Attesa
Il vento soffiava. E la bufera raschiava via i pochi esuli della brina
gelida e
della neve intirizzita. Faceva troppo freddo, e le sue mani graffiavano
via i
pezzetti di ghiaccio che crescevano lesti intorno alle sue dita
affusolate, che
quasi per dispetto si ricomponevano repentini, scattanti e cristallini.
Ogni volta che i suoi muscoli disciplinati ubbidivano al suo comando
tirannico
una fitta di instabilità la marchiava con il segno
distintivo di chi è morto ma
non merita il quieto e immobile sonno eterno.
Viveva sospesa e consapevole di dover essere inconsapevole. Ma era
ignara delle
sue colpe e per questo il vento che frustava i suoi capelli biondo
cenere aveva
il sapore più amaro e crudele di qualsiasi brezza vorticosa
e plumbea che
avesse mai inalato nel mondo delle Anime.
La sua essenza si era smaterializzata quando ancora poteva parlare e
per questo
sentiva che da un momento all’altro sarebbe potuta andare in
pezzi e crepare
come avevano fatti tanti che la sua memoria non riusciva a contenere.
Ma la cosa più estenuante era l’attesa.
L’attesa di diventare qualcosa.
Voleva che tutte le particelle delle sue membra infiacchite, sospese o
non,
potessero ricomporsi in un puzzle di frenetiche danze spettrali e
esangui.
Immagini di poco spessore ricorrevano soventi e disegnavano forme senza
forma
sulla sua anima, e quando calcavano troppo, gocce cristalline ed
invisibili
scendevano adagio solcando e rallentando ancor di più quando
sfioravano i suoi
occhi grigi come la nebbia e freneticamente vivaci come l'aurora.
Ma l'aurora non dura per sempre e le ombre del crepuscolo sfavillano
nella luce
opaca ogni volta che il sonno rinchiude la ragione dei mortali nei
cofanetti
rivestiti di velluto blu morbido, illudendoli e rendendoli prede
indifese
circondate da bestie inferocite e bramose dell'odore pungente che emana
la
fulgida vita.
Forse solo i sospiri lamentosi rischiaravano l'aria indigesta. O forse
brividi
di vana speranza riscaldavano e lottavano contro la burrasca.