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Autore: My Pride    28/03/2011    1 recensioni
Sono cresciuto per esser così capace di sorridere anche attraverso il dolore più grande.
«Feh! Avevo bisogno di starmene da solo»
«Tu hai sempre bisogno di startene da solo»
«Non cominciare, Miroku. Non è serata»
[ Prequel della one-shot «Until our wisdom is exhausted» ]
[ Accenni Miroku/Sango, Inuyasha/Kagome e Miroku/Inuyasha ]
[ Missing Moment dei capitoli presenti alla fine del volume sessanta e all’inizio del sessantuno ]
[ Terza classificata al contest «Quando l'amore può vincere anche un destino avverso» indetto da Lady Kid1412 ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango, Shippou
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pray to the moon'
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Shade Garden & Sky_2
SHADE GARDEN & SKY
 
Sono cresciuto per esser così capace
di sorridere anche attraverso il dolore più grande.
 
02. CHAPTER TWO
FALLIN’ APART

 
    Il sole si levava alto nel cielo, irradiando con la sua luce il paesaggio circostante. Dal fianco della montagna che stavamo discendendo, si riuscivano a scorgere a valle i campi di riso che luccicavano sotto di essa, e le sagome distanti dei contadini che aravano la terra.
    Per ridiscendere a valle, fummo costretti a passare nuovamente per i boschi, evitando alla bell’e meglio la vegetazione ivi presente. Fu però tutt’altro che facile, poiché le vesti di tutti noi, proprio com’era capitato sere addietro a me e Inuyasha, si impigliavano nei giovani rami dei cespugli e ci toccava dunque fermarci a districarle. Più volte dovemmo ritornare sui nostri passi, proprio a causa di quelle stesse piante. Spesso, forse anche troppo, il sottobosco era così fitto da creare una sorta di barriera naturale, impedendoci di avanzare spediti come avremmo voluto.
    Ormai erano passate ore, e della civiltà ancora nessun segno. Gettando di tanto in tanto qualche occhiata dietro di me, così da controllare dove fossero le ragazze e Shippo, tornavo poi a guardare avanti solo per vedere Inuyasha, forse più nervoso di tutti noi come suo solito, farsi strada ad artigli spianati. Io mi limitavo semplicemente a scostare qualche ramo quando m’impediva il cammino, avanzando forse un po’ troppo a rilento per i suoi gusti. Il cinguettio fra la cappa di fogliame sopra di noi rendeva quella nostra avanzata piuttosto tranquilla, e tutto sommato, nonostante gli arbusti che ci sbarravano il cammino, il luogo in cui ci trovavamo era molto calmo. Non avevamo nemmeno visto l’ombra d’un demone, per il momento, e la cosa, per quanto strana, ci stava bene così. Io avrei potuto aiutare ben poco, se fosse servito. Nonostante avessi preso la medicina di Yakuro Dokusen, quella avrebbe solo fatto in modo che io non sentissi più il dolore e la sofferenza procuratami dal risucchiare l’aura velenosa di qualche spettro. Se l’avevo bevuta, però, era solo per non rischiare che Sango si sacrificasse ancora per me. Sebbene da un po’ di tempo i miei pensieri fossero confusi, probabilmente proprio a causa di quel destino che mi ero ritrovando a fronteggiare e che, in cuor mio, forse non volevo accettare, non potevo permettere che lei mettesse in gioco la sua vita per salvarmi. Non me lo sarei mai perdonato.
    Scossi la testa per allontanare ancora una volta quei pensieri, cercando di concentrarmi unicamente sulla sensazione di benessere che era capace di conferirmi il tocco della vegetazione circostante. Le spine dei rovi, bagnate dalla rugiada mattutina, mi inumidivano i polpastrelli delle dita con cui le toccavo e mi ferivano, procurandomi piccoli taglietti dai quali fuoriusciva qualche stilla di sangue. Forse era proprio per quel motivo che Inuyasha si voltava di tanto in tanto a guardarmi, rallentando poi il passo quando vedeva le ragazze indietro, alle quali mi affiancavo rapidamente per non lasciarle sole.
    Giungemmo ben presto nei pressi di un laghetto, venendo assordati dal gracidio che si levava da esso. Le acque erano limpide e il sole, che luccicava sulla sua superficie, faceva risplendere quello specchio donando al restante paesaggio un’aria rilassante e benefica, accentuata probabilmente anche dal profumo dei pochi fiori che erano riusciti a sbocciare non molto lontani dalle sue rive. Un uccello planò d’improvviso a pelo d’acqua e immerse immediatamente il capo piumato sotto la superficie, riaffiorando subito dopo con il suo pranzo nel becco. A quella vista sorrisi come un idiota, afferrando saldamente lo shakujo per riprendere il mio cammino, giacché mi ero fermato senza rendermene conto. Dovetti affrettare di poco il passo per raggiungere gli altri restando comunque indietro per guardar loro le spalle. Per quanto piacevole fosse, quella quiete era tutto fuorché normale.
    «Che ne direste se ci fermassimo un po’?» si fece udire la voce di Kagome, e io, che avevo cominciato a guardare con sospetto i dintorni e persino le canne del laghetto che si muovevano di tanto in tanto, stornai nuovamente lo sguardo verso di loro.
    Vidi Inuyasha scoccarle un’occhiata ma, nonostante le sopracciglia stranamente aggrottate da quella che sembrava preoccupazione, era palese che quella sosta l’avrebbe innervosito. «Sei stanca, Kagome?» le domandò in risposta, ed ero certo che Shippo l’avrebbe attaccato con una delle sue solite uscite se non stesse sonnecchiando fra le braccia di Kagome stessa.
    «Abbastanza», dovette ammettere, e fu a quel punto che mi avvicinai, facendo tintinnare gli anelli del bastone. Qualcosa, nella voce di Inuyasha, mi aveva stranamente scosso. «Secondo il mio parere, dovremmo almeno provare a ridiscendere a valle e cercare il villaggio più vicino», asserii, richiamando su di me la loro attenzione. «Il posto appare tranquillo, certo, ma restare fino al tramonto non mi sembra l’ideale».
    «Credo che il Maestro abbia ragione», concordò Sango, abbassando lo sguardo sulla sua gattina, accoccolata sulla sua spalla. «Anche Kirara sembra agitata».
    A quel punto, forse convinto dalle nostre parole, Inuyasha tornò a guardare Kagome e le diede poi la schiena, chinandosi in modo che potesse aggrapparsi. «Ti porterò sulle spalle», le disse semplicemente, afferrandola meglio lui stesso quando lei si sistemò.
    Riprendemmo così il nostro cammino, affrettando maggiormente il passo quando ci fu permesso dalla vegetazione del bosco. Io e Sango salimmo in groppa a Kirara, mentre Inuyasha ci precedette insieme a Kagome. A causa della velocità con cui procedevamo anche Shippo si era svegliato, e da dove mi trovavo potevo benissimo vedere che si era aggrappato alla spalla di Kagome per evitare di cadere.
    Ci volle mezza giornata prima che riuscissimo a scendere dalla montagna, ritrovandoci nei pressi dei campi di riso che avevamo visto dall’alto. Appariva tutto tranquillo, ma, esattamente come avevo sospettato, quella quiete durò poco: alcuni abitanti del villaggio, avendoci forse adocchiati in lontananza, stavano avanzando trafelati nella nostra direzione. Perché mi sembrava una scena già vista e rivista, quella?
    «Qual gioia che siate qui, onorevole monaco!» esclamò un uomo basso e tarchiato non appena ci raggiunse, accompagnato da un giovane che presupposi fosse suo figlio a causa della somiglianza tra di loro.
    Ben comprendendo cosa stessero per chiedermi feci per aprire la bocca, ma vidi appena di sfuggita Inuyasha alzare lo sguardo al cielo, sentendolo sbuffare subito dopo. «Non abbiamo tempo da perdere con simili sciocchezze, Miroku», asserì nervoso, capendo a sua volta dove ci avrebbe portati quella discussione.
    Io mi affiancai a lui di soppiatto e guardai di sfuggita il capo villaggio, che si stava frattanto torcendo le mani, tornando ben presto ad adocchiare lui. «Aiutare il prossimo non ha mai fatto male a nessuno, Inuyasha», gli sussurrai, coprendomi di poco la bocca con il dorso d’una mano come per camuffare il movimento delle mie labbra. «E poi in questo modo avremo anche un tetto sopra la testa, almeno per stanotte».
    Sollevò appena un sopracciglio. «Avrei dovuto immaginare che c’era sotto qualcosa».
    «Se Buddha ci ha portati fin qui un motivo ci sarà, non credi?» ironizzai, e senza attendere una sua possibile replica mi riavvicinai all’uomo, facendo tintinnare gli anelli del mio bastone. «Qual è il problema?» domandai, come se fosse la prima volta che mi ritrovavo in situazioni del genere.
    L’uomo spostò il suo sguardo dapprima su Inuyasha - che di certo non ispirava granché fiducia con il suo sguardo truce - e poi sulle ragazze e il piccolo Shippo, ritornando ben presto a guardare me. Fece per aprire la bocca, ma alzai di poco la destra per interromperlo.
    «Non dica niente, signor capo villaggio», cominciai, avvicinandomi maggiormente io stesso mentre facevo tintinnare gli anelli dello shakujo come se ce ne fosse un reale bisogno. «Posso ben immaginare quale problema affligga voi e il vostro villaggio», mi sembrava quasi di sentire gli sguardi scettici dei miei compagni trapassarmi la schiena, però non ci feci caso e continuai. «Mi occuperò io di tutto, non tema», ripresi, sorridendogli nel più affabile dei modi. «Non chiediamo molto. Ci basta solo un giaciglio, qualcosa da mangiare, qualche ragaz...» non riuscii a terminare la frase che venni colpito come al solito dall’Hiraikotsu di Sango. «Un pasto caldo e un posto per la notte ci basteranno», rettificai immediatamente, sentendo su di me l’aria minacciosa della mia futura moglie e anche il dolore alla testa provocato dal colpo.
    Anche se l’espressione del capo villaggio mutò, divenendo probabilmente meno sicura di quanto non apparisse prima delle mie parole, ci guidò frettolosamente all’interno del paesino, e risalimmo con lui la stradina sterrata e circondata da erbacce che portava verso la sua abitazione, posta in sommità di una piccola collinetta per aver in quel modo maggior controllo sui dintorni.
    Sebbene al principio avessi creduto che si trattasse solo di superstizione, giacché non avevo avvertito niente fino a quel momento, dovetti ricredermi non appena sentii una leggera aura maligna al di sopra di quell’abitazione. Mi avvicinai dunque in gran fretta ai battenti della recinzione che proteggeva la casa, infilando una mano al di sotto della kesa per estrarre alcuni fuda
 [1] sotto lo sguardo dei miei compagni e del capo villaggio. Ne applicai due sul legno e recitai una preghiera sottovoce, sentendo lo spirito agitarsi e fremere con vigore, per nulla intenzionato a lasciare quel luogo. Ma con un po’ di insistenza lo spirito uscì con un ruggito, rivelandosi semplicemente un cane di montagna. Volò via nello stupore generale, portandosi dietro la sua aura maligna.
    Mi voltai dunque verso il capo villaggio, sorridendogli nel più affabile dei modi. «Da questo momento in poi non ci saranno più problemi», lo rassicurai, e lui mi venne in contro per ringraziarmi.
    «Non so proprio come avremmo fatto senza di lei, onorevole monaco», mi disse. «Avevamo ormai perso ogni speranza».
    «Il merito non è mio, signor capo villaggio, ma del buon Buddha che ha guidato fin qui i miei passi», ribattei candidamente, e per uno strano motivo che non compresi, dopo essermi congedato da quell’uomo - che ci aveva frattanto invitati a seguirlo - e suo figlio, sentii su di me nuovi sguardi scettici. Adocchiai appena i miei compagni, trovandoli tutti e quattro con un sopracciglio sollevato e le braccia incrociate al petto. Persino Kirara sembrava rispecchiare le loro stesse espressioni.
    «Ma guarda, allora anche questa volta c’era davvero».
    «E io che credevo che lo dicesse solo per scroccare un pasto caldo».
    «Chi l’avrebbe mai detto».
    «Ehi...» li richiamai, interrompendo quei loro botta e risposta con un pizzico di nervosismo. Quanta fiducia che dimostravano avere in me. «Non sono sempre un truffatore, ragazzi, mi conoscete bene».
    Fu Sango a sbuffare ilare, guardandomi di sottecchi. «E’ proprio perché ti conosciamo bene che abbiamo imparato a diffidare, Maestro», sembrò ironizzare, caricandosi meglio la sua arma sulle spalle prima di seguire gli altri, che avevano deciso di andare avanti senza aspettarci.
    Io la raggiunsi svelto, accostandomi a lei. «Sei sempre così crudele con me, mia dolce Sango», mi lagnai falsamente, provando poi ad allungare distratto una mano verso il suo sedere. Lei però scostò l’Hiraikotsu in modo che le nascondesse il fondoschiena, impedendo così al mio palmo di raggiungere il suo obiettivo.
    «Non attacca», mi freddò, e dovetti purtroppo arrendermi all’evidenza. Neanche questa volta avrei avuto un assaggio di ciò che desideravo. Forse l’unico lato positivo di tutta quella faccenda era stato l’aver trovato un tetto sopra la testa per quella notte, chi poteva dirlo
.





[1] Più comunemente detti o-fuda o talvolta chiamati shinpu, sono dei talismani di origine buddhista che divennero molto comuni anche nello shintoismo.
Sono realizzati scrivendo il nome di un Kami, di un tempio o di un rappresentante del Kami su un pezzo di carta, legno, stoffa o metallo.



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