Premessa: Salve a
tutti! Sebbene preferirei evitare di dilungarmi in una premessa, mi
è necessaria per dare un piccolo chiarimento riguardo questa
shot. L'idea mi è venuta durante la traduzione di un brano
dell'Antigone, in cui veniva descritta la morte di Emone, uno dei suoi
personaggi. Sebbene tale shot non abbia nulla a che fare con quel brano
(siccome l'unica cosa che viene ripresa è il nome del
personaggio), ritengo comunque utile, per capirla meglio, sapere chi
fosse Emone (sebbene suppongo che molti lo sappiano già).
Allora, l'Antigone è una tragedia greca scritta da Sofocle,
che parla, per l'appunto, della giovane Antigone che, andando contro ad
una legge ingiusta, diede sepoltura a suo fratello Polinice. Suo zio
Creonte, re di Tebe, lo aveva infatti vietato poichè il
giovane aveva attaccato la città per prenderne il potere.
Aveva quindi emanato una legge secondo cui chi avesse dato rito di
sepoltura al defunto sarebbe stato condannato a morte. Così
avviene per la povera Antigone, alla fine scoperta. Viene murata viva
in una grotta. Emone è il figlio di Creonte,
nonché promesso sposo di Antigone. Saputo della condanna, si
reca nella grotta dove trova Antigone morta, suicidatasi impiccandosi
con il suo stesso velo nuziale. Emone, disperato, si stringe al ventre
inerte della fanciulla e, quando sente arrivare il padre, che si era
nel frattempo pentito, accecato dalla rabbia, si accanisce contro di
lui cercando di ucciderlo. Fallendo miseramente e avendo ormai perso
ciò che di più importante nella sua vita, Emone
si uccide, trafiggendosi con la sua stessa spada.
Bene, adesso che ho fatto questa piccola premessa, posso anche chiudere
qui. Vi auguro una piacevole lettura! ^.^
-Tra cuori
e picche-
Emone era,
a sua detta, un uomo davvero sfortunato.
D’altronde - si ripeteva con paranoica insistenza- quali
grazie si possono attendere da un nome del genere? Malediva ogni volta
sua madre e il giorno in cui aveva deciso di chiamarlo in un simile
modo.
Quando le aveva chiesto cosa mai le fosse passato in quella testa
quando aveva preso quella decisione, lei aveva risposto:
“Sai, stavo leggendo l’Antigone e mi dispiacque
così tanto per quel poveraccio di Emone che si era ammazzato
così giovane, che mi si ruppero le acque!”.
Detto in tutta fede, lui dubitava fortemente della
veridicità di quest’aneddoto, ma siccome sapeva
bene che sua madre aveva il perverso piacere di aggiungere un tocco di
poesia ad ogni granello della sua vita, l’aveva sempre
lasciata fare.
Che poi, quale persona sana di mente leggerebbe quella tragedia greca
quando si sta lì lì per partorire?!?
Fatto sta che, all’anagrafe e nell’animo, lui era
sempre stato perseguitato da quella nomea così iellata.
E se la sua sfiga si accaniva sulle faccende più sciocche
(come l’uscire con il sole per poi ritrovarsi sotto il
diluvio universale), immaginatevi come si divertiva con faccende molto
più serie!
Ad esempio, Emone, per quanto fosse un bel ragazzo, di una spiccata e
viva intelligenza nonché di una certa verve, non aveva mai
conquistato una ragazza nemmeno ad implorarla. La sua cara adolescenza
contava tanti di quei cuori infranti da far invidia alla più
“tragica” posta del cuore.
Quand’era ancora alle elementari, si era dichiarato ad una
bambina che sembrava ricambiarlo, tanto da regalargli ogni giorno una
margherita. Per poi scoprire che le rifilava a chiunque le capitasse a
tiro perché, siccome si chiamava Margherita, le sembrava suo
dovere far loro pubblicità in un modo o nell’altro.
Poi, quando era passato alle medie, un gruppo di ragazzi aveva preso a
motteggiarlo per una presunta cotta per Adele, la sua compagna di banco
dai capelli scuri come il cioccolato fondente e le guance baciate di
lentiggini. E quella, per tutta risposta, lo aveva aspettato una
mattina al portone della scuola solo per buttargli
“accidentalmente” la cartella e i suoi sette libri
sul piede contuso.
Al liceo, se è per questo…quando Bambina gli
aveva detto di essere innamorata di lui, non aveva fatto in tempo a
passare una settimana che, coprendosi la bocca e ridacchiando come
un’oca, gli aveva comunicato di essersi – ops!-
“sbagliata”.
Il colpo di grazia, supponeva fosse stato
all’università: lui e Cloe avevano appena fatto in
tempo a festeggiare ben tre mesi insieme (senza dubbio un record, per
quel che lo riguardava) che si era
venuto a scoprire che la sua fidanzata era in realtà la
ragazza di un altro e che lui non era che il capro espiatorio designato
per far ingelosire quel tal Biagio.
Aveva pianto così tanto da sembrare un bambinone.
Ad un certo punto, persino sua madre si era stancata di starlo a
sentire e quando lui faceva il suo ingresso nella stanza, lei per tutta
risposta alzava il volume della televisione; oppure, come accennava ad
aprir bocca per un qualche patetico monologo, quella
si portava un dito alle labbra e sibilava “Shh, sto
leggendo”.
Tanto
aveva fatto, che alfine si era davvero stancato e, rassegnatosi ad un
esistenza di solitudine e gatti (sì, proprio come una
vecchia zitella), aveva deciso di farsene una ragione e basta.
Da quel giorno nel suo gruppo di amici era diventato “Emone
lo sfigato”, una sorta di mitica mascotte della comitiva. E,
per un qualche perverso paradosso, la sua sfortuna era diventata quasi
un vanto.
“no, no. Vi assicuro che più iellato di me non
c’è nessuno: persino paperino è un
principiante a mio confronto” scherzava di tanto in tanto.
Ma, come
si suol dire, chi si loda si sbroda.
D’altronde, il vantarsi della propria sfortuna cosa doveva
portare se non altra sfortuna?
Nel gruppo di fenomeni da baraccone che frequentava c’era un
accanito astrologo; insomma, uno di quelli che l’astrologia
la prende come una scienza esatta e che non si azzarda ad alzarsi dal
letto se non si è prima informato se quel giorno
l’allineamento di Giove con chissà quale altro
pianeta suggerisce di posare prima il piede destro o quello sinistro.
Così,
una sera che stavano bevendo in un pub ed
erano un po’ più ubriachi del solito, era saltato
fuori che secondo una serie di calcoli insensati, il giorno
più fortunato di tutti quell’anno sarebbe stato il
quattordici di Aprile. E fra un risata e l’altra, senza
sapere nemmeno come, si era ritrovato impegolato nella scommessa
più stupida mai fatta da qualche secolo a quella parte:
insomma, visto che i suoi amici non credevano che la sua sfiga potesse
perseguitarlo persino quel giorno, lui, da bravo spaccone, aveva
scommesso il contrario. Il fatto
che il loro cervello navigasse ormai fra tutte quei boccali di birra
che si erano scolati, decretò la sua fine: preso alla
lettera, si trovò ad assistere ad una specie di estrazione a
sorte per designare il prezioso testimone. Insomma, una piattola che
gli stesse azzeccata tutto il pomeriggio per constatare se, in effetti,
la Sfiga avesse il coraggio di presentarsi alla sua porta.
Come
potete immaginare, visto che Emone di botte di fortuna ne riceveva ben
poche, la vincitrice di quell’estrazione fu
l’ultima persona sulla faccia di quella terra che lui avesse
gradito. Allegra aveva sempre le mani scorticate dal freddo ed un
sorriso sottile che lui non si sentiva di definire sincero. Sebbene
uscissero con la stessa comitiva, Emone se ne teneva sempre a distanza
perché, in un modo o nell’altro, quella sua
allegria gli sembrava sintetica e quel tono saccente che di tanto in
tanto adottava quando gli rivolgeva la parola gli dava
l’impressione di essere tornato di fronte alla sua petulante
maestra delle elementari.
Insomma, per quanto ingiustificata, nutriva un’antipatia
quasi irrazionale nei confronti di quella ragazza e il fatto che
dovesse sorbirsi proprio lei non era che l’ennesima sfiga.
Quantomeno, la scommessa volgeva già a suo favore.
***
--14
Aprile--
-Ma sei
serio? – gli chiese quella voce un poco rauca.
-No, per
scherzo – replicò Emone con la bocca impastata dal
sonno. Erano le sette e mezzo di mattina e aveva ancora i capelli
bagnati e vischiosi per via dello shampoo, reduce della doccia
interrotta dal campanello. Come se non fosse stato sufficiente, quella
tazza di caffè nero che stringeva fra le mani non stava
sortendo alcun effetto.
Allegra
gli rivolse quel suo dubbio sorriso
-Certo che
sei davvero sfigato.
-E quello
che ti ho detto non è niente. Una volta, prima che partissi
per la Calabria con la mia Toyota nuova di zecca, mio cugino mi ha
detto ‘che bella macchina!’
La ragazza
ridacchiò, intuendo dove andasse a parare quel discorso.
-Ti si
è bucata la ruota? Che cliché!
-Sì,
mi si è bucata la ruota. Ma me ne ero accorto in tempo e
così l’aveva cambiata prima che si afflosciasse
del tutto.
-Ma
allor…
-Mi si
è ingolfato il motore – interruppe
l’altro, mordendo un cornetto con fare distratto. –
Ed era nuova di zecca – aggiunse poi, come gli fosse tornato
in mente solo in un secondo momento.
-Brutta
storia. L’hai venduta?
-No,
perché mai? L’ho data a mia madre pochi giorni
dopo. Sai, quella carretta non si è mai più rotta.
Allegra
scoppiò a ridere e i suoi singulti rauchi ma sinceri fecero
sorridere anche lui.
-Va bene,
te ne do atto: la tua iella è notevole. Ma magari tu te la
cerchi…
-E come,
scusa? Non credo di andare a cercarmi la pozzanghera in cui infangarmi
i pantaloni. E ancora non mi sono dato al sado-maso.
-Questo
no, magari – sorrise lei tra un sorso di thé e
l’altro – però, per esempio, chi
è che si è impegolato in questa scommessa?
Assurda, se posso dire.
-Non me lo
ricordare!- rantolò Emone affondando il volto fra le
braccia.
-Per me
sei troppo melodrammatico. Guarda: ti lamenti come una donzella in
difficoltà. La verità è che
più pensi di essere sfigato e più te la tiri.
Prova a sorridere alla vita!
-Non
costringermi a diventare violento – brontolò
l’altro, alzando di nuovo il viso solcato dalla stanchezza.
-Tu la fai troppo semplice…pensi che un bel giorno mi sia
svegliato e abbia detto “toh, oggi mi va di diventare
pessimista”?E’ che ormai me ne sono capitate
così tante che il mio ottimismo si è ritirato in
pensione. Così come la speranza di trovarmi qualcuna
– aggiunse a bassa voce.
-Uh?
E’ tutto qui il vero problema? Soffri perché
nessuna ti fila? – chiese l’altra con tono di
scherno.
Figurarsi se non lo aveva sentito! A
quanto pareva, la storia della scommessa non gli aveva insegnato a
tenere chiusa quella sua boccaccia.
Grattandosi
un poco il capo, si alzò dalla tavola e scomparve in salone,
lamentandosi dello shampoo che si era ritrovato sul palmo della mano.
Allegra, non sapendo bene che fare, rimase ancora un poco seduta,
guardandosi intorno. Ma quando non sentì più
alcun rumore, lo chiamò leggermente agitata, tendendo le
orecchie in attesa di risposta.
-Sì,
sto arrivando – rispose con fare scocciato Emone, tenendo
qualcosa nella mano destra. Poi, sedutosi comodamente sulla sedia,
poggiò sul tavolo i mazzi di carte che aveva cercato poco
prima nel salotto. Infine, prese a separare i quadri ed i fiori dai
cuori e dalle picche.
-Ma cosa
stai facendo? – chiese l’altra perplessa.
Emone, dal canto suo, non rispose, continuando nella sua opera con
l’aria di una di quelle cartomanti che si vedono alle volte
nei luna park. Se solo non fossero state carte francesi, Allegra
avrebbe giurato che il ragazzo avesse tutta l’intenzione di
fargli i tarocchi.
Conclusa
la sua opera di cernita sotto lo sguardo curioso della compagna, Emone
mise da parte i quadri e i fiori e, preso quel che restava del mazzo,
cominciò a mischiarlo con maniacale attenzione. Vedeva la
ragazza poggiare il gomito sul tavolo e sorreggersi il capo, in parte
annoiata, in parte stordita da quella ripetitiva movenza. Quando si
accorse infine che erano passati una decina di minuti si
fermò e, facendo scivolare il mazzo lungo il piano levigato
del tavolo, le disse di mescolare.
La ragazza si ridestò un poco ed eseguì.
Passarono cinque, dieci, quindici minuti e già si stava
preparando a infilargli quella carte in gola, che Emone la interruppe
riprendendo in mano il mazzo.
-Bene, e
adesso? – borbottò l’altra.
-Adesso ti
dimostro che la mia sfiga non è una supposizione ma un
postulato. Spezza – le ordinò con un cenno del
capo. Quando lei ebbe fatto, Emone rizzò la schiena e,
atteggiandosi ad un professore, cominciò a spiegarle con
voce calma – Vedi, la verità è che noi
la vita la complichiamo troppo. Ci infiliamo dentro tante di quelle
idee contorte che alla fine ne perdiamo di vista le basi. Ma, in
verità, non è altro che un gioco di cuori e di
picche..
-Di
cuori…e di picche? – ripeté quella,
scettica.
-Sì,
proprio così. Si può essere sfortunati come
fortunati a questo mondo. E la religione non c’entra nulla,
né le nostre emozioni né niente di niente. Ci
sono persone più fortunate e persone meno fortunate. Ma la
verità è che a tutti quanti noi toccano cuori
così come toccano picche. Ha poca importanza chi abbia
più dell’uno o più
dell’altro.
-Ah,
allora ammetti che la iella non ha scelto te come sua residenza
esclusiva! Tu stesso hai detto che qualche cuore ti sarà
pure toccato- esclamò Allegra, d’un tratto
interessata a quel bizzarro discorso.
Quello,
per tutta risposta, la ignorò del tutto.
-Stavo
dicendo – proseguì lanciandole
un’occhiataccia – la vita è fatta di
cuori e di picche, ma, non si sa perché, a me toccano in
sorte sempre e solo picche – concluse con fare rassegnato.
-Ti
detesto quando ti vittimizzi così.
-Non
è vittimismo, davvero. E ora te lo dimostro. Pesca delle
carte.
Allegra
fece come gli era stato detto, aspettando che l’altro le
facesse cenno di smettere. Trovò un cinque, un sette, un
tre, un quattro, un dieci e un asso di picche da un parte, un due e un
quattro di cuori dall’altra. Emone, allora, le concesse di
finirla.
Lei, dal
canto suo, trattenne il fiato in gola quando lo vide avvicinare la mano
allo spesso mazzo di carte.
Emone pescò.
Posò la carta sul tavolo e pescò di nuovo.
Poi ripeté ancora l’azione.
E ancora, e ancora, e ancora. Infine, accumulate una decina di carte
-che aveva lasciato rivolte con la parte frontale verso il basso- le
voltò tutte insieme, per scoprire un’infinita
distesa di picche.
Allegra
fissò quella sfilza nera a bocca aperta.
-Visto?
Come volevasi dimostrare.
-No, non
è possibile. Avrai semplicemente trovato un parte del mazzo
mischiata male, zeppa di picche- borbottò, dimentica della
ridicola quantità di tempo che avevano passato a mescolare.
Scuotendo appena la testa, pescò anche lei solo per trovare
una carta di cuori che non poté evitare di fissare perplessa
per qualche minuto.
-Cosa hai
trovato? – gli chiese Emone sorridendo a trentadue denti.
Quella, per tutta risposta, gli lanciò
un’occhiataccia che, se solo avesse potuto ferire, avrebbe
spedito il ragazzo nell’oltretomba.
-No, non
è possibile, ti dico. Continuiamo!
-Come vuoi.
Proseguirono
con questo gioco per tutta la mattinata. Ogni tanto pescava
l’uno, ogni tanto l’altro, a seconda di come gli
saltava in testa. Allegra collezionava spesso cuori e alle volte anche
picche, ma Emone non aveva pescato una carta rossa nemmeno per sbaglio.
Avevano finito il mazzo una, due, tre volte e così via per
poi rimescolarlo fino allo spasmo e ricominciare d’accapo.
Il ragazzo ormai non solo aveva preparato una quantità
innumerevole di teiere e finito tutti i biscotti della credenza, ma si
accingeva addirittura a preparare il pranzo, vista l’ora
tarda. Tra una carota spezzettata e l’altra pescava una
carta, mentre Allegra tagliava l’insalata e la condiva con
quantità spropositate di aceto, ridendo con quella sua
strana voce. Di tanto in tanto calpestavano qualche regina o qualche re
che era volato in una delle loro piccole zuffe e interrompevano la
conversazione per ridacchiare un poco e calciare via la vittima con la
punta della scarpa.
Senza che
nemmeno se ne accorgessero, la giornata scivolò via veloce,
lasciando un tappeto di carte sul parquet, fondi di caffè e
un divano sfatto dietro di sé. Il quattordici aprile, il
giorno più fortunato di quell’anno si era esaurito
senza che niente di particolare accadesse o sconvolgesse le loro vite
e, proprio come quella mattina, sedevano di nuovo l’uno di
fronte all’altra, con il busto proteso verso la tavola.
-Bene, hai
in effetti dimostrato che sei l’uomo più sfigato
del pianeta quando si tratta di carte – disse Allegra,
rompendo il confortevole silenzio che aleggiava fra loro.
-Più
sfigato in generale.
-Sarà,
ma non ne sono convinta.
-Cosa? Un
intero pomeriggio a pescare picche non è stato sufficiente?
-Perché,
doveva?- chiese quella ridendo. Poi, alzandosi ed infilandosi il
cappotto, gli si avvicinò con naturalezza. Emone, alzato lo
sguardo con espressione perplessa, spalancò gli occhi quando
avvertì quelle labbra sottili poggiate contro le sue e delle
piccole dita scorticate dal freddo sfiorargli la guancia.
Allegra allontanò il viso, lanciandogli un sorriso
confortante.
-Allora ci vediamo – gli disse, come non fosse successo nulla.
- Ah, Emone, un’ultima cosa: per la cronaca, penso che il tuo
nome sia splendido. Fossi in te, ringrazierei mia madre per avermelo
messo- concluse con fare sornione.
Quando
finalmente la porta si chiuse, quasi gli dispiacque di non sentire
più quella voce sgraziata risuonare nella stanza. Dopotutto,
si era ricreduto sul conto di Allegra; non era poi così male
e quella giornata si era dimostrata piuttosto piacevole. Insomma, in un
certo qual senso, quella sfida si era rivelata una vera e propria
fortuna…
In preda
alla realizzazione, spalancò gli occhi e si
lasciò scappare un gemito frustrato: questo significava che,
dopotutto, aveva perso quella dannata scommessa!
Basta: Emone, in fin dei conti, era davvero l’uomo più sfigato sulla faccia del pianeta!
Nota dell'autrice: Ecco
qui! In un primo momento ero molto soddisfatta dell'idea che
mi era venuta ma, fra una cosa e l'altra, il risultato finale non mi
piace molto. Soprattutto per quel che riguarda la parte conclusiva...mi
lascia alquanto perplessa. Nonostante tutto, spero che questa shot
(senza alcuna pretesa) vi sia piaciuta e vi esorto, se potete, a
lasciarmi un commentino per farmi sapere il vostro parere in merito!^^