{Sen wo nuita – Vorrei farla finita ~
-DouWata-
{ Kidzuitanda kinou no naidayoru ni
Ochita kaben hiroiageta to shite
Mata saki
modoru koto ha nai sou te no hira
no ue no chiisana shi
Bokura no jikan
ha tomatta mama
Le sensazioni che si
provano in certe occasioni, probabilmente non si potranno mai più provare.
Rimangono insite nel
cuore, come uniche ed inimitabili.
Allora perché mi
convinco di poterle rivivere tranquillamente?
Perché tento ancora di
poter captare quelle stesse sensazioni, quella stessa
irritazione?
O quel batticuore che mi veniva ogni qual volta non mi
sentivo solo guardandomi allo specchio e notando la differenza di pigmentazione
delle mie iridi?
Non riesco a concepire
niente di tutto ciò. Non l’ho mai concepito.
Tutto ciò mi punge come
delle schegge avvelenate che recidono le mie arterie.
E forse in cuor mio avevo sempre saputo, mi ero sempre
chiesto dove saresti stato per me in seguito. Io che fine avrei fatto senza di
te?
Penso che all’inizio
si trattasse di semplicissima comodità, ma dopo si era
trasformata in un bisogno psicologico: magari anche di mandarti comodamente al
diavolo, come se quel rancore – apparente – fosse l’unico filo rosso ad unirci. Forse non si è trattata di una coincidenza…
No.
Yuuko-san diceva che tutto ciò che accade
è inevitabile.
E allora come posso pensare alle volte che avrei potuto
cambiare come sono andate le cose?
Ma in fondo è meglio così. In fondo era così che doveva
andare…
…Ma
in fondo volevo che tutto rimanesse com’era prima.
Ma era inevitabile che tutto ciò finisse in questo
modo, senza che io potessi fare niente.
Io sono solamente una
povera vittima di un cuore – come il mio – che è stato capace di amare persone che se ne sono andate.
Maru e Moro lanciarono il piccolo Mokona per l’ennesima volta fuori dalla
cucina dove Watanuki preparava dell’appetitosissimo sukiyaki. Il saké
era pronto in tavola ma sembrava che per una volta la palletta nera non fosse in vena di cominciare a brindare
prima del tempo. E Watanuki
era più che felice di notare quella piccola modifica, quella sera. Forse perché Mokona
era come se avvertisse i suoi pensieri, o almeno sentisse
scorrere delle vibrazioni strane da Kimihiro. Maru si infilò sotto al tavolo acchiappando un qualcosa di non
ben definito, che fece subito vedere a Moro che, tutta contenta, andò
saltellando da Watanuki, tirandogli lentamente il
kimono ricamato in seta.
“Watanuki!”
“Watanukii!”
Cinguettarono
energicamente le due ragazzine mentre gli tiravano
ancora il vestito.
Sbuffando
il moro si girò abbassando la fiamma sotto la pentola più grande
mentre, tenendo la pipa tra i denti guardava le due più piccole da sotto
la leggera montatura degli occhiali la vista, appena appoggiata sulla punta del
naso.
“Cosa c’è, Maru, Moro?”
Fece
un piccolo movimento con la mano per prendere la pipa tra le dita e poi tenerla
elegantemente tra di esse mentre osservava le mani di Maru contenere qualcosa. Appena le aprì vide una farfalla
dorata scuotere le ali e librarsi nella stanza, tentando di trovare una via
d’uscita. Gli occhi di Watanuki si spensero un
momento, sentendo come se dentro di sé qualcosa si riaprisse, sanguinando in
modo abbastanza copioso. Il sangue caldo di una ferita che
avrebbe portato dentro per tutta l’eternità. Si poggiò una mano
sull’occhio destro, mordendosi violentemente il labbro, mentre col sinistro
seguiva lentamente i movimenti della farfalla, che, trovato sbocco poi nella
veranda posteriore, che affacciava nel giardino, volò via, confondendosi
lentamente col forte brillare della luna che in cielo salutava il rigoglioso
giardino ben curato di Watanuki.
Si
girò lentamente specchiandosi nella pentola, mentre osservava rammaricato
l’iride dorata. Deglutì lentamente sentendo le lacrime ascendere nei canali
lacrimali e poi fare una vertiginosa caduta sulle sue guance, pallidissime.
{ Koe wo karashite sakenda
Ankyou zankyou munashiku hibiku
Hazusareta kusari
no sono saki
ha
Nani hitotsu
nokotte ya shinai kedo
Cosa mi è rimasto di te?
Niente se non questo occhio.
Ora sono libero. Ma a quale prezzo?
Quale prezzo ha avuto
la mia libertà?
Anche se vivo con la
convinzione che ognuno di coloro che vedo, non sei tu,
ancora spero che un giorno uno di loro mi possa guardare o toccare nel modo in
cui facevi tu.
Il destino ci ha fatti
incontrare, odiare, amare, crescere e ora ci ha nuovamente diviso. Divisi, come eravamo all’inizio di tutto.
Con una madornale
differenza.
Tutto quello che
correva tra di noi ora mi logora l’anima, ora mi fa
sentire come se non avessi più niente al mondo, se non una schiera di fantocci
pronti a starmi accanto, ma mai come lo facevi tu. Magari anche tu eri un
fantoccio, come tuo nonno. E magari il fantoccio
migliore della tua famiglia. Non m’importa.
Ora tu hai il mio
cuore e te lo sei portato nella tomba con te.
E ora il fantoccio solo io.
Il
divanetto era cosparso di bottigliette bianche. Tutto il saké che c’era in
quella casa era stato prosciugato dalle labbra di Watanuki,
labbra che ora erano increspate in una smorfia
d’incontenibile dolore. Un dolore pungente come un calabrone. Un Dolore di cui Mokona stesso era spaventato, spaventato soprattutto dal
fatto che il suo attuale padroncino si lasciasse andare troppo spesso a quelle
crisi di pianto, a quei rimescolamenti di sentimenti,
sensazioni, ricordi.
Ricordi
che ferivano, che avvelenavano quell’anima ormai turbata dal profondo.
Il
kimono era abbandonato sopra il sottile corpo di Kimihiro,
lasciando trapelare in modo palese, l’esile e pallidissimo corpo del moro. A
volte si toccava la gola, sentendosi soffocare a quel sentimento crescente che
gli bloccava la trachea, che si liberava solamente con un nuovo singhiozzo, uno
dopo l’altro insieme a quelle lacrime che non volevano sentire ragioni di
smettere di scendere. Gli occhiali abbandonati ai piedi dei
divano insieme alla pipa da cui fuoriusciva un leggero ed opaco fumo,
che come sempre aveva riempito quasi completamente Watanuki,
lasciando che lo avvolgesse in quella spinosa coperta, affatto madre, ma più
matrigna. Maru e Moro erano stese sulla fresca
erbetta del giardino a contare – se si potesse – tutte
le stelle che brillavano nel firmamento. Stelle che Watanuki
adorava osservare con Shizuka
accanto. Stelle che aveva contato e ricontato con una bottiglia di saké in mano
e lui accanto., magari stuzzicandosi o parlando di
cose serie. E qualche volta anche con attenzioni più intime,
il cui solo ricordo faceva scaturire in Watanuki
gemiti soffocati, strozzati da quel pianto che tanto lo stava stringendo dallo
stomaco. Avrebbe voluto denudarsi completamente e cadere in ginocchio
nel giardino, gridando ancora il suo nome in preda alla disperazione.
Ma quelli erano momenti in cui solamente Mokona
– con estremo rammarico e dispiacere – riusciva ad assistere. Persino Maru e Moro non riuscivano a vederlo così. Ogni tanto il cosino nero gli portava qualche altra bottiglia di saké ,
che lui lasciava scendere giù, nella gola, come se fosse acqua, avendo un
consequenziale bruciore della gola stessa. Ma al
momento sembrava importargli solamente affogare in quelle stesse lacrime, il
che sembrava quasi piacergli.
Mokona fece un piccolo saltello, e si stese sul suo
addome che si abbassava aritmicamente, in modo sconnesso, a causa dei
singhiozzi che rompevano i meravigliosi occhi – non sono
per il colore, ma anche per altri motivi – di Watanuki.
{ Omoidasu yo hajimete atta kisetsu
wo
Kimi no yasashiku
hohoemu kao wo
Ima wo kakko ni oshiyatte futari kizutsuku
kagiri kizutsuita
Bokura no kokoro
ha toge darake da
Ho una folle paura di potermi ricordare di te. Ma è come se m’infastidissi anche dal posto in cui ti trovi
in questo momento. Che possa essere l’inferno, il paradiso o
il purgatorio. Non importa dove tu stia, riesci
sempre a sbaragliare i muri della mia anima, completamente pieni di cuciture
che ho dovuto applicare con la forza di volontà per non lasciarmi andare dalla
disperazione.
Ma sembra che quasi ogni giorno io debba per forza
avere un momento in cui tutto di te – dagli occhi ai tuoi rozzi e campagnoli
modi di fare – mi ritorna in mente in modo
tremendamente prepotente, come se mi facessi un dispetto.
Eppure quando eri ancora accanto a
me non volevi farmi soffrire.
Ora sembra che l’unica cosa che vuoi è che non mi
dimentichi di te.
Ma vuoi proprio vedermi in questo stato pietoso tutte le sere, eh aho?
Penso proprio che la tua soddisfazione sia a livelli
a dir poco cosmici, ma dopotutto ora che importanza ha?
L’unica cosa che vorrei è poterti rivedere almeno
una sola volta…
Una.
Cosa chiedo in fondo? Niente di che.
Ma il mio desiderio avrebbe un prezzo troppo
alto per essere esaudito.
Più che sentire come il mio cuore viene trafitto da mille lame, non posso fare. Più che
osservare il delirio lento e inesorabile che mi sta avvolgendo, come questo arido fumo…
Tra il pianto e l’abbiocco da alcool, Watanuki
aveva cominciato a viaggiare nel mondo dei sogni. Un mondo
che era più pericoloso del mondo reale stesso. Un
mondo dove era stato ingannato, dove Yuuko-san era
stata tenuta prigioniera, non permettendole di riposare in pace. Una
mano era poggiata su Mokona che, da quando aveva
preso sonno il moro, aveva avuto un po’ di sollievo tanto da potersi
addormentare anche lui. Per quanto la piccola creatura fosse
dispettosa, teneva a Watanuki più di qualsiasi
persona al mondo e vederlo colare a picco in quel modo, non poteva che dargli
fortissime ansie.
Maru e Moro sonnecchiavano sotto le stelle, di cui ovviamente avevano perso il conto e chissà quante altre volte avevano provato a
contare, cominciando sempre da una stella diversa, che probabilmente avevano
contato sì e no altre due o tre volte, se non di più.
Watanuki schiuse gli occhi.
Una pioggia di eleganti petali di ciliegio incorniciava completamente la
sua vista, che sboccava in un viale alberato da cui provenivano i petali della
suddetta pianta. Una pianta che sembrava marcire lentamente insieme a lui. Mugugnando qualcosa si mise seduto, notando che –
anche senza occhiali – ci vedeva alla perfezione. Bene, aveva potuto constatare
che quello in cui si trovava era un sogno. Ma la cosa
che lo sconcertava di più era che si trovava nel tempio della famiglia Doumeki.
Si tirò indietro
leggermente la frangia, sentendo il cuore che gli si stringeva. Aggiunstò una
parte del kimono sulla spalla, alzandosi in piedi e cominciando a guardarsi
intorno. Ma perché di tutti i posti che
ricordava, proprio quello?
Sembrava che il
destino ogni volta volesse pugnalarlo alle spalle con qualche nuova e
spiacevole sorpresa, come poter camminare in quello stramaledettissimo posto
che non avrebbe mai più voluto vedere per nessuna ragione esistente al mondo.
Ma l’inevitabile aveva ancora qualche asso nella manica per Kimihiro.
“Oi.”
Watanuki scrollò le spalle, avendo giurato di aver sentito la voce di Haruka-san. Oh, beh non che gli dispiacesse
incontrarlo nei suoi sogni ricorrenti, ma ovviamente vedere qualcuno con la sua stessa faccia, non giovava per
niente al suo spirito perennemente tormentato. Così lo
prese come uno scherzo della stanchezza, un puro frutto della sua frustrata
immaginazione, che non voleva far altro che confortarlo con qualche rimasuglio
dei suoi ricordi. Ma ovviamente non poteva permettersi di lasci-
“Oi.”
“Quante volte devo
ripeterti che non mi chiamo “Oi”?!”
Si voltò di scatto
lasciando che il kimono gli cadesse ancora sulle spalle, allungando le maniche
senza far intravedere le sottili mani. Dietro di lui vi trovò dietro “Doumeki”. Ma quale? Haruka-san usava chiamarlo “Kimihiro-kun”…
Gli si ghiacciò il
sangue nelle vene spalancando gli occhi bicolore
mentre si stringeva convulsivante l’apertura del kimono sino alla gola che gli
si chiuse prepotentemente, lasciandolo soffocare. L’altra mano finì sulle
labbra che s’incresparono in modo aggressivo, non riuscendo davvero – in alcun
modo – a trattenere le lacrime che cominciarono a cadere dai suoi meravigliosi
occhi, uno di questi che apparteneva alla figura di
fronte a lui.
Lo stesso storse le
labbra continuando a guardare Watanuki piangere, come
se non ne comprendesse apparentemente il motivo. Ma in
realtà stava solamente osservando cosa aveva portato la sua assenza a Watanuki; l’assenza di quel
“Doumeki”, non uno dei tanti che lui si era
assicurato di lasciare col moro. Non
disse una parola mentre osservava il suo corpo scarno,
più pallido di quanto se lo ricordasse e la cosa gli faceva intuire che
mangiava relativamente poco e se cucinava era solamente per Mokona
– ma doveva davvero insistere la piccola creatura nera per avere un pasto. Un
silenzio surreale si alzò tra di loro, solamente rotto
dai singhiozzi che Watanuki non riusciva a fermare e
da un vento caldo, accogliente, consolatore che portava via i petali dei fiori
facendoli cadere sui due in piedi, in mezzo al vialetto d’entrata del tempio.
Watanuki non riusciva a rimanere indifferente a quella visione, una visione che gli pareva quasi un regalo donatogli da chissà
quale Dio, per curare la sua anima costantemente tormentata dal ricordo di Shizuka. Ma la cosa che più gli faceva rabbia – e che di
conseguenza lo faceva piangere ancora di più aumentando il morso allo stomaco –
era che davanti a lui dovesse manifestare questi sentimenti così forti, quando
solitamente – in passato – aveva solamente usato mostrargli puro e costantissimo rancore, un rancore trasportato da sentimenti
contrastanti che aveva sempre tentato di sopprimere ma che riaffioravano ogni
qualche volta Shizuka aveva
qualche pensiero gentile per Watanuki – basti pensare
al suo occhio destro.
Almeno “Doumeki” ebbe la decenza di rimanere in silenzio finché Watanuki non avesse ripreso possesso del proprio cervello e
soprattutto non avesse raccolto un po’ di
auto-controllo. Kimihiro alzò gli occhi diversi osservandolo mentre si asciugava il naso col dorso della
mano in un movimento per niente elegante, cosa che al momento non gl’importava
più di tanto, e prese a scrutarlo dalla testa ai piedi.
“Che
c’è?”
Domandò Shizuka alzando un folto sopracciglio
mentre le braccia erano rigidamente abbandonate lungo i fianchi, in una
muta analisi di Watanuki, un “Watanuki”
che non era “Watanuki”… Non riusciva minimamente a
concepire il suo radicale cambiamento.
“Certo che le
domande idiote non ti mancano minimamente, nonostante tutto questo tempo…?”
Kimihiro si passò violentemente, e con nervoso, il palmo della mano sugli occhi
soffermandosi qualche secondo su quello destro. Possibile che, nonostante tutto
quel tempo che non si erano visti, Watanuki
fosse solamente capace di rispondergli in modo acido? Forse era sempre stata
una tattica per difendersi dai suoi stessi sentimenti; sentimenti di cui “Doumeki” era puramente e pienamente cosciente – e anche
consenziente – per cui aveva sacrificato generazioni alle
dipendenze di Watanuki, ma a quanto pareva nessuno
gli andava bene se reagiva in quella maniera. Il solito acido
e scontroso Watanuki… Che gli era mancato da morire.
Shizuka avanzò a larghe falcate verso di lui, causando un tremare da parte del
minore che arretrò – a piedi nudi – sul selciato di ciottoli di cui l’ingresso
era completamente rivestito, ma non poté compiere un movimento di più dato che
il maggiore gli aveva afferrato violentemente un polso e strattonato verso di sé,
quasi sollevandolo da terra, con una mano che gli teneva saldamente un fianco
fine.
“B-bestione mollami…”
“No.”
Lo strattonò
maggiormente verso di sé prendendogli il mento ed ammirando lo splendore del
portamento che aveva nel avere il colore dorato al
bulbo oculare destro. Osservò poi i tratti infossati, rugosi, completamente
spenti e soprattutto le violacee occhiaie che erano sentore
di nottate passate a bere soprattutto piangere. Per quanto aveva evocato il suo
nome, a “Doumeki” erano fischiate le orecchie per
secoli. Sembrava che con qualche scialbo e stanco movimento volesse opporre
resistenza, una resistenza inutile dato che Shizuka lo teneva saldamente a sé, facendo scorrere il
fiato che fuoriusciva rabbioso dal naso, sul viso di Watanuki.
Il minore poggiò, rassegnato, la fronte contro il suo petto, tirando un piccolo
sospiro di sconfitta, dove si sorprese di sentir battere il cuore, forse più
forte del suo. Forse anche “Doumeki” era nervoso nel
vederlo; emozionato, in una remota visuale della cosa.
“Watanuki.”
La voce roca
dell’altro rimbombò violentemente nelle orecchie di Kimihiro
che, aggrappatosi al kimono di Shizuka, come se non
volesse più lasciarlo andare per nessun motivo al mondo, singhiozzava
violentemente lasciandosi cullare dal respiro e dal battito irregolare del
maggiore. Era meraviglioso sentire come ogni funzione vitale era come l’aveva
lasciata e come se la ricordava in “Doumeki”. Si
morse piano le labbra ascoltando quello che aveva da dire. Ma
non vi fu altra parola pronunciata dalle sue labbra e il silenzio calò
nuovamente, in modo soffocante tra i due. Fortunatamente Watanuki
lo ruppe.
“Devi perseguitarmi
anche da morto?”
La risposta non
arrivò subito da parte di Shizuka, dato che rimase in
silenzio ad accarezzare la schiena di Watanuki che
era rotta da singhiozzi irregolari, mentre questo, stringeva in modo convulsivo
la stoffa del kimono di Shizuka sotto le sue dita,
facendole diventare bianche per lo sforzo. Era un colpo troppo forte in fatto
emotivo per Watanuki, non era così pronto a rivedere “Doumeki” così, di punto in bianco. Forse in fondo - anche
se non tanto in fondo, visto e considerato che ora era completamente accollato
a lui e non sembrava avere la minima intenzione di lasciarlo ancora andare
tanto presto - era
tremendamente felice di poterlo toccare, di poterlo annusare, di poter
nuovamente avvertire il battito del suo cuore.
“… Devo
proteggerti.”
Fu l’unica cosa che
Shizuka mormorò accarezzandogli piano i capelli
corvini, sottili come seta, mentre il suo sguardo scuro si perdeva ad osservare
la moltitudine di ciliegi che ricopriva il vialetto,
con la testa poggiata sulla tempia di Watanuki, avvolgendo i due corpi uniti, ma così
tremendamente distanti che suonava come una pugnalata alla schiena per Watanuki. Il più piccolo alzò lo sguardo lasciandovi
correre alcune lacrime che Shizuka prontamente catturò col pollice osservandolo col suo solito sguardo
fiero, freddo e distaccato, ma tremendamente riflessivo.
“Da cosa?”
“Da te stesso.”
“Non essere
ridicolo…”
Watanuki scostò piano lo sguardo tentando di evitare completamente quello di “Doumeki”. Lui, che quando parlava ad una persona preferiva
guardarla negli occhi per chiarire qualsiasi equivoco che si sarebbe potuto
venir a creare, afferrò violentemente – come al solito
– il mento di Kimihiro, impossessandosi nuovamente di
una visuale completa dei suoi occhi meravigliosi. Era davvero così; Watanuki stava colando a picco
perché lentamente si lasciava andare, non curandosi più di se stesso a causa
del dolore e Shizuka non poteva permettere che questo
accadesse, non a lui, non voleva che crepasse prima del tempo stabilito… Voleva
vivere attraverso quell’occhio e così avrebbe fatto, ma per vivere attraverso Watanuki, Watanuki stesso doveva
sopravvivere a quel dolore e quindi alla completa autodistruzione ed abbandono
del proprio corpo.
Gli alzò lentamente
il viso leccandogli una lacrima, causando un singhiozzo più forte in Kimihiro che, stringendo maggiormente le mani sulla stoffa
del kimono di Shizuka, si morse le labbra sentendo
anche il calore della sua lingua salire lentamente sulla guancia destra sino
alla palpebra – precedentemente chiusa da Watanuki – dove “Doumeki” vi
depositò sopra un bacio, lasciando rabbrividire l’altro tra le sue braccia.
“Watanuki. Vivi. Se non vuoi vedermi morire una seconda
volta.”
{ Omokurushiku tsudzuku
kono kankei de
Kanashii hodo kawaranai kokoro
Aishiteru no ni hanare gatai
no ni
Boku ga iwanakya
Non è vero niente. Tu
non sei qui con me.
Non voglio lasciarmi
andare a questo calore che mi dai. Ho paura di lasciarmi
completamente andare, ho paura che inevitabilmente io possa nuovamente
innamorarmi di te. Anche se non avevo mai smesso di amarti.
Non ho mai potuto
cambiare idea su di te, non ho mai potuto lasciarmi alle spalle questo
sentimento, non posso, sarebbe come vederti morire
ancora e ancora, continuamente, in modo inesorabile, e la cosa mi addolora e mi
logora maggiormente.
E ora tu, mi trafiggi così, con queste parole, con le tue
labbra e le tue braccia che sono un castello dove raccogliere, anche in sogno,
le mie amare lacrime solitarie, lacrime che nessuno avrebbe mai potuto
confortare se non tu stesso in questo momento, in questo posto. Qui, tra le tue
braccia.
Shizuka. Ti amo.
Watanuki spalancò gli occhi trovandosi ad osservare il
soffitto completamente intonacato di rosso del salottino dove ora Mokona riposava ancora sulla sua pancia. Con flemma
accarezzò la peluria dell’animaletto mentre respirava
lentamente, cercando di riordinare un momento i pensieri.
“Un
sogno?”
Deglutì
alzandosi di scatto dal divano mettendosi seduto, sentendo ancora le lacrime
affiorargli prepotentemente agli occhi. Mokona – come
ben prevedibile – fece un bel voletto all’altro capo
della stanza, ma ovviamente non si destò neanche sbattendo contro il muro e poi
finendo col musetto sul pavimento. Watanuki scostò
immediatamente tutte le bottiglie, fregandosene che alcune erano andate rotte e
cominciò a cercare in modo frenetico Shizuka, come se
avesse potuto trovarlo nella sua casa, anche dopo ciò
che si presentava come un evidente sogno. Ma no! Lui
non riusciva minimamente a concepire che fosse un fottutissimo sogno! Lui era lì! Era il suo Doumeki! E
non quei fantocci!
“Doumeki! Doumeki!”
Prese
a chiamarlo con fare disperato andando di stanza in stanza, prima la sua – o
quella vecchia di Yuuko – poi la cucina, il magazzino
dove cercò dietro ogni scaffale a costo di far cadere cose
abbastanza preziose, vecchi e nuovi pagamenti che riceveva in cambio
della realizzazione dei desideri della gente. E infine,
svegliando Maru e Moro, si fiondò nel giardino
inciampando rovinosamente nel kimono – da solito e maldestro Watanuki – alzando lo sguardo dorato e blu verso il sole
che ora picchiava prepotentemente sulla sua testa, accecandolo. Tese un
braccio verso il cielo, quasi scongiurando gli dei, qualsiasi creatura al di sopra dei suoi poteri che potesse realizzare il suo
più intimo desiderio. Strinse gli occhi spalancando la bocca
mentre, le stesse gocce salate gli finivano sulla lingua.
“Shizuka!”
{ Futari wo tsunaideta kizuna
Hokorobi hodoke nichijou ni kieteku
Sayonara aishita hito koko made
da
Mou furimukanai
de arukidasunda
Probabilmente vivrai sempre nei miei sogni.
Vivrai e potrai stringermi e baciarmi.
In un sogno infinito che sarà
la mia vita.
E questo il nostro epilogo,
l’epilogo della nostra vita terrena.
Mi addormenterò e dormirò in eterno, sognandoti eternamente.
Lasciami vivere con te in questo sogno. Un sogno che
come pagamento ha la mia stessa vita. Ma non
m’importa. Il desiderio di averti con me è molto più forte di quanto tu possa immaginare. Questo è il nostro epilogo e a parte il nostro aspetto c’è una cosa fondamentale che non è cambiata.
Il mio amore per te.
“Sto arrivando, Shizuka.”
{ Kore de oshimai sa ~
(Perché, infine abbiamo raggiunto la
fine.)
{ Just be friends – Luka Megurine
Spazio commenti finali:
Bene non c’è molto da dire su questa fanfiction.
A dire la verità è stato uno schizzo di quattro ore
consecutive sul word, ma vabbeH Dettagli. Ho voluto
vedere Watanuki in un futuro troppo prossimo, in un
futuro dove il vuoto lasciato da Shizuka diventa
talmente nero che lo risucchia al suo interno. Ed
ovviamente le parole di questa canzone non potevano che calzarci a pennello.
Tanto angst ♥
Per quanto riguarda i commenti, non me ne aspetto,
dopotutto è la prima DouWata (o DouKi,
che dir si voglia), quindi potrei aver fatto qualche strafalcione con l’IC.
Vado abbastanza sul sicuro per Watanuki, ma per Shizuka non tanto. Non mi aspetto tanti commenti, come ho
detto sopra, ma almeno se la fanfiction vi piace, e
mettete a preferiti(cosa che dubito profondamente), non vi costa nulla lasciare
un commento anche di una paroline nette nette,
non mi offendo anzi sarei onorata di sapere che avete sprecato tempo a battere
le vostra dita sulla tastiera come io ho fatto per scrivere questa fanfiction quattro ore ad ammazzarmi davanti al monitor
senza occhiali…
Che schifo elemosino commenti…
Vabbè a voi il giudizio.
Fue ♥