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Autore: minimelania    06/02/2011    0 recensioni
“Scegli me o il fuoco” aveva detto Claude Frollo ad Esmeralda, condannata al rogo.
E per salvarsi la ragazza aveva scelto lui.
Ora, nella carrozza che la conduce al Palazzo di giustizia, lei sembra già sapere quale destino l’attende. Invece, il Giudice ha in mente un progetto da proporle completamente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare…
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 5: Impegni mattutini
 
 
Il giudice della malora si era messo tranquillo, per sua fortuna.
In caso contrario si era ormai decisa di uscire anche in camicia e lanciargli in testa uno di quei bei volumi rilegati che la guardavano dallo scaffale, pur di farlo tacere.
Ma si poteva sapere con chi diavolo stava parlando? Da solo, forse?
Quello lì deve essere completamente andato fuori di senno, non c’era altra spiegazione.
Fuori come il tabernacolo più esterno di una cattedrale, accidenti a lui.
Altrimenti come spiegarsi quel contratto in cui aveva finito per impelagarsi.
Dopotutto, per un matrimonio non era mica mai morto nessuno. Che bisogno c’era di allestire tutta quella solfa, tormentando quelle povere anime dei gitani, facendo di Parigi un falò e di lei una gran dama? Certo che i ricchi sono proprio strani, bah.
Non voleva dedicargli un altro minuto, dato che cascava dal sonno.
Buonanotte, pazzo d’un giudice, disse sarcasticamente nella sua testa.
Non riuscì a finire la frase, che finì dritta nelle braccia di Morfeo.
 
Un paio di colpi insistenti alla porta la strapparono dal sonno.
- Chi è? – chiese, e non era affatto la delicatezza che ci si aspetta da una signora quella di cui era venata la voce ancora impastata.
- Avanti, mia cara bambina – fece lui, suadente – il sole è già alto e noi abbiamo molte cose da fare.
- Il sole? Ma dove accidenti lo vedi il sole? È l’alba! E io voglio dormire.
- Io sono abituato a svegliarmi presto. Andare a messa per l’ora prima e cominciare a lavorare di buon’ora. E tu, in qualità di mia fidanzata, dovrai prendere le mie abitudini.
Lei si trattenne dal tirargli qualche improperio attraverso la porta chiusa.
- E allora?
- Ergo: muoviti. Hai dieci minuti per prepararti e scendere. – fu il suo ordine, velato da una certa ironia.
Mai pensato di intraprendere la carriera militare, Claude?
 
Era arrivata nel salone con uno degli abiti che le aveva fatto portare da Lydia. Un vestito semplice, da mattino, ma decoroso al fine di sostituire quelle sue folcloristiche vesti zingaresche.
- Oggi cominceremo con la tua lezione di religione. –fece lui, mentre consumavano al tavolo una colazione piuttosto frugale.
- La mia lezione di che?
- Religione, mia cara. Il Re dovrà vederti comportare da buona cattolica, non si sa mai che possa uscire con qualche discorso in materia. Tu quanto ne sai, in proposito?
Lei, ancora a bocca piena, scrollò la testa.
- Come immaginavo. Ma ci sono io, per questo. – cercò di farsi comparire in volto un sorriso rassicurante ma che, in realtà, risultò quel suo solito ghigno da gatto.
- Posso farti una domanda, Claude?
Aveva sottolineato con la voce il suo nome.
Il giudice si sentì tremare lievemente le ginocchia, nonostante fosse seduto.
La dolcezza della richiesta gli aveva riportato alla mente la visione della notte precedente.
- Dipende, mia cara, dipende…
Senza aspettare che le domandasse di cosa si trattava lei si affrettò ad aggiungere: - Con chi parlavi, ieri sera?
Frollo lottò contro il boccone che quasi gli stava ostruendo la trachea, per la sorpresa.
Tossì. Tentò di rispondere. Tossì di nuovo.
- Va tutto bene? –fece lei, alzando un sopracciglio.
Si alzò per andare ad assestare sulla schiena di lui qualche pacca confidenziale, così giusto per scongiurare il soffocamento. Non si poteva mai sapere. Meglio non rimanere vedova prima del tempo.
- Sì sì, benone. Colpa del pane di traverso. Dicevi, mia cara?
- Ti stavo chiedendo con chi parlavi ieri sera. Giurerei di aver sentito la tua voce ma non quella di qualcun altro. Discutevi forse da solo?
- Ma mi prendi per matto? Come se uno si mettesse a parlare da solo davanti allo specchio! Quel vino deve proprio averti fatto male, bambina.
- Sarà, ma sono sicura di aver sentito chiamare un nome di donna… Una certa Isabella, Isabelle, Isabeau qualcosa…
- Isabeau! – sospirò lui. Poi, ad un tratto, riscuotendosi: - Isabeau? Non conosco nessuna con questo nome.
- Che peccato! Ed io che speravo di scoprire che anche il Giudice Frollo, Ministro del Re, ha un cuore.
- Credo si stia facendo tardi. La nostra lezione ci attende.
 
Nello studio del giudice, seduta al suo tavolo da lavoro, sulla sua sedia che aveva visto tante notti insonni passate sui codici, Esmeralda dormiva.
Dormiva. Lui stava lì a leggerle e a commentarle i passi fondamentali, più importanti, simbolici e significativi della Bibbia e lei dormiva.
Non se n’era nemmeno accorto, Claude, tutto intento nella spiegazione, col naso adunco sprofondato nel libro e la mente persa ad inseguire i reconditi significati contenuti nella storia di Caino e Abele.
Passeggiava nella stanza, avanti indietro. Ci scaverai un solco, Claude. Aveva pensato lei, prima che la testa le crollasse per la noia su una bella pagina miniata che mostrava le virtù teologali.
- Ma che fai? Dormi? Esmeralda, cos’hai ascoltato della mia lezione?
Evitò di ridere della sua espressione e del suo tono, degno di un maestro di scuola che rimproverava l’allievo ozioso.
- No, no, ti assicuro, ho ascoltato: c’era un pastore che ha ucciso un agricoltore…
- Veramente era il contrario. Eppoi non è un pastore è Abele! Esmeralda, dovrei considerarmi fortunato se avessi seguito anche solo la metà!
- Non è colpa mia, per i tuoi starnazzi mi sono addormentata tardissimo e in più, se vuoi saperlo, russi come un vecchio somaro.
- Perché tu credi di essere più silenziosa? Sembravi un bue raffreddato.
- Bene, allora siamo pari! – incrociò le braccia al petto, assumendo quella sua faccetta imbronciata.
- E va bene, se non conquisterai il Re per la tua cultura, spero lo farai col tuo talento. Credo che lo incanteresti, se cantassi con quella voce di ieri sera.
- Cantare? Io non so cantare. Claude, anche a te il vino deve aver dato un po’alla testa.
 
Non c’era speranza. La convinzione, però, di quello che aveva visto attraverso il buco della serratura, era l’unico motivo per cui continuava a gettare le sue perle di cultura nel nulla.
Forse aveva bisogno di un aiuto, almeno per quanto riguardava quelle questioni prettamente femminili, di cui lui aveva solo una vaga idea per così dire teorica.
Il pensiero di doversi occupare di corsetti, profumi e biancheria… Per carità!
Meglio metterla nelle sapienti mani di Lydia e…
Ma quale Lydia! Lydia sa fare un ottimo consommé di patate, stringere i lacci di un abito e cantare ninnananne. È una balia, non una dama.
Una signora, gli serviva una vera signora. Una di quelle che quando passano tutti si voltano ad ammirarle, ammaliati da tanta bellezza. Una di quelle dee mandate in terra a consolare i mortali dai loro tormenti. Un angelo venuto a mostrare con la sua purezza e il suo candore una grazia ancor più alta. Una come… Isabeau!
Isabeau! Ogni volta che quel nome appariva sulle sue labbra, era seguito da una serie di sospiri più o meno infinita, a seconda del tempo a disposizione.
Isabeau! Quanti anni erano passati? Dieci, venti, beh facciamo pure venticinque!
Non gli avrebbe certo negato un favore. In fondo erano rimasti, per così dire, amici.
- Gaston! – chiamò il suo maggiordomo tuttofare – Devi recapitare una lettera a questa persona, indicata sulla busta.
- Al vostro servizio, capo.
Era uscito improvvisando un goffo inchino.
 
- Bene, brava. Bravissima, continua così. Tieni la testa alta. Le spalle dritte.
Erano le istruzioni di un Frollo finalmente soddisfatto ad un’Esmeralda che camminava in linea retta con una pila di libri sul capo.
- Ma sei sicuro che serva a qualcosa, questa roba?
- Si chiama esercizio, mia cara, e sì: serve al tuo portamento.
- Sarà, ma a me sta facendo venire solo il mal di testa.
- Non parlare che ti deconcentri e perdi l’equilibrio. Molto bene: ora vieni avanti, verso di me.
- Mi dici come accidenti faccio se non vedo il pavimento?
- Non ti serve vederlo, guarda avanti.
Non serve vederlo: sì, è una parola! Non aveva appena fatto in tempo a pensarlo che il suo piedino si posò dritto dritto su  qualcosa di morbido e peloso.
La coda di un gatto, a intuito.
La povera bestia balzò via con un miagolio d’inferno, quasi fosse stato un posseduto al ritorno dal sabba.
I libri ondeggiarono pericolosamente sulla sua testa. Lei ondeggiò ancor più pericolosamente, crollando in direzione di Claude, e trascinando – libri compresi – nella caduta il giudice, che non aveva ancora capito la ragione di quel pandemonio.
- Ma che diavolo era quello?
- Ah, quello? Il gatto di Lydia, credo. – fece lui, come se niente fosse, prima di realizzare che in qualche modo era finito sotto di lei, sul pavimento.
Erano incastrati tra i mobili e più si sforzava di pensare a come togliersi dall’imbarazzo il prima possibile, più il tempo passava. E più il tempo passava, più il suo imbarazzo aumentava.
Come un ouroboro, il serpente che si morde la coda. L’ouroboro! Ti sembra questo il momento di pensare all’ouroboro, Claude? Proprio adesso che hai a comprimerti il petto questa… questa specie di… Di donna, ecco qual era il problema.
- Non pensi che dovremmo rialzarci?
Certo che penso che dovremmo rialzarci, ma se te continui a stare lì, non vedo come posso fare, avrebbe voluto replicare. E, invece: - Non ti preoccupare, ci penso io. – le disse, cercando di mantenere la calma.
Mentre tentava di rialzarsi, senza mettere le mani in posti sconvenienti, la porta si aprì all’improvviso.
- Claude, Claude piccino!
Lydia! Accidenti a quella sua mania di entrare senza bussare.
La testa canuta di Lydia aveva fatto capolino nella stanza proprio mentre quella di Claude riaffiorava da sotto la scrivania.
- Ah, ma sei qui! Oh, ma ci sei anche tu, carina! – esclamò giungendo le mani, dopo aver adocchiato Esmeralda.
Si rimisero in piedi in un attimo. La necessità aguzza l’ingegno, Claude.
Lydia aveva stampato in faccia un’espressione che parlava da sola e sembrava dire bonariamente: bricconcello, bricconcello, tanto che lui si sentì in dovere di replicare:
- Noi… ehm, noi, cercavamo il tuo gatto.
- Ah, sì certo.
- Ma tu, piuttosto! Quante volte ti ho detto di chiedere permesso, prima di entrare?
- Eh, la memoria che se ne va con l’età! Ma ho una buona ragione: ti porto questa lettera che Madame Isabeau ti manda tramite Gaston.
- Allora esiste, questa Isabeau! – esordì Esmeralda, fiera di se stessa e del suo intuito.
- Eccome se esiste!
- Lydia! Lydia, perché non porti Esmeralda a visitare il resto del palazzo?
- Perché l’ha già visto.
- E rivederlo non le farà male. Forza, fuori, fuori…
 
- Lydia, ma tu sai chi è questa misteriosa Isabeau?
- Certo che lo so, mia cara. Ma non credo che a Claude farebbe piacere se te ne parlassi.
Isabeau è… Beh, Isabeau è storia vecchia.

  
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