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Autore: nick nibbio    14/11/2010    3 recensioni
Salve a tutti, chiunque siate: mi chiamo Sauron Folgore Sandtimes e mi chiamano il Lupo, ma chiamatemi semplicemente Sauron.
Questa è la storia di uno dei più importanti tra i Sun's Knights.
Un ragazzo con tanti segreti che cercherà di realizzare un sogno impossibile e porre fine alla maledizione che grava su entrambi clan dai quali discende.
Dal capitolo 8 in poi, la storia è inserta nel genere Crossover: visto che in essa si mescolano elementi di varie storie. Buona lettura a tutti voi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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un incontro che mi cambiò la vita

Salve a tutti quanti. Spero che questa storia stia cominciando a piacervi e che i capitoli precedenti vi abbiano un po' incuriosito. 
Eccovi il nuovo capitolo e buona lettura.
Mi raccomando commentate.

Il secondo episodio più importante della mia vita è legato all’incontro di una ragazza, forse la prima che mi abbia davvero rubato il cuore: ed è la stessa che, adesso, è riprodotta insieme a me nella cornice che ho sul mobiletto.

Il suo nome è Selen.

 

 

Era una giornata tranquilla e monotona: lezioni fino a tardi, completamente ignorato dagli altri e considerato un mostro e un visionario, per via del mio sogno che avevo deciso di gridare ai quattro venti. Ad esso si era aggiunta la presenza di Incanto di Folgore, che mi fluttuava sempre accanto che nessuno, a parte me poteva vedere: quindi ero allontanato da tutti.
A pensarci adesso mi viene da ridere, ma allora era un ulteriore macigno che avevo addosso e questo mi faceva davvero male.

 

Stavamo per incominciare le lezioni. La maestra entrò nell’aula e fece una comunicazione alla classe: “Buongiorno a tutti”.
“Buongiorno maestra!” dicemmo come pappagalli (patetico).
“Prima di cominciare la lezione, dobbiamo dare il benvenuto ad una nuova alunna. Prego, entra”.
Entrò una ragazzina. Il suo sguardo era malinconico, ma molto dolce, accentuato dagli occhi rossi e luminosi. Una cosa che mi sorprese molto era il colore dei suoi capelli: lunghi e rosa luminoso , coperti in parte da un berretto azzurro su cui erano disegnate delle ali.
“Salve a tutti” disse timidamente.
“Vi presento Selen Rose: viene dal Giappone della dimensione 12. Vorrei che faceste subito amicizia con lei e le indichiate il programma che stiamo facendo.
A questo punto bisogna trovarle un posto. Scegli pure il posto che più preferisci”.

Di posti liberi ce n’erano cinque: uno due banchi avanti a me, affianco alla cattedra, uno al centro, nella zona delle pettegole di moda, due vicino alla porta, dove c’erano i patiti della musica. L’ultimo era quello vicino a me, di fianco alla finestra.

Da quando frequentavo la scuola, nessuno si era mai seduto vicino a me, considerando la mia stranezza. Ero sicuro che avrebbe scelto le patite di moda, quindi non ci feci caso e non feci alcun gesto.

“Scusa!” mi sentii chiamare “Potresti lasciarmi sedere vicino la finestra? Mi piace guardare fuori”
Mi sentii attraversato da un fulmine a ciel sereno. Quella ragazza, tra cinque posti liberi aveva scelto proprio quello che nessuno voleva: vicino a me.
Come un robot, mi alzai e la lasciai passare.
Mentre si sedeva: la osservai e lei, sentendo il mio sguardo, arrossi e lo stesso feci io.
“Ciao!” mi disse timidamente “Io sono Selen Rose”.
“Piacere” dissi io mentre mi sedevo come un automa “Io sono Sauron Folgore Sandtimes”.

 

La lezione andò normalmente, salvo per il fatto che mi sentivo lo sguardo di tutti sul collo. Alla cosa ero abituato, ma non era odio o paura che sentivo: bensì invidia, da parte dei maschi e preoccupazione, da parte delle femmine.
C’era anche un’altra cosa nuova: ero molto vicino ad una ragazza che non era né mia madre, né una sua amica e la cosa mi piaceva.
Ma sapevo che non sarebbe durata a lungo.

 

Era ora di pranzo. Come mio solito, mi ero seduto sul tavolino più vicino alla porta, completamente solo a consumare il mio pasto.
“Perché non chiedi a quella ragazzina di farti compagnia?” mi disse lo spirito di Incanto di Folgore.
“Non servirebbe a niente” dissi dopo aver bevuto un sorso di succo “Le altre l’avranno avvicinata e detto qualcosa su di me. Non vale la pena neanche provarci. Sono sicuro che, da domani, se ne andrà da qualche altra parte”.
“Allora non mi volterei, fossi in te. Spero che ti vada di condividere il posto con qualcuno oggi” disse Incanto.

Alzai la testa e me la trovai nuovamente davanti.
“Posso sedermi qui?” disse con lo sguardo basso.
“C-Certo!” dissi nuovamente rosso.
Mi si sedette davanti e cominciò a mangiare in silenzio.
“Che cosa devo fare?” pensai.
“Dille qualcosa” propose Incanto che sentiva i miei pensieri.
“Si. Ma cosa?” pensai.
“La prima cosa che ti viene in mente” disse.

La testa mi stava per scoppiare: non riuscivo a pensare a nulla e non riuscivo a toccare cibo.
Come potevo uscire da quella situazione così imbarazzante?
“Ciao Selen!” disse una ragazzina che passava di lì.
“Ciao” disse lei aggiustandosi il berretto sulla testa.
“Che ne dici di venire a sederti con noi? Questo tavolo è il meno adatto per pranzare” facendo un chiaro riferimento a me.
Lei mi guardò e poi guardò l’altra e rispose affermativamente.

Si alzò ed andò via, ma prima, si voltò e mi salutò.
La guardai allontanarsi e sedersi a tre tavoli di distanza e accennai un sorriso.
“Hai visto come ti guardava?” disse Incanto “Sembrava triste”.
In quel momento non lo stavo ascoltando: la mia mente sembrava lontana anni luce da quella stanza, sentivo il cuore leggero come l’aria. Sembrava stessi per volare in cielo.
“Sveglia bello addormentato” mi richiamò Incanto.
“Come.. che stavi dicendo?” chiesi.
“Stavo parlando del suo sguardo: nascondeva tristezza. E poi perché continua a tenersi quel berretto in testa: con il caldo che fa qua dentro starà morendo dal caldo”.

“Chi lo sa?” feci  con occhi luminosi “Ognuno è libero di fare quello che vuole”.
“Secondo me hai un po’ di febbre. Non mi sembri messo bene”.
“Forse si! Ho un po’ di febbre” dissi sorridendo.
“Allora vattene da qui!” disse una voce stridula dietro di me mentre mi cadeva del liquido addosso.

Mi voltai.
“Vi serve qualcosa?” chiesi voltandomi.
“Certo! Che tu sparisca” dissero il cosiddetto trio iena della mia classe e mi spinsero all’indietro facendomi cadere.

Il vassoio del pranzo mi cadde sulla testa e tutto il suo contenuto mi finì sulla maglietta.
“Ah ah! mangi come un poppante. Perché non vai a piangere dalla mamma?” disse quello al centro.
Ero abituato ai loro scherzi, ma mai si erano spinti fino a quel punto. Era evidente che volevano farmi vedere come un verme.
“Una maglietta si può cambiare, ma un cervello bacato no!” dissi con tono inespressivo e distaccato.
“Come ti permetti, mostro!” disse quello alla destra.
“Mi hai chiamato mostro?” chiesi calmo.
“Che sei sordo? Allora te lo ripeto” e mi colpì con un calcio “SEI UN MOSTRO” gridò.
L’intera sala mensa calò nel silenzio. Tutti si erano voltati a vedere la scena.

Sentendo gli sguardi di tutti su di me, feci un sorriso forzato e dissi: “Dite pure quello che vi pare: gli idioti e gli ipocriti vanno solo assecondati”.
“Come?” disse uno di loro avvicinandosi “Non ti ho sentito da lì!”
“Te lo ripeterò” dissi spalancando gli occhi con lo Sharingan attivo “Idiota e ipocrita, che non conosce il valore dei sogni e gioisce nel torturare quelli che ne hanno uno”.

I tre bulli ebbero un sussulto ed arretrarono.
Quando attivavo lo Sharingan tutti scappavano, perché vedevano in esso lo sguardo di un demone. In realtà lo usavo solo per spaventarli e togliermeli di mezzo.
“Che vi prende?” dissi freddo “Il gatto vi ha mangiato la lingua o avete, improvvisamente ricordato un impegno?”
I tre bulli erano impietriti dal terrore e tutti i presenti tremavano, tutti tranne una persona.
Sentivo che qualcuno mi stava vedendo senza paura, ma con comprensione. Mi voltai verso la mia sinistra ed incrociai lo sguardo di Selen,: dal cui volto stavano scivolando delle lacrime.

Vedendo le lacrime ebbi un sussulto al cuore e disattivai lo Sharingan.

Fu un grave errore: infatti i bulli, notata la mia distrazione, ne approfittarono per saltarmi addosso e buttarmi faccia al muro.
Per un attimo mi si annebbiò la vista e sentii il sapore del sangue in bocca.
Scivolai sulla parete e mi accasciai sul pavimento tenendomi la testa sanguinante.
“Visto? Abbiamo steso il mostro” dissero trionfanti i tre.

“Steso?” dissi, mentre mi alzavo a fatica, tenendomi al muro.
Sentivo gli sguardi di tutti addosso: salvo Selen, che piangeva, tutti mi guardavano con gli stessi occhi. Me li sentivo gravare come macigni e paralizzato dal loro peso. Odiavo quegli occhi.
“Hai ancora voglia di fare lo spaccone?” disse il bullo alla destra.

“Mi  è sembrato di averlo detto e ripetuto: io dico le cose come stanno senza cambiare idea o arrendermi. Io diventerò un vero eroe!” dissi determinato.
Ci fu un attimo di silenzio, poi una risata generale.

“Vi divertite eh? Ridete finché potete. Io diventerò un eroe e vi dovrete rimangiare dieci volte le vostre stupide angherie” dissi con sfida.
“Tu un eroe?” disse il bullo centrale “Non farmi ridere. Sei tu il cattivo: tuo padre è un feroce assassino e sei un peso per tutta la tua famiglia”.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Con un movimento rapido, ignorando il dolore, mi portai davanti ai tre e li colpii con forza, scagliandoli dall’altra parte della stanza.
“Dammi pure del mostro. Prendi in giro il mio sogno se vuoi” dissi furioso “Ma non azzardarti a nominare la mia famiglia, altrimenti ti riduco in pezzi”.

Sentivo la rabbia crescermi in corpo e l’adrenalina esplodere: il demone dentro di me desiderava uscire e.
Strinsi i pugni per trattenere il desiderio: non volevo che gli altri vedessero ciò che avevo dentro. Ma i miei occhi si erano già fatti rossi con le pupille verticali e tutti tremavano, confondendo li con quelli della mia abilità innata.

“Fermati!” disse Selen “Ti prego”.
Per l’ennesima volta in quella giornata, sentii i suoi occhi fissi e imploranti su di me.

Mi voltai nuovamente verso di lei e, per la prima volta, lo notai: il suo sguardo era un turbinare infinito di emozioni che giravano senza meta.
Oltre quel turbinare, riuscii a vedere dell’altro: qualcosa di strano, di anormale era chiuso nel suo profondo, imprigionato da un velo leggero.

Non sapevo che cosa fosse, né da dove venisse. Ciò che sapevo era un forte dolore, forse superiore a quello che avevo io.
Quella visione riuscì a farmi calmare e trattenere la mia rabbia.

 

L’intera sala esplose: tutti cominciarono a lanciarmi carte e bicchieri addosso gridandomi contro ingiurie su ingiurie.
Senza esitare, lei mi si avvicinò, nonostante il caos e mi abbracciò: “Non ascoltarli!” mi sussurrò.
La ragazza di prima cercò di allontanarla da me dicendo di non lasciarsi prendere dalla pietà verso di me.       
Lei si rifiutò di lasciarmi, anzi mi tenne ancora più stretto.

Nessuno aveva mai preso le mie difese, eppure lei lo stava facendo. Perché continuavo a chiedermi.
La risposta mi giunse pochi istanti dopo.

 Mentre stavano cercando di allontanarla da me, lei si divincolo e il berretto le volò dalla testa, mostrando il suo capo: su di esso c’erano delle strane escrescenze ossee, simili a corna.
Quando videro la cosa, tutto si fermò: il tempo, il mondo, tutto.
Poi ci fu uno strillo seguito da grida di terrore: “Un diavolo!”
La paura esplose e molti cercarono di scappare, altri invece ci lanciarono contro qualsiasi cosa, dandoci dei mostri.
In quel momento qualcosa cambiò: il velo che la copriva, si scostò, rivelando una furia carica d’odio e di rabbia.
Gli occhi di Selen emanarono una luce sinistra, simile a quella che vedevo in quelli della volpe.

Capii che stava per succedere qualcosa di terribile: dovevo fermarla, o ci sarebbe stata una carneficina.
“Restami vicino” mi disse.
Si girò verso gli altri, sprigionando qualcosa di terribile.
Senza aspettare di vedere cosa fosse, liberai le sabbie del tempo ed avvolsi l’area circostante, che si riempì di impronte di mani invisibili, che sfrecciavano rapide in tutte le direzioni.  

Non sapevo cosa stesse facendo, ma dovevo fermarla, prima che compisse un passo dal quale non poteva tornare indietro.
Feci l’unica cosa che potevo fare: la stordii con un colpo al collo.
Cadde in avanti, ma la presi tra le mie braccia e la sollevai.
Senza perdere tempo, corsi fuori dalla sala mensa e andai in infermeria.

 

Per tutto il pomeriggio, le restai accanto, ripensando a quello che avevo visto  ed alla sensazione provata, cercando di darvi un senso.
“A che pensi?” mi chiese Incanto.
“A ciò che è successo a mensa” risposi.
“Perché non lo chiedi direttamente a lei quando si sveglierà?”
“No, è meglio di no!”
“Hai paura di sapere la verità?”
“Non è per quello”.
“E allora per quale motivo?”
Abbassai lo sguardo su di lei, guardando il suo viso: “Perché lei è come me, soffre a causa del pregiudizio altrui. Sono le persone come lei che desidero aiutare”.
“Capisco!”
Gli occhi di Selen si aprirono, fissando il soffitto e poi me: erano tristi e malinconici, come lo erano normalmente i miei.
“Come ti senti?” le chiesi.

 

La porta dell’infermeria si aprì ed entrò la madre di Selen.
“Selen. Piccola mia stai bene?” e l’abbracciò.
Capendo di essere di troppo, mi alzai e mi diressi verso la porta.
“Aspetta” mi chiamò sua madre.
Mi fermai senza voltarmi.
“Hai aiutato la mia bambina ed hai evitato che qualcuno si facesse male. Ti ringrazio con tutto il cuore, sei un piccolo santo” mi disse.
Delle lacrime mi uscirono dagli occhi: qualcuno, per la prima volta, mi aveva ringraziato. Fu davvero la cosa più felice che avessi mai sentito in vita mia.
“Si figuri” dissi forzandomi di mantenere la voce ferma e uscii.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo. Ditemelo con un commento.
Non mancate al prossimo.Ciao.

  
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