei dedicarla a quelle persone che condividono con me questa neonata passione per Sherlock.

Alle storie che ho letto finora, e che mi hanno affascinata.

E a quanti commenteranno. Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Un pensiero speciale a Giuls e Ary.

Grazie.

 

 

Sand & Darkness

 

by elyxyz

 

 

 

 

Terra arida, brulla, desertica.

Sabbia.

 

Sabbia ovunque. Sabbia nei vestiti, sabbia tra le pieghe della pelle, sabbia sotto ai denti, sabbia che gratta in gola, come carta vetrata.

 

John deglutisce e fa una smorfia, mentre si asciuga, infastidito, un rivolo di sudore dalla fronte madida, impastata di sabbia.

 

Lui odia l’Afghanistan e tutta quella sabbia.

 

Il sole di mezzogiorno picchia inclemente contro il suo elmetto e rende l’afa irrespirabile; gli fa rimpiangere l’ombra di Hyde Park – sebbene anche là ci sia sabbia, ma tutt’altro tipo di sabbia, piacevole sabbia – e la borraccia semivuota gli rammenta che deve centellinare ogni goccia, fino a che non tornerà al campo base, al sicuro.

 

Ma i colpi di Kalašnikov in avvicinamento richiamano la sua attenzione – la sete e la sabbia dimenticate all’istante. Il suo commilitone più vicino gli fa un cenno d’intesa e, insieme ad altri tre soldati, la piccola squadriglia striscia tra le sterpaglie, fino alla prossima, misera duna che useranno come riparo.

 

Un gruppo di guerriglieri intanto si muove veloce, inducendoli a deviare, sotto il fuoco di mitraglie d’importazione occidentale. C’è una sottile, caustica ironia in tutto questo. Il denaro non ha patriottismo, considera, controllando che il suo fucile non venga danneggiato nelle manovre.

 

John odia uccidere la gente. Lui è un medico, ha giurato di salvare vite umane, non di sterminarle; ma è anche un soldato addestrato, e come tale agirà.

 

Questo è il suo penultimo pensiero coerente, prima che l’onda d’urto della deflagrazione di un ordigno, poco lontano da lui – ma quando sono finiti in un campo minato?! –, lo faccia sbilanciare verso destra e incespicare al suolo, facendogli cadere di mano la sua arma. Un istante dopo, John Watson sente solo il sibilo assordante di un proiettile che si conficca nella sua carne e trattiene a stento un urlo. Il dolore è lacerante, la spalla sembra pulsare e bruciare come le fiamme dell’inferno. Se deve morire, prega solo che avvenga presto. Magari subito.

 

Ma forse... forse non succederà.

Il suo ultimo pensiero razionale, prima che il mondo diventi nero, è che, se non avesse perso accidentalmente l’equilibrio, quella pallottola gli avrebbe trapassato il cuore.

 

 

***

 

 

Il suo sogno finisce sempre così.

Con quella cortina nera, viscosa e pulsante, prepotente e inquietante come la morte.

Ogni notte, da che si è risvegliato nell’ospedale da campo dell’Esercito di Sua Maestà, il soldato Watson ripercorre quegli ultimi istanti e l’urlo muto che gli è morto in gola. E che ogni notte, notte, notte gli muore in gola.

 

John Watson è un dottore e non è stupido. Sa cos’è un disturbo da stress post-traumatico. E sa che il suo l’ha investito in pieno come un treno in corsa.

E se anche cercasse di dimenticarlo per un momento, c’è sempre quell’orrenda cicatrice sulla spalla sinistra a ricordarglielo, e il dolore alla gamba destra che non gli dà tregua.

 

La riabilitazione è finita, ma senza risultati apprezzabili. Le sedute con la sua terapista non funzionano – c’è quel dannato blog, desolatamente vuoto, da infarcire di cavolate, gli ripete lei.

E poi c’è la cara Harry che vorrebbe trascinarlo nella sua vita incasinata – no, grazie.

E una sistemazione da trovare, e in fretta, che i soldi cominciano a scarseggiare.

 

Forse, tutto sommato quel cecchino non gli ha fatto davvero un favore, mancando un suo punto vitale.

 

 

***

 

 

Quell’Holmes potrebbe essere la risposta ai suoi problemi. Considera Watson, scrutando l’eccentrico coinquilino immerso in uno dei suoi stravaganti (raccapriccianti?) esperimenti.

E’ una fortuna che la Scuola di Medicina l’abbia reso forte di stomaco, perché è convinto che la maggior parte della gente non gradirebbe trovare cervelli umani o residui biologici, non ben definiti, stipati nel proprio frigorifero di casa.

Eppure, da quando sta con lui, la sua vita va migliorando. La gamba non gli duole più, la cicatrice pizzica solo un po’.

Ci sono però ancora gli incubi a tenergli compagnia, nelle notti in cui non resta sveglio per aiutare quello strambo e geniale Consulente Investigativo.

A volte, John teme che non lo abbandoneranno mai. Scomoda eredità di chi ha visto la morte in faccia, quei ricordi lo perseguiteranno fino alla fine dei suoi giorni, notte dopo notte, buio dopo buio.

 

 

***

 

 

L’ottava notte, da che si è trasferito in Baker Street 221B, John si sveglia come d’abitudine di soprassalto, con la bocca spalancata e un urlo trattenuto: rammenta lo sparo vivido, il dolore e poi il buio che lo inghiotte.

Nell’intontimento del dormiveglia, col cuore che batte ancora forsennato, può quasi sentire ancora i granelli di sabbia dell’Afghanistan che gli grattano in gola.

Con un gesto stizzito, allunga una mano sotto di sé per risollevarsi, e sente la sabbia anche lì, grumosa, fastidiosa, irrazionale. E’ assurdo, perché c’è sabbia lì?

Ne raccoglie un po’ con le dita, sgranandola tra pollice e indice, se la porta vicino agli occhi, scrutandola nella penombra della stanza – la luce dei lampioni in strada è poca, ma basta. E poi se la porta alle labbra. E fa una smorfia. Briciole di pane, il sandwich di Sherlock.

John realizza solo adesso che non è nel suo letto, che è collassato di stanchezza sul divano del salotto, appena rientrato. Cerca invano di trovare una posizione comoda, le molle scricchiolano per protesta.

Controllando l’orologio che ha imparato a non togliere mai, si rassegna all’alba ormai imminente.

Non ha dormito che poche ore, ma adesso non riuscirà più a riposare.

Se chiude gli occhi, la sabbia invade il suo campo visivo ed è quasi peggio dell’incubo nero.

Watson esala un sospiro stremato. Finirà mai?

Ed è allora che, dalla stanza accanto, si eleva un assolo di violino che lui non riconosce – non è mai stato un grande esperto musicale – ma che lo incuriosisce per il ritmo, la cadenza, per l’eleganza delle note in successione.

 

John sorride e si mette comodo, per ascoltare quell’esecuzione in esclusiva per lui.

Forse Sherlock Holmes non saprà mai intrattenerlo con un’amabile conversazione, senza farlo sentire un completo idiota, ma sa alleviare i suoi tormenti, riempiendo di musica quel buio.

 

E forse quel buio farà meno paura.

 

 

 

Fine

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note: Ed ecco la mia prima fic su Sherlock. *__*

Ho già in cantiere un altro paio di idee, e non vedo l’ora di vedere la prossima serie, ormai alle porte! ^O^

 

 

 

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elyxyz

 

   
 
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