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Autore: Morana7    18/11/2010    2 recensioni
Reno ed Elena, sono costretti a passare una notte insieme da soli, una lunga notte...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Reno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Ore 9:30 pm

 
 
“ Rude il tuo cellulare brilla!”
 Farfugliò Reno con, in bocca una porzione enorme di panino, mentre tentava di inghiottire.
“Si mi stanno chiamando, deve essere il capo”, Rude ripose il panino sulla carta ai suoi piedi, si alzò dal pavimento, dove era seduto, e rispose.
 “Sì, sono Rude, si d’accordo, ai suoi ordini”, e riagganciò.
Reno sbatté gli occhi, cercando di guardarlo in viso, nella semi-oscurità della stanza,
“allora?Ci danno il cambio?” Reno, lo sperava con tutto il cuore.
“No, è a me che danno il cambio”, rispose Rude infilandosi la giacca, con una nota di sollievo nella voce.
“Perché solo a te? Anch’io sono qui da questo pomeriggio, mi si è intorpidito il sedere, a star seduto sul pavimento!”, si lagnò il rosso.
“ E tu prova a usare le sedie”, replicò Rude un po’ dispiaciuto per il collega, ma la voglia di lasciare quella stanza era più forte di tutto.
“Tseng ha bisogno di me, non mi ha detto il perché ma devo andare da lui, non ti preoccupare non resterai solo, arriverà un altro agente a sostituirmi”.
Reno era afflitto, al pensiero di dover essere lui a passare la notte in quella camera buia, con un cannocchiale super tecnologico in mano a spiare il bersaglio, che era pure noioso!
Non faceva altro che sdraiarsi sul letto a guardare la TV, ormai da ore!
“Chi è che mandano?”
“Non lo so”.
La voce di Rude, gli arrivava dalla stanza da bagno, stava radunando la sua roba.
“Potrebbe essere una donna!”
Reno riprese colore al pensiero, posò quello che gli restava in mano del panino, e si allungò a prendere il pacco di sigarette sulla sedia alle sue spalle.
“Sai ne ho vista una carina, giusto l’altro ieri era nuova, mi ha sorriso prima di entrare in mensa.”
“Davvero?” Urlò Rude indifferente.
“Potrebbe essere lei no?”Continuò Reno concitato.
“I Turk più anziani sono già tutti impegnati in questa missione, deve essere per forza una novellina!”
 Reno si elettrizzò sfregandosi le mani, cercò di infilarsi le cuffie nel modo giusto, e ricominciare ad ascoltare il sorvegliato. Dopo un po’ se le tolse schifato,e le lanciò lontano dai suoi piedi.
“Niente questo sembra morto, se non fosse per il fumo della sigaretta, che ogni tanto butta fuori dalla bocca chiamerei un dottore”.
 
0re 10:00 pm
 
Rude, sentì finalmente bussare alla porta, andò ad aprirla con passo svelto sistemandosi la cravatta.
“Reno è arrivato!”, gli urlò mentre abbassava la maniglia e apriva.
“Ciao”,lo salutò una vocina in basso.
“Ciao”, rispose a Elena,sorpreso di vedere lì la bionda collega.
“Non eri a Junon ?”gli disse confuso,mentre con una mano si accarezzava la Testa pelata.
“Si sono stata richiamata, a Tseng servivo qui”, rispose lei serena e orgogliosa.
“Allora è una donna?”Urlò Reno indiscreto attraverso la stanza.
“Si lo è”, lo informò Rude con imbarazzo, guardando Elena che scuoteva la testa.
“Puoi andare Rude, Tseng ti sta aspettando”, la voce di Elena era ansiosa.
 Rude esitò, Elena e Reno costretti a dividere una stanza!
 Gli parve davvero un brutto scherzo del caso, fu felice di squagliarsela.
Elena entrò silenziosa, era felice, Tseng aveva voluto lei per quell’incarico l’aveva fatta rientrare da Junon, a posta.
“Sostituisci tu Rude,” aveva detto, e ancora.“Io mi fido di te”.
 E lei non chiedeva altro, sarebbe stata perfetta!
La stanza era quasi completamente buia, doveva essere così, per non dare nell’occhio. A lei parve asfissiante, era molto calda, e sembrava stretta.
“Ciao dolcezza”.
 Una voce familiare, gli giungeva da una figura grigia, avvolta nell’ombra.
Della sagoma umana, acquattata sul pavimento, si distinguevano solo due occhi spettrali, come quelli dei gatti, che la guardavano attraverso il buio.
 Si avvicinò, cercando di distinguere i lineamenti di Reno abituandosi al buio. Ma fu lui,
che la vide chiaramente,  per primo.
“Tuuuu !!! Cosa diavolo ci fai qui?” la voce di Reno suonò isterica.
“Grazie per l’accoglienza, sei davvero, davvero gentile”.
“No, no, Tseng non può farmi questo, no!” Lo disse stavolta disperato sdraiandosi a terra, con le mani sul viso.
 “Voglio morire!”, mormorò alla fine.
Elena si girò impettita.“bene farò finta di non aver sentito, come sempre!”
I suoi occhi, si erano quasi totalmente abituati alla semi-oscurità, si diresse vicino a uno dei due letti e vi poggiò la borsa, vide cartacce ovunque sul pavimento, e riviste sparpagliate.
“Da quando siete qui a spiare?”
Reno rispose con poca voglia.
“Dalle 3, di questo pomeriggio”.
Elena lo guardò a bocca aperta, “e questa stanza, è già ridotta così?”
Le mani di Reno, andarono istintivamente a coprirsi le orecchie,“non voglio sentirla, non voglio sentirla”.
  A Elena sembrò un bambino indispettito, con la camicia completamente aperta, e il viso sudato. Non gli sembrò possibile che fosse davvero un Turk, conciato in quel modo.
 Aveva tante cose da dire, tante cose che non andavano per niente bene, dalle bottiglie vuote, gettate accanto ai suoi piedi, ai mozziconi di sigaretta, sparsi ovunque. Toccò a lei cedere però, almeno per il momento dovevano trascorrere, decentemente la notte che li attendeva.    
 Non gli avrebbe permesso che qualcosa andasse storto quella sera, e dovevano collaborare per questo, lo guardò con aria di sfida, poi addolcì la voce in modo innaturale.
“Su, si carino, ti ho anche portato qualcosa”, aprì la borsa per tirare fuori un cartoccio pieno di dolci.
Reno la guardò sospettoso, “sono dolci?”
“Si”.
“Al cioccolato?”
“Sì, e con la panna”
“Bene”.
S’inginocchiò accanto a lui aprendo il contenitore, Reno allungò una mano, e prese un pasticcino.
“Davvero un pensiero carino”, e lo inghiottì quasi senza masticarlo.
Elena sorrise, “su, vedrai che non ti farò rimpiangere la compagnia di Rude”.
“Prometti”.
“Cosa?”
“Ho detto prometti”.
“Sì, come vuoi….prometto”, balbettò confusa.
Reno fece un gran sorriso, con una luce maligna negli occhi, sussurrò ”bene”.
   
 
Ore 10:35 pm
 
 
“Che fa?”
“Niente, come al solito”.
Prese anche lei il cannocchiale, lasciatogli da Rude, e se lo portò agli occhi. Erano dotati di una luce, capace di far apparire, la scena che stavano guardando, molto nitida e luminosa, anche al buio.
“Bello commentò, sembra la Tv”.
“Sì, ed è altrettanto noioso”, sospirò Reno.
“Quando è prevista, la consegna delle armi?”
“Stanotte”.
“Passami una sigaretta.”
“Sì, ma io odio il fumo”.
“Rude no, a lui piace, fuma sempre con me, vuoi provare?” Accese la sigaretta, tenendola in bocca, aspirò una boccata di fumo e poi gliela offrì tenendola tra il medio e l’indice.
Elena lo guardò perplessa, “no, io non credo…”.
“Su solo un tiro, cosa vuoi che sia, le ragazze sono più sexy quando fumano sai?”
Elena esitò, irritata dal commento, ma poi una voce dentro di lei la incoraggiò a non fare la figura della mocciosa, un po’ di fumo non l’avrebbe certo uccisa. E non si sarebbe fatta mai intimorire dalle provocazioni di Reno.
“Sì dammela”.
 E sfilò, la sigaretta dalle sue dita. La tenne in mano precisamente come faceva lui, poi la mise tra le labbra e aspirò piano. Lo guardò in viso stava cercando di reprimere un sorriso, poi il fumo cominciò a soffocarla doveva espellerlo, e cominciò a tossire piano poi sempre più forte.
Reno rise, fu più forte di lui, non ci poteva credere! Elena non aveva mai provato a fumare, ma che cosa aveva fatto durante l’adolescenza?
“Cretino”, disse lei risentita.
“Su non te la prendere, capita a tutti la prima volta”, si riprese la sigaretta dalle sue mani e la mise in bocca sapeva del suo rossetto, alla fragola. Che bimba, i suoi baci sapranno di fragola, stucchevole sentenziò, ignorò un formicolio, che si faceva strada sulle sue labbra, e tra le dita.
 
 
Ore 11:20 pm
 
 
Elena sbadigliò, era già stanca, la schiena gli faceva male, stare seduta sul pavimento era straziante. Si alzò e prese un cuscino dal letto, ne prese uno anche per Reno, che gli mormorò un “grazie”, con la sigaretta che gli pendeva dal labbro, e la testa sulle mani.
Aveva sempre le cuffie sulle orecchie, anche se non c’era mai niente da ascoltare.
La stanza era un forno, anche con il balcone aperto.
“Non si respira qui”, cominciò a soffiarsi con la mano.
“Sbottonati”.
“Cosa?”
“Togli la giacca e la cravatta, e apri la camicia, semplice no?”, Elena restò muta, Reno si girò a guardarla, “non dirò a nessuno, che ti ho visto senza giacca!” gli disse canzonatorio,quella era la ragazza più strana, che avesse mai conosciuto.
“Rilassati bimba, sei tra amici no?”, Elena non era una donna, ma uno stoccafisso! Ne era sicuro.
Elena arrossì di colpo, ma per chi l’aveva presa, per un’imbranata ?
“ Vuole giocare con me, vuole mettermi in ridicolo, lo so lo fa sempre”, pensò, 
“conosce i miei punti deboli, e cerca di irritarmi, ma non ci riuscirà, sarò la sua collega perfetta, stanotte”.
Reno la vide sfilarsi la giacca, con aria di sfida, poi slegò la cravatta, e piano lentamente, cominciò a sbottonarsi la camicia.
Reno, sentì il formicolio ritornare, questa volta interessava più zone del suo corpo, mentre vedeva la  sua camicia, aprirsi lentamente, mostrando la curva dei seni, udì chiaramente una voce, che gli urlava da dentro.
“Sesso! Sesso! ”
“No!” si disse, chiudendo gli occhi, “sta buono, per carità sta buono”.
Elena lo guardava confusa, che cosa gli prendeva adesso, non capiva, aveva una faccia!
 Sperava solo che non si sentisse male.
“Cosa c’è?”domandò.
“Niente”.
“Hai una faccia strana”.
“Si devo bere”.
“Ho bisogno di qualcosa di forte”.
Si alzò, con le gambe doloranti, cominciò a rovistare per la stanza, con le mani tra i capelli lunghi, cercava sotto le riviste, le carte, sotto il letto.
Poi trovò una bottiglia, tra il comodino e il letto, la baciò.
“Ecco adesso andrà benissimo”, gli rivolse un sorriso sicuro.
Elena lo guardava incredula, “non vorrai bere!”
“Si, credo proprio di voler bere”, rispose tranquillo.
“ Ma, sei pazzo!”
“No non lo sono, credimi, vorrei esserlo ma non lo sono.”
Reno si rimise a sedere sul pavimento, incrociò le gambe magre, bevve un sorso dalla bottiglia, e si rimise le cuffie.
Elena gli si avvicinò, si piegò in avanti, per farsi guardare in faccia, “credi che ti faccia bere in servizio senza dire niente!”
Lei ignorava, che con la camicia sbottonata, anche se di poco, in quella posizione, lasciasse vedere un po’ troppo di sé, a Reno. Rimase ignorante di questo, perché Reno non glielo fece notare, bevve un altro sorso contro la sua faccia, e disse solo, “credimi è meglio per entrambi che io beva stanotte”.
Lei non capì, ma mentre cercava di ribattere, Reno sentì un forte rumore, attraverso le cuffie, che lo fece sobbalzare.
Elena s’immobilizzò, “cosa c’è Reno?”
Reno prese il cannocchiale, e guardò attraverso le vetrate aperte, dell’appartamento di fronte.
“Allora cos’è successo !” Elena era agitata.
Lui, sbuffò, “niente, è caduto dal letto”. 
 
 
Ore 00:30
 
 
 
 
“Perché non arriva?”.
 Elena era ormai sfiduciata, “è una vita che fissiamo quel letto!”.
“Arriverà, è troppo importante per quel gruppo, rifornirsi di armi”.
In verità, nemmeno Reno ci credeva più. Forse Tseng era riuscito a intercettare il loro covo, e trovare le armi, e le materie,  prima dell’incontro, era quella la missione della sua squadra, quindi non sarebbe arrivato nessuno dal signor, “vita spericolata”.
Elena era assonnata, mezza sdraiata sul pavimento, ogni tanto sbatteva gli occhi, e a Reno veniva da sbadigliare.
Poi, qualcosa finalmente accadde, fu allertato dal rumore tanto desiderato.
“Elena!” la tirò per un braccio, lei si scosse intorpidita dal sonno, poi realizzò di colpo, guardando Reno che gli indicava il bersaglio.
“Sì, sono arrivati”?  Riprese subito il cannocchiale raddrizzandosi.
“Credo di sì, hanno bussato alla porta”.
Aspettarono l’ingresso del uomo appena arrivato, in silenzio, ma l’uomo non entrò mai .
“E’ una donna!” La voce di Elena risuonò infantile.
“Già”, gli fece eco Reno.
Videro l’uomo finalmente in piedi, che faceva entrare una bella donna mora, vestita di rosso, dalle belle gambe in mostra.
“Può essere lei”, affermò Elena, speranzosa.
“No, non credo” rispose, Reno sicuro.
“E perché no?”
“Fidati, non è lei”.
“Cosa ti fa essere così sicuro?”
“Conosco quel genere di donne.”
 Si portò una mano al mento, e vi appoggiò la testa, “credimi è venuta per un altro genere di affari”.
Elena lo guardava stupito, era carina, come una bambola di porcellana, con gli occhi scuri, e i capelli chiarissimi. Faceva tenerezza, chi sa se aveva capito cosa sarebbe successo adesso, nell’appartamento del fortunato. Reno rise, pregustando la sua reazione.
“Reno, si sta spogliando”! Elena rischiò un infarto.
“Lo so cara, è venuta per questo”, rispose divertito.
“Non ci posso credere mi rifiuto, di guardare, e tanto meno di ascoltare!”
“Fa’ come ti pare tesoro, guarderò anche per te, e non dire che non sono collaborativo!”
“Mi fai schifo”! Elena gettò via il cannocchiale.
“Lo so cara è un lavoro sporco il nostro, ma io lo farò comunque!”la canzonò lui.
Elena si girò, dando le spalle al balcone, si mise a fissare lo sguardo, nel buio della stanza.
“Non capisco, perché non chiudono le tende!”
“Fa’ caldo, e sono al quinto piano, tu le chiuderesti ”? Reno riprese la bottiglia di liquore.
Lei alzò le spalle stizzosa, mentre lui guardava nel cannocchiale.
“Si sono aperte le danze, sicura che non vuoi vedere?”
“Cretino!” gli urlò mentre si allontanava.
 
Ore 01:00 Am
 
 
“Guarda che puoi ritornare, hanno finito da un po’”.
Elena uscì dal bagno, dove si era rifugiata, e si avvicinò al collega.
“Non ho mai visto niente di più noioso”, la informò apatico lui, “anche mio nonno sarebbe stato più arzillo, è stato tutto il tempo sotto, con lei sopra che..”
“Reno!”gli urlò lei in un orecchio, con voce stridula, “non m’ interessano i particolari!”
Reno la guardò malizioso, “a Rude sarebbero piaciuti”, la sua voce era quella cantilenante di un bambino.
“Non ci casco Reno! Sei proprio un bambino a volte!”
“Ti dà fastidio?”
“Si”.
“Proprio come pensavo”, sentenzio malizioso lui.
Elena lo guardò irata, “cosa pensi tu?”.
“Che t’imbarazza parlare, di queste cose”, e indicò l’appartamento di fronte.
Lei era scarlatta in viso, “non m’imbarazza”.
“Si invece, tanto da diventare rossa come i miei capelli”.
“M’imbarazza parlarne con te!” Ammise lei.
“Perché?”Sussurrò lui, in modo affascinante, “con chi vorresti parlarne?” Mentre Reno, la guardava divertito in silenzio, mise all’improvviso, le dita lunghe sulle labbra di lei. Elena avvampò, fraintendendo le sue intenzioni, vedendo il suo viso avvicinarsi, cercò di parlare ma, la voce di lui la richiamò al silenzio.
”Zitta”, disse piano. Mentre si premeva di più le cuffie sulle orecchie per ascoltare meglio.
“Hanno cominciato a litigare”.
“Che dicono?”
Elena si precipitò sul suo cannocchiale.
“Niente, lei lo sta chiamando con tanti nomignoli affettuosi, porco, traditore, e altro che non posso ripete, per non offendere le tue innocenti orecchie.”
“Ma perché?”
“Non so se lo sai, ma a volte dopo il sesso succede, litigare”, la punzecchiò.
Lei ignorò il commento, ma continuò a guardare, “ha infilato il soprabito, dove va ?”
“Ha detto che doveva comprare delle sigarette, si dirige al distributore in fondo alla strada.”
“Uno di noi dovrebbe pedinarlo”.
“Si vado io, tu resta qui e tieni sott’occhio l’appartamento”.
Si munì di una minuscola radio-trasmittente, che infilò nell’orecchio sinistro, ne tirò una anche ad Elena, che la prese al volo, “così ci teniamo in contatto, non si può mai sapere”, sorrise.
Elena annuì, mentre lo vide infilare la giacca e uscire.
 
 
 
Ore 01:15 Am
 
Elena seguì Reno, con il cannocchiale, quando lo vide spuntare sulla strada, a distanza di sicurezza dall’obiettivo. Riusciva a sentire addirittura i suoi passi sul’asfalto, che facevano un tonfo metallico attraverso la radio-trasmittente, infilata nell’orecchio.
Ogni tanto dava, un’occhiata alla donna, restata sola nell’appartamento di fronte.
Qualcosa, catturò la sua attenzione, quando la vide tirare fuori un oggetto metallico, dalla borsetta.
Era una pistola! La donna la stava dotando di un silenziatore.
“Reno!” Urlò tenendosi l’orecchio.
“Sì che c’è”, la voce suonò chiara, attraverso l’apparecchio elettronico.
“Sta succedendo qualcosa di strano, nell’appartamento! La donna ha impugnato una pistola, credo che voglia ucciderlo”!
“Cazzo!”
La voce rimbombò, facendo male al timpano di Elena.
Reno era agitato, “devo fermarla, lui non deve morire, abbiamo bisogno di sapere, dove sono quelle armi!” Parlò più a se stesso, che a Elena.
“Che cosa intendi fare?” Chiese lei, molto più agitata di lui.
“Non lo so. Qualcosa mi verrà in mente. Intanto vado da lei, prima che l’obiettivo ritorni”.
Elena si sporse un po’ fuori dal balcone, per guardare l’obiettivo intento ad aprire il pacco di sigarette, e fermarsi lì dov’era, per cominciare a fumare.
Sospirò, pensando che Reno avrebbe avuto più tempo.
Quando sollevò lo sguardo, per controllare l’appartamento dell’uomo, era vuoto.
La donna non c’era più, e non si vedeva nemmeno Reno.
Passarono dei minuti lenti come ore, quando all’improvviso, vide spuntare il collega dal palazzo di fronte. Portava in spalla la donna immobile, probabilmente svenuta.
Lo vide avvicinarsi a un cassonetto dell’immondizia, nella strada accanto, furtivo l”aprì, e gli gettò dentro la donna, richiudendolo, subito dopo.
A Elena gli si gelò il sangue nelle vene, l’aveva uccisa.
 Vide Reno sgusciare silenziosamente, nel loro albergo un attimo prima di incrociare l’obiettivo, che faceva ritorno al suo appartamento.
Sentì bussare subito dopo, alla porta della loro stanza. Era ancora imbambolata, lì ferma con il cannocchiale in mano, era strano ma una voce dentro di lei non voleva aprirgli,
“Elena, apri sono io”.
La voce di Reno era bassa, calma, sembrava addirittura dolce. Con le labbra che gli tremavano, riluttante, andò ad aprirlo.
Reno sembrava normale, uguale a come quando era uscito, non una goccia di sudore, né una macchia di sangue su i suoi vestiti, e soprattutto niente negli occhi.
“L’hai uccisa!”
La sua voce risuonò stridula, più agitata di quanto avrebbe voluto.
“Si l’ho fatto”, Reno colse un’accusa velata, nella voce della donna. A disagio, cercò di dargli una spiegazione, anche se sapeva, di non doverlo fare.
“Ho dovuto, non potevamo rischiare”, la guardava serio.
“Lo so”, rispose lei, cercando di riprendere il controllo sulle sue emozioni.
“ Come hai fatto” balbettò, “cioè, spero non hai lasciato qualche segno, che metta in allarme l’obiettivo, che ne so, una macchia di sangue, qualcosa insomma!”
Perché la guardava così, cosa c’era di strano in lei? Si era accorto che tremava?
“Non l’ho ferita, non preoccuparti”, rispose, togliendosi la giacca, e fissando gli occhi altrove. Che voleva da lui? Perché era così spaventata? Lei conosceva il loro lavoro, e allora, perché rompeva adesso?
“Come l’hai uccisa allora?” Lui non rispose, andò dritto verso la bottiglia, che aveva lasciato aperta vicino al balcone, e bevve un sorso. Elena non lo mollava, lo seguiva con lo sguardo.
“L’hai soffocata?” Non capiva, quel bisogno di sapere.
“No non l’ho soffocata, per chi mi prendi, per un animale?” Ironizzò,ma lei era seria, tratteneva il respiro, “gli ho spezzato l’osso del collo”.
Elena era impietrita, voleva dire, fare qualcosa, smettere di sentire il cuore martellargli nelle vene.
Non poteva evitare di guardare Reno, lui la ignorò, dritto davanti a lei, continuava a bere.
Si,lei sapeva che Reno uccideva, come lo faceva Tseng, e come lo faceva lei stessa. Ma cosi?
Lei lanciava bombe, usava granate , sapeva che il risultato era lo stesso, ma non aveva mai visto la gente che moriva, nelle sue  mani, così vicino a lei, com’era accaduto a Reno,con quella donna.
E se un giorno, sarebbe stata costretta a farlo? Ne avrebbe avuto il coraggio? Si il coraggio, era questo che la spaventava, era questo che gli invidiava?
Reno le sorrise malizioso, perché? Intuiva forse i suoi pensieri, capiva che lo invidiava? . Doveva riprendere il controllo di sé, mentre gli restituiva il sorriso, cercando di azzerare ogni pensiero nella sua mente, ma non poté fare a meno di guardargli le mani, e rabbrividì ancora.
Si avvicinò a lui, e senza dire una parola tolse dalle sue mani la bottiglia di liquore, e ne bevve un lungo sorso, chiudendo forte gli occhi, mentre il liquido gli attraversava la gola.
Reno la guardava, a bocca aperta.
“Che c’è?”
“Cosa stai facendo?”
“Ti faccio compagnia”.
“Sei sicura che sia una buona idea?”
 
 
 
Ore 02:00 Am
 
 
 
 
Erano seduti lì a terra,da un po’, continuando a bere.
Reno aveva trovato le sue bottiglie di scorta, e adesso le stavano scolando. Uno vicino all’altra, ogni tanto mormoravano qualcosa, guardando nella stanza di fronte, e bevendo.
A Reno, l’atmosfera che si era creata piaceva, era così semplice, rilassata. Anche Elena ubriaca, era piacevole, si era totalmente abbandonata, rideva alle sue battute, e ogni tanto, si appoggiava alla sua spalla, in modo confidenziale.
Lui si era avvicinato a lei spontaneamente, senza trovare resistenza ora erano così vicini, che le loro spalle si toccavano. Le guardava il viso tondo, arrossato dall’alcool, e gli occhi lucidi, erano così familiari! Gli venne spontaneo, anche cominciare a essere carino con lei, sussurrarle qualche complimento banale, era bravo in questo, e lei non era male, dovevano pur passare il tempo, no?.
“Sei bella”, disse piano.
Lei rise, “sei ubriaco”.
“Si”, rispose lui unendosi alle sue risate.
“Anch’io, quindi smettila”.
“Perché hai paura di perdere il controllo?”
“Si”, rispose lei candida.
“E sarebbe così tremendo!” Incalzò lui furbo.
“Con te sì, sarebbe imperdonabile!” Ribatté con enfasi.
“Allora non ti piaccio proprio?” Domandò con finto risentimento.
“No”, rispose in fretta lei, anche se non era vero, trovava carino Reno, si rese conto della sua risposta troppo dura, e cercò di migliorarla, ”volevo dire, che non sei il mio tipo”.
Reno rise bevendo un lungo sorso dalla bottiglia quasi vuota, “si capisco non ho lunghi capelli neri e nessun punto scuro in mezzo alla fronte”.
Elena tacque imbarazzata, lo guardò fisso, parlava di Tseng, era così evidente la sua simpatia?
“Dai non fare quella faccia, lo sanno anche i muri”, lui la guardò negli occhi, divertito.
“Sei una sciocca”.
“Perché?”
“Perché, credi nel tuo amore infantile”, Reno evitò di guardarla, non sapeva perché, lei gli toccò il braccio.
“ Non è un male amare”, che stava facendo? Doveva smentire le parole di Reno, non assecondare quel discorso!
“Sì, è un male, se l’oggetto del tuo amore è Tseng”, Reno compativa i suoi occhi limpidi.
“ Perché parli di lui così, tu non sai….”
“E’ qui che ti sbagli cara, io so”.
Elena lo scosse, Lui la guardò in viso, serio, che strano effetto gli faceva l’alcool quella notte.
“Io so, che lui non ama, non ne è capace”.
“Ti sbagli”, insisté lei, cocciuta.
“Lui è così gentile, e delicato, nei miei confronti, lui è….”
“Freddo, spietato, incapace di provare dolore, amore e paura, ma è normale è un Turk, siamo tutti così”, poi si fermò e la guardò, “almeno, tutti dovremmo essere così, anch’io lo sono”, e continuò,
“tu invece non lo sei, e mi chiedo, che ci fai con questa divisa?”
Elena abbassò gli occhi, “io sono un essere umano, e i Turk sono esseri umani, infondo. Quindi amiamo e soffriamo come tutti, anche se si vuol far credere il contrario” .
“Tu credi?”
“Si, quante volte hai parlato delle tue donne, delle tue conquiste, mi vuoi dire, che non ne hai mai amato nemmeno una?”
“Quello che dico, e racconto delle donne che ho conosciuto, non ha mai avuto niente a che fare con l’amore, come fai a non capire? Sono un vizio, il mio vizio, come l’alcool e le sigarette, e ti confido un’altra cosa, non sperare nei vizi su Tseng lui non ha neanche quelli”.
Elena, non sapeva come ribattere a Reno, lei leggeva negli occhi di Tzeng, a volte immaginava di sentire i suoi pensieri, quando erano vicini, lui era così premuroso nei suoi confronti, eppure non sapeva perché, intuiva che Reno era sincero, e questo la spaventava, la costringeva a guardare un’altra realtà.
Reno la guardò negli occhi lucidi, e fu lui, questa volta, ad appoggiare la testa, sulla sua spalla.
Con la mano libera dalla bottiglia,gli accarezzò il viso, poi audacemente, la baciò sul collo.
Elena avvertì le labbra del collega sul collo, e lo allontanò con una mano.
“Credi che parlandomi male di lui, io mi disperi a tal punto, da consolarmi con te?”
Voleva tanto, che le parole di Reno, fossero state dette solo per quello scopo.
Reno la guardò divertito. “Come sei brava, a girare la frittata a tuo favore, pensala come vuoi, e poi non dirmi, che non ti avevo avvertita”, disse indifferente, ma cosa voleva fare, salvarla?
Elena sbottò,“anche se fosse come dici io potrei….”
Reno non ci credeva, sapeva, sapeva quello che stava per dire, quello che le donne come lei dicono sempre, l’aveva sentita tante volte, quella frase.
Elena continuò, con enfasi, “io lo cambierò, con me sarà un’altra persona, vedrai!”
Ecco, l’aveva detto, Reno non ci poteva credere, scoppiò a ridere in un modo irrefrenabile, era così buffa, era davvero una bambina, avrebbe pianto per lei, se ne fosse stato capace, e invece gli veniva solo da ridere tenendosi la pancia.
“Cos’hai da ridere in quel modo!”  Lei era furente.
Reno cercò di parlare, ma lo trovò difficile, poi si calmò, si voleva salvarla, aveva provato pena per lei? 
“Scusami, hai ragione, certo che lo cambierai”, lei non colse l’ironia nella sua voce.
“Adesso sai che facciamo, cara?”
Lei lo guardò sospettosa, “cosa?”
“Continuiamo a bere no?”
Elena annuì confusa, lui colpì con la sua bottiglia quella della ragazza,“a Tseng”, disse cinico, poi bevve, lei annuì, e lo imitò, portandosi la bottiglia alle labbra.
Reno si distese completamente sul pavimento, portandosi un braccio su gli occhi, dopo un po’ avvertì un peso sul petto, tolse il braccio, e si trovò vicino agli occhi, il volto di Elena, che lo guardava muta. Si era sdraiata col busto sopra il suo torace, mentre le gambe gli accarezzavano il fianco sinistro, con i gomiti ossuti gli pugnalava le costole, per sorreggersi il capo. Reno quasi d’istinto, portò le braccia attorno ai suoi fianchi, facendola aderire meglio al suo corpo, la guardò negli occhi senza capire.
 “ Reno” sussurrò lei, lui gli tolse una ciocca di capelli luminosi dal viso, “si” sussurrò, imitando il suo tono.
“Diventerò anch’io così?”
“Così come?” Reno cercò di non capire.
“Come voi, come i Turk”, la sua voce era incerta, lui riallacciò le mani sui suoi fianchi, e strinse di più.
“Tu vuoi diventarlo?” chiuse gli occhi.
“Si!” rispose eccitata lei.
Lui tolse le mani dal suo corpo, e le fece ricadere a terra immobili, “allora si, diventerai come noi, come i Turk”, rise forte, di un riso amaro, lei non comprese, ma si unì lo stesso alla risata.  
 
 
 
 
Ore 07:00 Am
 
 
 
Tseng bussò, con una mano guantata, ed elegante alla porta della stanza, una, due, tre volte, non ci fu risposta. Guardò negli occhi Rude, che era al suo fianco, e che rispose con un cenno, alla sua domanda muta. Ritornò a bussare, questa volta più forte.
 Silenzio, nessuno rispose.
Rude cominciò a essere nervoso, Tseng estrasse dalla tasca della sua giacca degli strumenti, e cominciò a forzare la serratura.
Non ci volle molto, a farla scattare, una leggera pressione, e la porta si aprì sotto le sue dita agili.
Rude impugnò la pistola, e cercò di entrare per primo, ma Tseng con un cenno, gli fece capire che non era necessario, anche lui impugnò la pistola, ed entrò, silenzioso nella stanza.
La stanza era inondata di luce, il balcone spalancato, gli strumenti per lo spionaggio gettati a terra, insieme a delle bottiglie vuote.
Tseng, sempre seguito da Rude, si avvicinò a delle gambe che spuntavano a terra, dietro un letto, poco distanti dal balcone.
Il corpo disteso di Reno, a pancia all’aria, e quello di Elena, disteso al suo fianco, con la testa sopra il busto del rosso, divennero evidenti, appena raggiunsero il centro della stanza. Tseng  si fermò, ad un passo dai piedi di Reno, abbassando la pistola e riponendola nella cintura. Rude era sempre più nervoso, anche lui abbassò la pistola, quando sentì un lieve russare, provenire dai due sdraiati sul pavimento. Tseng scostò col piede una bottiglia, che era rotolata vicino a lui. “Rude,”
Rude quasi sobbalzò, la voce di Tseng era calma, ma lo rendeva nervoso lo stesso, avvertendo la tensione che c’era nell’aria.
 “Si capo” rispose, cercando di apparire calmo.
 “Ricordami di tenere Elena con me, in una missione futura, vedo che ha dimenticato tutto quello che gli ho insegnato, e questo è davvero irritante, perché non ho davvero voglia di ricominciare da capo, con lei”. La voce era calma, atona, guardava i corpi scomposti ai suoi piedi, senza nessuna espressione sul volto bianco, e serio.
 Rude cercò di guardare altrove, per non cedere all’imbarazzo della situazione. Si avvicinò al balcone, e guardò nell’appartamento di fronte, dove erano appena stati lui e il capo. L’uomo era sempre disteso sul letto, davanti alla tv, ma questa volta, aveva un buco rosso in mezzo alla fronte. Rude si girò, e chiuse il balcone alle sue spalle, tirando le tende.    
  
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