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Autore: Rota    04/12/2010    2 recensioni
Il giovane avanzò di qualche passo verso l’altro, cercando di concentrare il proprio sguardo sulla sua figura. Indossava il camice bianco e i guanti da laboratorio, come al solito, e in quella luce soffusa e data dalla sola lampada posta sulla sua scrivania – proprio quella alle sue spalle – gli occhiali che indossava gli davano un’aria ancora più severa di quanto già lui non avesse da solo. E certo ignorare che cosa mai servissero gli attrezzi sparsi sulla superficie orizzontale che si intravedevano al di là del suo braccio non aiutava Kiba a tranquillizzarsi.
Tutto, nella sua figura, pareva voler incutere timore.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shino Aburame | Coppie: Shino/Kiba
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Titolo: Keep out
Fandom: Naruto
Personaggi: Shino Aburame, Kiba Inuzuka; KibaShino
Avvertimenti: One shot, AU, Shonen ai
Genere: Sentimentale, Commedia
Rating: Giallo
Prompt: Primavera, farfalle
Note: no, non ha senso. È solamente l’ennesima prova che Shino ama Kiba nonostante tutto e che Kiba nonostante tutto ama Shino. E mi piace metterli in contesti diversi, descriverli in scene diverse, ma rimangono sempre uguali a se stessi. E io li amo anche così <3
...
Mi erano tanto, tanto mancati ç.ç

Keep out



Kiba rimaneva sempre inquietato, ogni volta che entrava nel laboratorio dell’Aburame. Si guardava intorno con aria furtiva, spostando lo sguardo da un angolo all’altro della stanza, passando su ogni centimetro delle pareti di quella piccola e buia stanza.
E neppure le sollecitazioni del biologo parevano destarlo, in qualche modo, dal suo stato d’animo – sebbene Shino ci mettesse tutta l’umanità del mondo in quel modo spazientito di rimprovero e fastidio: da parte sua, non si poteva certo dire che non si impegnasse per venirgli incontro.
-Entra pure, Inuzuka…-
Kiba non riusciva a provare fastidio neanche per il fatto di venir chiamato per cognome, perché, in teoria, più di due anni di convivenza avrebbero dovuto gettare le basi per un’intimità un pochino più profonda, eppure sul luogo di lavoro l’Aburame si imponeva sempre d’essere il più distaccato possibile. Anche con il proprio amante.
Il giovane avanzò di qualche passo verso l’altro, cercando di concentrare il proprio sguardo sulla sua figura. Indossava il camice bianco e i guanti da laboratorio, come al solito, e in quella luce soffusa e data dalla sola lampada posta sulla sua scrivania – proprio quella alle sue spalle – gli occhiali che indossava gli davano un’aria ancora più severa di quanto già lui non avesse da solo. E certo ignorare che cosa mai servissero gli attrezzi sparsi sulla superficie orizzontale che si intravedevano al di là del suo braccio non aiutava Kiba a tranquillizzarsi.
Tutto, nella sua figura, pareva voler incutere timore.
Ma Kiba prese il coraggio a due mani e avanzò ancora. Stava anche per dire qualcosa, quando Shino lo fermò in tempo e chiese, secco e preciso.
-Hai legato Akamaru al cancello, vero? Non vorrei che il tuo cane scorazzasse in giro e rovinasse qualcosa, qui…-
Kiba lo guardò male, dimentico per qualche istante della sensazione di disagio che aveva provato fino a quel punto. Sbottò, decisamente poco educato.
-Non c’è bisogno che tu me lo ripeta ogni santa volta, Shino. Akamaru sta al suo posto, ben lontano dal tuo preziosissimo orto e da tutte le tue verdure!-
Il sopracciglio di Shino si inarcò pericolosamente, ma l’uomo non proferì verbo. Gli era bastata una singola volta in cui il cane, a briglia sciolta, era entrato nella sua preziosissima serra e aveva rovinato praticamente ogni cosa che era andato a toccare, facendo buche e raspando erbe e radici. Kiba aveva compreso, allora, quanto potesse essere testardo e cocciuto un Aburame – infatti le due settimane di isolamento forzato gli bastarono eccome, come dimostrazione di disappunto. Eppure, non trovava giusto il fatto che Shino dovesse continuamente ricordargli quello spiacevole incidente.
Il biologo si volse appena verso la propria scrivania, segno che era particolarmente spazientito e, specialmente, desiderava tornare al proprio lavoro. Era sottile, la psicologia dell’Aburame, ma Kiba aveva imparato a interpretare anche i più piccoli segnali.
E bastava un suo cenno, ormai, per scatenare una marea di reazioni.
-Esattamente, Kiba, cosa vuoi da me?-
Un’altra cosa di cui Shino poteva vantare era il fatto che gli bastava relativamente poco per far cambiare d’umore il compagno.
Da timoroso a rabbioso, da impaurito a gioioso, da triste e abbattuto a entusiasta.
Poche e semplici parole, perché anche Shino sapeva interpretare benissimo ogni cosa che Kiba gli rivolgeva – solo, lo faceva in maniera molto più discreta.
Kiba si illuminò di botto, cominciando a gesticolare. Probabilmente, se fosse stato un cane avrebbe persino scodinzolato.
-Sono cominciate le belle giornate e tu te ne stai rintanato qui dentro! Non ti va di uscire a fare una passeggiata e godere finalmente della Primavera che è arrivata? Potremmo andare al parco, che mi dici?-
Shino ci impiegò tre secondi netti a recepire il messaggio, pensare ad una risposta, girarsi verso il proprio lavoro dando le spalle all’Inuzuka e rispondergli con quanta più praticità possedeva.
Facendo mutando, ancora una volta, il suo stato d’animo in un botto – esattamente come varia il cielo di Marzo senza che al tempo sia concesso di scorrere tranquillo.
-Il lavoro é il lavoro, Kiba…-
E Kiba non riuscì a trattenersi neppure questa volta, ma anzi sbottò decisamente contrariato e gli si fece ancora più vicino, guardando davvero in malo modo le sue spalle fredde.
-In teoria, il lavoro sarebbe finito già da più di mezz’ora, per te!-
Silenzio, pausa. Shino non si fermò dal continuare il suo lavoro, anzi, proseguì come se nulla fosse.
Kiba ci impiegò diversi minuti a comprendere come i gesti delle sue braccia e delle sue mani fossero innaturalmente meccanici. Sì, ogni tanto anche Shino si innervosiva e sempre ogni tanto lo dava a vedere. A modo suo, s’intende.
Sospirò, senza però arrischiarsi di mettere una mano sulla sua spalla – anche se, in quel momento, desiderava più di ogni altra cosa un semplice contatto.
-Possibile che le farfalle ti interessino solo morte stecchite e attaccate a una parete, Shino?-
Fece un ampio gesto, indicando tutto il resto della stanza attorno a sé. Quei cadaveri, appesi con una spilla nel petto, erano la sola e vera causa del fatto che sempre mal volentieri entrava in quel posto. Non sopportava i loro occhi immobili, non sopportava le loro ali così rigidamente aperte. Facevano paura, così tante messe assieme. E non comprendeva come mai uno come Shino amasse così tanto circondarsi di cadaveri del genere. Lui, che era uno zoologo; lui, che amava e venerava gli animali forse più degli esseri umani – l’aveva visto diverse volte, con Akamaru: nonostante il tono severo e irreprensibile, gli riservava una dolcezza senza pari – lui, davvero, che era un mistero perché non impazzisse lavorando tutto il giorno in quel cimitero osceno.
Shino si appoggiò allo schienale della sedia, alzando il viso e guardando indietro, verso di lui, come a richiamare la sua attenzione, e ottenendola immediatamente.
Ora pareva quasi dolce, la sua espressione. Era la stessa che usava quando erano assieme, soli, e lui ci impiegava almeno mezz’ora a spiegargli quali erano le meraviglie della crescita delle crisalidi giorno dopo giorno così come era interessante lo svilupparsi di un embrione di scimmia nell’utero della madre. Per quanto l’oggetto fosse di discutibile bellezza, Kiba si incantava a sentirlo parlare – era così raro e così bello che lo facesse, e essere il destinatario di una così intima e segreta passione lo faceva sentire bene e in pace con sé stesso. Era come voler dire che Shino, con lui, non voleva mantenere segreti.
Quindi, Kiba lo ascoltò, ben attento a catturare ogni singola sillaba che sarebbe scivolata dalle sue labbra, guardandolo in volto come lui stava facendo a sua volta.
L’Aburame parve riflettere qualche secondo, preso forse alla sprovvista da un rimasuglio di coscienza umana; alla fine però decise di parlare.
-Dammi cinque minuti e arrivo da voi…-
Tornò rapidamente al proprio lavoro, con quella fretta leggera di chi è in ansia di finire velocemente ciò che stava facendo per dedicarsi ad altro di più importante.
E a Kiba scappò un sorriso, guardando di nuovo quelle spalle curve verso la scrivania: la curva del collo ora pareva più delicata e dolce, così come i suoi gesti parevano addirittura gentili.
Sorrise, avviandosi verso l’uscita, sicuro che, almeno quella serata, avrebbe potuto godere di una presenza tiepida al proprio fianco.
Eppure non poté trattenersi dal provare un brivido lungo la schiena quando, nel tragitto, lo sguardo cadde nuovamente su quei piccoli cadaveri colorati.
Ma sogghignò e facendo un gesto con la mano forse un poco volgare, pensò la cosa più infantile, egoistica e stupidamente sciocca che potesse pensare – stupidamente vittoriosa.
-Ho vinto io!-
E se ne andò, tutto soddisfatto.
   
 
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