Film > Rapunzel
Ricorda la storia  |      
Autore: Emily Doe    09/12/2010    10 recensioni
Era stato quello il momento in cui, l'aveva capito solamente molto tempo dopo, aveva ricominciato a credere alle fiabe.
[Tangled / Rapunzel - L'intreccio della torre]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer & Note varie (ronf ronf): I personaggi citati non appartengono a me, ma alla Disney (ma dai! -.-), non scrivo questa sciocchezzuola a scopo di lucro, ma per divertimento personale. La canzone citata dovrebbe chiamarsi “Healing Incantation”, in ogni caso è la canzone che Madre Gothel e Rapunzel cantano durante il film per attivare... un certo potere XD (evitiamo spoiler per chi fosse capitato qui per caso, via)... io la adoro, sa tanto di fiaba, ha quella componente magica ma comunque oscura, malinconica, che è spesso rintracciabile in molte, moltissime fiabe e favole :) *fruga * Okay, l'ho trovata su YouTube: è spoiler (sort of!), quindi siete avvisati :) → cliccami *.*.
L'aspetto fisico dei personaggi citati nelle prime righe l'ho spudoratamente preso in prestito dai film della Disney, già che c'ero XD... mi servivano fiabe classiche, tradizionali, vista la fiaba da cui nasce Rapunzel ^^. Ne ho citate tre perché nel film si vede chiaramente che Rapunzel afferra tre libri una volta, e riafferra gli stessi tre una seconda volta con un'espressione eloquente XD, in più la colonna sonora, sia in italiano che in inglese, parla sempre di “due o tre libri”, quindi mi sono autoconvinta che la povera ragazza disponesse di quei soli tre volumi ed ho deciso di renderli tre volumi di fiabe classiche (dovendo escludere, con mio e di Carly sommo dispiacere, la Sirenetta in favore di Biancaneve perché nei suoi elementi mi sembrava una fiaba meno “tradizionale” e che non facesse sufficiente contrasto con quella che è la versione disneyana e meno tradizionale di Rapunzel). La versione delle fiabe e le eventuali incongruenze con le storie originali dipendono dalla scelta di affidarsi alla versione disneyana delle stesse (eventuali discordanze con queste ultime sono da imputare a me medesima *lol*).
Ah, la storia gioca sulla luce, ed una delle canzoni portanti della colonna sonora in inglese – quella che per noi è “Il Mio Nuovo Sogno” - si intitola, guardacaso, “I See The Light” :).
Prima di lasciarvi alla storiella (sempre che qualcuno sia rimasto sveglio al papozzo di note ronfose XD), vorrei ringraziare Carly per essersi sorbita valorosamente e pucciosamente la prima bozza di questa cosetta alla bellezza delle due e venti del mattino (che divennero le tre e poi le quattro e mezza) XD. No way! :p













What Once Was Mine





La giovane ragazza bionda vestita di stracci e ricoperta di cenere, china dinnanzi al focolare, si puliva il viso dalla fuliggine, e dalla macchia scura sul polsino scolorito una chiazza luminosa aveva espanso i propri confini fino ad inglobarla del tutto, trasfigurandola, mutando la povera tunica nel più soave ed impalpabile degli abiti color del ghiaccio. Quando la sua luce si attenuava, e gli occhi tornavano a distinguere normalmente chiaroscuri e colori, riusciva a scorgerlo: di fronte a lei c'era, in ginocchio, un uomo. Il suo Principe, tra le mani una scarpetta di cristallo.

La fanciulla dalla pelle nivea, su cui spiccavano sottili ed eleganti le sopracciglia d'ebano ed il boccolo sfuggito alla sua fascia, dello stesso colore denso delle sue labbra, dormiva in una bara di cristallo, nel folto del bosco, dove la luce non poteva arrivare. Su quella stessa bara, una luce folgorante si era riflessa, infrangendosi in mille schegge colorate che avevano danzato tutto intorno, il giorno in cui quel Principe aveva sfiorato le sue labbra con le proprie.

Ma la fiaba che da sempre aveva preferito era quella della fanciulla che portava il nome dell'istante precedente al levarsi del sole che, ignara di tutto, dal giorno del suo sedicesimo compleanno, dormiva e moriva ad ogni sorgere e tramontare di luna e sole, senza un respiro, segregata in quella torre, circondata da una foresta di rovi. Inaccessibile, inarrivabile, nascosta alla vista, alla salvezza, alla luce del sole. Armato di una sola spada e del proprio coraggio, facendosi strada nella terribile selva che la circondava, un Principe venuto da lontano aveva raggiunto l'ingresso della sua prigione ed era arrivato fino a lei. Solo al suo bacio la Principessa aveva riaperto gli occhi, e la luce si era fatta nuovamente spazio fino al suo cuore.

Immagini che riviveva costantemente, prigioniera dell'immaginazione e della fantasia, elaborandone ogni più piccolo particolare – dalla piega di quel boccolo d'ebano a quella in cui cadeva l'elegante gonna di quell'abito impossibile.
E la torre. La torre era l'immagine che più la tormentava nei suoi incubi peggiori. Una torre altissima, cupa, circondata da quella selva inaccessibile, destinata, nel tempo, a permanere immutata, finché i secoli non l'avrebbero vinta, portandosi via, con essa, la Principessa Addormentata.
La sua torre non era cupa, né oscura; non era circondata da una foresta di rovi, anzi, il panorama era decisamente gradevole, rifletteva la notte, distesa nel proprio letto, abbracciando il cuscino, con lo sguardo rivolto ai primi accenni di affreschi che decoravano le pareti. In compenso era sperduta in un posto che nessuno conosceva. Più che inaccessibile, più che inarrivabile, oltre qualsiasi notizia che giungesse al Regno.
Quando con Pascal si affacciava dal cornicione della propria finestra e lasciava vagare lo sguardo in lontananza, sognava spesso di veder giungere un cavallo al galoppo, con in sella colui, il Principe, che l'avrebbe salvata.
Da quella stessa finestra la luce poteva entrare, ma non riusciva mai a sentirla sulla propria pelle. Le sembrava da sempre che quelle spesse mura – la sua casa, il suo mondo – ne bloccassero il calore all'esterno, impedendole di filtrare davvero e giungere fino a lei.

Quello che di quelle fiabe era rimasto sempre impresso nei suoi ricordi di bambina, più di qualsiasi altra cosa, era stata proprio quella agognata luce, accecante, abbagliante, quasi intollerabile.

Crescendo, aveva smesso di credere nelle fiabe. Nessun principe si era mai presentato alla sua finestra, e probabilmente là fuori nessuno le avrebbe voluto bene, ma chiunque, anzi, si sarebbe approfittato di lei. A chi poteva credere, se non a sua madre? Con un sorriso aveva deciso di andare avanti, giorno dopo giorno, dedicandosi alle sue attività, dicendosi che la mamma aveva sempre avuto ragione, le storie dei bambini non diventano mai realtà, anche se si hanno dei capelli magici che risplendono quando si canta e fanno altre cose altrettanto fuori dal comune.
Si era imposta di dimenticare qualsiasi sogno infantile riguardante luci, principi, e fiabe di qualsiasi genere.
L'unico che si era concessa di tenere per sé, proteggendolo con timore reverenziale, era quello a cui ripensava solamente una volta all'anno: poter vedere le luci fluttuanti librarsi nel cielo notturno, fino a sfuggire alla vista, sullo sfondo di quel cielo che da laggiù, in quella magica notte, sembrava avere lo stesso morbido, avvolgente colore del velluto.
Era insieme il suo sogno e la sua paura, la paura di non poterlo raggiungere mai e la paura che non fosse all'altezza di quelle sue aspettative.

Era ormai abbastanza alta da sedersi sullo stesso cornicione da cui si era affacciata nei diciassette anni precedenti, e lasciar vagare lo sguardo ancora su quell'orizzonte, da sempre immutato. Aveva smesso di credere alle fiabe, al principe che l'avrebbe portata a conoscere il mondo, anche perché, razionalmente, perché mai doveva essere sempre il principe a salvare la donzella in pericolo? Forse la donzella non era in pericolo, magari il pericolo si trovava fuori di un'ipotetica torre in cui una sempre ipotetica ragazza aveva sempre vissuto e, soprattutto, forse questa stessa ipotetica fanciulla stava benissimo lì dove si trovava. Poteva avere tante ipotetiche occupazioni – il teatro, la musica, il disegno, la cucina, la sartoria... la cucina l'aveva già detta? Oh, beh, tante occupazioni. Ed il principe non necessariamente doveva venire a bussare alla, ehm, finestra per rovinare tutto.
Aveva Madre Gothel, e la sua zuppa di nocciole: era tutto ciò che importava. … No?

Nonostante il passare degli anni, però, quei tre libri erano ancora su quella mensola, custoditi gelosamente. Gli stessi tre, unici libri che rileggeva ogni giorno, instancabilmente, e, segretamente, con lo stesso entusiasmo di bambina.

Nessuno di quei tre libri e nessuna delle sue attività l'aveva preparata a ciò che sarebbe successo in seguito. Anche se la cucina – o almeno una considerevole parte di essa – le sarebbe tornata più che utile.
In più, non credeva si potesse tecnicamente dire che lui avesse bussato.

Heal what has been hurt,
change the fate's design


“Tu vieni, biondina?”

Era stato quello il momento in cui, l'aveva capito solamente molto tempo dopo, aveva ricominciato a credere alle fiabe. Il momento in cui, calandosi dalla torre e ridendo al vento che le sferzava le gonne ed il volto, aveva poggiato, titubante, un piede nudo sull'erba.
Il momento in cui, quando aveva riaperto gli occhi ed aveva guardato verso l'alto, quella stessa luce accecante l'aveva abbagliata per un istante.
Il momento in cui, in quell'istante, si era voltata, intimorita, e con gli occhi che le facevano male ed il cuore in subbuglio per le troppe emozioni contrastanti, dai contorni indefiniti, fondendosi con quella luce dorata, il suo profilo si era stagliato contro tutto ciò che la circondava, zona d'ombra e di pace, riposo per gli occhi e, sorrideva a pensarci, per il cuore.
Tutto ciò che non aveva mai avuto, che le era stato sottratto, il mondo, la libertà, l'amore, tutto racchiuso in quella bolla luminosa, e solo grazie a lui.

Save what has been lost,
bring back what once was mine


Non era un principe, ma questo non cambiava nulla. Non aveva neppure esattamente bussato, è vero, ma si trattava pur sempre dettagli, come il fatto che più che in sella ad un fedele destriero, fosse arrivato inseguito da un decisamente poco collaborativo cavallo. Se era per quello, neppure lei l'aveva accolto a braccia aperte, a voler essere pignoli. Ma chi ha detto che le fiabe debbano essere monotone?
La sua fiaba, quel suo sogno, aveva superato ogni possibile aspettativa.
Avrebbe continuato a ripeterlo, a distanza di anni, in qualsiasi momento.
Al sorriso pieno e felice che gli rivolse apparentemente senza alcun motivo, Eugene le restituì uno sguardo vagamente perplesso. Poi scosse la testa, sorridendo tra sé, scompigliandole i corti capelli castani.
Non aveva mai smesso di chiamarla biondina.
Avrebbe continuato a ripeterlo, ora e per sempre – come in ogni fiaba che si rispetti.
Il giorno più bello di sempre.
















Fine
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Rapunzel / Vai alla pagina dell'autore: Emily Doe