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Autore: Carmilla Lilith    24/03/2011    4 recensioni
Evelyn vive nella foresta, senza curarsi della sua fama di strega. La sua vita trascorre solitaria ma serena fino al suo incontro con Lucian, giovane ed affascinante cavaliere.
Songfiction basata su "Running up that Hill" di Kate Bush, anche se mi sono ispirata all'interpretazione dei Within Temptation, e partecipante al contest "Forgotten Dreams" indetto da Aki Asage.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La strega e il cavaliere
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It doesn't hurt me.
Do you want to feel how it feels?
Do you want to know that it doesn't hurt me?
Do you want to hear about the deal that I'm making?
It's you and me.

 

Dormi sereno, amore mio. Il tuo respiro regolare è l’unico suono che riesco ad udire, è così strano che ci sia tanto silenzio! Non c’è il richiamo del gufo o della civetta e non riesco ad udire l’ululato dei lupi: non sono tanto gli sguardi sprezzanti o i commenti della gente a ferirmi ma quest’innaturale lontananza dalla natura.

Più volte mi hai chiesto il motivo della mia tristezza, ma non riesci a comprendere le mie risposte. Ho apprezzato immensamente la piccola serra che hai creato per me nella nostra terrazza, ma non capisci che non mi è sufficiente?

Sei la persona che più amo al mondo e so che per te è lo stesso, ma dovresti essere al mio posto per capire ciò che sento. Io e te, amore mio, così vicini e così lontani.

 

***

 

Sono sempre stata a conoscenza della mia reputazione di strega: la donna che mi adottò godeva della medesima fama e, quando mi trovò nella foresta e decise d’allevarmi, sapeva che mi avrebbe condannata ad una vita da emarginata.

Vivevamo nella nostra piccola capanna nella radura, dove appresi a leggere, scrivere, distinguere le erbe velenose o inutili da quelle curative. Crescevo serena, con tutto l’amore di cui avevo bisogno. Avevamo numerosi clienti, bisognosi dei nostri medicinali ma carichi di pregiudizi nei nostri confronti, ma non ci curavamo di ciò.

Poi, mia madre (la consideravo come tale), ormai anziana, morì. La seppellii nella radura, poco distante dalla nostra amata capanna. Sapevo badare a me stessa, quindi proseguii la mia vita serenamente, anche se nella più totale solitudine. Almeno fino al giorno in cui t’incontrai.

 

Vagavo per la foresta, in cerca di alcune erbe officinali, quando ti notai: riposavi tranquillo sotto una quercia secolare, il tuo maestoso destriero nero era legato ad un faggio poco distante.

I pochi raggi che riuscivano ad oltrepassare la folta barriera dei rami t’illuminavano i capelli color dell’oro e la corta barba del medesimo colore. Indossavi una sontuosa armatura e non potei fare a meno di notare quanto il tuo fisico fosse imponente.

Ero incredibilmente incuriosita e così mi sedetti accanto a te per osservarti. Dopo qualche minuto non riuscii a resistere alla tentazione di toccare i tuoi capelli, per poi sfiorarti dolcemente la fronte, le guance ed il naso. Improvvisamente i tuoi occhi si aprirono, rivelando il loro azzurro sorprendente.

Mi ritrassi rapidamente, conscia d’aver commesso una sciocchezza.

“Chi sei?” mi domandasti, tirandoti a sedere. “Mi chiamo Evelyn.” risposi, mantenendomi comunque ad una certa distanza.

Non sembravi minimamente turbato, solo incuriosito quanto me: la mia giovane età, la mia costituzione esile e la mia espressione ingenua ti avevano fatto comprendere quanto sarebbe stato sciocco considerarmi una minaccia.

“Io mi chiamo Lucian. Che cosa ci fai tutta sola nella foresta? Ti sei persa?” mi domandasti, preoccupato. Non riuscii a trattenere un sorriso. “Io vivo nella foresta! Tu, piuttosto, cosa ci fai qui tutto solo?” risposi, divertita.

“Mi sto recando a rendere i miei servigi di guardia per il signore della città oltre la collina. Davvero vivi nella foresta?” Eri sempre più incuriosito e credo che già allora la mia carnagione candida, le dita sottili, gli occhi smeraldo ed i capelli rosso tiziano ti avessero colpito.

“Sì, sono una strega!” risposi, curiosa di assistere alla tua reazione. Sorridesti.

“Sembri molto più simile ad una fata, Evelyn. O forse ad un’elfa!” dicesti, alzandoti in piedi.

“Si vede che non provieni dalla città!” osservai, scuotendo la testa. Ti avvicinasti e mi porgesti la mano. La presi e mi alzai in piedi.

“Soltanto uno sciocco potrebbe vedere del male in una creatura tanto adorabile!” dicesti. Arrossii leggermente. “Sei in viaggio da molto, Lucian? Desideri riposarti in un luogo più confortevole?” domandai, raccogliendo il mio cestino.

“Mi stai offrendo ospitalità?” domandasti, con un sorriso. Annuii. “Puoi trascorrere la notte della mia capanna e il tuo cavallo potrà pascolare nella radura che la circonda.” proposi.

Ponderasti la mia offerta. “Non vedo alcun male nella tua proposta, posso permettermi un po’ di ritardo! Posso offrirti un passaggio sul mio destriero?” accettasti, infine.

“Non sono mai stata a cavallo!” osservai, perplessa. “Non preoccuparti, dato che non conosco la strada non andremo al galoppo. Basta che tu stia stretta a me e tutto andrà per il meglio!” mi rassicurasti.

Mi aiutasti a montare a cavallo e, seguendo le mie indicazioni, giungemmo alla capanna.

 

Preparai una saporita zuppa di legumi, che gradisti particolarmente. Mentre cenavamo ti raccontai la mia storia e tu mi narrasti la tua: la tua era una famiglia nobile e sin da piccolo avevi nutrito il sogno di divenire un cavaliere, difensore degli oppressi. Dopo aver a lungo militato nell’esercito del nostro Paese eri stato richiesto per prestare servizio per il corpo di guardia di Lord Ruthaven, signore della città che si trovava oltre la collina che delimitava la foresta dove vivevo. Stanco per il viaggio avevi deciso di riposarti nella foresta, dato che non eri a conoscenza delle voci che la volevano popolata dalle streghe.

“E la strega saresti tu?” domandasti, divertito. “Già!” ammisi, con un sorriso.

“Non sei spaventato?” domandai. “Piuttosto direi stregato, cara Evelyn! Vedo l’innocenza sul tuo volto, non sei una creatura malvagia!” rispondesti, con dolcezza. Arrossii nuovamente: era da circa due anni, da quando mia madre era morta, che nessuno mi trattava con tanto affetto.

 

Nonostante le mie proteste rifiutasti di dormire nel mio letto, così ti preparai un giaciglio confortevole poco distante dal camino.

Non riuscii a chiudere occhio e credo che a te accadde lo stesso. Avevo diciott’anni ma non avevo avuto molte occasioni per conoscere degli uomini, quindi non riuscivo minimamente a comprendere lo strano turbamento che avvertivo. Sentivo che avrei sofferto quando, la mattina seguente, mi avresti lasciata ma non sapevo perché.

 

L’indomani, dopo la colazione, mi dicesti che dovevi partire. Eri nervoso, riuscivo a sentirlo, e anch’io lo ero.

“Davvero sei così malvista, in città?” mi domandasti, esitante. “Direi proprio di sì.” ammisi, con un sorriso amaro.

“Quindi non posso chiederti di seguirmi, vero?” domandasti. Scossi la testa. “Presentarti in città per la prima volta accompagnato da una strega non è una buona idea, Lucian.”

“Allora posso tornare a trovarti?” La domanda mi colse totalmente impreparata, così impiegai qualche istante a rispondere: “Sì, certo! Mi farebbe molto piacere! Spero soltanto che tu non dimentichi la strada!”

“Puoi stare certa, dolce Evelyn, che non dimenticherò nulla che ti riguardi!” mi promettesti, prima di salutarmi per un’ultima volta e partire.

 

And if I only could,
I'd make a deal with God,
And let him to swap our places,
Be running up that road,

Be running up that hill,
Be running up that building.

 

Ogni domenica, quando ci rechiamo nella cattedrale per assistere alla messa, mi sento incredibilmente a disagio: tutti mi guardano come se ci fosse qualcosa di cui dovrei pentirmi o, quantomeno, vergognarmi.

Dio mi odia? E perché mai dovrebbe? Fino a pochi mesi fa ero all’oscuro della sua stessa esistenza! Ma se è lui che ha creato la Natura e le sue molteplici manifestazioni, allora lo adoro.

Ho rispettato ogni Sua creatura, non ho mai mentito e il mio corpo è ancora puro così come, credo, la mia anima. Perché la gente crede che Dio dovrebbe odiarmi?

Se Egli non mi odiasse, gli chiederei di fare un patto: vorrei che ci scambiassimo di posto, amore mio! Vorrei che tu capissi quanto e perché sto soffrendo e vorrei capire che cosa stai provando tu.

Forse dopo saremmo così forti da percorrere rapidamente la strada principale della città e da scalare la collina che ci separa la foresta. Sarei in grado di scalare persino la cattedrale, ne sono certa!

 

***

 

Ebbi conferma della tua onestà quando, una settimana dopo il nostro primo incontro, tornasti. Sentii la cavalcata impetuosa del tuo destriero e abbandonai il mio lavoro di ricamo per raggiungere la radura.

“Evelyn!” mi salutasti, entusiasta, scendendo da cavallo. Per la prima volta in vita mia, mi tremavano le gambe ed avvertivo una stana emozione che faceva battere il mio cuore all’impazzata.

“Lucian! Sei tornato!” esclamai, euforica. “Ne dubitavi? Sono un cavaliere, è mio dovere mantenere la parola data!” mi dicesti, sorridendo. “E poi volevo assolutamente rivederti.” aggiungesti, quasi imbarazzato.

“Ti va di provare una delle mie tisane?” domandai, con gentilezza. “Certamente!” accettasti, seguendomi dentro la capanna.

 

Nel pomeriggio tentai di farti conoscere meglio la foresta, la mia vera casa. Sono certa che tu abbia capito il mio amore per il muschio che ricopre i massi, per le conifere sempreverdi e per le querce imponenti. Non posso vivere senza le felci che crescono rigogliose nel sottobosco e senza il lieve suono dell’acqua che scorre nei ruscelli.

“Sono sempre più colpito, Evelyn! Il mondo che mi stai rivelando è tanto semplice all’apparenza quanto in realtà complesso ed affascinante!” osservasti, rapito, mentre sedevamo su un masso accanto ad una cascatella.

“Questo è il mio mondo, la mia intera esistenza!” dissi, osservando i riflessi della luce del sole sugli schizzi d’acqua. “Forse dipende anche dal fatto che non hai mai vissuto in alcun luogo se non qui.” osservasti, pensieroso.

“Può essere! Ma la mia famiglia ormai è composta dalla foresta e dalle creature che la abitano. Qui ho tutto ciò che mi serve per essere felice!” risposi.

 

Quella sera cenammo nuovamente insieme e notai quanto fossi pensoso, quasi rabbuiato. Tentai d’intavolare discorsi allegri ma continuavo a sentirti un po’ distante, nonostante notassi il tuo sforzo per assecondare il mio buonumore.

Ti preparai un’altra tazza di tisana e mi sedetti con te accanto al camino. “Cosa ti turba, Lucian?” domandai, preoccupata.

“Non so spiegartelo Evelyn. So soltanto che domani sarà nuovamente doloroso per me lasciarti qui e tornare in città.” rispondesti. “Allora puoi restare con me, se vuoi!” proposi, quasi senza pensarci.

Sorridesti. “Vorrei tanto, ma non posso venir meno al patto che ho stretto con Lord Ruthaven!”

“Ti piace così tanto stare in mia compagnia?” domandai. “Sì, moltissimo! Non ho mai conosciuto una ragazza bella e dolce quanto te!” rispondesti, poggiando la tazza per poi prendermi la mano.

Il mio cuore riprese a battere molto velocemente e ringraziai la penombra che celava il mio rossore. “Tornerò a trovarti, Evelyn. Ogni settimana tornerò qui e se un giorno vorrai seguirmi, farai di me l’uomo più felice della Terra!” dicesti, emozionato.

Poi posasti le tue labbra sulle mie ed io restai pietrificata: avevo letto soltanto trattati di storia e libri d’erboristeria, ma nessun romanzo. Non avevo la più pallida idea di come si baciasse.

Anzi, non sapevo proprio che cosa fosse un bacio! Fortunatamente ti limitasti ad un timido sfioramento di labbra, per poi scostare dolcemente la bocca.

 

Non capivo che cosa potesse significare quant’era appena accaduto ma sapevo che ero emozionata e che tu lo eri quanto me. Dormimmo insieme nel mio letto, abbracciati, nella più totale innocenza.

La mattina seguente, quando mi lasciasti, promettesti nuovamente di tornare a trovarmi la settimana seguente. E così fu: per nessuna ragione mancavi di visitarmi e di portarmi in dono dei libri che narrassero del mondo che si trovava oltre la foresta.

 

You don't want to hurt me,
But see how deep the bullet lies.
Unaware I'm tearing you asunder.
Oh, there is thunder in our hearts.

Is there so much hate for the ones we love?
Oh tell me, we both matter, don't we?
It's you, it's you and me.
It's you and me won't be unhappy.

 

So che non è mai stata tua intenzione farmi del male, ma le ferite che la vita in città mi ha inferto sono dannatamente profonde. Ci sono momenti in cui ti odio per avermi convinta a seguirti qui e credo che a volte anche tu provi astio nei miei confronti, come quando m’isolo nella sera in compagnia di Plutone, lo splendido gatto nero che mi hai regalato, o quando divento fredda e silenziosa senza alcun motivo apparente.

Non posso dire d’essere totalmente infelice: quando torni a casa e restiamo a chiacchierare nella serra o quando mi addormento stretta nel tuo caldo e rassicurante abbraccio, l’odio e il dolore non importano più e torno ad essere veramente felice. Ma quando sei di guardia ed io devo restare sola, mi sento sopraffare dall’angoscia e il mio unico desiderio rimane quello di fuggire.

 

***

 

Man mano che leggevo i romanzi che mi regalavi, la curiosità che provavo per la vita che si svolgeva nel mondo civilizzato aumentava. In effetti non avevo mai vissuto al di fuori della foresta e l’idea d’imbarcarmi in un’avventura come quella di cambiare radicalmente stile di vita mi affascinava, soprattutto se avevo la possibilità di averti al mio fianco.

Tutte quelle storie d’amore eterno, senza dubbio, m’influenzarono: cominciavo a dare un nome alle sensazioni che provavo in tua compagnia, soprattutto dopo che le nostre effusioni divennero più concrete. Per la prima volta in vita mia desideravo ardentemente la compagnia di un essere umano e mi trovavo a disagio quando mi lasciavi nella solitudine della mia capanna.

Fu così che, circa tre mesi dopo il nostro primo incontro, decisi di seguirti in città. “Evelyn, sei sicura della tua decisione? Non voglio forzarti in alcun modo!” mi domandasti, quando ti comunicai la mia decisione.

In realtà ero ancora titubante ma quando vidi uno strano misto di speranza e gioia illuminarti lo sguardo, resi definitiva la mia decisione: “Sì, Lucian. Voglio venire a vivere con te!” confermai, sorridendo.

La tua espressione divenne raggiante e mi baciasti appassionatamente. “Dammi il tempo per sistemare le cose in città, la settimana prossima verrò a prenderti!” mi promettesti, accarezzandomi dolcemente il volto.

Ero emozionata, innamorata e, anche se un po’ intimorita, pronta a seguirti ovunque.

 

Le cose purtroppo non andarono come avevamo sperato: i pregiudizi nei miei confronti sono profondamente radicati nella popolazione cittadina e per me è complicato persino recarmi al mercato.

Tutti ritengono che tu sia sotto un mio sortilegio o incantato dalle mie arti amatorie (che, tra l’altro, non abbiamo mai saggiato) e, nonostante ti sia prodigato per smentire ogni maldicenza e per lodare le mie virtù, ogni sforzo è stato vano.

***

Sospiro e, dopo essermi alzata, mi avvicino alla finestra: sono come uno dei maestosi rapaci che Lord Ruthaven utlizza per la caccia, costretta a vivere in una prigionia dorata, facendo violenza al mio spirito libero. Trascorro le giornate curando le piante ed il mio adorato Plutone, cucinando, ordinando la casa e suonando il violino, l’unica scoperta degna di nota fatta in città.

L’unica evasione che mi è concessa è visitare l’ospizio dei poveri ed adoperarmi per aiutare quella povera gente, emarginata come me. Quando mi accompagni all’ospizio e mi aiuti nella mia attività di assistenza avverto la tua soddisfazione: aiutare e proteggere i più deboli, è questo ciò che vuoi, non servire un rozzo ma potente signorotto!

La brezza notturna mi distrae dai miei pensieri: riesco ad avvertire l’effluvio del sottobosco, l’odore familiare della mia patria, la foresta! Resto immobile, confusa, per poi dirigermi silenziosamente verso l’armadio: il mio pesante mantello nero con cappuccio è sempre lì, anche se non l’ho più potuto indossare per non fomentare le voci sulla mia presunta stregoneria.

Devo fuggire, subito! Se mi fermassi a riflettere sono certa che cambierei idea, condannandomi a numerosi anni di prigionia e sofferenza.

“Perdonami, se puoi.” ti sussurro, prima d’indossare rapidamente il mantello e dirigermi a passo svelto verso l’esterno.

 

"C'mon, baby, c'mon darling,
Let me steal this moment from you now.
C'mon, angel, c'mon, c'mon, darling,
Let's exchange the experience, oh..."

 

Finalmente a casa! Forse per l’ebbrezza provata appena ho realizzato d’essere nuovamente libera o forse per il semplice desiderio di tornare a casa ho corso a perdifiato, fermandomi soltanto poche volte per ristorarmi. Manca poco all’alba, ma sono totalmente sfinita, così mi sdraio sul mio letto, spartano ma accogliente, e mi abbandono all’oblio.

 

La prima visione al mio risveglio è: me stessa! Confusa, osservo la mia figura di schiena, intenta ad alzarsi dal letto. Mi trovo nella casa in città, com’è possibile tutto questo?

Meravigliata, mi osservo e finalmente capisco che sta succedendo: sono nel corpo di Lucian, sono lui!

La mia meraviglia non cessa quando percepisco una forte angoscia: mi sento in colpa, dannatamente in colpa, e molto confuso. Sento di aver condannato la donna che amo ad una vita triste e per nulla adatta a lei. Il suo entusiasmo, la sua dolcezza e tutta quella luminosità che aveva quando ci siamo conosciuti si stanno lentamente spegnendo.

Vorrei tanto poter tornare con lei nella foresta, dove anch’io mi sentivo sereno ad appagato, ma non mi sento in grado di sciogliere il patto stipulato con Lord Ruthaven, nonostante fare la guardia di quel viziato e spregevole individuo non mi gratifichi in alcun modo.

Ti volti verso di me, per poi posare un dolce e casto bacio sulle mie labbra: come fai ad amarmi ancora, con tutto quello che ti sto facendo passare? Mi sento così in colpa, angelo mio!

Non è semplice scegliere tra il mio onore e l’amore della mia vita, ma so che prima o poi dovrò prendere una decisione. Non posso permettermi di farti soffrire in questo modo!

 

Mi sveglio di scatto, spaesata e confusa. La luce dorata del sole illumina la mia capanna, ormai dev’essere pomeriggio inoltrato.

Cos’è accaduto? Dio ha veramente esaudito la mia preghiera? Sono mortificata: se davvero i tuoi pensieri, amore mio, erano quelli che ho sentito nel sogno, allora ho agito in maniera totalmente egoistica, preoccupandomi soltanto di ciò che provavo io e senza vedere quanto fosse doloroso per te vedermi in quello stato.

I miei pensieri vengono bruscamente interrotti dal familiare suono di una cavalcata. Esterrefatta, raggiungo la radura e ti vedo arrivare: sei proprio tu, angelo mio, stai tornando da me.

Scendi rapidamente da cavallo e mi vieni incontro. Mentre ti abbraccio mi accorgo che sto piangendo come una bambina.

“Scusami, amore mio! Non volevo farti soffrire, perdonami!” dico, tra le lacrime. “Scusami tu, piccola mia! Sono stato io a ferirti, ho sbagliato! Ma ora si sistemerà tutto!” mi rispondi, tempestandomi di baci.

“Non rinuncerò mai più a te, Evelyn! Ho già comunicato a Lord Ruthaven che non presterò più servizio nelle sue guardie. Verrò a vivere qui con te!” mi comunichi, non appena riesco a calmarmi.

“No, Lucian! Non posso chiederti tanto, fare il cavaliere è sempre stato il tuo sogno!” protesto.

“Evelyn, il mio unico desiderio è sempre stato difendere gli oppressi e non è ciò che sto facendo ora.

Se tu sei d’accordo, quando l’autunno e l’inverno saranno trascorsi, faremo trasferire qua i poveri dell’ospizio e ci prenderemo cura di loro! Collaborando potremo costruire un piccolo villaggio dove condurre un’esistenza serena!”

“Stai dicendo sul serio?” domando, stupita. Annuisci, raggiante e sicuro delle tue parole.

“Ti amo Lucian, ti amo da impazzire!” esclamo, stringendoti nuovamente a me e baciandoti.

“Anch’io ti amo, Evelyn, e volevo parlarti proprio di questo!” dici, una volta terminato il bacio. T’inginocchi e mi prendi la mano. “Evelyn, vuoi sposarmi?” domandi, emozionato.

Resto come pietrificata per qualche istante. “Lucian, tu sei totalmente impazzito! Ed è proprio per questo che ti voglio come marito!” esclamo poi, euforica.

Ti alzi in piedi e stai per baciarmi, quando uno strano rumore proviene dalla saccoccia assicurata al tuo destriero.

“Oh cielo! Ho dimenticato di liberare Plutone!” esclami, correndo a liberare il sinuoso felino, che ti rivolge un’occhiata offesa.

“Plutone, tesoro mio!” esclamo, prendendo tra le braccia il gatto nero, visibilmente entusiasta di rivedermi.

 

Be running up that hill/

With no problems/

 

I nostri desideri si sono finalmente realizzati, amore mio!

Siamo riusciti a creare un piccolo villaggio dove tutti coloro che sono stati abbandonati possono trascorrere un’esistenza serena. Questo non prima del nostro matrimonio, il cui frutto sta germogliando nel mio grembo.

Non ti ho mai visto così sereno e felice, mio signore, e non posso evitare di rivolgere le mie preghiere al Dio che, quel fatidico giorno, ci ha fatto vivere per pochi istanti i ricordi dell’altro, facendoci capire che cosa ci stava realmente accadendo.

E quando, a volte, ci lanciamo al galoppo sul tuo cavallo, giungendo sulla cima della collina per ammirare la città che dorme, mi sento veramente libera e priva di problemi. 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Per cominciare, una piccola precisazione: verso la fine del racconto si passa dalla voce narrante femminile a quella maschile in quanto Evelyn è totalmente coinvolta dai ricordi di Lucian e quindi s’identifica con lui, adottando di conseguenza il genere maschile. Il passaggio termina con la fine del sogno.

 Era molto tempo che non mi dedicavo alle fiabe, ma per il contest di Aki Asage "Forgotten Dreams" mi è  parsa la scelta migliore!  Un vero peccato che il contest non si sia propriamente concluso, dato che siamo rimaste in due. Ad ogni modo spero che il racconto vi sia piaciuto!  

   
 
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