I was trying to
Save Me.
I was
only trying to bury the pain
But I made you cry and I can’t stop the crying
Was only trying to save me
You said it, I get it
I guess it is what it is
Lifehouse.
It is what it is.
L’aveva
usata.
Come
un giocattolo, una bambola.
L’aveva
usata e poi se ne era lavato le mani.
La
sua intera vita era basata su di un unico solitario principio: ciò che ottieni
con la forza, ti spetta di diritto.
Erano
parole di suo padre e Tyler ci era cresciuto dentro per anni, fino a sentirsele
strette, troppo strette, al punto di rischiare il soffocamento.
La
verità era che non poteva sfuggire a quel principio: una volta varcata la
soglia della gelida ma sicura tenuta dei Lockwood, per Tyler non c’era nulla.
Il vuoto.
E un
grigio bagliore di solitudine.
Sì,
l’aveva usata.
Vicky
Donovan aveva pianto, per colpa sua e adesso era morta.
E
lui, Tyler Lockwood, era stato maledetto: per la sua codardia.
“Tyler?”*
Lo
avverte appena: un richiamo esile, soltanto abbozzato.
Qualcuno
lo sta chiamando.
“Caroline”
La
morsa del dolore si allenta. La pelle torna liscia e le zanne si ritirano.
Però
fa freddo: un freddo tagliente che si intrufola a
fondo, penetrando le ferite.
“Tyler.”
Questa
volta è sicuro di averlo sentito.
Nitido.
Pulito. Come il tocco candido di una mano: la stessa che sta sfiorando tiepida
la superficie del suo corpo maledetto.
Quella
mano continua a scorrere docile sulla sua schiena, tentando di reprimere i
brividi; di controllare i tremiti.
“Stai bene.”
Parole
che infondono fiducia.
Parole
di comprensione, di conforto.
C’è
quindi qualcuno?
Qualcuno per lui?
“Stai bene. Cel’hai
fatta: non sei uscito. Stai bene!”
E
Tyler vorrebbe tanto riuscire a sorridere.
Vorrebbe
poter restituire un po’ di quel calore, di quel tepore emanato dall’abbraccio
di Caroline.
Ma pensa a Vicky.
Pensa
a suo padre e a quanto rancore avveleni ancora il suo sangue non più solamente
umano.
Pensa
a Mason e al suo abbandono, alle disperate richieste
di aiuto rimaste inascoltate.
Pensa
al dolore lancinante della notte appena trascorsa. E al fatto che ne seguiranno
altre. Altrettanto fredde. Altrettanto sporche: sporche
di tormento.
Pensa
alla ragazza che ha ucciso e alle persone che potrebbero fare la stessa fine
per mano sua.
“No.”
Tyler
non può più fuggire, ormai.
La
voragine che si estendeva fuori dalla tenuta dei Lockwood si nutre di lui. Del
dolore che contorna i suoi occhi spenti, imperlati di lacrime tremule.
Vi è
solo il vuoto ormai.
E il
freddo.
“ Non sto bene.”
*Dialogo
tratto dall’episodio 2x11. By the light of the Moon.
Nota dell’autrice.
Secondo tentativo. Lo
so, probabilmente avrei dovuto ritirarmi con il primo dato che il messaggio
inviato dalle poche letture e le assolutamente nulle recensioni, era forte e
chiaro: questa raccolta “non s’ha da fare”.
Eppure non avevo voglia
di arrendermi: non ancora. Perciò ho deciso di provare a proporre ancora un
capitolo. Questa volta tutto per Tyler. Il frammento è
ambientato durante uno dei momenti più drammatici della seconda stagione: la
sua prima trasformazione.
In questo frammento la
citazione finale tratta dal telefilm non c’è, ma è inserita direttamente nel
testo (la parte in grassetto): come avrete intuito è
il dialogo fra Caroline e Tyler alla fine dell’undicesima puntata.
Non ho altro da
aggiungere; incrocio le dita nella speranza che questo capitolo sia almeno un
briciolo migliore del precedente.
Un abbraccio.
Laura