Non ero nuovo, alla guerra.
Avevo combattuto come mercenario per diversi anni e quel periodo aveva temprato
il ragazzo che ero, trasformandolo nell’uomo che ero diventato. Non mi
piaceva ricordare quei momenti, in ogni modo, e mi ero sempre augurato di non
dover partecipare mai più ad altri conflitti armati… eppure dopo
tanto tempo eccomi in divisa, a dare man forte alla città di Saillune e a prendere tra le mie mani i destini di altri
uomini, spronandoli alla battaglia.
Qualcosa di molto importante
era però cambiato, da allora: avevo un vero e proprio scopo per cui
vivere e combattere.
Alzai la testa, in direzione
del tramonto infuocato che tingeva il mondo di una luce rossastra e incendiava
di riflessi dorati i capelli di Lina. In alto, sopraelevata rispetto agli altri
maghi, alzava le braccia affusolate per scagliare incantesimi mortali.
Bastava uno sguardo alla sua
figura per farmi provare un sottile ma intenso senso di felicità, la
speranza che tutto sarebbe comunque andato bene, che ne saremmo usciti indenni
anche questa volta. Riponevo una fiducia enorme, in lei e lei aveva un potere
immenso su di me, il suo carattere infiammabile e coraggioso, la sua
intelligenza, il suo modo positivo e ironico di vedere la vita… tutto in
lei mi attraeva e… mi faceva
sentire bene, nonostante o forse anche grazie ai guai nei quali era solita
a cacciarci.
Rassicurato dalla vista della
maga, rinfrancato dal consueto vigore con il quale si batteva, ritornai agli
uomini e mi occupai di dirigerli verso le postazioni che avevamo concordato in precedenza mentre
alle mie spalle esplodeva un nuovo incantesimo. Prima di scendere più in
basso, verso gli altri soldati affidati a me, decisi di lanciarle
un’ultima occhiata.
E il sangue mi si
gelò.
Un attimo prima era in piedi,
vitale e battagliera come sempre e quello dopo la vedevo crollare in ginocchio,
con una freccia piantata nel petto.
Mi si strozzò il fiato
in gola, mentre scattavo verso di lei, spostando bruscamente chiunque
ostacolasse il mio passaggio. La raggiunsi rapidamente e afferrai uno dei maghi chino su li lei, spingendolo via. Rigido di
terrore mi inginocchiai al suo fianco e le alzai
leggermente la testa. Percepire il suo respiro fu un sollievo tale che mi
accorsi che di riflesso avevo trattenuto il mio. Era viva, era questo che contava
ma… per quanto? L’aria mi uscì dai polmoni con una specie di
rantolo alla vista dell’esatta posizione, della profondità con
cui era penetrata la freccia e del sangue che si allargava velocemente intorno
alla ferita.
Mi sentivo estraniato dal
resto del mondo, sordo alle grida della battaglia, mentre meccanicamente mi
accingevo sollevare Lina. Fu in momento che mi resi
conto della mano che mi stringeva la spalla e della voce di Zel,
che doveva essere accorso poco dopo di me, che mi incitava
ad alzarmi e a portare Lina via da lì.
Sollevai la maga con gentilezza,
pur nella fretta, appoggiandole la testa al petto per fare in modo che non ciondolasse
mollemente e, dopo averle passato un braccio sotto alle
ginocchia, iniziai a correre tentando di tenerla il più aderente possibile
al mio corpo per evitare di muoverla troppo e di spostare inavvertitamente la
freccia.
Il suo calore, il suo respiro,
mi rassicuravano. Si sarebbe salvata. Doveva salvarsi.
Corremmo a perdifiato,
seguendo i labirintici corridoi del palazzo. Sentivo il cuore martellarmi nel
petto mentre ci avvicinavamo alla porta dell’infermeria. Da Lina non
giungeva neanche un lamento, era completamente inerte tra le mie braccia.
Quanto avevo desiderato stringerla a me? Quanto avevo sperato di
poterla tenere sul mio petto? Ma non così, Dei,
non così…
Appena arrivati dal
guaritore, Lina mi fu quasi strappata dalle braccia. Seguii l’uomo e la
sua assistente fino ad uno spoglio lettino, al centro
di un pentacolo, sul quale distesero la maga. Ormai conoscevo quel posto, se
Lina fosse stata sveglia forse ne avrebbe anche
scherzato, per la frequenza con cui c’era finita. E
io avrei riso con lei… se solo… Non dovevo cedere a pensieri
tristi. Non ce n’era bisogno, Lina era forte, Lina ce la faceva sempre.
I visi dei guaritori erano
concentrati. Io mi feci da parte per lasciarli lavorare senza intralciarli anche se ogni fibra del mio essere mi gridava
di starle al fianco, tenerle la mano, infonderle la mia forza vitale. Zel, della cui presenza mi ero completamente scordato, mi
strinse il braccio e, mormorando qualcosa che non capii, si allontanò in
direzione della battaglia.
Io rimasi solo, qualche metro
indietro rispetto a Lina, con il suo sangue che mi si raffreddava addosso e un
tremore incontrollabile che mi scuoteva i muscoli.
Vidi la freccia venire estratta dal suo corpo, vidi il sangue che usciva
copioso e impregnava le mani dei guaritori. Vidi utilizzare il Resurrection.
Chiusi gli occhi. Resta con me. Cercai di inviarle la mia
forza vitale.
Avevo memoria per le cose che
reputavo importanti e ricordavo quando Lina mi aveva raccontato di
quell’incantesimo, che le aveva salvato la vita dopo lo scontro con Copy-Rezo. Allora l’aveva aiutata… doveva farlo anche adesso.
L’incantesimo traeva la sua forza dagli esseri viventi vicini al
ferito… sperai che anche la mia potesse esserle d’aiuto. Strinsi
gli occhi più che potevo e mi parve di sentire qualcosa che scivolava
via dal mio corpo…
Non so dire quanto
durò, quando riaprii gli occhi mi sentivo
instabile sulle gambe e vagamente stordito. Sulla schiena mi scorreva del
sudore ghiacciato mentre le unghie mi erano penetrate a fondo nei palmi delle
mani, che avevo inconsapevolmente tenuto strette a
pugno tutto il tempo.
L’assistente stava
adagiando Lina sotto alle coperte nel momento in cui
io, barcollando, raggiunsi il suo capezzale. Mi lasciai cadere pesantemente su
una sedia, sfinito. La donna aveva il viso stanco, la fronte increspata dalla
preoccupazione e delle profonde rughe intorno alla bocca. Mi lanciò
un’occhiata pensosa e rispose alla mia domanda silenziosa sollevando le
braccia, lasciandole poi ricadere mollemente ai fianchi. La voce mi uscì gracchiante
quando provai a chiederle ad alta voce quali fossero le condizioni di Lina. La
donna scosse allora la testa. “Dobbiamo aspettare.” Furono le sue
uniche parole.
Mi avvicinai a Lina, facendo
stridere la sedia. Giaceva immobile tra le coperte
candide, la pelle cerea e le profonde occhiaie viola, l’unico segno di vita
l’alzarsi e abbassarsi lieve del suo petto. In mezzo a tutto quel bianco
spiccavano i capelli, un’aureola infuocata sparsa sul cuscino.
L’avevo già vista ferita, anche gravemente, l’avevo portata
in salvo con le gambe fracassate e l’avevo vegliata proprio nello stesso
posto… eppure allora ero certo che tutto sarebbe andato per il meglio
mentre adesso…
Allungai la mano e le
accarezzai la guancia, fredda e liscia al tatto. Lo stomaco mi si strinse in
una morsa di paura al pensiero di quello che aveva rischiato e che stava ancora
rischiando… e anche di rabbia, verso i maghi che
le erano accanto e che non erano riusciti neanche a proteggerla, il loro unico
compito. Strinsi i denti cercando di respirare a fondo per calmarmi. Dovevo
pensare a lei, adesso. Per il resto ci sarebbe stato tempo.
Le sfiorai la tempia e scesi
di nuovo, fino alla linea della mascella. Continuai a accarezzarla
in maniera quasi ipnotica, con la mente che si perdeva nei ricordi delle nostre
avventure. C’era stata quella volta che mi aveva fatto inseguire da una
folla inferocita mentre lei ghignava malvagiamente alle mie urla… e
quando ero stato rapito e alla fine il suo incantesimo mi aveva trasformato in
una specie di uomo mummia? Poi una volta mi aveva vestito da donna… no,
non una sola volta… e poi…
Quando mi riscossi da
pensieri e ricordi era ormai notte fonda. Dalla
finestra di fianco e me il cielo era un manto blu
profondo, trapuntato di stelle. Poteva essere una delle nostre solite notti di
viaggio, il cielo la nostra casa, invece eravamo
nell’infermeria, io seduto insonne e lei addormentata. Un piccolo suono
attirò la mia attenzione. Veniva da Lina… Trasalii accorgendomi dell’espressione
di dolore che le stravolgeva i lineamenti, nonostante sembrasse ancora
profondamente assopita. In panico mi alzai in cerca di aiuto.
L’attendente
sbucò dopo poco, per controllare Lina come di routine. Prima ancora che
riuscissi ad aprire bocca mi aveva allontanato e chiamato a gran voce il
guaritore che, come una freccia, entrò dalla porta. I due confabularono,
controllando il punto in cui Lina era stata ferita, poi presero un liquido scuro e lo introdussero a forza
nella bocca della maga. Mi sentivo le mani ghiacciate mentre osservavo il
guaritore scuotere lentamente la testa.
Appena l’attendente mi
fece cenno, mi riavvicinai, rigido come una marionetta, con il fiato corto. Mi
guardò negli occhi e mi sussurrò di continuare a starle accanto mentre loro
avrebbero continuato a fare del loro meglio. Non mi sentii particolarmente
rassicurato.
L’attendente mi
spiegò poi che se anche il Resurrection curava le
ferite gravi, non toglieva il dolore che potevano
procurare.
Mi sedetti sulla sedia, a
braccia incrociate e senza volerlo dopo poco scivolai in un sonno irrequieto e
ben poco ristoratore. Mi svegliai alcune ore dopo con uno scatto, confuso e
agitato. Per un attimo stordito, mi guardai intorno senza capire neanche dove
mi trovassi, fino a quando i miei occhi si posarono sulla figura immota distesa
sul letto. La luce di un pallido sole che si alzava in un cielo lattiginoso illuminava
il volto assopito di Lina.
Era ancora esangue,
i lineamenti contratti, pieni di una sofferenza silente.
Misi entrambe le mani sul
letto, vicino a lei e iniziai a stringere la coperta mentre la sagoma del suo
corpo sotto le coperte iniziava a sdoppiarsi e a sfocarsi. Sentivo gli occhi
farsi caldi e il respiro pesante. Resta
con me.
Non volevo piangere, non
dovevo piangere. E non per stupide questioni
d’orgoglio, perché io mi fidavo di Lina, perché lei era
forte, la persona più forte che conoscessi, la più vitale. Non
importava quanto grave fosse la ferita, lei ce l’avrebbe
fatta, ce l’avrebbe fatta e avrebbe scatenato il finimondo contro chi
aveva osato farle del male.
Un tremulo sorriso si fece
largo sul mio viso. Così andava meglio.
La mia Lina.
Passarono le ore, passarono gli attendenti, passarono Amelia e Zel.
Lina non aprì gli
occhi ma riprese lentamente ma costantemente colore e perse l’aria
sofferente. Io rimasi ad osservarla, immerso talvolta
in pensieri su di lei, su di me… su di noi. Io l’amavo,
amavo tutto in lei. Non mi ero mai dichiarato, a parole, ma ero certo che non
fosse difficile indovinare i miei sentimenti.
Amavo quegli occhi grandi e
dal colore particolare, che avevo visto in pochissime persone, amavo i capelli
lunghi e rossi, leggermente arricciati sulle punte, amavo il suo naso
leggermente all’insù e le labbra morbide. Amavo la forza e la
velocità del suo corpo agile e ben proporzionato. Amavo la sua
intelligenza e astuzia, la sua caparbietà, il modo in cui si prendeva gioco
di me e la dolcezza nel suo sguardo nei momenti in cui credeva non la stessi osservando. Amavo il suo buon cuore, che teneva
ben celato e la sua grande voglia di avventura. Le sarei rimasto accanto per
tutta la vita, se mi avesse voluto al suo fianco…
Arrivò l’ora di
pranzo che mi vide trangugiare la brodaglia che mi venne
propinata senza neanche sentirne il sapore. Mi allontanai da lei per poco tempo, perché se anche volevo starle vicino,
sapevo che dovevo mantenermi in forze e appena finito di ingollare il cibo,
tornai alla mia sedia.
Iniziava il pomeriggio senza
che Lina si fosse ancora svegliata.
Osservando la maga mi accorsi
subito che c’era qualcosa si sbagliato. Il modo in cui respirava. Il
colorito sulle guance. Allungai una mano e gliela misi sulla fronte.
Bollente. Sembrava si stesse
riprendendo un pochino e invece adesso aveva la febbre. Perché?
Perché dopo l’incantesimo di guarigione e quella medicina che
l’attendente continuava a darle, adesso stava peggio di prima?
Mi alzai di colpo, dirigendomi
a grandi passi verso la porta.
Resta con me.
Passai le ore seguenti a
metterle il ghiaccio sulla fronte e a osservare l’attendente che tentava
di abbassare la temperatura a Lina con vari intrugli, senza particolare
successo. Secondo il guaritore la freccia doveva averle procurato una brutta
infezione e il suo corpo cercava naturalmente di combatterla aumentando il calore, che poi altro non era che la febbre. Quello che non
diceva, ma che traspariva chiaramente, era che Lina era rimasta parecchio debilitata
dalla ferita e che quell’infezione era un grosso grattacapo.
Finalmente, dopo qualche ora
e diversi medicinali, Lina iniziò a migliorare un po’. Quando
entrarono Amelia e Zel, per vedere come stava, ero
distrutto. Forse per quello reagii in modo così poco caratteristico.
Amelia teneva gli occhi bassi e la sua voce era poco più di un sussurro
quando tentò di giustificare i maghi di corte e in quel momento esplosi.
“Che cosa ci
facevano allora quelle guardie? COSA??? Com’è possibile
che nessuno se ne sia reso conto??? Proteggerla dalle frecce mentre attaccava,
cosa c’è di poco semplice in questo???” Stavo ansimando,
incurante dello sguardo allarmato di Amelia e dell’espressione sorpresa
di Zel.
“Gourry-san…
eravamo nel bel mezzo di un assalto… non era…” La voce di
Amelia era spezzata, sembrava prossima alle lacrime eppure non riuscivo a
fermarmi.
“Se nel mezzo di un assalto ciascuno
non riesce a compiere il suo dovere allora cosa impedirà a Sailune di cadere???” Gridai ancora.
“N… non certo… il
tuo… gentile… tono di voce…” Rispose una voce roca che mi fece quasi fare sul salto sulla sedia.
Lina! Lina si era svegliata…
Pronunciammo il suo nome, sollevati e
stupiti.
Lina… Lina era di nuovo tra noi. Di
nuovo con me.
Da quel momento tutto sarebbe andato bene,
ne ero convinto. C’era una guerra di mezzo, sarebbero successe molte cose
e non tutte piacevoli ma Lina era con me, era tutto
quello che per me contava.