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Autore: LaMicheCoria    07/04/2011    4 recensioni
Sembra dormire. Adagiato sui gigli d’argento, pare addormentato, senza un sogno a turbare la sua quiete. O forse, forse un sogno, sì, un sogno si dispiega dietro le palpebre chiuse. Un sogno che non si può dire, ma che viene svelato dall’angolo delle labbra, sollevate in un accenno di malizioso sorriso.
Arthur, solo nella stanza, osserva in silenzio quelle labbra serafiche. (…)E’ il sorriso tipico di Francis, quello. Quel tendersi impercettibile dei muscoli, quelle labbra che si sollevano appena, creando un’esile grinza, una fossetta tra la barba ispida, quel ghigno pieno di malizia che Arthur non ha mai potuto sopportare.
Nemmeno a Waterloo era riuscito a cancellargli quell’espressione da idiota!
[1940] [OC! Presenti: Lutèce Bonnefoy/Parigi, Gwendoline de Vichy/Repubblica di Vichy] [RP: Charles de Gaulle, Philippe Pètaine]
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Fragments de Sang
Autore:  Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Giallo

Genere: Slice of Life, Drammatico
Avvertimenti: Missing Moments, OneShot
Personaggi: Francis Bonnefoy/Francia, Arthur Kirkland/Inghilterra, OC!Lutèce “Le Piaf” Bonnefoy/Parigi, OC!Gwendoline de Vichy/Repubblica di Vichy, Charles de Gaulle

Pairing: In teoria nessuno, ma non vi impedisco di cogliere trace di FrUk ^^
Trama: Sembra dormire. Adagiato sui gigli d’argento, pare addormentato, senza un sogno a turbare la sua quiete. O forse, forse un sogno, sì, un sogno si dispiega dietro le palpebre chiuse. Un sogno che non si può dire, ma che viene svelato dall’angolo delle labbra, sollevate in un accenno di malizioso sorriso.
Arthur, solo nella stanza, osserva in silenzio quelle labbra serafiche. (…)E’ il sorriso tipico di Francis, quello. Quel tendersi impercettibile dei muscoli, quelle labbra che si sollevano appena, creando un’esile grinza, una fossetta tra la barba ispida, quel ghigno pieno di malizia che Arthur non ha mai potuto sopportare.
Nemmeno a Waterloo era riuscito a cancellargli quell’espressione da idiota!

Musica: Evenstar – The Lord of the Rings Original Soundtrack
Dedica: a Silentsky
Note: Bene. Fra un’ora ho l’esame di teoria di patente. Niente di meglio che scrivere un po’ per calmare la tensione, no? Non ci sono note particolari, se non che è ovviamente, questa..cosa..deve essere considerata “storica” in senso decisamente lato. E’ piuttosto romanzato.
However..La canzone è la Marsigliese, Lutèce è l’antico nome di Parigi (Lutezia) e Francia mi ucciderà a breve per quello che gli ho fatto. Dettagli insignificanti XD.
Il titolo starebbe a significare “Frammenti di Sangue”. Ah! Per le (poche) frase in francese che ci sono, mi prostro ai piedi di chi conosce la lingua un po’ più di me, e di segnalarmi nel caso ci siano degli errori. Purtroppo è da cinque anni che non parlo/scrivo/leggo in francese, quindi diciamo che mi ricordo poco o nulla XD
Buona lettura!

Wordcounter: 1672 (Titolo escluso)

 

Fragments de Sang

 

{ Allons enfants de la Patrie}

 

Sembra dormire. Adagiato sui gigli d’argento, pare addormentato, senza un sogno a turbare la sua quiete. O forse, forse un sogno, sì, un sogno si dispiega dietro le palpebre chiuse. Un sogno che non si può dire, ma che viene svelato dall’angolo delle labbra, sollevate in un accenno di malizioso sorriso.
Arthur, solo nella stanza, osserva in silenzio quelle labbra serafiche.

 

{Le jour de gloire est arrivé!}

Lutèce, Lutèce, ma petit Lutèce, où es-tu?
Bambina mia, mio piccolo passero, dove sei ora? Non ti trovo, non ti vedo nel grigio di questa città. T’ho perduta nello scalpitare iracondo dei cavalli tedeschi, ti ho lasciato la mano per un istante e sei svanita in un refolo di fumo.
Lutèce, Lutèce, où es-tu?

 

{Contre nous de la tyrannie,}

 

E’ il sorriso tipico di Francis, quello. Quel tendersi impercettibile dei muscoli, quelle labbra che si sollevano appena, creando un’esile grinza, una fossetta tra la barba ispida, quel ghigno pieno di malizia che Arthur non ha mai potuto sopportare.
Nemmeno a Waterloo era riuscito a cancellargli quell’espressione da idiota!
Anche adesso continua a sorridere, quel maledetto francese, con la testa languidamente poggiata sulla berretta spiegazzata e stantia della Rivoluzione Francese ed un fiordaliso tra le dita.

 

{L'étendard sanglant est levé}

 

Aveva visto il volto orrendo di Gwendoline, quell’aborto che Pètain sosteneva a gran voce essere sua figlia. Figlia di Francia, Gwendoline? Ah! No, quell’essere mostruoso dalla bocca storta, gli occhi sporgenti e i capelli sudaticci appiccicati alle tempie, non era certo frutto del suo sangue e delle sue lacrime!
Non c’era Storia dietro le iridi fosche di Gwendoline, non un passato che fosse legato a qualcosa di diverso dalle stagnanti acque termali.
No, la Repubblica di Vichy non era sua figlia. E poi.. Repubblica! Quale menzogna si nascondeva dietro quella bella facciata!  Potevano adornare quella testa deforme con fiocchetti e nastrini, ma l’orrore di fondo sarebbe rimasto. Quella sua bruttezza era addirittura grottesca, perché nata da una ammirazione malata e quegli occhi, sì, quegli occhi azzurri, ma d’un azzurro spento che nulla aveva a che fare col cobalto incandescente di Lutèce, quegli occhi lo dimostravano con tutto l’orrore di cui erano capaci.

 

{L'étendard sanglant est levé}

 

C’era il ronzio della radio, prima. Mozziconi di parole che crepitavano con voce stentorea fuori dall’apparecchio. C’era, prima che Arthur la spegnesse con un gesto che sarebbe potuto sembrare distaccato non fosse stato per la tensione delle dita e il viso contratto. Quello che doveva essere un gesto semplice e rilassato si era trasformato in un moto di stizza. Di stizza verso quell’idiota di Francis, che ancora dorme sui gigli d’argento, col fiordaliso stretto al petto e i raggi del sole che tagliano l’ombra della finestra intrecciandosi ai suoi capelli biondi.

 

{Entendez-vous dans les campagnes}

 

Continuavano a galoppare, lontano, i soldati tedeschi.
Egli seguitava ad arrancare, nel grigiore nebbioso delle strade; metteva un piede davanti all’altro, inciampava su qualche calcinaccio e cadeva a terra senza un gemito, senza un sospiro. Rimaneva qualche secondo bocconi, stringendo qualcosa, forse solo aria, tra le dita tremanti, poi si faceva forza e continuava a trascinarsi per la via.
Lontano i soldati tedeschi seguitavano a galoppare.

 

{Mugir ces feroces soldats?}

 

Il sole si intreccia ai suoi capelli, scivola lungo la fronte, così distesa nonostante la situazione, scintilla appena sopra le ciglia, scivola lungo le guance prima di baciargli le labbra, scendere lungo il collo e svanire con uno sbuffo di pulviscolo dorato tra le pieghe dell’abito scuro.

 

{Ils viennent jusque dans vos bras}

 

Alzò gli occhi e la vide, la piccola Lutèce, gemente in mezzo alla strada.
Le corse incontro, con tutta la forza che ancora gli rimaneva nelle gambe, ignorando i singulti strozzati dei muscoli e il bruciore che li percorreva. Pensava solo a Lutèce, il suo piccolo passero dagli occhi di cobalto, alla sua bambina, alla sua tenera rosa che ora si ripiegava su stessa, simile al fiore che tenta di proteggersi dalla violenza della gelata coprendosi il volto coi propri petali.
Le prese le braccia, le baciò le mani, le disse
Ma petit, ma lei continuava a piangere, scuotendo il capo, non voleva mostrarsi.

 

{Égorger vos fils, vos compagnes!}

 

Arthur non può smettere di fissare quell’abito scuro. Il contrasto con l’argento dei gigli ed il candore del fiordaliso lo fa quasi star male: gli provoca una sgradevole contrazione allo stomaco, un fremere delle braccia e delle dita. Decide allora di affondare le unghie nei palmi delle mani. Il tremore non cessa, ma almeno ha riacquistato un po’ di autocontrollo..o almeno, così sembrerà a chiunque avrà l’ardire di varcare quella soglia.
E Francis continua a dormire. Ora, nota Arthur, non è più solo il bianco del fiordaliso o l’argento dei gigli a dargli la nausea: il francese, sempre così ordinato, pulito fino alla morbosità, ha del terriccio sotto le unghie.
Una poltiglia scura, tra il grigio ed il marrone, che si incunea sotto la pelle, vi si abbarbica, vi cresce, la infesta come un parassita. Ma non è solo quel terriccio a dargli la nausea. E’ anche il sangue.

 

{Aux armes, citoyens}

 

Le prese le braccia, le baciò le mani, le disse, Ma petit, ma lei continuava a piangere, scuotendo il capo, non voleva mostrarsi.
Di lontano rombavano gli zoccoli dei tedeschi, le loro urla scuotevano le vie, laceravano il cielo.
-Ils m'ont pris- mormorò Lutèce e tra le sue dita scivolavano le lacrime –Il’s m’ont pris-
Le tenne le mani e con gentilezza le sollevò. Lei non opponeva più resistenza.
Fu allora che la vide, scarlatta, ancora sanguinante, impressa a fuoco sulla fronte della sua piccola Lutèce.

 

{Formez vos bataillons}

 

C’è del sangue sotto le unghie. Non è più rosso, non ha più quella tonalità accecante che tanto ricorda i colori della bandiera francese: è un marrone violaceo, secco e molle. Non sembra nemmeno sangue. Nemmeno Arthur sa dire cosa sia.
Sa solo che è un colore livido che come un parassita si abbarbica alle lunghe dita di Francis. È un reticolo violaceo che si cristallizza sulle nocche, sul dorso, fino ai polsi e da lì scompare, inghiottito dall’abito scuro, per poi riapparire sulla piega rigida del collo. Sembra quasi che il sangue non appartenga a quel maledetto francese, mai ai gigli d’argento su cui è adagiato.

 

{Marchons, marchons! (Marchez, marchez!)}

 

 

Scarlatta, ancora sanguinante, impressa a fuoco sulla fronte della sua piccola Lutèce, la svastica tedesca gli trafisse gli occhi.
Si alzò di scatto e la sua bambina si ripiegò su stessa con un gemito; sentì il respiro mozzarsi in gola, il cuore perdere un battito. La vista gli si appannò, gli occhi si rivoltarono nelle orbite, mentre lo scalpitare demoniaco dei tedeschi gli frantumava la mente e l’animo, le loro dita gelide gli squarciavano il petto e gli strappavano il cuore dal costato, lo gettavano a terra, lo schiacciavano tra le macerie di una Parigi ridotta in ginocchio.
Cadeva Parigi e la Francia con lei.

 

{Qu'un sang impur}

 

C’è il biondo dei capelli, il livore del viso, l’argento dei gigli, il viola delle labbra, il pallore delle dita, il blu dell’abito, il candore del fiordaliso. Non c’è sorriso, nessun accenno, solo una bocca storta in un ultimo gemito, una macchia ancora fresca di sangue all’altezza del cuore.
Arthur deve serrare la mascella e chiudere gli occhi, combattere la nausea che lo sta travolgendo. Si porta una mano al viso, a coprirsi la bocca, ma già le ginocchia gli cedono, il mondo, ai lati delle palpebre, si scompone in miriadi di roteanti punti neri.
Sta per perdere la presa, il contatto con ciò che lo circonda, quando sente dei passi fermarsi sulla soglia della stanza; si volta e fissa con astio l’uomo dinanzi alla porta.
Ha i capelli tirati all’indietro, un accenno di baffi, le labbra carnose e gli occhi dal taglio allungato: sta rigido sulla soglia, impettito nel suo completo scuro, attende di essere ricevuto. È un francese, ma di Francis non ha nulla, non le labbra ghignanti, non lo sguardo malizioso, non le dita lunghe e flessuose che giocherellano con l’aria, arricciandola con gesti delicati ed armonici, quasi non fosse aria ciò che stanno toccando, ma l’increspatura fruttata di un vino pregiato. Non ha nulla di Francis, se non il portamento.
Arthur si scosta dal corpo e fa cenno a de Gaulle di entrare; questi annuisce e si fa avanti, pochi passi, poi si ferma di nuovo, accanto al letto di gigli di Francia.
Gli occhi di de Gaulle sono foschi, osserva Arthur, di chi ha visto il suo mondo, il suo cuore crollare, e tale è stato il dolore da non avere nemmeno la forza di piangere. Non cova rabbia il suo sguardo, solo..sembra aspettarsi di vedere la sua Nazione sollevarsi dall’argento dei gigli, sciogliersi i muscoli delle braccia e sorridere con la solita malizia, prima di calarsi la berretta rivoluzionaria sul capo e tornare a Parigi per liberarla dal giogo tedesco.
Arthur vorrebbe ridere della sua follia, delle sue sciocche speranze, ma sente di non riuscirci. Non aveva pensato ad altro nelle ore precedenti, passate a vegliare quel corpo rigido, adagiato sul letto argentato dei gigli, con un fiordaliso candido tra le dita. Un corpo che sembra addormentato. Ma non lo è.
-La Francia- mormora de Gaulle e nonostante il buon inglese Arthur non può fare a meno di notare la cadenza molle delle sillabe, la erre crepitante –Tornerà libera-

 

{Abreuve nos sillons! }

 

Cadeva Parigi e la Francia con lei.
Cadde Francis sul terreno riarso, imputridito dal sangue francese. Tutto era grigio intorno a lui, le strade, le case, la piccola Lutèce, il suo piccolo passero dagli occhi di cobalto, l’intera Francia. Tutto era grigio.
Solo una tona diversa, un filo di colore intenso e brillante: lo scarlatto bollente del sangue.
Era a terra Francia e Vichy teneva il capo deforme mollemente poggiato sulla spalla di Pètain e sorrideva sghemba a Ludwig.
Non c’era colore a Parigi, solo il nero delle uniformi.
Solo un rigagnolo scarlatto che dal petto di Francis si perdeva nel grigiore nebbioso delle strade.

 

§ 1940 §

   
 
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