'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti dei Tokio Hotel, nè offendere in in alcun modo il gruppo e i singoli componenti'
1)Janis
Prova
a star con me
un altro inverno a Pordenone
Sarà un letargo dolce senza inverno e freddo
Sarà che è sempre troppo
Loitsche
era un posto piccolo.
Niente
di particolare, un paesino della provincia tedesca senza nulla di
interessante.
Uno
di quei posti in cui la vita si svolgeva altrove e che era perso nel
clima un po’ sonnacchioso di una quotidianità
vissuta secondo ritmi
abitudinari.
Janis
odiava Loitsche, non era mai riuscita a trovarsi a suo agio.
Janis
aveva quindici anni, lunghi capelli biondi che colorava spesso con
meches dai colori improponibili e sentiva il peso di un nome diverso
dal solito
e della sua voglia di evadere.
Lei
era nata a Berlino e ci aveva vissuto fino a otto anni, fino ad
allora aveva avuto una vita di cui non aveva potuto lamentarsi.
Viveva
con sua madre in una casa nei sobborghi della città, aveva
tanti
amici e un padre affettuoso. Alla bambina che era stata poco importava
che lui
stesse fuori casa tutti i giorni tranne la domenica, finché
sua madre le diceva
che era fuori per lavoro e quindi per far stare bene loro lei le
credeva.
Anche
perché quando il padre veniva a casa era una festa,
l’uomo le
portava spesso regali e si divertiva a
farla giocare.
Era
la sua fiaba personale.
Fiaba
che si era interrotta a otto anni con una porta sbattuta da sua
madre che rientrava a casa in lacrime, Janis non aveva capito.
Aveva
capito solo qualche giorno più tardi quando, dopo lunghi
giri di
telefonate con i nonni e gli amici, sua madre aveva preparato le valige
per
loro due, le aveva caricate in macchina e le aveva detto che sarebbero
andate a
stare dai nonni a Loitsche.
Il
primo ricordo che aveva di quel paese era quello di un posto
ricoperto di neve e con poche persone in giro.
Non
che fosse cambiato molto, considerò ora che erano passati
sette
anni.
Era
seduta su una panchina del parchetto del paese, l’unica che
fosse
relativamente riparata dalla neve, teneva una sigaretta tra le mani per
darsi
un tono e sbuffava infastidita.
Il
suo ragazzo era in ritardo e lei odiava i ritardatari, soprattutto
lui al momento perché la costringeva a ripensare al passato(
e a lei saliva
sempre un certo nervoso misto a sofferenza nel farlo) e
perché sentiva che lui
si stava allontanando da lei.
Bill
era diverso dal resto dai ragazzi del paese. Era un ragazzino alto
e magro, con una voce gentile e modi che oscillavano tra il pacato e
l’infantile. Non era un cavernicolo come la maggior parte dei
ragazzi di
Loitsche.
Era
anche carino, aveva la carnagione chiara, i capelli neri e gli occhi
castani.
Peccato
che i capelli fossero tinti e gli occhi contornati da uno spesso
strato di matita.
Questo
insieme ai piercing al sopracciglio e al tatuaggio che aveva da
un anno sulla nuca, ai modi gentili e a un look da pseudo punk non era
nei
canoni del paese.
Circolavano
strane voci da sempre su Bill. Molti dicevano che fosse gay
e qualche rompicoglioni particolarmente aggressivo l’aveva
persino pestato,
fino a che non era intervenuto il gemello di Bill.
Tom
era diverso da lui , aveva una massa di dreadlock biondi e un piercing
al labbro, era uno di quei ragazzini che ci provavano
con tutte e soprattutto sapeva picchiare e
fare discretamente male all’occorrenza.
I
pestaggi a danno del suo ragazzo erano finiti, ma non le voci.
Quelle
non sarebbero finite mai se persino ora che stava con lei
qualcuno doveva dire la sua con la tracotanza tipica di chi era certo
di aver
capito tutto e invece non aveva capito nulla.
Janis
se ne fregava in una certa misura, mentre lo baciava era certa di
stare baciando un etero parecchio consenziente e non un gay reticente.
E
poi sopportava perché amava lui.
Bill
era nettamente sprecato per la vita di paese, come lei sognava in
grande, solo che a differenza sua che non aveva talenti particolari lui
aveva
le carte per sfondare.
Aveva
partecipato a un talent show e si era piazzato secondo, cantava in
una band che era stata messa sotto contratto dalla Sony.
Stava
per spiccare il volo, sostenuto dalle fragili ali del talento e
dalle mani degli amici e del fratello.
Janis
si alzò, mosse qualche passo e poi tornò a
sedersi, seguendo i
suoi pensieri.
La
band di Bill era composta da Tom alla chitarra, Gustav
Schäfer, un
ragazzo che aveva un anno più di loro, non molto alto,
tarchiato, muscoloso e
di poche parole che stava alla batteria e da Georg Listing, due anni
più dei
gemelli, il bassista, distratto, spiritoso e con un fisico da paura.
Se
solo non fosse stata disperatamente attratta da quella luce speciale,
il carisma, che emanava Bill ci avrebbe fatto più di un
pensiero su quel
ragazzone dai capelli castani lunghi e dagli occhi verdi che brillavano
cordiali su una faccia da bravo ragazzo.
Forse
era anche per quello che Bill sarebbe volato via un giorno, perche
aveva loro.
Lei,
tolto Bill non aveva nessuno. Era disperatamente sola in un posto
che non la capiva e che lei odiava.
Con
il nome che aveva avrebbe voluto essere libera come la sua omonima e
vivere in un posto stimolante e creativo, un posto dove il suo talento
per
disegnare avrebbe potuto fruttare più di generici e
superficiali complimenti de
parenti e la richiesta imbarazzante di ritratti.
Ma
Loitsche non era l’America e non lo sarebbe mai stata, le sue
ali
erano momentaneamente tarpate da un futuro incerto e da una famiglia
oppressiva.
Bill
era la sua unica dose di libertà. Come poteva accettare che
lui se
ne sarebbe andato?
Janis
si disse di stare calma, era l’attesa mista al nervosismo a
farle
vedere tutto nero e a risvegliare ricordi che credeva ormai sopiti.
Per
analogia pensava a suo padre e alla dura verità su di lui
che aveva
scoperto ad undici anni.
La
sua non era mai stata una famiglia felice e suo padre non era a casa
durante la settimana semplicemente perché lei era la figlia
di riserva.
Jan
aveva scoperto che sua madre era l’amante di suo padre, che
aveva
accettato una figlia che sostanzialmente non voleva, ma non voleva che
loro
fossero una famiglia.
Come
biasimarlo? Si era detta cinicamente la ragazzina. Lui una famiglia
ce l’aveva già e di una provincialotta come la
madre di Jan non sapeva che
farsene.
Così
quando la madre della ragazzina l’aveva messo con le spalle
al
muro, quel codardo bastardo aveva reagito licenziando sua madre e
sparendo
dalla loro vita.
All’improvviso
niente più regali, niente più viste.
Neanche
una telefonata. Era come se fosse morto e per lei lo era.
Visto
che persona si era dimostrato Janis non poteva fare a meno di
odiarlo profondamente e aveva una paura fottuta che tutto si ripetesse
con
Bill.
Era
un brivido che le si insinuava sottopelle e non bastavano i baci e
le coccole del suo ragazzo per cancellarlo.
La
sigaretta era ormai finita, la buttò per terra e si
alzò sconsolata
dalla panchina.
Era
li da mezzora e lui non si vedeva, doveva averle tirato bidone.
Fece
qualche passo e lo vide camminare verso di lei, era curvo.
Le
diede i brividi, era di sicuro in arrivo una brutta notizia.
“Ciao
Piccola!” mormorò non appena le fu davanti.
Era
contrito, un cucciolo bastonato, lei abbandonò
immediatamente i
progetti bellicosi e gli si buttò tra le braccia, baciandolo
appassionatamente.
Sapeva
troppo di bacio d’addio, sentì un strappo
all’altezza del cuore.
Quando
si staccò lo guardò di nuovo negli occhi, lui
riusciva ad
esprimere tutto con quelle dannate iridi castane, poteva mentire con il
corpo e
con la voce, ma gli era impossibile farlo con gli occhi.
Al
momento gli occhi di Bill erano pieni di tristezza, dolore e paura.
Il
brivido divenne più forte, per un attimo desiderò
non sapere nulla,
ma solo continuare a baciarlo, sebbene sapesse
che non avrebbe
potuto evitare quel momento.
“Scusa,
ma il produttore mi ha trattenuto.”
Continuò
il ragazza accarezzandole dolcemente una mano, le mani di Bill
erano sempre calde, al contrario delle sue perennemente ghiacciate.
“Tranquillo.”
“Devo
dirti una cosa…” Bill abbassò lo
sguardo.
E
li Janis seppe che la loro storia era al capolinea, solo che lei non
gliel’avrebbe lasciato fare senza combattere.
“Parla.”
“Ecco…
Ci hanno offerto un contratto, uno serio questa volta. Passiamo
alla Universal.”
Lei
aveva sorriso, lui stava per volare via.
“Sono
davvero felice per te.”
“Ce
ne andremo da Loitsche, penso che anche mamma e Gordon ci
seguiranno, staremo ad Amburgo”
“Bello!”
aveva sorriso lei. “Ci vedremo di meno, ma verrò
ogni volta che
posso.”
Lui
aveva distolto di nuovo lo sguardo, lei si era sentita morire.
Gocce
di sudore freddo rotolavano lungo la sua schiena.
“No,
Jan…. Io … mi dispiace, ma penso che sia meglio
chiudere qui.”
“Perché?”
Aveva
sputato quella domanda ancora scossa per il colpo, lo sapeva che
sarebbe arrivato, ma voleva illudersi che non sarebbe successo
veramente, che
fosse solo una stupida paranoia dettata dall’ansia.
Lui
non poteva andarsene, a lei cosa sarebbe rimasto?
“Jan,
soffriremmo inutilmente. Non posso costringerti a una relazione a
distanza che si logorerebbe man mano, sarebbe orribile.
Io…La
scelta è tra rimanere qui e perdere la mia grande occasione
e
andarmene.
Qui
non c’è quel che voglio, io voglio essere libero,
io voglio che la
gente veda quel che valgo.”
“E
io? Io cosa faccio, eh?
Cosa
vuoi da me? La mia benedizione a calpestarmi il cuore?
Io
ti amo, cazzo!”
Era
la prima volta che glielo diceva, buffo che sarebbe stata anche
l’ultima.
“Non
posso venire con te?”Chiese poi, vinta.
“Abbiamo
quindici anni Jan, sarebbe bellissimo se tu potessi venire, ma
tua madre non ti lascerà mai.
Se
avessimo avuto diciott’anni….”
Il
suo ragazzo lasciò in sospeso la frase, non c’era
bisogno di finirla.
Se avessero avuto diciott’anni lei avrebbe potuto mollare
tutto e seguirlo,
anche come groupie, non le sarebbe importato.
Invece
lei aveva quindici anni, una madre che odiava il mondo maschile e
dei nonni iperprotettivi che non volevano che anche la nipote soffrisse.
No,
non l’avrebbero mai lasciata andare.
“E
così mi molli qui…
Bhe
bravo, hai imparato la prima regola del mondo degli adulti, calpesta
chi non ti serve.”
“Jan…”
In
quel nome c’era tutto il dolore del suo ragazzo,
chissà quanto aveva
meditato quella decisione e quanto doveva essergli costata.
Al
momento lei non riusciva a provare dispiacere per lui.
“Janis
ti amo. Non potremmo almeno rimanere amici?”
“Vaffanculo
Bill, sei una testa di cazzo!” urlò la ragazza al
limite
della sopportazione.
Lei
non avrebbe retto un momento di più, così
girò i tacchi e se ne
andò.
Sentì
Bill che la chiamava disperato, sentì i suoi passi ovattati
dalla
neve inseguirla.
Voleva
calmarla, voleva chiarire, forse voleva un bacio d’addio e
una
promessa d’amicizia.
Janis
non era in grado di dare niente di tutto questo.
Corse
più forte, per far si che lui non vedesse le lacrime.
Corse
per dimenticare il suo dolore.
Corse
finché la voce di Bill non fu solo un flebile lamento
portato dal
vento.
Solo
allora si fermò, era nel giardino di casa sua, e
lasciò che le
lacrime e i singhiozzi la devastassero.
Era
tutto finito.
La
sua favola di nuovo non aveva avuto una fine positiva.
Dice
che qui non resta
Che quel che vuole qui non c’è
Ci fosse almeno una ragazza uguale identica a me
Dice che qui non resta
Che non lo fermerà
Il bene che gli vuoi ancora, il bene che ti vorrà
Erano passati due giorni da
quando Bill l’aveva mollata.
Janis
aveva cercato di comportarsi normalmente per non insospettire la
madre, che già non vedeva Bill di buon occhio, ma si sentiva
completamente
sfasata rispetto al pianeta terra.
Ascoltava
le lezioni per modo di dire e quando era in camera sua
piangeva fino a farsi venire mal di testa, Bill non demordeva, lei
aveva il
cellulare pieno di messaggi e chiamate.
Per
scrupolo aveva letto almeno qualcuno di quegli sms, erano sempre
più
ansiogeni e spaventati man mano il tempo passava e lei non si faceva
sentire.
Jan
sospirò, non poteva e non voleva rispondere.
Piano
piano, arrivò anche il sabato sera e lei uscì.
Non
c’era molto da fare in paese , così
optò per l’unico bar, almeno si
sarebbe ubriacata.
Entrò
nel locale e scelse un tavolo isolato, poi ordinò il primo
bicchiere di vodka della
serata.
Non
voleva pensare e tenendosi occupata con l’alcool ci riusciva
abbastanza bene e avrebbe continuato così fino a che non
fosse crollata se una
voce non avesse ordinato alla cameriera di non servirle più
nulla.
Janis
alzò lo sguardo seccata, chi si permetteva?
Erano
in due a permettersi, Tom e Georg.
“Che
cazzo volete? Andatevene a fare in culo!”biascicò
alterata.
“Ciao
Janis.”
Tom
si sedette alla sua sinistra, Georg alla destra.
“Sai,
è buffo J…”
La
ragazza lo fulminò.
“Mio
fratello è venuto qui ieri sera e si è messo a
fare la stessa cosa
che stai facendo tu adesso. Io e Gustav abbiamo dovuto riportarlo a
casa a
braccia perché ci ha chiamato il proprietario
all’ora di chiusura.”
Nel
sentire che il suo ragazzo si era ubriacato e probabilmente ora
stava male lei si sentì stringere il cuore pur essendo persa
tra i fumi
dell’alcool.
“Siete
proprio fatti uno per l’altra.”
“Peccato
che lui non la pensi così.”
Sputò
acida lei.
“Dio
Jan! Credi che lui non stia male? Ti ama, l’ha fatto per te.
Quanto
avresti retto a vedere il tuo ragazzo ogni morte di papa?
Se
dovessimo sfondare avremo un sacco di ragazze che ci vorranno,
giornalisti che scaveranno nella nostra vita e poi nella tua.
Non
sarai mai lasciata in pace e Bill non vuole che tu passi questo!
“
“Smettila
di difenderlo Tom! Non potrai farlo sempre!”
Ormai
lei attaccava per difendersi.
Georg
le appoggiò un braccio sulla spalla.
“Tom
ha ragione, cerca di capire il suo punto di vista. Per favore
accetta di vederlo, lui sta davvero male.”
“E
io?”
Nessuno
le rispose.
“D’accordo.
Un ultimo incontro e poi basta,”
Con
la rassegnazione di una martire si lasciò condurre alla
villetta
dove abitavano i gemelli e poi in camera di Bill.
Il
ragazzo era a letto, pallido ed assistito da un preoccupato Gustav.
Quando
la vide il batterista infilò rapido la porta e li
lasciò soli.
Janis
non riusciva a dire nulla ne ad avvicinarsi.
“Jan
mi dispiace, ma era l’unica cosa a fare.
Mi
potrai mai perdonare?”
La
bionda camminò fino al letto come se fosse in trance, poi si
sedette
e lo guardò seria.
“Non
lo so.”
“Ti
amo.”
“Anche
io, ma questo non cambia le cose.”
“Hai
ragione. Spero che un giorno mi perdonerai.”
“Chissà.”
Janis
non riusciva a sbilanciarsi.
“Ti
chiedo solo un’ultima cosa, un bacio.”
Jan
annuì, ora che era lì, che l’aveva
davanti fragile e sofferente come
lei, anche lei aveva bisogno di quel bacio.
Ne
aveva bisogno come l’aria.
Si
avvicinò piano alle labbra del ragazzo, erano insolitamente
fredde.
Fu
un bacio lungo , dolce e passionale allo stesso tempo.
Conteneva
tutte le parole che non si erano detti, l’amore che
provavano,
il dolore nel lasciarsi, il rimpianto e le scuse, persino una richiesta
di
perdono.
Quando
Jan si staccò gli occhi di Bill erano lucidi, lei gli
accarezzò
piano una guancia e si alzò.
“Buona
fortuna Bill. Impegnati al massimo con questa storia e sfonda,
non ti perdonerei se tu mi avessi mollata per poi non
farcela.”
“Grazie
Jani”
Lei
annuì ed uscì dalla stanza, dentro ci aveva
lasciato un pezzo di
cuore.
Scese
le scale, in salotto c’erano Tom,Georg e Gustav, lei
sentì i loro
sguardo addosso, ma non disse nulla.
Uscì
dalla casa.
Fuori
il clima era freddo, tirava un vento gelido.
Rispecchiava
perfettamente il vuoto che c’era nella sua anima.
Ora
era davvero sola, non aveva più nessuno.
Non
aveva amici, non aveva più il suo ragazzo. Era pronta a
perdersi nel
mondo.
Sto
bene solo con le mie scarpe nuove
Il resto non mi muove
Io, io, io solo contro il mondo
È meglio se mi calmo
Dice che qui non resta
Che non lo fermerà
Il bene che gli vuoi ancora, il bene che ti vorrà
Nel
mondo ci si era effettivamente persa.
Erano passati cinque anni dalla notte in cui aveva dato addio al suo
primo
amore e Janis tracciava un profilo incerto della sua vita.
Dicembre
2010 stava iniziando e per lei era
tempo di bilanci. Aveva gioito del successo di Bill, lui effettivamente
aveva
spiegato le ali ed era volato via, poco importava ormai che lei non
avesse
potuto partecipare.
A
distanza di anni riusciva persino a
capire le parole di Tom,forse l’aveva fatto davvero anche per
lei, non era
certa che avrebbe retto tutto quello che si era formato intorno al suo
ex
ragazzo.
Aveva
assistito alla scalata al successo di
Bill da lontano, silenziosa,come una persona che non volesse disturbare
ad una
festa.
Era
la festa di Bill, dopotutto,quello che
lui aveva sempre desiderato, ossia che tutti vedessero quanto valesse
eppure
aveva l’impressione che non fosse del tutto contento.
Era
stata a qualche concerto poi aveva
smesso, così come aveva smesso di frequentare i forum, non
riusciva a
sopportare le fan che parlavano con la convinzione di conoscerlo quando
non era
così.
Lei
forse aveva conosciuto un frammento di
Bill, le altre no.
Le
altre parlavano con tracotanza e basta,
credendo che foto, video ed interviste bastassero per analizzare ed
incasellare
una persona .
Illuse.
Janis
aveva notato come questo
atteggiamento fosse aumentato a dismisura e come anche le cosiddette
fan
fossero arrivate a parlare come la gente di Loitsche, con
l’aggiunta
imperdonabile dell’ipocrisia.
Dire
di amare qualcuno e poi giudicarlo,
deriderlo e buttargli addosso accuse con la scusa che dopotutto fossero
solo
fantasie e che una persona di spettacolo questo doveva aspettarselo e
sopportarlo senza che nessuno fiatasse la mandava fuori di testa.
Perciò
aveva mollato. Non li seguiva più
come prima, anche perché ora aveva qualcuno di cui occuparsi.
Non
era un ragazzo, nessuno era riuscito a
prendere completamente il posto di Bill
nel suo cuore.
Aveva
avuto parecchi flirt, qualche storia,
ma nulla di serio.
Solo
con un ragazzo le era sembrato di
potersi lasciare alle spalle quel ex , mai del tutto uscito dal suo
cuore, e
ricominciare a vivere.
Solo
illusioni.
Quel
ragazzo era stato un verme come suo
padre, di lui non valeva nemmeno la pena di pronunciare il nome,
tuttavia le
aveva lasciato la persona più importante della sua vita.
Tamara.
Non
era stato facile portare avanti una
gravidanza e la scuola a diciott’anni, soprattutto
perché la sua famiglia le
aveva piantato una grana allucinante.
Sua
madre non l’aveva presa bene, Janis
dubitava che avrebbe mai capito quella donna. Quando lei stava con Bill
sua
madre sbuffava dicendo che meritava di meglio, quando con Bill si era
mollata
sembrava si fosse arrabbiata con il ragazzo e alla notizia della
gravidanza
aveva scatenato un putiferio.
La
donna pareva volesse andare e stanare
personalmente il bastardo che l’aveva messa incinta e
costringerlo al
matrimonio e ci era rimasta parecchio male quando Jan aveva urlato a
pieni
polmoni che quel coglione non
lo rivoleva
affatto nella sua vita.
Sua
madre aveva incassato il colpo senza
aggiungere altre parole, ma le aveva riservato un trattamento glaciale
per
tutta la gravidanza e la maturità annessa che stava
preparando.
Era
stato un incubo stare in quella casa,
solo Bill sembrava darle coraggio da lontano, attraverso quella musica
che da
lei l’aveva separato.
Quell’aura
da ragazzino ribelle, solo
contro il mondo non si era stemperata e le dava forza.
Se
lui ce l’aveva fatta, aveva scalato le
classifiche europee alla sua età, lei poteva portare avanti
una gravidanza e
crescere un figlio da sola.
Una
parte di sofferenza era finita solo
dopo il parto. Sua zia Meg le aveva proposto di vivere da lei, ad
Amburgo e Jan
era stata felice di accettare.
Da
li aveva iniziato a salire la china, la
zia le aveva trovato un lavoro in
un
negozio di belle arti, stare tra pennelli, tempere, tele e fogli da
disegno non
era come usarli, ma le andava bene lo stesso.
Aveva
messo da parte abbastanza soldi per
poter andare a vivere in affitto in un monolocale
un anno dopo la nascita di Tamara.
Poi
qualcuno aveva notato le sue vignette
che giravano in negozio e si era ritrovata a sostenere un colloquio di
lavoro
per un posto di vignettista in un giornale.
Janis
sentiva di aver trovato la sua pace,
ma non poteva dire lo stesso di Bill.
Pur
seguendolo da lontano si era accorta
che era cambiato, si era come chiuso in se stesso, alzando una barriera
che lo
separava dagli altri attraverso un look sempre più ambiguo.
Sembrava
aver paura del contatto con il
mondo e un po’ lo capiva, visto quello che aveva saputo
essere successo a Tom e
a Gustav e poi a Bill stesso.
Quell’incidente
che aveva fatto con la
macchina poco più di un anno prima l’aveva
spaventata a morte e per un attimo
il suo cuore aveva smesso di battere.
Questo
le aveva crudelmente svelato che
dopotutto lui era ancora decisamente troppo importante per lei.
Che
Bill
fosse decisamente intrappolato in qualcosa che iniziava a
pesargli Jan
lo aveva capito anche dalle interviste in cui esprimeva il desiderio di
trovare
l’amore e si lamentava della fama.
Lei
almeno aveva Tamara e per lei andava
avanti e si faceva forza, anche perché la sua piccola era
terribilmente
perspicace.
Qualche
giorno fa le aveva chiesto come mai
guardasse con tanto interesse quel
tizio
strano in televisione, stavano
trasmettendo “Dark side of the sun” su mtv.
Janis
aveva sorriso.
“è
un mio amico, piccolina. L’ho conosciuto
quando io e nonna ci siamo trasferite a Loitsche.”
Tamy
aveva guardato Bill saltellare per il
palco curiosa.
“Perché
si veste così?”
“Perché
gli piace, come a te piace quel
maglioncino a righe
rosse, gialle e
verdi che ti ha regalato zia Meg.”
“Ma
è strano!”
Jan
si era inginocchiata davanti alla
figlia.
“Si,
è strano, ma se lo fa stare bene non
c’è niente di male, no?
Quando
tu ti metti il tuo maglioncino stai
bene,no?”
Tamara
aveva fatto una faccia pensierosa,
poi l’aveva guardata.
“Ma
mami non mi sembra felice!”
Janis
era rimasta colpita dal commento
della figlia, come poteva spiegarle che a volte la fama, anche se la si
otteneva
facendo quello che si amava, era una lama a doppio taglio?
Che
era un mostro che divorava le vite di
chi baciava e che sopravvivere e rimanere se stessi era facile come
scalare il
K2 a piedi nudi?
“Piccola,
immagina che tutti ti conoscano e
che a nessuno piaccia il tuo maglioncino a righe.
Tutti
ti dicano che è brutto, che ti rende
cattiva, eppure a
te piace e non ti
sembra così male. Ti sentiresti felice?”
“No.”rispose
la bambina.
“Vedi,
a lui succede lo stesso. Ci sono
tante persone a cui non piace e che gli dicono delle brutte cose.
Lui
però si piace e non vuole cambiare. Sai
è questa la forza, andare avanti anche quando tutti sono
contro.
Capisci,
piccola?”
Lei
annuì.
“Mi
piacerebbe conoscerlo.”
Jan
sorrise, il carisma di Bill aveva fatto
colpo anche su sua figlia.
“Chissà
forse un giorno.”
La
bionda aveva cercato di sdrammatizzare
per Tamara, ma era certa che Bill fosse stanco di quel clima, che
facesse
sempre più lo strano per proteggersi, che si sentisse
isolato.
Probabilmente
quegli abiti erano solo una
corazza e lei avrebbe voluto essere al suo fianco e fargli forza.
Era
un desiderio impossibile, ormai le loro
strade erano divise, eppure c’era una piccola parte di lei
che avrebbe voluto
che si riunissero.
Forse
a volte a Bill
sarebbe piaciuto tornare a casa senza
che si creasse clamore e lei avrebbe voluto accoglierlo.
Dannati
desideri irrealizzabili.
Come
a riportarla sulla terra il telefono
squillò e lei fu costretta a rispondere.
Dall’altro
capo del filo c ‘era sua madre,
come al solito nella sua voce c’era una nota seccata di fondo.
Janis
era certa che loro due non si
sarebbero mai capite.
“Ciao
Janis.”
“Ciao
mamma.”
“Come
state tu e Tamara?”
“Bene!”
aveva risposto cordiale la
ragazza:”La piccola va al nido e si è fatta tanti
nuovi amici e il mio lavoro
procede.
Tu
come stai?”
La
donna aveva esitato.
“Bene,
bene…. A Natale vieni a casa? Ai
nonni farebbe piacere.”
A
lei non molto,aveva disertato con piacere
quegli appuntamenti con quella parte così oppressiva di
famiglia preferendo
passare le feste da sua zia Meg.
“Non
lo so.”
“Non
mi perdonerai mai?”
Per
un attimo la domanda di sua madre si
sovrappose a quella che Bill e aveva fatto anni prima e la
lasciò smarrita.
“IO…
Bhe ci devo pensare.”
Avevano
scambiato ancora qualche parola,
poi la telefonata si era chiusa.
Janis
era rimasta incerta, era vero, i
rapporti con sua madre e i suoi nonni erano freddi da tre anni e se
fosse
dipeso da lei lo sarebbero rimasti ancora a lungo. Solo non poteva
condizionare
con le sue scelte anche la vita di Tamara, lei non se lo meritava.
Se
la bambina avesse desiderato vedere i
nonni, lei non era nessuno per impedirglielo, Janis decide che ne
avrebbe
parlato con lei.
Raggiunse
Tamara in camera. La piccola
stava giocando con delle Barbie, era minuta,sembrava più
piccola della sua età
e aveva una cascata di capelli lunghi e lisci, rossi come il fuoco.
Si,
il padre di Tamara aveva i capelli di
quel colore e ogni volta che guardava sua figlia era come se vedesse
una parte
di lui.
“Tamara?”
La
bambina si volse verso di lei e la
inchiodò con i suoi occhi castani, come quelli di Bill erano
terribilmente
espressivi.
“Ha
telefonato la nonna, vorrebbe che
andassimo da lei per Natale, tu cosa vorresti fare?
Ti
va di vederla?”
La
bionda aveva mosso qualche passo, poi si
era seduta per terra a fianco della figlia.
Tamara
non aveva risposto subito, quella
bambina era incredibilmente riflessiva, un po’come lei.
“Si,
mi piacerebbe vederla.” Aveva
mormorato alla fine.
Lei
aveva sorriso, le aveva accarezzato la
chioma rossa e si era alzata.
“Sei
sicura?”
“Si.”
“Allora
la chiamo e le dico che verremo.”
“Si,
mamma.”
Janis
richiamò la madre. Non sapeva che da
quella sortita a Loitsche sarebbero dipese alcune cose che le avrebbero
sconvolto la vita.
Sto bene solo con le mie scarpe nuve
Il resto non mi muove
Lontano dalla mia casa più della luna
La sola cosa che posso desiderare
Io, io, io solo contro il mondo
È meglio se mi calmo
Lontano dalla mia casa più della luna
La sola cosa che posso desiderare
L’antivigilia
di Natale era arrivata troppo
presto per i gusti di Janis, il tempo correva come una furia verso
quella data,
che lei non voleva arrivasse.
Sarebbe
andata a Loitsche solo per far
contenta Tamara, lei avrebbe preferito rimanere a casa sua e
festeggiare con
sua zia Meg.
Janis
adorava quella donna pratica, materna
e moderna allo stesso tempo, da lei si era sempre sentita accettata
più che dal
resto della famiglia.
Era
stato doloroso dirle che avrebbe
passato il natale con sua madre, tuttavia la donna non si era smentita
nemmeno
in quella occasione.
Meg
aveva sorriso a Janis e le aveva detto
che era una buona occasione per chiarire con sua madre, Jan ne
dubitava, tra
loro due c’era un solco troppo profondo, come se provenissero
da due pianeti
diversi.
Ormai
era fatta, non poteva tirarsi
indietro. Il fatidico ventitre
dicembre
era arrivato e a
lei non rimase che
mettersi in macchina insieme alla figlia e partire alla volta di
Loitsche.
Il
paese la accolse con la calma e una
distesa placida di neve, non che Janis si aspettasse altro, ormai aveva
smesso
di farlo.
Guidò
con prudenza fino alla villetta di
sua madre e quando scese ebbe l’impressione di tornare ai
suoi quindici anni, sennonché
lei ora ne aveva ventuno ed aveva una figlia.
Era
sera e sua madre disse che dopo che lei
avesse sistemato i suoi bagagli nella sua camera da adolescente, la
cena
sarebbe stata in tavola.
La
bionda notò subito che la camera era
rimasta invariata, la madre l’aveva conservata come se fosse
stata un tempio.
C’erano ancora le foto, i poster e le cianfrusaglie che non
si era portata ad
Amburgo.
C’erano
anche delle foto di Bill, era una
persecuzione.
La
cena si svolse nei toni di una
conversazione garbata e futile, le due donne forse avrebbero avuto
miliardi di
cose da dirsi, me nessuna delle due osava.
Anche
quando Janis ebbe messo a letto
Tamara non si parlarono, fu la televisione a farlo per loro, come nelle
sere
della sua adolescenza.
Certe
cose non sarebbero mai cambiate. Non
sarebbero mai cambiati i silenzi e i non detti.
Non
sarebbero mai cambiate le notti
insonni.
Janis
dormì pochissimo, c’erano troppi
ricordi a farle male in quella stanza, al contrario di Tamy. La bambina
la
mattina dopo era un uragano in piena attività, la costrinse,
rintronata ed
infreddolita com’era, a fare un giro per il paese.
Per
Tamara era tutto nuovo e guardava
Loitsche con lo stupore genuino dei bambini, la trascinò
ovunque.
Si
calmò solo quando arrivarono al parco,
li Tamara vide dei bambini che giocavano di qualche anno più
grandi di lei e
corse a fare
amicizia.
La
ragazza ne approfittò per fare una pausa
sedendosi su una panchina, si sentiva stanca per colpa delle poche ore
di sonno
e crollò presto addormentata.
Jan
non dormì più di un quarto d’ora, ma
quando si risvegliò il parco era deserto, ne dei bambini ne
di sua figlia c’era
più traccia.
Si
diede dell’idiota e corse immediatamente
a cercarla, fece qualche metro di corsa e poi sentì la voce
argentina di Tamara
che rideva accompagnata da un’altra voce. La seconda voce era
argentina, ma più
profonda, maschile, era quella di un ragazzo e somigliava
pericolosamente a
quella di Bill.
Non
poteva essere! Non era in America?
Corse
più forte e li vide. La sua piccola e
uno spilungone magro, vestito di nero, con i capelli ancora neri,
imbacuccato
come un terrorista.
Bill.
Jan
si sentì mancare il respiro, vederli
vicini era stato un trauma.
Si
avvicinò a passo lento, come una
sonnambula, incredula e con la sensazione di trovarsi dentro a un sogno.
Tamara
la notò e la indicò a Bill
sorridendo.
“Quella
è la mia mamma!” urlò felice.
Janis
sorrise come un automa ai due, Bill
si tolse incredulo gli occhiali e lei vide per un attimo passare una
scintilla
di delusione in quelle iridi castane,
“Jan”
E
quel mormorio sembrò riprendere quel
discorso di cinque anni prima fatto nella stanza del ragazzo.
“Bill.”
Sperò
di sembrare sicura, non era pronta ad
affrontare i fantasmi del suo passato, ma forse loro erano pronti ad
affrontare
lei.
“Come
stai?”
La
voce di Bill suonava incerta.
“Bene,
tu? Come mai qui?”
Lui
scrollò le spalle.
“Sono
venuto a trovare mia nonna. In questi
anni ho avuto poche occasioni per vederla.”
“Capisco.”
“Non
sapevo avessi una figlia.”
Janis
fece un sorrisetto.
“Non
è che siamo rimasti molto in contatto
in questi anni.”
La
risatina imbarazzata si Bill si spanse
per l’aria.
“Bhe
comunque è davvero una bambina
simpatica ed intelligente, ti somiglia.”
Il
ragazzo sorrise a Tamara che ricambiò.
Strano che desse al moro tutta questa confidenza, di solito la bambina
non
amava aprirsi con gli estranei.
“Prima
ci siamo conosciuti, vero, piccola?”
“Si!
E sei davvero simpatico” trillò la
rossina.
“Come
mai qui, Jan? Nonna mi ha detto che
vivi ad Amburgo.”
“Sono
venuta a trovare mia madre e mie
nonni.”
“Da
sola? Il padre di Tamara non c’è?”
“No.”
Non
aggiunse altro,alla bionda non andava
di spiegare a Bill che il padre di Tamara era uno stronzo come suo
padre che
l’aveva mollata appena aveva scoperto la gravidanza.
Erano
anni che non lo rivedeva, non sentiva
di potergli dare ancora tutta quella confidenza.
“Mamma,
Bill mi ha invitato da lui questo
pomeriggio! Ha detto che faremo un pupazzo di neve insieme!”
“Ma
lui sarà impegnato!”
“No,
tranquilla. Io e Tom non abbiamo nulla
da fare.”
“Dai
mamma, posso?”
Come
poteva resistere davanti alle
suppliche di sua figlia? Alla fine cedette.
“D’accordo,
piccola. Ora però andiamo a
casa o nonna penserà male.”
La
bambina annuì.
“Ciao
Bill!”
“Ciao
Tamara, Janis!”
“Ciao!”
E
così il suo passato le aveva ripresentato
i conti sotto forma di quello strano sodalizio nato tra sua figlia e
Bill.
Avrebbe
preferito che non fosse successo,
ma non se la sentiva di scontentare la piccola, le avrebbe spiegato in
seguito,
quando fossero tornate ad Amburgo, perché quella strana
amicizia non sarebbe
proseguita.
Arrivarono
a casa di sua madre in tempo per
il pranzo, la donna non disse nulla, anche se forse aveva fiutato che
qualcosa
non andava.
Di
pomeriggio, come pattuito, portò Tamara
a casa della nonna dei gemelli. Fu Tom ad aprirle la porta.
Era
decisamente più alto di quanto ricordasse
e quella nuova pettinatura, treccine nere al posto dei suoi dreadlock
biondi,
le sembrava strana sulla testa del ragazzo.
“Buon
pomeriggio J.”
“Ciao
Tom.Non credevo che ti avrei mai
visto senza i tuoi dreadlock.”
Lui
alzò una mano e la mosse pigramente.
“Nella
vita si cambia, dov’è la tua
principessa?”
Tamara
fece capolino da dietro le sue
gambe.
“Ciao.”
“Forza
piccola entra, Bill ti aspetta.”
Si
chinò verso Jan e mormorò qualcosa di
udibile solo a lei.
“Sei
sicura?”
Lei
annuì, Tom scortò dentro la bambina.
“Vuoi
entrare?”
“Preferisco
di no. Verrò alle cinque a
prenderla.”
Il
ragazzo annuì e la bionda se ne andò.
Janis
passò tutto il pomeriggio chiedendosi
se avesse fatto o no la cosa giusta, le parole di Tom
l’avevamo agitata.
E
se stesse solo facendo illudere sua
figlia?
Alle
cinque andò dai gemelli, decisa a
mettere fine a quella storia, ma davanti al sorriso gioioso di sua
figlia e
alla richiesta di vedersi anche il giorno successivo,
capitolò.
Forse
poteva concedere a Tamara un pezzo di
sogno, forse non le avrebbe fatto necessariamente male.
Mentre
tornavano a casa la piccola era
insolitamente carica.
“Sai
che i tuoi amici sono davvero
simpatici? Bill mi aveva promesso di fare un pupazzo di neve e
l’ha fatto! Ci
ha aiutati anche Tom ma ha sbuffato tutto il tempo.”
E
così erano già diventati Bill e Tom, come
dei vecchi amici.
“Poi
Tom mi ha fatto sentire suonare la
chitarra e Bill come truccarmi!”
“Sei
piccola per truccarti!”Ridacchiò la
bionda.
“A
carnevale ed a Halloween posso vero?”
“Certo.Ti
sei divertita?”
“Si,anche
se Bill sembra triste quando
parla di te.”
Janis
non rispose, non sapeva cosa dire e
preferì il silenzio alla bugia.
“Mamma
voglio imparare a suonare la
chitarra!”
Una
piccola Tom no!
“Sei
piccola, ne riparliamo tra qualche
anno.”
“Tom
ha detto lo stesso, ma io lo
convincerò!” Esclamò incrociando le
braccia al petto e gonfiando
le guance.
Da
chi aveva preso quel carattere così
testardo?Ah si, da lei!
La
cena della vigilia e la messa di
mezzanotte si svolsero in relativa tranquillità, sua madre
non protesto nemmeno
quando portò di nuovo la bambina da Bill.
Anche
quel pomeriggio trascorse nell’ansia
per Jan, tanto che decise che questa volta si sarebbe fermata a parlare
da
Bill.
Alle
cinque precise era di nuovo alla
villetta, fu Bill ad aprirle questa volta, sorridente.
Il
suo sorriso non era cambiato molto in
sei anni.
“Ciao
Janis, ti va se ci prendiamo una
cioccolata? Tamara e mio fratello stanno martirizzando la cucina.
Lei
voleva che lui le insegnasse a suonare
la chitarra, lui no e alla fine lei l’ha stuzzicato
così tanto dicendogli che
non sa fare nulla che per ripicca lui le ha detto che sa cucinare.
La
cucina di nonna è un devasto!”
Disse
tutto d’un fiato,allegro.
“Ok,
va bene.”
Forse
davanti a due tazze di cioccolata
avrebbe potuto spiegargli perché non era un bene che lui
continuasse a vedere
Tamara.
Il
ragazzo la fece accomodare in salotto e
poi sparì in cucina, da cui arrivavano le voci di Tom e
Tamara
“Come
stai Jan?” Bill era ricomparso con
due tazze di cioccolata fumante in mano.
“Sono
contenta che tu ti sia fatta una
famiglia. Tamara è davvero adorabile,anche se non parla mai
di suo padre.
Devo
ammettere che un po’ ci sono rimasto
male vedendo che tu avevi avuto una figlia con un altro, ma poi mi sono
detto
che io non avevo alcun diritto su di te, li ho persi circa sei anni fa
,mollandoti.
Insomma,
sono davvero felice che tu abbia
voltato pagina e sia felice.
Io
un po’ ti ho pensato in questi anni, ma
non posso pretendere che tu abbia fatto lo stesso.”
Jan
lo guardò ad occhi sgranati, quel
discorso sparato a tutta velocità, che apparentemente
approvava le sue scelte,
sembrava molto uno di quelli che riservava per le interviste.
Il
che forse significava che le sue scelte
non le approvava affatto e
che forse era
geloso e poi cosa significava che aveva pensato un po’ a lei
in quegli anni?
“In
che termini hai pensato a me?”
La
domanda era brutale ed assai poco
romantica, ma lei era decisamente sconvolta.
“Bhe
diciamo che mi dispiaceva averti
mollato così. Sono stato un’idiota, ho gettato la
spugna prima di combattere e
non me lo perdonerò mai. Forse il nostro rapporto avrebbe
potuto funzionare, ma
ormai è tardi per i forse, tu hai una famiglia.”
“NO.”
“Come?”Bill
la guardava incredulo.
“IO
ho una figlia, non una famiglia. il
padre di Tamara è uno stronzo che appena ha scoperto la mia
gravidanza mi ha
mollata. Ho dovuto crescerla da sola.
Mamma
si è incazzata da morire, io sono
andata a vivere da zia Meg ad Amburgo dopo il parto.
Li
ho lavorato in un negozio di belle arti,
ora lavoro come vignettista in un giornale.
Non
ho avuto storie importanti e in questi
anni ci sono stati momenti in cui avrei preso il primo aereo solo per
massacrarti di botte e altri solo per coccolarti. Come vedi anche io ti
ho
pensato un po’.”
Nel
salotto calò il silenzio.
“Dici
che potremmo rimanere amici?”
“Solo
se mi inviti a cena, un'altra cena da
mia madre non la reggo.”
A
Bill brillarono gli occhi.
“Ma
certo! Stasera tutti in pizzeria.Tom,
Tamara!”
I
due interessati emersero dalla cucina
all’urlo belluino del cantante.
“Stasera
si va in pizzeria!”
“Bene!”
esultò la bambina.
Tom
lanciò ai due uno sguardo
indecifrabile, ma alla fine annuì.
“D’accordo!
Vado a prepararmi, tu no,
Bill?”
“Voglio
una cosa scialla.”
“Va
bene fratello.”
Janis
sorrise e telefonò a sua madre, non
la sentì particolarmente entusiasta, ma nemmeno
osò criticare apertamente.
Questo era il suo nuovo approccio soft alle sue intemperanze e la
bionda
francamente lo detestava.
Uscirono
di casa un’ora dopo (prima quella
dannata cucina doveva tornare ad avere un aspetto accettabile) e fu una
serata
serena, Tamara sembrava a suo agio
e i
tre ragazzi rievocarono
il passato, Jan
stava bene con loro, come se il tempo non fosse mai passato.
Arrivò
troppo presto il momento di andare a
casa, Jan li salutò di malavoglia, soprattutto Bill .
l’abbraccio che le
riservò a fine serata le fece desiderare di non staccarsi
mai più da lui.
Stava
tornando di nuovo nell’essere
disperatamente innamorata di lui
e non poteva permetterselo.
“Ti
sei divertita mamma?” La domanda di sua
figlia mentre le rimboccava le coperte la spiazzò, ma poi
sorrise.
“Si,
è sempre bello ritrovare delle persone
a cui vuoi bene! E tu?”
“Io
si, anche se un po’ mi dispiace che
dovremo tornare a casa.
Adesso
mi
leggi la fiaba della buonanotte per favore?”
Jan
lesse qualche riga di Cenerentola, la
bambina si addormentò subito a causa delle emozioni della
giornata.
La
ragazza sorrise, depose un bacio sulla
fronte della figlia e uscì dalla camera.
Sua
madre era già andata a letto, la casa
era silenziosa e lei si sentiva sola.
Le
aveva fatto male ritrovare quotidianità
con un passato che credeva infinitamente lontano da lei.
La
bionda aveva bisogno di fumare, così
recuperò un posacenere ed uscì in veranda, sua
madre non voleva che le fumasse
in casa.
Si
accese una sigaretta e guardò la luna.
No,
da quel soggiorno a Loitsche non
sarebbe uscita integra.
Un’ombra
la distrasse dai suoi pensieri, la
bionda strinse gli occhi e cercò di distinguere la figura
goffa ed allampanata,
era Bill.
“Bill?”
mormorò incerta.
“Si,
sono io! Mi hai sgamato accidenti!”
“Ti
muovi con la grazia di un dugongo!
Impossibile non notarti.”
Il
ragazzo arrivò fino alla sua veranda, la
luce disegnava strani giochi sul suo volto, con i capelli raccolti in
una coda,
il viso struccato e quel sorriso sembrava più giovane e meno
rockstar.
Era
solo un ragazzo normale come lei.
“Come
mai sei qui?”
“Per
questo.”
La
afferrò per le spalle, la attirò in un
abbracciò e la baciò.
Era
un bacio dolce che lei avrebbe potuto
interrompere in qualsiasi momento, la verità era che non
voleva farlo.
Janis
aveva realizzato di essere ancora
disperatamente innamorata di lui e questo era terribile.
La
aspettavano tempi duri.
Quando
si staccarono gli occhi di Bill
brillavano, Jan lo guardava confusa.
“E
adesso?”
“Non
lo so Jan. Sentivo che dovevo farlo.
Quel filo tra noi due che io ho tagliato anni fa non si è
mai davvero
interrotto. Sono stato un coglione te l’ho già
detto.”
“Come
credi che potrà andare avanti questo
rapporto?”
“Jan
non voglio ripetere lo stesso errore
di sei anni fa. Ti ho mollato e ho sbagliato. Ora so che non posso
ripresentarmi qui come se niente fosse, ma mi piacerebbe riprovarci,
anche solo
come amici.”
“Gli
amici non si baciano,noi non siamo
amici.”
“Hai
ragione, siamo sempre stati qualcosa
di più.
Ti
va di riannodare quel filo che c’è tra
di noi?
Vuoi
venire da noi a Los Angeles per
l’ultimo dell’anno?”
C’erano
occasioni nella vita che si
presentavano una volta sola. Quella di Jan era una di queste, non
poteva
farsela sfuggire.
Al
diavolo tutto, ci avrebbe provato.
“Perché
no? Al massimo mia figlia si godrà
il sole della California.”
Bill
sorrise e la baciò.
Jan
pensò che quello fosse il lieto fine
che le era stato negato a quindici anni.
Se
quelli erano i risultati era valsa la
pena aspettare e soffrire tanto si disse.
Anni
fa le sue ali erano state tarpate, ora
era pronta a volare via insieme a quello strano ragazzo mai del tutto
uscito
dal suo cuore.
Non
poteva essere più felice.
Dice che qui non resta
Che quel che vuole qui non c’è
Ci fosse almeno una ragazza uguale identica a me
Dice che qui non resta
Che non lo fermerà
Il bene che gli vuoi ancora, il bene che ti vorrà
Prova a star con me un altro inverno a Pordenone
Sarà un letargo dolce senza inverno e freddo
Sarà che è sempre tutto
Uguale
Uguale
Angolo di Layla.
Bhe, che dire?
Buone feste.
Spero vi piaccia e che commentiate.
I corsivi fanno parte
di "Prova a star con me un altro inverno a Pordenone" dei Tre Allegri
Ragazzi Morti.