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Autore: Layla    24/12/2010    2 recensioni
Il primo amore non si scorda mai. Neanche se ti chiami BIll Kaulitz e hai lasciato la tua ragazza per seguire sogni di gloria.
Non si scorda mai, soprattutto se bruscamente interrotto.
E quando lo reincontri....
"Jan lesse qualche riga di Cenerentola, la bambina si addormentò subito a causa delle emozioni della giornata.
La ragazza sorrise, depose un bacio sulla fronte della figlia e uscì dalla camera.
Sua madre era già andata a letto, la casa era silenziosa e lei si sentiva sola.
Le aveva fatto male ritrovare quotidianità con un passato che credeva infinitamente lontano da lei.
La bionda aveva bisogno di fumare, così recuperò un posacenere ed uscì in veranda, sua madre non voleva che le fumasse in casa.
Si accese una sigaretta e guardò la luna.
No, da quel soggiorno a Loitsche non sarebbe uscita integra."
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti dei Tokio Hotel, nè offendere in in alcun modo il gruppo e i singoli componenti'

1)Janis

Prova a star con me un altro inverno a Pordenone
Sarà un letargo dolce senza inverno e freddo
Sarà che è sempre troppo

 

Loitsche era un posto piccolo.

Niente di particolare, un paesino della provincia tedesca senza nulla di interessante.

Uno di quei posti in cui la vita si svolgeva altrove e che era perso nel clima un po’ sonnacchioso di una quotidianità vissuta secondo ritmi abitudinari.

Janis odiava Loitsche, non era mai riuscita a trovarsi a suo agio.

Janis aveva quindici anni, lunghi capelli biondi che colorava spesso con meches dai colori improponibili e sentiva il peso di un nome diverso dal solito e della sua voglia di evadere.

Lei era nata a Berlino e ci aveva vissuto fino a otto anni, fino ad allora aveva avuto una vita di cui non aveva potuto lamentarsi.

Viveva con sua madre in una casa nei sobborghi della città, aveva tanti amici e un padre affettuoso. Alla bambina che era stata poco importava che lui stesse fuori casa tutti i giorni tranne la domenica, finché sua madre le diceva che era fuori per lavoro e quindi per far stare bene loro lei le credeva.

Anche perché quando il padre veniva a casa era una festa, l’uomo  le portava spesso regali e si divertiva a farla giocare.

Era la sua fiaba personale.

Fiaba che si era interrotta a otto anni con una porta sbattuta da sua madre che rientrava a casa in lacrime, Janis non aveva capito.

Aveva capito solo qualche giorno più tardi quando, dopo lunghi giri di telefonate con i nonni e gli amici, sua madre aveva preparato le valige per loro due, le aveva caricate in macchina e le aveva detto che sarebbero andate a stare dai nonni a Loitsche.

Il primo ricordo che aveva di quel paese era quello di un posto ricoperto di neve e con poche persone in giro.

Non che fosse cambiato molto, considerò ora che erano passati sette anni.

Era seduta su una panchina del parchetto del paese, l’unica che fosse relativamente riparata dalla neve, teneva una sigaretta tra le mani per darsi un tono e sbuffava infastidita.

Il suo ragazzo era in ritardo e lei odiava i ritardatari, soprattutto lui al momento perché la costringeva a ripensare al passato( e a lei saliva sempre un certo nervoso misto a sofferenza nel farlo) e perché sentiva che lui si stava allontanando da lei.

Bill era diverso dal resto dai ragazzi del paese. Era un ragazzino alto e magro, con una voce gentile e modi che oscillavano tra il pacato e l’infantile. Non era un cavernicolo come la maggior parte dei ragazzi di Loitsche.

Era anche carino, aveva la carnagione chiara, i capelli neri e gli occhi castani.

Peccato che i capelli fossero tinti e gli occhi contornati da uno spesso strato di matita.

Questo insieme ai piercing al sopracciglio e al tatuaggio che aveva da un anno sulla nuca, ai modi gentili e a un look da pseudo punk non era nei canoni del paese.

Circolavano strane voci da sempre su Bill. Molti dicevano che fosse gay e qualche rompicoglioni particolarmente aggressivo l’aveva persino pestato, fino a che non era intervenuto il gemello di Bill.

Tom era diverso da lui , aveva una massa di dreadlock biondi e un piercing al labbro, era uno di quei ragazzini che ci provavano  con tutte e soprattutto sapeva picchiare e fare discretamente male all’occorrenza.

I pestaggi a danno del suo ragazzo erano finiti, ma non le voci.

Quelle non sarebbero finite mai se persino ora che stava con lei qualcuno doveva dire la sua con la tracotanza tipica di chi era certo di aver capito tutto e invece non aveva capito nulla.

Janis se ne fregava in una certa misura, mentre lo baciava era certa di stare baciando un etero parecchio consenziente e non un gay reticente.

E poi sopportava perché amava lui.

Bill era nettamente sprecato per la vita di paese, come lei sognava in grande, solo che a differenza sua che non aveva talenti particolari lui aveva le carte per sfondare.

Aveva partecipato a un talent show e si era piazzato secondo, cantava in una band che era stata messa sotto contratto dalla Sony.

Stava per spiccare il volo, sostenuto dalle fragili ali del talento e dalle mani degli amici e del fratello.

Janis si alzò, mosse qualche passo e poi tornò a sedersi, seguendo i suoi pensieri.

La band di Bill era composta da Tom alla chitarra, Gustav Schäfer, un ragazzo che aveva un anno più di loro, non molto alto, tarchiato, muscoloso e di poche parole che stava alla batteria e da Georg Listing, due anni più dei gemelli, il bassista, distratto, spiritoso e con un fisico da paura.

Se solo non fosse stata disperatamente attratta da quella luce speciale, il carisma, che emanava Bill ci avrebbe fatto più di un pensiero su quel ragazzone dai capelli castani lunghi e dagli occhi verdi che brillavano cordiali su una faccia da bravo ragazzo.

Forse era anche per quello che Bill sarebbe volato via un giorno, perche aveva loro.

Lei, tolto Bill non aveva nessuno. Era disperatamente sola in un posto che non la capiva e che lei odiava.

Con il nome che aveva avrebbe voluto essere libera come la sua omonima e vivere in un posto stimolante e creativo, un posto dove il suo talento per disegnare avrebbe potuto fruttare più di generici e superficiali complimenti de parenti e la richiesta imbarazzante di ritratti.

Ma Loitsche non era l’America e non lo sarebbe mai stata, le sue ali erano momentaneamente tarpate da un futuro incerto e da una famiglia oppressiva.

Bill era la sua unica dose di libertà. Come poteva accettare che lui se ne sarebbe andato?

Janis si disse di stare calma, era l’attesa mista al nervosismo a farle vedere tutto nero e a risvegliare ricordi che credeva ormai sopiti.

Per analogia pensava a suo padre e alla dura verità su di lui che aveva scoperto ad undici anni.

La sua non era mai stata una famiglia felice e suo padre non era a casa durante la settimana semplicemente perché lei era la figlia di riserva.

Jan aveva scoperto che sua madre era l’amante di suo padre, che aveva accettato una figlia che sostanzialmente non voleva, ma non voleva che loro fossero una famiglia.

Come biasimarlo? Si era detta cinicamente la ragazzina. Lui una famiglia ce l’aveva già e di una provincialotta come la madre di Jan non sapeva che farsene.

Così quando la madre della ragazzina l’aveva messo con le spalle al muro, quel codardo bastardo aveva reagito licenziando sua madre e sparendo dalla loro vita.

All’improvviso niente più regali, niente più viste.

Neanche una telefonata. Era come se fosse morto e per lei lo era.

Visto che persona si era dimostrato Janis non poteva fare a meno di odiarlo profondamente e aveva una paura fottuta che tutto si ripetesse con Bill.

Era un brivido che le si insinuava sottopelle e non bastavano i baci e le coccole del suo ragazzo per cancellarlo.

La sigaretta era ormai finita, la buttò per terra e si alzò sconsolata dalla panchina.

Era li da mezzora e lui non si vedeva, doveva averle tirato bidone.

Fece qualche passo e lo vide camminare verso di lei, era curvo.

Le diede i brividi, era di sicuro in arrivo una brutta notizia.

“Ciao Piccola!” mormorò non appena le fu davanti.

Era contrito, un cucciolo bastonato, lei abbandonò immediatamente i progetti bellicosi e gli si buttò tra le braccia, baciandolo appassionatamente.

Sapeva troppo di bacio d’addio, sentì un strappo all’altezza del cuore.

Quando si staccò lo guardò di nuovo negli occhi, lui riusciva ad esprimere tutto con quelle dannate iridi castane, poteva mentire con il corpo e con la voce, ma gli era impossibile farlo con gli occhi.

Al momento gli occhi di Bill erano pieni di tristezza, dolore e paura.

Il brivido divenne più forte, per un attimo desiderò non sapere nulla, ma solo  continuare a  baciarlo, sebbene sapesse che non avrebbe potuto evitare quel momento.

“Scusa, ma il produttore mi ha trattenuto.”

Continuò il ragazza accarezzandole dolcemente una mano, le mani di Bill erano sempre calde, al contrario delle sue perennemente ghiacciate.

“Tranquillo.”

“Devo dirti una cosa…” Bill abbassò lo sguardo.

E li Janis seppe che la loro storia era al capolinea, solo che lei non gliel’avrebbe lasciato fare senza combattere.

“Parla.”

“Ecco… Ci hanno offerto un contratto, uno serio questa volta. Passiamo alla Universal.”

Lei aveva sorriso, lui stava per volare via.

“Sono davvero felice per te.”

“Ce ne andremo da Loitsche, penso che anche mamma e Gordon ci seguiranno, staremo ad Amburgo”

“Bello!” aveva sorriso lei. “Ci vedremo di meno, ma verrò ogni volta che posso.”

Lui aveva distolto di nuovo lo sguardo, lei si era sentita morire.

Gocce di sudore freddo rotolavano lungo la sua schiena.

“No, Jan…. Io … mi dispiace, ma penso che sia meglio chiudere qui.”

“Perché?”

Aveva sputato quella domanda ancora scossa per il colpo, lo sapeva che sarebbe arrivato, ma voleva illudersi che non sarebbe successo veramente, che fosse solo una stupida paranoia dettata dall’ansia.

Lui non poteva andarsene, a lei cosa sarebbe rimasto?

“Jan, soffriremmo inutilmente. Non posso costringerti a una relazione a distanza che si logorerebbe man mano, sarebbe orribile.

Io…La scelta è tra rimanere qui e perdere la mia grande occasione e andarmene.

Qui non c’è quel che voglio, io voglio essere libero, io voglio che la gente veda quel che valgo.”

“E io? Io cosa faccio, eh?

Cosa vuoi da me? La mia benedizione a calpestarmi il cuore?

Io ti amo, cazzo!”

Era la prima volta che glielo diceva, buffo che sarebbe stata anche l’ultima.

“Non posso venire con te?”Chiese poi, vinta.

“Abbiamo quindici anni Jan, sarebbe bellissimo se tu potessi venire, ma tua madre non ti lascerà mai.

Se avessimo avuto diciott’anni….”

Il suo ragazzo lasciò in sospeso la frase, non c’era bisogno di finirla. Se avessero avuto diciott’anni lei avrebbe potuto mollare tutto e seguirlo, anche come groupie, non le sarebbe importato.

Invece lei aveva quindici anni, una madre che odiava il mondo maschile e dei nonni iperprotettivi che non volevano che anche la nipote soffrisse.

No, non l’avrebbero mai lasciata andare.

“E così mi molli qui…

Bhe bravo, hai imparato la prima regola del mondo degli adulti, calpesta chi non ti serve.”

“Jan…”

In quel nome c’era tutto il dolore del suo ragazzo, chissà quanto aveva meditato quella decisione e quanto doveva essergli costata.

Al momento lei non riusciva a provare dispiacere per lui.

“Janis ti amo. Non potremmo almeno rimanere amici?”

“Vaffanculo Bill, sei una testa di cazzo!” urlò la ragazza al limite della sopportazione.

Lei non avrebbe retto un momento di più, così girò i tacchi e se ne andò.

Sentì Bill che la chiamava disperato, sentì i suoi passi ovattati dalla neve inseguirla.

Voleva calmarla, voleva chiarire, forse voleva un bacio d’addio e una promessa d’amicizia.

Janis non era in grado di dare niente di tutto questo.

Corse più forte, per far si che lui non vedesse le lacrime.

Corse per dimenticare il suo dolore.

Corse finché la voce di Bill non fu solo un flebile lamento portato dal vento.

Solo allora si fermò, era nel giardino di casa sua, e lasciò che le lacrime e i singhiozzi la devastassero.

Era tutto finito.

La sua favola di nuovo non aveva avuto una fine positiva.

 

Dice che qui non resta
Che quel che vuole qui non c’è
Ci fosse almeno una ragazza uguale identica a me
Dice che qui non resta
Che non lo fermerà
Il bene che gli vuoi ancora, il bene che ti vorrà

 

 Erano passati due giorni da quando Bill l’aveva mollata.

Janis aveva cercato di comportarsi normalmente per non insospettire la madre, che già non vedeva Bill di buon occhio, ma si sentiva completamente sfasata rispetto al pianeta terra.

Ascoltava le lezioni per modo di dire e quando era in camera sua piangeva fino a farsi venire mal di testa, Bill non demordeva, lei aveva il cellulare pieno di messaggi e chiamate.

Per scrupolo aveva letto almeno qualcuno di quegli sms, erano sempre più ansiogeni e spaventati man mano il tempo passava e lei non si faceva sentire.

Jan sospirò, non poteva e non voleva rispondere.

Piano piano, arrivò anche il sabato sera e lei uscì.

Non c’era molto da fare in paese , così optò per l’unico bar, almeno si sarebbe ubriacata.

Entrò nel locale e scelse un tavolo isolato, poi ordinò il primo bicchiere di vodka  della serata.

Non voleva pensare e tenendosi occupata con l’alcool ci riusciva abbastanza bene e avrebbe continuato così fino a che non fosse crollata se una voce non avesse ordinato alla cameriera di non servirle più nulla.

Janis alzò lo sguardo seccata, chi si permetteva?

Erano in due a permettersi, Tom e Georg.

“Che cazzo volete? Andatevene a fare in culo!”biascicò alterata.

“Ciao Janis.”

Tom si sedette alla sua sinistra, Georg alla destra.

“Sai, è buffo J…”

La ragazza lo fulminò.

“Mio fratello è venuto qui ieri sera e si è messo a fare la stessa cosa che stai facendo tu adesso. Io e Gustav abbiamo dovuto riportarlo a casa a braccia perché ci ha chiamato il proprietario all’ora di chiusura.”

Nel sentire che il suo ragazzo si era ubriacato e probabilmente ora stava male lei si sentì stringere il cuore pur essendo persa  tra i fumi dell’alcool.

“Siete proprio fatti uno per l’altra.”

“Peccato che lui non la pensi così.”

Sputò acida lei.

“Dio Jan! Credi che lui non stia male? Ti ama, l’ha fatto per te. Quanto avresti retto a vedere il tuo ragazzo ogni morte di papa?

Se dovessimo sfondare avremo un sacco di ragazze che ci vorranno, giornalisti che scaveranno nella nostra vita e poi nella tua.

Non sarai mai lasciata in pace e Bill non vuole che tu passi questo! “

“Smettila di difenderlo Tom! Non potrai farlo sempre!”

Ormai lei attaccava per difendersi.

Georg le appoggiò un braccio sulla spalla.

“Tom ha ragione, cerca di capire il suo punto di vista. Per favore accetta di vederlo, lui sta davvero male.”

“E io?”

Nessuno le rispose.

“D’accordo. Un ultimo incontro e poi basta,”

Con la rassegnazione di una martire si lasciò condurre alla villetta dove abitavano i gemelli e poi in camera di Bill.

Il ragazzo era a letto, pallido ed assistito da un preoccupato Gustav.

Quando la vide il batterista infilò rapido la porta e li lasciò soli.

Janis non riusciva a dire nulla ne ad avvicinarsi.

“Jan mi dispiace, ma era l’unica cosa a fare.

Mi potrai mai perdonare?”

La bionda camminò fino al letto come se fosse in trance, poi si sedette e lo guardò seria.

“Non lo so.”

“Ti amo.”

“Anche io, ma questo non cambia le cose.”

“Hai ragione. Spero che un giorno mi perdonerai.”

“Chissà.”

Janis non riusciva a sbilanciarsi.

“Ti chiedo solo un’ultima cosa, un bacio.”

Jan annuì, ora che era lì, che l’aveva davanti fragile e sofferente come lei, anche lei aveva bisogno di quel bacio.

Ne aveva bisogno come l’aria.

Si avvicinò piano alle labbra del ragazzo, erano insolitamente fredde.

Fu un bacio lungo , dolce e passionale allo stesso tempo.

Conteneva tutte le parole che non si erano detti, l’amore che provavano, il dolore nel lasciarsi, il rimpianto e le scuse, persino una richiesta di perdono.

Quando Jan si staccò gli occhi di Bill erano lucidi, lei gli accarezzò piano una guancia e si alzò.

“Buona fortuna Bill. Impegnati al massimo con questa storia e sfonda, non ti perdonerei se tu mi avessi mollata per poi non farcela.”

“Grazie Jani”

Lei annuì ed uscì dalla stanza, dentro ci aveva lasciato un pezzo di cuore.

Scese le scale, in salotto c’erano Tom,Georg e Gustav, lei sentì i loro sguardo addosso, ma non disse nulla.

Uscì dalla casa.

Fuori il clima era freddo, tirava un vento gelido.

Rispecchiava perfettamente il vuoto che c’era nella sua anima.

Ora era davvero sola, non aveva più nessuno.

Non aveva amici, non aveva più il suo ragazzo. Era pronta a perdersi nel mondo.

 

Sto bene solo con le mie scarpe nuove
Il resto non mi muove
Io, io, io solo contro il mondo
È meglio se mi calmo
Dice che qui non resta
Che non lo fermerà
Il bene che gli vuoi ancora, il bene che ti vorrà

 

Nel mondo ci si era effettivamente persa. Erano passati cinque anni dalla notte in cui aveva dato addio al suo primo amore e Janis tracciava un profilo incerto della sua vita.

Dicembre 2010 stava iniziando e per lei era tempo di bilanci. Aveva gioito del successo di Bill, lui effettivamente aveva spiegato le ali ed era volato via, poco importava ormai che lei non avesse potuto partecipare.

A distanza di anni riusciva persino a capire le parole di Tom,forse l’aveva fatto davvero anche per lei, non era certa che avrebbe retto tutto quello che si era formato intorno al suo ex ragazzo.

Aveva assistito alla scalata al successo di Bill da lontano, silenziosa,come una persona che non volesse disturbare ad una festa.

Era la festa di Bill, dopotutto,quello che lui aveva sempre desiderato, ossia che tutti vedessero quanto valesse eppure aveva l’impressione che non fosse del tutto contento.

Era stata a qualche concerto poi aveva smesso, così come aveva smesso di frequentare i forum, non riusciva a sopportare le fan che parlavano con la convinzione di conoscerlo quando non era così.

Lei forse aveva conosciuto un frammento di Bill, le altre no.

Le altre parlavano con tracotanza e basta, credendo che foto, video ed interviste bastassero per analizzare ed incasellare una persona .

Illuse.

Janis aveva notato come questo atteggiamento fosse aumentato a dismisura e come anche le cosiddette fan fossero arrivate a parlare come la gente di Loitsche, con l’aggiunta imperdonabile dell’ipocrisia.

Dire di amare qualcuno e poi giudicarlo, deriderlo e buttargli addosso accuse con la scusa che dopotutto fossero solo fantasie e che una persona di spettacolo questo doveva aspettarselo e sopportarlo senza che nessuno fiatasse la mandava fuori di testa.

Perciò aveva mollato. Non li seguiva più come prima, anche perché ora aveva qualcuno di cui occuparsi.

Non era un ragazzo, nessuno era riuscito a prendere completamente il posto di Bill  nel suo cuore.

Aveva avuto parecchi flirt, qualche storia, ma nulla di serio.

Solo con un ragazzo le era sembrato di potersi lasciare alle spalle quel ex , mai del tutto uscito dal suo cuore,  e ricominciare a vivere.

Solo illusioni.

Quel ragazzo era stato un verme come suo padre, di lui non valeva nemmeno la pena di pronunciare il nome, tuttavia le aveva lasciato la persona più importante della sua vita.

Tamara.

Non era stato facile portare avanti una gravidanza e la scuola a diciott’anni, soprattutto perché la sua famiglia le aveva piantato una grana allucinante.

Sua madre non l’aveva presa bene, Janis dubitava che avrebbe mai capito quella donna. Quando lei stava con Bill sua madre sbuffava dicendo che meritava di meglio, quando con Bill si era mollata sembrava si fosse arrabbiata con il ragazzo e alla notizia della gravidanza aveva scatenato un putiferio.

La donna pareva volesse andare e stanare personalmente il bastardo che l’aveva messa incinta e costringerlo al matrimonio e ci era rimasta parecchio male quando Jan aveva urlato a pieni polmoni che quel coglione  non lo rivoleva affatto nella sua vita.

Sua madre aveva incassato il colpo senza aggiungere altre parole, ma le aveva riservato un trattamento glaciale per tutta la gravidanza e la maturità annessa che stava preparando.

Era stato un incubo stare in quella casa, solo Bill sembrava darle coraggio da lontano, attraverso quella musica che da lei l’aveva separato.

Quell’aura da ragazzino ribelle, solo contro il mondo non si era stemperata e le dava forza.

Se lui ce l’aveva fatta, aveva scalato le classifiche europee alla sua età, lei poteva portare avanti una gravidanza e crescere un figlio da sola.

Una parte di sofferenza era finita solo dopo il parto. Sua zia Meg le aveva proposto di vivere da lei, ad Amburgo e Jan era stata felice di accettare.

Da li aveva iniziato a salire la china, la zia le aveva trovato un lavoro  in un negozio di belle arti, stare tra pennelli, tempere, tele e fogli da disegno non era come usarli, ma le andava bene lo stesso.

Aveva messo da parte abbastanza soldi per poter andare a vivere in affitto in un monolocale  un anno dopo la nascita di Tamara.

Poi qualcuno aveva notato le sue vignette che giravano in negozio e si era ritrovata a sostenere un colloquio di lavoro per un posto di vignettista in un giornale.

Janis sentiva di aver trovato la sua pace, ma non poteva dire lo stesso di Bill.

Pur seguendolo da lontano si era accorta che era cambiato, si era come chiuso in se stesso, alzando una barriera che lo separava dagli altri attraverso un look sempre più ambiguo.

Sembrava aver paura del contatto con il mondo e un po’ lo capiva, visto quello che aveva saputo essere successo a Tom e a Gustav e poi a Bill stesso.

Quell’incidente che aveva fatto con la macchina poco più di un anno prima l’aveva spaventata a morte e per un attimo il suo cuore aveva smesso di battere.

Questo le aveva crudelmente svelato che dopotutto lui era ancora decisamente troppo importante per lei.

Che Bill  fosse decisamente intrappolato in qualcosa che iniziava a pesargli Jan lo aveva capito anche dalle interviste in cui esprimeva il desiderio di trovare l’amore e si lamentava della fama.

Lei almeno aveva Tamara e per lei andava avanti e si faceva forza, anche perché la sua piccola era terribilmente perspicace.

Qualche giorno fa le aveva chiesto come mai guardasse con tanto interesse  quel tizio strano in televisione,  stavano trasmettendo “Dark side of the sun” su mtv.

Janis aveva sorriso.

“è un mio amico, piccolina. L’ho conosciuto quando io e nonna ci siamo trasferite a Loitsche.”

Tamy aveva guardato Bill saltellare per il palco curiosa.

“Perché si veste così?”

“Perché gli piace, come a te piace quel maglioncino  a righe rosse, gialle e verdi che ti ha regalato zia Meg.”

“Ma è strano!”

Jan si era inginocchiata davanti alla figlia.

“Si, è strano, ma se lo fa stare bene non c’è niente di male, no?

Quando tu ti metti il tuo maglioncino stai bene,no?”

Tamara aveva fatto una faccia pensierosa, poi l’aveva guardata.

“Ma mami non mi sembra felice!”

Janis era rimasta colpita dal commento della figlia, come poteva spiegarle che a volte la fama, anche se la si otteneva facendo quello che si amava, era una lama a doppio taglio?

Che era un mostro che divorava le vite di chi baciava e che sopravvivere e rimanere se stessi era facile come scalare il K2 a piedi nudi?

“Piccola, immagina che tutti ti conoscano e che a nessuno piaccia il tuo maglioncino a righe.

Tutti ti dicano che è brutto, che ti rende cattiva, eppure  a te piace e non ti sembra così male. Ti sentiresti felice?”

“No.”rispose la bambina.

“Vedi, a lui succede lo stesso. Ci sono tante persone a cui non piace e che gli dicono delle brutte cose.

Lui però si piace e non vuole cambiare. Sai è questa la forza, andare avanti anche quando tutti sono contro.

Capisci, piccola?”

Lei annuì.

“Mi piacerebbe conoscerlo.”

Jan sorrise, il carisma di Bill aveva fatto colpo anche su sua figlia.

“Chissà forse un giorno.”

La bionda aveva cercato di sdrammatizzare per Tamara, ma era certa che Bill fosse stanco di quel clima, che facesse sempre più lo strano per proteggersi, che si sentisse isolato.

Probabilmente quegli abiti erano solo una corazza e lei avrebbe voluto essere al suo fianco e fargli forza.

Era un desiderio impossibile, ormai le loro strade erano divise, eppure c’era una piccola parte di lei che avrebbe voluto che si riunissero.

Forse a volte a  Bill sarebbe piaciuto tornare a casa senza che si creasse clamore e lei avrebbe voluto accoglierlo.

Dannati desideri irrealizzabili.

Come a riportarla sulla terra il telefono squillò e lei fu costretta a rispondere.

Dall’altro capo del filo c ‘era sua madre, come al solito nella sua voce c’era una nota seccata di fondo.

Janis era certa che loro due non si sarebbero mai capite.

“Ciao Janis.”

“Ciao mamma.”

“Come state tu e Tamara?”

“Bene!” aveva risposto cordiale la ragazza:”La piccola va al nido e si è fatta tanti nuovi amici e il mio lavoro procede.

Tu come stai?”

La donna aveva esitato.

“Bene, bene…. A Natale vieni a casa? Ai nonni farebbe piacere.”

A lei non molto,aveva disertato con piacere quegli appuntamenti con quella parte così oppressiva di famiglia preferendo passare le feste da sua zia Meg.

“Non lo so.”

“Non mi perdonerai mai?”

Per un attimo la domanda di sua madre si sovrappose a quella che Bill e aveva fatto anni prima e la lasciò smarrita.

“IO… Bhe ci devo pensare.”

Avevano scambiato ancora qualche parola, poi la telefonata si era chiusa.

Janis era rimasta incerta, era vero, i rapporti con sua madre e i suoi nonni erano freddi da tre anni e se fosse dipeso da lei lo sarebbero rimasti ancora a lungo. Solo non poteva condizionare con le sue scelte anche la vita di Tamara, lei non se lo meritava.

Se la bambina avesse desiderato vedere i nonni, lei non era nessuno per impedirglielo, Janis decide che ne avrebbe parlato con lei.

Raggiunse Tamara in camera. La piccola stava giocando con delle Barbie, era minuta,sembrava più piccola della sua età e aveva una cascata di capelli lunghi e lisci, rossi come il fuoco.

Si, il padre di Tamara aveva i capelli di quel colore e ogni volta che guardava sua figlia era come se vedesse una parte di lui.

“Tamara?”

La bambina si volse verso di lei e la inchiodò con i suoi occhi castani, come quelli di Bill erano terribilmente espressivi.

“Ha telefonato la nonna, vorrebbe che andassimo da lei per Natale, tu cosa vorresti fare?

Ti va di vederla?”

La bionda aveva mosso qualche passo, poi si era seduta per terra a fianco della figlia.

Tamara non aveva risposto subito, quella bambina era incredibilmente riflessiva, un po’come lei.

“Si, mi piacerebbe vederla.” Aveva mormorato alla fine.

Lei aveva sorriso, le aveva accarezzato la chioma rossa e si era alzata.

“Sei sicura?”

“Si.”

“Allora la chiamo e le dico che verremo.”

“Si, mamma.”

Janis richiamò la madre. Non sapeva che da quella sortita a Loitsche sarebbero dipese alcune cose che le avrebbero sconvolto la vita.


Sto bene solo con le mie scarpe nuve
Il resto non mi muove
Lontano dalla mia casa più della luna
La sola cosa che posso desiderare
Io, io, io solo contro il mondo
È meglio se mi calmo
Lontano dalla mia casa più della luna
La sola cosa che posso desiderare

L’antivigilia di Natale era arrivata troppo presto per i gusti di Janis, il tempo correva come una furia verso quella data, che lei non voleva arrivasse.

Sarebbe andata a Loitsche solo per far contenta Tamara, lei avrebbe preferito rimanere a casa sua e festeggiare con sua zia Meg.

Janis adorava quella donna pratica, materna e moderna allo stesso tempo, da lei si era sempre sentita accettata più che dal resto della famiglia.

Era stato doloroso dirle che avrebbe passato il natale con sua madre, tuttavia la donna non si era smentita nemmeno in quella occasione.

Meg aveva sorriso a Janis e le aveva detto che era una buona occasione per chiarire con sua madre, Jan ne dubitava, tra loro due c’era un solco troppo profondo, come se provenissero da due pianeti diversi.

Ormai era fatta, non poteva tirarsi indietro. Il fatidico  ventitre dicembre era arrivato  e a lei non rimase che mettersi in macchina insieme alla figlia e partire alla volta di Loitsche.

Il paese la accolse con la calma e una distesa placida di neve, non che Janis si aspettasse altro, ormai aveva smesso di farlo.

Guidò con prudenza fino alla villetta di sua madre e quando scese ebbe l’impressione di tornare ai suoi quindici anni, sennonché lei ora ne aveva ventuno ed aveva una figlia.

Era sera e sua madre disse che dopo che lei avesse sistemato i suoi bagagli nella sua camera da adolescente, la cena sarebbe stata in tavola.

La bionda notò subito che la camera era rimasta invariata, la madre l’aveva conservata come se fosse stata un tempio. C’erano ancora le foto, i poster e le cianfrusaglie che non si era portata ad Amburgo.

C’erano anche delle foto di Bill, era una persecuzione.

La cena si svolse nei toni di una conversazione garbata e futile, le due donne forse avrebbero avuto miliardi di cose da dirsi, me nessuna delle due osava.

Anche quando Janis ebbe messo a letto Tamara non si parlarono, fu la televisione a farlo per loro, come nelle sere della sua adolescenza.

Certe cose non sarebbero mai cambiate. Non sarebbero mai cambiati i silenzi e i non detti.

Non sarebbero mai cambiate le notti insonni.

Janis dormì pochissimo, c’erano troppi ricordi a farle male in quella stanza, al contrario di Tamy. La bambina la mattina dopo era un uragano in piena attività, la costrinse, rintronata ed infreddolita com’era, a fare un giro per il paese.

Per Tamara era tutto nuovo e guardava Loitsche con lo stupore genuino dei bambini, la trascinò ovunque.

Si calmò solo quando arrivarono al parco, li Tamara vide dei bambini che giocavano di qualche anno più grandi di lei e corse a  fare amicizia.

La ragazza ne approfittò per fare una pausa sedendosi su una panchina, si sentiva stanca per colpa delle poche ore di sonno e crollò presto addormentata.

Jan non dormì più di un quarto d’ora, ma quando si risvegliò il parco era deserto, ne dei bambini ne di sua figlia c’era più traccia.

Si diede dell’idiota e corse immediatamente a cercarla, fece qualche metro di corsa e poi sentì la voce argentina di Tamara che rideva accompagnata da un’altra voce. La seconda voce era argentina, ma più profonda, maschile, era quella di un ragazzo e somigliava pericolosamente a quella di Bill.

Non poteva essere! Non era in America?

Corse più forte e li vide. La sua piccola e uno spilungone magro, vestito di nero, con i capelli ancora neri, imbacuccato come un terrorista.

Bill.

Jan si sentì mancare il respiro, vederli vicini era stato un trauma.

Si avvicinò a passo lento, come una sonnambula, incredula e con la sensazione di trovarsi dentro a un sogno.

Tamara la notò e la indicò a Bill sorridendo.

“Quella è la mia mamma!” urlò felice.

Janis sorrise come un automa ai due, Bill si tolse incredulo gli occhiali e lei vide per un attimo passare una scintilla di delusione in quelle iridi castane,

“Jan”

E quel mormorio sembrò riprendere quel discorso di cinque anni prima fatto nella stanza del ragazzo.

“Bill.”

Sperò di sembrare sicura, non era pronta ad affrontare i fantasmi del suo passato, ma forse loro erano pronti ad affrontare lei.

“Come stai?”

La voce di Bill suonava incerta.

“Bene, tu? Come mai qui?”

Lui scrollò le spalle.

“Sono venuto a trovare mia nonna. In questi anni ho avuto poche occasioni per vederla.”

“Capisco.”

“Non sapevo avessi una figlia.”

Janis fece un sorrisetto.

“Non è che siamo rimasti molto in contatto in questi anni.”

La risatina imbarazzata si Bill si spanse per l’aria.

“Bhe comunque è davvero una bambina simpatica ed intelligente, ti somiglia.”

Il ragazzo sorrise a Tamara che ricambiò. Strano che desse al moro tutta questa confidenza, di solito la bambina non amava aprirsi con gli estranei.

“Prima ci siamo conosciuti, vero, piccola?”

“Si! E sei davvero simpatico” trillò la rossina.

“Come mai qui, Jan? Nonna mi ha detto che vivi ad Amburgo.”

“Sono venuta a trovare mia madre e mie nonni.”

“Da sola? Il padre di Tamara non c’è?”

“No.”

Non aggiunse altro,alla bionda non andava di spiegare a Bill che il padre di Tamara era uno stronzo come suo padre che l’aveva mollata appena aveva scoperto la gravidanza.

Erano anni che non lo rivedeva, non sentiva di potergli dare ancora tutta quella confidenza.

“Mamma, Bill mi ha invitato da lui questo pomeriggio! Ha detto che faremo un pupazzo di neve insieme!”

“Ma lui sarà impegnato!”

“No, tranquilla. Io e Tom non abbiamo nulla da fare.”

“Dai mamma, posso?”

Come poteva resistere davanti alle suppliche di sua figlia? Alla fine cedette.

“D’accordo, piccola. Ora però andiamo a casa o nonna penserà male.”

La bambina annuì.

“Ciao Bill!”

“Ciao Tamara, Janis!”

“Ciao!”

E così il suo passato le aveva ripresentato i conti sotto forma di quello strano sodalizio nato tra sua figlia e Bill.

Avrebbe preferito che non fosse successo, ma non se la sentiva di scontentare la piccola, le avrebbe spiegato in seguito, quando fossero tornate ad Amburgo, perché quella strana amicizia non sarebbe proseguita.

Arrivarono a casa di sua madre in tempo per il pranzo, la donna non disse nulla, anche se forse aveva fiutato che qualcosa non andava.

Di pomeriggio, come pattuito, portò Tamara a casa della nonna dei gemelli. Fu Tom ad aprirle la porta.

Era decisamente più alto di quanto ricordasse e quella nuova pettinatura, treccine nere al posto dei suoi dreadlock biondi, le sembrava strana sulla testa del ragazzo.

“Buon pomeriggio J.”

“Ciao Tom.Non credevo che ti avrei mai visto senza i tuoi dreadlock.”

Lui alzò una mano e la mosse pigramente.

“Nella vita si cambia, dov’è la tua principessa?”

Tamara fece capolino da dietro le sue gambe.

“Ciao.”

“Forza piccola entra, Bill ti aspetta.”

Si chinò verso Jan e mormorò qualcosa di udibile solo a lei.

“Sei sicura?”

Lei annuì, Tom scortò dentro la bambina.

“Vuoi entrare?”

“Preferisco di no. Verrò alle cinque a prenderla.”

Il ragazzo annuì e la bionda se ne andò.

Janis passò tutto il pomeriggio chiedendosi se avesse fatto o no la cosa giusta, le parole di Tom l’avevamo agitata.

E se stesse solo facendo illudere sua figlia?

Alle cinque andò dai gemelli, decisa a mettere fine a quella storia, ma davanti al sorriso gioioso di sua figlia e alla richiesta di vedersi anche il giorno successivo, capitolò.

Forse poteva concedere a Tamara un pezzo di sogno, forse non le avrebbe fatto necessariamente male.

Mentre tornavano a casa la piccola era insolitamente carica.

“Sai che i tuoi amici sono davvero simpatici? Bill mi aveva promesso di fare un pupazzo di neve e l’ha fatto! Ci ha aiutati anche Tom ma ha sbuffato tutto il tempo.”

E così erano già diventati Bill e Tom, come dei vecchi amici.

“Poi Tom mi ha fatto sentire suonare la chitarra e Bill come truccarmi!”

“Sei piccola per truccarti!”Ridacchiò la bionda.

“A carnevale ed a Halloween posso vero?”

“Certo.Ti sei divertita?”

“Si,anche se Bill sembra triste quando parla di te.”

Janis non rispose, non sapeva cosa dire e preferì il silenzio alla bugia.

“Mamma voglio imparare a suonare la chitarra!”

Una piccola Tom no!

“Sei piccola, ne riparliamo tra qualche anno.”

“Tom ha detto lo stesso, ma io lo convincerò!” Esclamò incrociando le braccia al petto e  gonfiando le guance.

Da chi aveva preso quel carattere così testardo?Ah si, da lei!

La cena della vigilia e la messa di mezzanotte si svolsero in relativa tranquillità, sua madre non protesto nemmeno quando portò di nuovo la bambina da Bill.

Anche quel pomeriggio trascorse nell’ansia per Jan, tanto che decise che questa volta si sarebbe fermata a parlare da Bill.

Alle cinque precise era di nuovo alla villetta, fu Bill ad aprirle questa volta, sorridente.

Il suo sorriso non era cambiato molto in sei anni.

“Ciao Janis, ti va se ci prendiamo una cioccolata? Tamara e mio fratello stanno martirizzando la cucina.

Lei voleva che lui le insegnasse a suonare la chitarra, lui no e alla fine lei l’ha stuzzicato così tanto dicendogli che non sa fare nulla che per ripicca lui le ha detto che sa cucinare.

La cucina di nonna è un devasto!”

Disse tutto d’un fiato,allegro.

“Ok, va bene.”

Forse davanti a due tazze di cioccolata avrebbe potuto spiegargli perché non era un bene che lui continuasse a vedere Tamara.

Il ragazzo la fece accomodare in salotto e poi sparì in cucina, da cui arrivavano le voci di Tom e Tamara

“Come stai Jan?” Bill era ricomparso con due tazze di cioccolata fumante in mano.

“Sono contenta che tu ti sia fatta una famiglia. Tamara è davvero adorabile,anche se non parla mai di suo padre.

Devo ammettere che un po’ ci sono rimasto male vedendo che tu avevi avuto una figlia con un altro, ma poi mi sono detto che io non avevo alcun diritto su di te, li ho persi circa sei anni fa ,mollandoti.

Insomma, sono davvero felice che tu abbia voltato pagina e sia felice.

Io un po’ ti ho pensato in questi anni, ma non posso pretendere che tu abbia fatto lo stesso.”

Jan lo guardò ad occhi sgranati, quel discorso sparato a tutta velocità, che apparentemente approvava le sue scelte, sembrava molto uno di quelli che riservava per le interviste.

Il che forse significava che le sue scelte non le approvava affatto  e che forse era geloso e poi cosa significava che aveva pensato un po’ a lei in quegli anni?

“In che termini hai pensato a me?”

La domanda era brutale ed assai poco romantica, ma lei era decisamente sconvolta.

“Bhe diciamo che mi dispiaceva averti mollato così. Sono stato un’idiota, ho gettato la spugna prima di combattere e non me lo perdonerò mai. Forse il nostro rapporto avrebbe potuto funzionare, ma ormai è tardi per i forse, tu hai una famiglia.”

“NO.”

“Come?”Bill la guardava incredulo.

“IO ho una figlia, non una famiglia. il padre di Tamara è uno stronzo che appena ha scoperto la mia gravidanza mi ha mollata. Ho dovuto crescerla da sola.

Mamma si è incazzata da morire, io sono andata a vivere da zia Meg ad Amburgo dopo il parto.

Li ho lavorato in un negozio di belle arti, ora lavoro come vignettista in un giornale.

Non ho avuto storie importanti e in questi anni ci sono stati momenti in cui avrei preso il primo aereo solo per massacrarti di botte e altri solo per coccolarti. Come vedi anche io ti ho pensato un po’.”

Nel salotto calò il silenzio.

“Dici che potremmo rimanere amici?”

“Solo se mi inviti a cena, un'altra cena da mia madre non la reggo.”

A Bill brillarono gli occhi.

“Ma certo! Stasera tutti in pizzeria.Tom, Tamara!”

I due interessati emersero dalla cucina all’urlo belluino del cantante.

“Stasera si va in pizzeria!”

“Bene!” esultò la bambina.

Tom lanciò ai due uno sguardo indecifrabile, ma alla fine annuì.

“D’accordo! Vado a prepararmi, tu no, Bill?”

“Voglio una cosa scialla.”

“Va bene fratello.”

Janis sorrise e telefonò a sua madre, non la sentì particolarmente entusiasta, ma nemmeno osò criticare apertamente. Questo era il suo nuovo approccio soft alle sue intemperanze e la bionda francamente lo detestava.

Uscirono di casa un’ora dopo (prima quella dannata cucina doveva tornare ad avere un aspetto accettabile) e fu una serata serena, Tamara sembrava a suo agio  e i tre ragazzi  rievocarono il passato, Jan stava bene con loro, come se il tempo non fosse mai passato.

Arrivò troppo presto il momento di andare a casa, Jan li salutò di malavoglia, soprattutto Bill . l’abbraccio che le riservò a fine serata le fece desiderare di non staccarsi mai più da lui.

Stava tornando di nuovo  nell’essere disperatamente innamorata di lui e non poteva permetterselo.

“Ti sei divertita mamma?” La domanda di sua figlia mentre le rimboccava le coperte la spiazzò, ma poi sorrise.

“Si, è sempre bello ritrovare delle persone a cui vuoi bene! E tu?”

“Io si, anche se un po’ mi dispiace che dovremo tornare a casa.

Adesso mi  leggi la fiaba della buonanotte per favore?”

Jan lesse qualche riga di Cenerentola, la bambina si addormentò subito a causa delle emozioni della giornata.

La ragazza sorrise, depose un bacio sulla fronte della figlia e uscì dalla camera.

Sua madre era già andata a letto, la casa era silenziosa e lei si sentiva sola.

Le aveva fatto male ritrovare quotidianità con un passato che credeva infinitamente lontano da lei.

La bionda aveva bisogno di fumare, così recuperò un posacenere ed uscì in veranda, sua madre non voleva che le fumasse in casa.

Si accese una sigaretta e guardò la luna.

No, da quel soggiorno a Loitsche non sarebbe uscita integra.

Un’ombra la distrasse dai suoi pensieri, la bionda strinse gli occhi e cercò di distinguere la figura goffa ed allampanata, era Bill.

“Bill?” mormorò incerta.

“Si, sono io! Mi hai sgamato accidenti!”

“Ti muovi con la grazia di un dugongo! Impossibile non notarti.”

Il ragazzo arrivò fino alla sua veranda, la luce disegnava strani giochi sul suo volto, con i capelli raccolti in una coda, il viso struccato e quel sorriso sembrava più giovane e meno rockstar.

Era solo un ragazzo normale come lei.

“Come mai sei qui?”

“Per questo.”

La afferrò per le spalle, la attirò in un abbracciò e la baciò.

Era un bacio dolce che lei avrebbe potuto interrompere in qualsiasi momento, la verità era che non voleva farlo.

Janis aveva realizzato di essere ancora disperatamente innamorata di lui e questo era terribile.

La aspettavano tempi duri.

Quando si staccarono gli occhi di Bill brillavano, Jan lo guardava confusa.

“E adesso?”

“Non lo so Jan. Sentivo che dovevo farlo. Quel filo tra noi due che io ho tagliato anni fa non si è mai davvero interrotto. Sono stato un coglione te l’ho già detto.”

“Come credi che potrà andare avanti questo rapporto?”

“Jan non voglio ripetere lo stesso errore di sei anni fa. Ti ho mollato e ho sbagliato. Ora so che non posso ripresentarmi qui come se niente fosse, ma mi piacerebbe riprovarci, anche solo come amici.”

“Gli amici non si baciano,noi non siamo amici.”

“Hai ragione, siamo sempre stati qualcosa di più.

Ti va di riannodare quel filo che c’è tra di noi?

Vuoi venire da noi a Los Angeles per l’ultimo dell’anno?”

C’erano occasioni nella vita che si presentavano una volta sola. Quella di Jan era una di queste, non poteva farsela sfuggire.

Al diavolo tutto, ci avrebbe provato.

“Perché no? Al massimo mia figlia si godrà il sole della California.”

Bill sorrise e la baciò.

Jan pensò che quello fosse il lieto fine che le era stato negato a quindici anni.

Se quelli erano i risultati era valsa la pena aspettare e soffrire tanto si disse.

Anni fa le sue ali erano state tarpate, ora era pronta a volare via insieme a quello strano ragazzo mai del tutto uscito dal suo cuore.

Non poteva essere più felice.


Dice che qui non resta
Che quel che vuole qui non c’è
Ci fosse almeno una ragazza uguale identica a me
Dice che qui non resta
Che non lo fermerà
Il bene che gli vuoi ancora, il bene che ti vorrà

Prova a star con me un altro inverno a Pordenone
Sarà un letargo dolce senza inverno e freddo
Sarà che è sempre tutto
Uguale
Uguale

Angolo di Layla.

Bhe, che dire?

Buone feste.

Spero vi piaccia e che commentiate.

I corsivi fanno parte di "Prova a star con me un altro inverno a Pordenone" dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

   
 
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