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Autore: I am a child    27/12/2010    0 recensioni
Il bosco è deserto, vuoto, abbandonato, ma non è solo. Lì, vicino al faggio, un’ anima giovane resta seduta e guarda l’alba. Guarda il tramonto, breve, in cui scompare anche l’ombra di un sole malato.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vivere il presente. Ci sono sempre riuscito tranquillamente. Soddisfatto quanto infelice. Una condizione squilibrata da quella briciola di normalità e indifferenza che ha reso difficile, sempre, ogni riflessione sul mio sentirmi bene. 
Vivere il passato. Camminare nei ricordi, toccarne quella densità inquietante, senza tuttavia riuscire a cambiare nulla di ciò che è accaduto.
Il mio passato è così sporco, così buio che custodirlo nell’anima è doloroso. Viverlo; una vera tortura.
Quel che ho fatto tocca una crudeltà talmente alta che è difficile immaginarlo. Orribile. La più severa condanna che un uomo può imporre. Ma, alla fine, io sono un sindaco. Mi occupo del benessere dei miei cittadini. Sono un modello, l’esempio corretto. 
I dubbi che hanno la possibilità di aprirsi sul mio conto sono tanti come gli alberi che ho deciso di far restare in quel bosco.
Zero. 
Con la speranza di vedere morire parte di questi ricordi con essi. La speranza. Mi chiedo se un assassino, si meriti di provare questo sentimento essenziale. L’assassino, colui che abbandona nel corpo di una vita che muore, la luce potente dell’animo umano. Semplicemente, io.
Da quando è stata trovata la piccola Roque nel bosco, in estate, col cuore spento e muto più nessuno, o pochi, si sono addentrati in quel luogo temibile, triste, che si crede addirittura stregato, ormai; dal momento che tutti i sospettati e gli arrestati sono riusciti a provare facilmente la loro innocenza. La procura non ha potuto fare altro che rinunciare a perseguire il colpevole… 
Ora che è autunno, il vento freddo soffia paziente, il cielo è grigio, le foglie velate da brina. E il bosco. Quell’esercito di alberi pare piangere tutte le lacrime a lui possibili. Le foglie, a volte secche, a volte ardenti, che non smettono di cadere per un solo minuto, sembrano grosse lacrime. Un tappeto giallo ricopre il muschio, dove prima gli abitanti venivano a sedersi nelle passeggiate della domenica pomeriggio, mentre i bambini giocavano a palla, a tappo, alle bocce. Bambini. Ed ecco che ancora mi viene in mente la piccola Roque. 
Il bosco è deserto, vuoto, abbandonato, ma non è solo. Lì, vicino al faggio, un’ anima giovane resta seduta e guarda l’alba. Guarda il tramonto, breve, in cui scompare anche l’ombra di un sole malato.
Ci sono i corvi. Il loro gracchiare è un urlo stridulo, inquietante.
Tuttavia, ogni sera, finché mi è possibile camminare, in quella che non è ancora oscurità, vado nel bosco. Inizio a vagare sotto gli alberi, ben sapendo di non avere nessuna meta. Poi rientro, mi lascio sprofondare nella poltrona davanti al chiarore del caminetto.
Una mattina di queste, mi sono alzato con un’idea. Una volontà che puzzava di ordine, più che di desiderio.
Decisi di abbattere il bosco. Immagino che la notizia sia corsa veloce per il paese. In breve, ben venti boscaioli lavoravano svelti, arrampicandosi sugli alberi, legando una corda ad ogni tronco. Pareva così semplice, un fatto così immediato quello di decapitare non un albero, né due. Ma come ho detto prima, un vero esercito.
Lavoravano con metodo, stringendo tra le mani un accetta di acciaio. I rami si schiantavano sul suolo con un gran rumore, venivano ammucchiati. Il bosco diminuiva di giorno, in giorno.
Arrivò il momento del faggio. Non uno qualsiasi. I boscaioli erano stanchi, avrebbero preferito proseguire il giorno dopo ma… ho chiesto loro di restare e di continuare almeno con un ultimo albero. Ero maledettamente inquieto e nervoso. La grandezza e la maestosità di quell’albero sembravano non piegarsi neanche agli sforzi di venti uomini. Ad un tratto uno di loro mi disse che ero troppo vicino e che, cadendo, il faggio avrebbe potuto colpirmi. E fu per quella esatta ragione che non mi sono mosso. Sono rimasto lì, immobile, e quando finalmente con un grido entusiasta dei boscaioli, l’albero ha dato segno di spezzarsi, ho mosso un passo in avanti con la pura intenzione di sparire da un mondo da cui non potevo più accettare niente, perché avevo preso troppo. Ma l’albero è caduto sfiorandomi la schiena, semplicemente. Sono caduto e mi sono rialzato in ginocchio tra lo stupore degli operai. Mi sono allontanato bisbigliando un semplice arrivederci.
Pagherò tutto ciò che devo pagare, e non sarà mai troppo. 
Vivo il passato.
Vivo il presente.
Non sono certo di voler vivere anche il futuro. 

  
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