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Autore: nainai    28/11/2010    6 recensioni
Anno Zero. Punto di principio della Fine o di un nuovo inizio. A chi resta il compito di deciderlo? Anno Zero, in contrapposizione ad un futuristico "1984", perchè il futuro è scritto oggi ed è stato determinato dalle scelte di ieri.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Brian credeva che il tempo avesse il sapore degli istanti goduti lentamente, senza la fretta che, inevitabilmente, il mondo ci attacca addosso. Per lui quegli instanti, di solito, prendevano forma di una tazza di the bevuta al tavolo della cucina, senza altro suono in sottofondo che non fosse il fischio del bollitore o i rumori quotidiani che un appartamento vissuto produceva in qualunque momento. Non amava la televisione, non sopportava la radio quando gli ricordava troppo spesso il suo lavoro ed i libri erano, innegabilmente, un piacere ed una tortura se la mente era stanca e l’unica voglia che aveva era di fuggire il più lontano possibile dalla propria pelle.
Nessun suono poteva davvero riempire quello stato d’animo. Era compito esclusivo della vita e dei suoi rumori inevitabili dargli una colonna sonora che non fosse troppo ingombrante. La pioggia,le macchine in strada, i gatti nel cortile di fronte e perfino il rumore della lavatrice o della lavastoviglie…tutte cose che parlavano di una quotidianità che restituiva senso alle scelte fatte.
Nella sua esistenza non c’era stato quasi nulla di quotidiano. Riuscire a ritagliarsi quei momenti era prezioso come oro, lo era ancora di più quando in camera sentiva il respiro lento di Matthew, ancora addormentato dopo che era venuto a letto solo da pochissime ore, riempire i suoi pensieri di note indolenti di sentimentalismo inutile.
Anche se quel giorno non era così, anche se quel giorno era solo in casa – ed aveva fatto lui in modo da rimanerci – il senso di quella presenza aleggiava su tutto. Cominciando dal profumo intenso del the nero, quello con cui Matthew pretendeva di fare colazione ad orari impossibili, per finire con il colore chiaro di un block notes che aveva lasciato su una mensola e lui non era ancora riuscito a decidere di mettere a posto. Il suo disordine naturale gli faceva credere che potesse vederlo da un momento all’altro attraversare la soglia di casa e tornare da lui e voleva che fosse quella l’ultima sensazione a fargli dolere i muscoli delle braccia ed il petto di un dolore a cui si rifiutava di dare un nome.
Il suono del battere ritmico di colpi contro la porta. Qualcuno chiamò a gran voce i loro nomi attraverso il battente sprangato. Brian non fece segno di volersi alzare, il palmo della mano che giocava distratto con la tazza, misurandone la circonferenza in punta di dita. La sollevò per portarla alle labbra ed il rumore sordo e netto del legno che cedeva fece da eco a quello liquido del the. Il fumo del calore che si alzava dalla tazza, per un secondo, fu l’unica realtà nella stanza, velando lo spazio di bruma e dandogli l’esatta collocazione: al di là della verità concreta, gli sembrava ancora impossibile che il mondo fosse davvero arrivato a quello.
-Mr. Brian Molko?- s’informò educatamente una voce.
Passi marziali seguirono quella richiesta, l’uomo, alto e magro, si muoveva con maggiore eleganza e più discrezione, ma coloro che lo seguivano si disposero attorno a lui in un incedere di scarponi pesanti che lo fece sorridere. Cosa credevano che fosse? un pericoloso criminale?
Alzò lo sguardo in faccia all’uomo e catturò il riflesso rosso della telecamera a circuito chiuso. Si disse che avrebbe dovuto spegnerla, ma non ci aveva pensato.
-Chi vuole saperlo?- ritorse in un accenno della solita ironia cattiva, solo infinitamente più stanca del solito.
-Non ha importanza.
-No.- convenne Brian, bevendo ancora dalla tazza.
L’uomo era metodico, oltre che discreto, sfilò la pistola da sotto il cappotto di pelle nera – Brian pensò che sembrava scappato da qualche filmaccio di quelli che Matthew adorava. Una volta, quando pensava fossero solo immaginazione, avevano divertito anche lui – caricò il colpo in canna e sollevò l’arma.
La tazza produsse un'unica nota secca e precisa nel posarsi sul ripiano di legno. A Brian piaceva anche per questo, perché il legno aveva solo suoni caldi. Il sorriso a mezzo aleggiava ancora sulle sue labbra nel ricambiare lo sguardo dritto davanti a sé.
-Boum.- mimò in un sussurro.
 
Nel video l’uomo si voltò e si accorse della telecamera. A Matthew parve che esitasse, sorpreso. Aveva un viso scavato, la pelle si tendeva sulle guance e sugli zigomi e rughe profonde segnavano la fronte. Gli occhi erano l’unico accenno di vita in un’espressione incolore, due punti neri, due buchi che si fissavano contro l’obiettivo della telecamera con forza. L’esitazione durò un solo momento, poi a Matt sembrò quasi di poter leggere una risoluzione nuova farsi strada attraverso processi laboriosi nella mente dell’uomo.
Dalle sue spalle giungevano i rumori prodotti dagli altri che erano con lui, gli stessi individui che invadevano senza ritegno gli spazi della vita di Brian. Matthew avrebbe voluto strapparli a forza via dallo schermo, si trattenne a stento dall’impulso di allungare inutilmente le dita a cercare di afferrarli attraverso la superficie del laptop. Osservò impotente uno di loro avvicinarsi al corpo di Brian, riverso sul piano del tavolo, e controllare con due dita – con delicatezza – che fosse davvero morto. Una pozza rossa allagava lenta lo spazio tra le gambe della sedia.
L’uomo si voltò.
-Cercate i video delle registrazioni.- disse indicando la telecamera, Matt sentì il suo dito infilarsi da qualche parte nel costato e si accorse per la prima volta del dolore pungente all’altezza del cuore.- Qui non c’è nessuno.- affermò come se fosse sufficiente a fermare lo scempio che si stava perpetrando ai danni della casa.
Matt vide la stanza svuotarsi. L’uomo fu il primo ad uscire, senza voltarsi più nemmeno una volta, il corpo di Brian rimase solo per pochi minuti che gli parvero lunghi come secoli e, comunque, tutto il tempo a sua disposizione non bastò a formulare nemmeno un pensiero coerente. Quando il video si spense bruscamente, rituffandosi in un nero uniforme che lo lasciò stordito, l’unica cosa che aveva in mente erano le ultime parole che si erano scambiati al telefono. “E si apre con un temporale. Un temporale nel quale il mondo intero si sciolga”. La prospettiva gioiosa di un lavoro nuovo, di un nuovo inizio in musica…
In fondo alla pagina Matthew vide qualcosa lampeggiare, come una pulsazione continua che acquistasse consistenza con il passare del tempo. Una luce sottile scivolò dietro la patina nera e ne incrinò la superficie, poi le parole presero a scorrere come sequenze di numeri e senza alcun senso. Matt sollevò il braccio e si asciugò le lacrime con la manica. Il messaggio ristagnava indifferente davanti ai suoi occhi, allungò la mano a tentoni sul tavolo, cercando senza vedere una superficie su cui appuntarsi l’essenziale ed una penna con cui farlo. La bocca socchiusa, l’espressione concentrata, non credeva davvero possibile che il Cielo gli stesse regalando una vera vendetta.
…o il modo più efficace per far comunque finire tutto.
 
All’epoca in cui il Governo aveva imposto agli stranieri una scelta precisa sul fatto di rimanere o meno all’interno del territorio inglese, Brian aveva abbandonato senza nessun ripensamento ogni possibilità di raggiungere la propria famiglia, scappata negli Stati Uniti già da diversi mesi. Diceva che lì le cose non andavano meglio che in Europa e che tanto valeva restare in Inghilterra, che sentiva come la sua vera patria, che invadere casa di Barry e trasformarsi in un noioso zio impiccione per i figli di suo fratello. Nonostante questo, Matthew non aveva esitato nemmeno un momento a lasciare Londra per tornare nel Devonshire. Quando il fastidio che provava per scelte sempre più palesemente in contrasto con il suo modo di pensare si era fatto eccessivo, aveva raccolto le sue cose, provato a dirgli di seguirlo ed infine scelto di ritirarsi “in campagna”, come un signore sdegnoso di altri tempi in aperta polemica con il potere costituito. Ed in fondo era stata anche la scelta più coerente.
Si sentivano continuamente. Quella separazione forzata non riusciva ad intaccare la loro quotidianità se non dello stretto indispensabile e Matthew tornava a Londra ogni volta che la lontananza diventava, semplicemente, troppa ed impossibile da tollerare ancora. In quelle occasioni c’erano giornate passate chiusi in casa ed altre in giro, vagabondando per una città sempre più grigia e triste ma che per loro prendeva ogni singola sfumatura degli occhi e del sorriso dell’altro. Londra assieme a Brian poteva mantenere intatta la sua magia, qualsiasi cosa le fosse passata addosso.
-…att.
Sbatté gli occhi, stordito, il profumo di fiori, muschio ed agrumi gli invase le narici come una sferzata calda. Poi fu il colore caramellato di quella chioma sciolta e ribelle a riempire il suo sguardo e lui respirò a fondo, riconoscendo quei capelli prima ancora della mano che lei gli posava gentile sulla spalla per scuoterlo con delicatezza.
Eliza aveva indossato un vestito a balze con la gonna troppo corta, stivaletti e calze colorate che avrebbe nascosto sotto un piumino nero prima di uscire. Era decisamente bella.
Matt si massaggiò la radice del naso, allargando poi le dita sugli occhi e sul profilo delle tempie, ma il mal di testa non accennava a diminuire. Sospirò e mise a fuoco la ragazza; lei lo studiava con la meticolosa attenzione di una madre insoddisfatta e questo gli strappò un sorriso: Eliza era più giovane di lui di almeno dieci anni.
-Stai uscendo?- s’informò educatamente.
-Mh…Hai dormito? Non hai una bella cera, Matt.
La domanda bastò a risvegliare echi di brividi gelati lungo le braccia e la schiena. Matthew li soppresse a forza, badando solo che lei non intercettasse l’istante esatto in cui aveva esitato e perso un battito. Ruotò sul divano, mettendosi seduto ed accorgendosi del mucchio disordinato di fogli che aveva ancora in grembo. Eliza seguiva il suo sguardo e Matt la vide interrogarlo silenziosamente con gli occhi.
-Ho letto la corrispondenza. Non riuscivo a prendere sonno.- mentì con leggerezza.- Steve ha mandato i dettagli del piano…- spiegò poi radunando i fogli alla men peggio per passarglieli, stando attento a non mischiarli alle foto di Chris ed al biglietto di Dom.
-Era ora!- lo interruppe la voce squillante di lei.
Mentre Eliza gli si sedeva di fianco prendendo in consegna la lettera di Steve e scorrendola avidamente, Matt rimise a posto anche i fogli rimasti.
-Dom e Chris arrivano domani.- proseguì.- Vado a prenderli io.
La ragazza recepì la notizia con un mugugno distratto, mordicchiandosi assorta la punta dell’indice, impegnata nella lettura.
-O.k.- concluse risoluta abbassando la lettera e guardandosi attorno per raccogliere le idee.- Adesso mi occupo di questo- organizzò riferendosi al compito di diramare le istruzioni di Steve ai nuclei che avrebbero operato nell’attacco – e poi esco. Tu cosa farai?
Matt si strinse nelle spalle. Eliza gli si addossò repentinamente, schiacciandogli il naso contro lo scollo della maglietta e tirando su rumorosamente.
-Puzzi.- notificò raddrizzandosi.- Direi, una doccia e poi colazione.- suggerì con un sorriso. Si sollevò dal divano sventolando i fogli- Mi dai una mano?
-Dopo la doccia e la colazione.- sorrise Matt.- Ah…Sym…- la richiamò che già stava lasciando la stanza in uno svolazzare di capelli e balze fiorate. Lei lo scrutò in attesa ed il sorriso di Matthew divenne improvvisamente malizioso.- Smettila di andare in giro mezza nuda.- le ordinò.
-Oooh! frena il tuo istinto, maschio alfa!- sentenziò lei affatto preoccupata.
 
-Come lo aveva scoperto?
-…ha trovato dei file a casa mia.
-…
Silenzio. Pesante silenzio, pesante.
-Sei un coglione.
E poi implacabile, sparare a zero sugli altri perché tanto – adesso – non hai davvero più nulla da perdere.
La prima cosa che gli dissero fu “è stata Alex”.
Non ci aveva creduto. Conosceva Alex da quando conosceva Brian – …da tutta una vita? – e sapeva che si sarebbe fatta tagliare a pezzi ancora viva piuttosto che permettere che qualcuno torcesse un solo capello “ai suoi ragazzi”. Steve glielo aveva dovuto ripetere almeno tre volte, poi era stato Dominic a stringerlo per le spalle, guardarlo negli occhi e spiegargli quel concetto finché non era entrato in circolo.
Gran figlio di puttana. Sapeva tutto da un pezzo ma si era guardato bene dall’aprire bocca, lo stronzo.
…e come lui, Chris…
Si sentiva tradito. E svuotato.
Ed ancora nemmeno sapeva quanto.
Quando aveva visto Alex avevano dovuto tenerlo fermo in due – Steve e Dom! di nuovo – per impedirgli di saltarle al collo e massacrarla seduta stante. Lei non aveva battuto ciglio, solo molto dopo Matt si era accorto che non avrebbe fatto differenza se l’avesse ammazzata o meno, tanto lei era già morta dentro, come diceva il suo sguardo.
Seduto ad una scrivania che conservava intatti i lustri di un epoca più felice, Matt aveva pensato che lei quella scrivania l’aveva guadagnata sul sangue di chi diceva di voler difendere. E adesso gli toccava ascoltare il racconto di come fosse successo.
Alex era invecchiata di trecento anni. E lo aveva fatto tutto assieme. Il tempo non era stato clemente con lei, o magari lui aveva ricordi imprecisi di chiome pettinate lucide e viso dal trucco impeccabile. Su di lei il lustro della scrivania non faceva presa.
-Brian lo ha scoperto per caso. Steve non ne ha alcuna colpa e, soprattutto, ha cercato di tenerlo fuori da questa storia il più possibile. Se Brian c’è finito dentro non è stato per la Resistenza, ma solo per via della sua musica.
Il lento scorrere di quelle parole, scandite a voce monocorde, priva di inflessione e sentimento, aveva fatto da palliativo alla parte meno sopportabile del suo dolore. Matt era stordito ed Alex sapeva di doverne approfittare in modo implacabile, anni di addestramento dietro ad una persona che sapeva essere anche più combattiva di lui dovevano averle insegnato come ci si approfitta delle debolezze altrui.
-In fin dei conti, se le cose fossero state diverse, Steve non avrebbe avuto certi “agganci” e non avrebbe potuto sapere delle Liste prima che fosse troppo tardi.
Le Liste. Fino a quel momento erano state un mito anche per loro. Ne avevano sentito parlare in quell’humus urbano che, a volte, come artisti a cui piaceva ancora definirsi “underground”, visitavano per un’esperienza esotica e, alla luce delle nuove disposizioni governative, pericolosa. Un’idea di Matt, Brian aveva superato da un pezzo il periodo dell’adolescenza in cui si vuole a tutti i costi fare qualcosa di sbagliato solo per sentirsi grandi.
Le Liste erano lo strumento con cui il Governo stabiliva chi doveva vivere e chi no. Non essendoci prescrizioni scritte circa l’illiceità di determinate forme di pensiero o di determinati comportamenti, le Liste servivano ad individuare i soggetti potenzialmente pericolosi per il nuovo ordine di cose. Cosa succedesse loro, fino a quel momento, Matt non lo aveva mai saputo.
-C’eravate voi. Proprio in cima alla Lista.- affermò Alex, fissandolo dritto negli occhi a studiarne ogni reazione. Ma Matt, semplicemente, non reagiva.- Il fatto che siate partiti per il Devon vi ha salvato le palle, ma non sarà per sempre. Poi c’eravamo noi. Tutti. 
Matthew capì che stava parlando dell’intero pool dei Placebo e non solo della band. Rabbrividì. Il suo primo pensiero prese forma in modo istintivo:
-Cody…
-Forrest ha portato via lui ed Helena. Brian aveva previsto anche questo.- fu la risposta pacata. E lui ebbe la sensazione che fosse stato preparato tutto con troppa cura, non solo la sparizione dei Placebo ma anche quel dialogo educato e le spiegazioni della donna.- Abbiamo fatto in modo che fuggisse giusto all’ultimo momento. Steve ed i suoi lo hanno nascosto,- Un cenno dell’ex batterista a conferma, Matt si voltò nuovamente verso Alex – poi li hanno fatti uscire dal Paese sotto copertura. Stanno bene, sono al sicuro negli Stati Uniti.
-Quindi si tratta solo di Stefan e…- morì tutto in un gemito di gola. Matthew si rese conto con terrore di non essere in grado di pronunciare il suo nome.
-Non si poteva fare di più.- Questa sapeva eccessivamente di giustificazione. Forse fu anche il fatto che non lo stesse guardando in viso nel fornirgliela.- Si trattava di scegliere ed è stato Brian a scegliere per tutti. Sapeva che dovevamo sacrificare qualcuno ed ha voluto che fossero loro.
-Brian ha pensato che, in qualche modo, il fatto che fosse Alex a consegnarli le avrebbe restituito “credibilità”.- si intromise la voce di Steve.- Era l’unico modo che avevamo per infiltrare uno dei nostri in un settore così delicato e sperare di salvarvi.
-…salvarci…
Un sospiro di Alex aveva pesato come un macigno sulle teste di tutti. Lei e Steve si erano scambiati un’occhiata silenziosa da sopra la sua testa, ma la cosa che faceva più male era il silenzio perfettamente immobile di Dominic. Perché lui sapeva tutto e non gli aveva detto un cazzo di niente!
-Visto che vi eravate allontanati da soli, bisognava solo occuparsi di distrarre gli uomini del Governo finché non fosse stato pronto un piano per nascondervi o farvi scappare dall’Inghilterra.- spiegò Alex.- Sapevamo che saresti tornato e per allora dovevamo avere un buon piano.
-Sapevate che sarei tornato?!- era stata la prima volta, dall'inizio di quella discussione, in cui Matt era riuscito ad imprimere alla propria voce la sfumatura giusta, perché risuonasse piena di tutto quello che provava: rabbia, dolore, incredulità cieca. 
-Matt...
Esplose.
- “Matt” il cazzo, Alex! Cosa cazzo aspettavate a dirmi dei grandi piani che avevate?! Avrò avuto il Cristo di diritto di scegliere anche io?! Tu li hai fatti ammazzare!
-Sì, grandissimo idiota! per salvare te!
Erano entrambi in piedi, adesso, solo la scrivania a dividerli mentre si affrontavano faccia a faccia e Matthew poteva vedere, finalmente, le ombre scure sotto gli occhi di Alex, il suo pallore innaturale al di là del trucco e quella traccia salata di lacrime che cadono troppo spesso e troppo in fretta per poter essere cancellate del tutto.
-Ora, a meno che tu non voglia rendere vana la morte di Brian e Stefan, siediti ed ascolta.- scandì lei nuovamente monocorde, approfittando di quell'attimo di esitazione pietosa.
Sì. Decisamente sapeva come servirsi delle debolezze altrui.
 
Giorno e notte erano trascorsi immersi nei preparativi. Eliza lo aveva monopolizzato e Matthew l'aveva lasciata fare. Le sue ore erano scivolate via in un intorpidimento silenzioso che lei non aveva colto, così come non aveva percepito il vuoto dietro i suoi sorrisi o la distrazione nei suoi gesti. Matt faceva le cose con l'efficienza impersonale di un automa, rispondeva alle domande, organizzava, parlava e gestiva tutto senza essere presente a sé stesso nemmeno per sbaglio.
E mentre nella sua testa il messaggio alla fine del video della morte di Brian si ripeteva all'infinito, un'altra parte del suo cervello - troppo nascosta perché qualcuno a parte lui potesse averne cognizione - stava già elaborando un proprio piano, alternativo e parallelo a quello della Resistenza.
Non aveva dubbi sul perché qualcuno avrebbe dovuto prendersi la briga di fargli avere il dvd. Il Governo era attento a non lasciare in giro morti da piangere, Brian e Stefan erano spariti. Non era rimasto di loro che il ricordo di chi li aveva conosciuti. Alex e Steve avevano comunque fatto in modo da mettere in salvo la maggior parte di coloro che erano stati troppo vicini ai Placebo per continuare a vivere, ma nemmeno loro erano stati in grado di dare a Matthew almeno la consolazione di una tomba da ricoprire di insulti e di lacrime.
Quindi, il fatto che il video sbucasse così - una prova schiacciante di quello che il Governo faceva ai dissidenti, o presunti tali - poteva voler dire solo due cose. O un insospettabile favoreggiamento dell'opera della Resistenza da parte di qualcuno molto in alto nella scala gerarchica di quella nuova oligarchia tirannica.
O una trappola.
-Ehilà!
-Ehi, campione!
-Come va, Bells?
Matthew strinse la mano che Dom gli tendeva in un amichevole “cinque” e poi si voltò a sorridere a Chris. Loro tre assieme, così allo scoperto nel cuore di Victoria Station, erano come un bersaglio con su una scritta al led; bisognava muoversi in fretta e Matt non perse tempo, dirigendosi velocemente all'imboccatura della metro.
-Dì la verità, ti siamo mancati, eh?!- indagò intanto Dominic, sistemandosi il borsone sulla spalla e seguendolo altrettanto rapido.
-Assolutamente no!- protestò Matthew vivacemente.- Tu sei una piaga insopportabile e Chris mi consumerà a furia di fissarmi come se si aspettasse che vada in frantumi da un momento all'altro. Dovreste rilassarvi, ragazzi.
Dominic rise, assentendo implicitamente all'appunto dell'amico, ma Chris rimase abbastanza impassibile da dare a Matt la certezza che avrebbe continuato a studiarlo in attesa di vedere una crepa evidente nella sua apparente tranquillità. E di crepe ce n'erano in abbondanza. Bastava aspettare che ne affiorasse una alla superficie ed il gioco sarebbe stato fatto: Matthew sarebbe andato in pezzi sotto i loro sguardi impotenti, senza che ci fosse proprio più nulla che loro potessero rincollare.
-Symphony?- s'informò Dom, fingendo un disinteresse assolutamente fasullo.
Matthew ridacchiò:
-Dispiaciuto che non sia venuta lei a prenderti, Dommy?- interrogò malizioso.
-Un po’.- Il batterista lo guardò inarcando un sopracciglio.- Senza offesa, eh Bells!
-Nessuna offesa,- cinguettò Matt- lo so di non essere il tuo tipo!- scherzò.- Comunque, è tutta presa.
-Oh.- intervenne per la prima volta la voce di Chris. Aspettò che le porte del treno si chiudessero alle spalle di tutti e tre e proseguì in tono basso.- Abbiamo i particolari?
-Abbiamo tutto.- confermò brevemente Matthew. - E' fra due giorni. La manifestazione davanti all'Abbazia servirà da diversivo e noi dovremo essere lì. I gruppi armati irromperanno in piazza quando la polizia sarà impegnata contro i manifestanti.
-Dovremo essere lì?- ripeté Dominic con un accento che Matt faticò a decifrare completamente, così si limitò a fare un cenno con la testa. Dom abbassò lo sguardo con un sospiro stanco, lasciando cadere a terra il borsone come se non avesse più forza per reggerlo.- Allora ci siamo...
-Hai paura?- chiese Matt, meravigliato, realizzando quella cosa all'improvviso.
Un sorriso amaro tirò il viso dell'altro, che lo fissò di sbieco senza rispondere.
Matthew sentì un nodo serrargli la gola. Da quando quella storia era iniziata non aveva pensato a Dominic e Christopher nemmeno una volta. Non aveva mai riflettuto sul fatto che li stesse esponendo ai medesimi rischi a cui aveva scelto volontariamente di sottoporsi.
Quando aveva deciso di unirsi alla Resistenza aveva creduto di farlo da solo. Tutto quello che voleva era creare quanto più danno possibile a coloro che avevano ucciso Brian. Non poteva vendicarsi di un intero sistema - ed ai suoi occhi era proprio un Sistema ad essersi macchiato le mani del sangue di Brian - ma poteva urlare più forte di quanto mai avesse fatto e, per ogni singola voce che si sarebbe unita a quel grido, lui avrebbe ottenuto un pezzetto della propria vendetta.
Anche se avrebbe dovuto immaginare che né Dom né Chris lo avrebbero davvero lasciato solo ad affrontare tutto quello, aveva accolto le loro adesioni alla sua scelta senza battere ciglio ma con un vago stupore. Le ragioni per cui lo facevano gli erano assolutamente sconosciute e, nel proprio egoismo, non aveva voluto indagarle: se Matthew Bellamy poteva essere un capo per una rivoluzione, i Muse potevano essere un ariete di sfondamento nelle difese del sistema.
Adesso, per la prima volta, si rendeva davvero conto di cosa aveva chiesto loro.
Impulsivamente allungò una mano a stringere il braccio di Dominic, sentendolo tremare leggermente sotto le sue dita e cercando di trasmettergli un po’ del coraggio avventato ed inutile che provava dentro di sé.
-...ehi, Matt.- sentì sussurrare all'altro mentre gli alzava addosso uno sguardo appena più spavaldo, divincolandosi scherzosamente dalla sua stretta.- Piantala, o tutti ricominceranno a pensare a noi come ad una coppietta di fidanzatini!- lo rimproverò.
-Coglione.- commentò in uno sbuffo divertito Matt.
-Io l'ho pensato.- affermò Chris, incassando di rimando le occhiatacce di entrambi gli amici.
 
-Beh, adesso che sei ufficialmente gay anche tu…
-…io non sono gay.
-Questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito in vita mia, Bellamy.
-Non è che perché vengo a letto con te, allora sono inevitabilmente gay!
-…ti prego…non dirmi che sei gay e pure omofobo.
La discussione era nata per caso, si erano fermati davanti alla vetrina di un’agenzia di viaggi. A nessuno dei due, in realtà, interessava davvero lasciare Londra - facevano un lavoro che li portava a stare lontani da casa e dentro un albergo per fin troppo tempo delle loro esistenze - quello che mancava sul serio ad entrambi era la possibilità di condividere con l’altro i momenti ed i luoghi. Per questo, davanti ai nomi delle località più o meno esotiche appesi dietro al vetro, avevano cominciato ad elencarsi l’un l’altro tutte le valide ragioni per scegliere uno specifico posto come meta turistica.
Matt avrebbe voluto portare Brian in Italia, a vedere i monumenti di Firenze o semplicemente a passeggiare sulle rive del Lago di Como. Brian aveva riso del suo entusiasmo e tirato fuori, in tono canzonatorio, quella storia sulle “città gay” e le “città etero”. Quando Matthew aveva protestato che discutere di sessualità di un luogo era ridicolo, Brian aveva cominciato a parlare di Madrid con uno sguardo deliziato, portandola ad esempio di come una città potesse avere una sessualità ben definita. A Matt la Spagna era sempre stata piuttosto indifferente e Brian sembrava non poter accettare la cosa, mentre riprendevano a camminare lungo le vie del centro se n’era uscito con quella cosa che la prossima loro vacanza sarebbe dovuta essere per forza in Spagna.
-Perché adesso che sei ufficialmente gay…
Da lì era stata una discesa di inevitabili battibecchi senza futuro: ad entrambi piaceva, semplicemente, punzecchiare l’altro sugli stessi punti che erano una forza ed una debolezza.
Era successo un secolo prima che il Mondo crollasse nel caos.
La risatina di Eliza distolse Matt dalle proprie riflessioni. Era bassa ed attutita, appena arrochita dalla troppa birra; Eliza doveva già essere abbastanza alticcia a giudicare dalle guance rosse e dallo sguardo brillante che rivolgeva a Dominic, appoggiato contro lo stesso tavolo che la ragazza aveva eletto a proprio trono. Il vestito troppo corto le scopriva le gambe incrociate quasi fino alle cosce e, se non fosse stato per la felpa enorme - …di Chris? – che portava addosso, Matt era quasi sicuro che lo scollo dell’abitino avrebbe sortito effetti insperati sull’umore del suo migliore amico.
Forse il rossore non era dovuto all’alcool, comunque.
Dom aveva passato gli ultimi due giorni in una corte serrata alla ragazza. Probabilmente dipendeva anche dalla voglia di esorcizzare quel momento - che inevitabilmente era arrivato – ed accettare che l’indomani sarebbero andati incontro ad una sorte imprevedibile, i cui toni avevano tinte buie quasi quanto la musica di Matthew.
In fondo era così che si sentivano tutti e tre: intrappolati nelle scale contorte di una canzone con troppe variazioni, una sinfonia di accordi foschi che trascinava troppo in basso e troppo in alto e mai lungo la direttrice sicura dello stesso giro ripetuto all’infinito.
Le canzoni di Brian erano costruite attorno ad un unico giro di basso. Sicuro, monotono, accompagnato dalla voce roca e nasale che scandiva il suono di un’anima in pace con quel coacervo mutevole che sono le emozioni ed i sentimenti di un uomo. Disturbato solo dall’ossessione distorta di una chitarra dal suono elettrico, un impulso che richiamava ad una realtà di frustrazione e silenzio caotico.
-Pensavo…considerato che domani potremmo non essere più qui…stasera dovremmo concederci tutto quello che avremmo sempre voluto.
Il tono di Dom, con tutta la propria malizia di sempre, suonava vergato appena dalla stonatura di una paura riflessa, inchiodata in un angolo scuro della mente e lasciata lì per trovare il fiato e la forza di continuare a vivere. Ogni secondo.
Gli occhi di Eliza ebbero un guizzo di luminosità più intenso, un barbaglio di azzurro che faceva tenerezza.
-…non posso credere che tu ti stia giocando la carta “ultima notte sulla Terra”.
Mancanza di voce. Mancanza di parole. Incapacità di esprimersi, di farsi capire dagli altri. Restare in silenzio poteva pesare sulla coscienza come un macigno e schiacciarti nel fango senza nessun diritto di “essere ancora”.
Dom si nascose nella bottiglia che reggeva tra le mani, una delle poche volte in cui, esposto e scoperto, poteva sentirsi ancora in imbarazzo.
-Nah.- sbuffò, fingendo un disinvolto disinteresse, che fruttò l’allargarsi del sorriso scettico di Eliza. Dominic la fissò di sottecchi, incrociando lo sguardo di lei, fisso a cogliere le variazioni della sua espressione.- …ma se lo stessi facendo…funzionerebbe?- interrogò a mezza voce.
Eliza scoppiò a ridere senza rispondere, ma nel modo distratto in cui si lasciò ricadere sulla sua spalla, aggrappata alle braccia di un Dominic che rispose alla sua risata con la propria, s’intuiva già il senso di quella risposta.
Per questo dovevano farlo. Uccidere ed uccidere sé stessi, per il diritto di qualcun altro di essere sé stesso al posto loro.
“Avrei dovuto capirlo, Brian”.
L’ingresso di Chris nella stanza segnò il punto estremo dei pensieri di Matthew. L’amico gettò uno sguardo circolare alla stanza e, visti i due “piccioncini”, scelse di sederglisi di fianco costringendolo a voltare la testa per prendere atto della sua presenza e rivolgergli la propria attenzione.
-Hai parlato con Kelly?
-Lei ed i bambini sono pronti a lasciare il Paese con tua madre domani stesso.- rispose Chris.
Matt si limitò ad annuire, non era sicuro di poter aggiungere qualcosa che suonasse confortante e, al di là di tutto, Christopher era l’unico di loro a stare ancora rischiando qualcosa. Matt e Dominic, semplicemente, avevano da perdere solo le proprie illusioni.
-Forse è il caso di andare a dormire.- fu il consiglio saggio che venne subito dopo quel silenzio, strappando un sorriso a Matt che rifletté su quanto fosse assurdo che proprio l’altro dovesse mostrarsi ancora il più serio e posato di tutti loro.- Domani sarà una giornata faticosa.
-Sì. Ci stavo pensando.- affermò Matt distrattamente, senza specificare “a cosa”.- E poi sono un po’ stufo di questo film.- aggiunse indicando Dominic ed Eliza.
Chris rise.
 
Nel corridoio sentiva ridere Eliza e Dominic parlarle a voce bassa, sensuale, sussurrandole qualcosa che il muro si portava via inevitabilmente.
Matt controllò la pistola per l’ennesima volta, si assicurò che fosse carica e che la sicura fosse inserita. Poi la rimise sul tavolo.
Recuperò il quaderno dalla tasca posteriore dei jeans. A starsene lì dentro – al sicuro e nascosto – per quasi quattro giorni si era tutto spiegazzato e rovinato ma la pagina su cui aveva appuntato le coordinate del proprio appuntamento al buio era intatta. Rilesse l’indirizzo.
Con un sospiro chiuse il quaderno e lo posò di fianco alla pistola.
I passi di Dom ed Eliza si allontanavano, rumore di una porta che viene chiusa e poi niente.
Matthew si stese sul letto, sollevando le braccia sulla testa e fissando il soffitto.
Ora doveva solo aspettare che tutti dormissero.
 
Nota di fine capitolo:
 
Prima di ogni altra considerazione, voglio consigliare a tutti di andare a leggere la “sorella” di questa storia: “Killjoys make some noise!” di Erisachan.
Perché lì c’è Eliza. E tanto, penso, basta!
 
Bentornati a questa seconda e penultima puntata della nostra storia.
…uhm…molto professional…
Dicevamo! Sono così contenta dell’accoglienza che avete avuto per “Anno Zero”! Ringrazio anche qui tutte quelle adorabili donne che mi hanno lasciato il loro commento e ringrazio, chiaramente, anche tutti coloro che hanno solo letto questa storia!
Ammetto che, dopo averla scritta, io per prima avevo smesso di crederci. Matthew Bellamy è un personaggio che gestisco con immense difficoltà – anche se mi piace un sacco – e questa storia è parecchio diversa da tutto ciò che ho scritto finora.
Però è stato divertente.
Grazie ancora e buon divertimento!
MEM
  
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