Eccomi qui! Con un po’ di ritardo, ma sono tornata!
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CAPITOLO QUATTORDICI:
STAGIONI
Gennaio- Akito
C’è stato un momento nel quale ho pensato che quei
dannatissimi quattro anni non fossero mai davvero
passati.
O
che magari fossero anche passati, ma che non avessero cambiato granché, almeno
dentro di noi.
Perché fare l’amore con te, stringerti così forte da
sentire il tuo respiro sulla mia anima, aveva fatto sorgere nella mia mente
l’illusoria convinzione che il tempo potesse accartocciarsi su se stesso. Che
potesse consentirci di tornare indietro per cambiare le nostre
scelte.
E
io le avrei cambiate senza pensarci su neppure un
istante.
Perché sono state quelle scelte, errori causati dalla
fragilità dello spirito umano, a condannarci a questo.
E
per due innamorati come noi,- perché si, sai benissimo che lo siamo-, non c’è
condanna peggiore che essere costretti a stare lontani e a non poter dare la
colpa ad altri se non a noi stessi e alla nostra ineguagliabile
stupidità.
È
bastato girarsi un istante, uscire dalla porta come si fa nei giorni normali, e
tu non c’eri già più.
Avevi scelto di cambiare casa, di cambiare città, di
cambiare vita. Di cambiare persino quel futuro che avevamo già scritto quella
sera di tantissimi anni fa, seduti su una panchina nel nostro piccolissimo
gazebo.
Forse tu non lo sai perché non te l’ho mai detto, ma
durante questi ultimi quattro anni sono tornato molto spesso a visitarlo.
Non all’inizio, però. C’è voluto un po’ di tempo prima
che ritrovassi il coraggio di percorrere quella strada.
Non so neanche se lo si possa definire coraggio… forse
invece, quel bisogno di vedere quasi ogni giorno il posto in cui tutto è
cominciato, era solo debolezza. Un
modo per sentirmi ancora vicino a te.
Non lo so. Comunque, non
funzionava.
Senza di te quel gazebo non era altro che un gazebo. Due
panchine coperte da un piccola cupola in
metallo.
Era freddo e triste come una vecchia auto abbandonata ai
margini di una strada deserta da cui nessuno passa
più.
Quel gazebo, forse, era un po’ come me. Eravamo due
rottami, due pezzi di una storia che apparteneva al passato, ma che da quel
passato non erano in grado di tirarsi fuori.
Tu
eri andata avanti, io ero rimasto incastrato al momento nel quale capii che mi
avresti stravolto la vita.
Sai, un giorno ho letto da qualche parte che non si può
sentire la mancanza di qualcosa che non si è mai
conosciuta.
Forte di questa convinzione, sono arrivato anche a
desiderare,- e non te lo nascondo-, di non averti mai incontrata. O di non
averti permesso di togliermi la ruggine dal cuore e di spaccarlo per entrarci
dentro e scriverci le lettere del tuo nome come un tatuaggio
indelebile.
Ho
pensato che fossi solo un tatuaggio sbagliato. Che se non ti avessi mai permesso
di intrometterti nella mia vita, non sarei stato costretto a soffrire come un
cane quando te ne sei andata.
Perché tu non ti sei accontentata. Non ti è bastato far
parte della mia vita come una delle tantissime persone che incontriamo durante
il nostro percorso… una di quelle che restano solo per un po’, magari
condividono qualcosa con te, ti fanno passare qualche giornata divertente, ma
poi se ne vanno via.
E
tu puoi anche rimanerci male lì per lì, ma poi te ne dimentichi e con il tempo
neanche te le ricordi più.
No, tu dovevi entrare in quella parte di cuore dalla
quale non era più possibile uscire. Hai preferito infilarti in un vicolo cieco e
proteggerti costruendo ricordi su ricordi, regalandomi momenti che sapevi bene
non sarei mai stato in grado di cancellare. E una volta che ci sei riuscita, una
volta che sei riuscita a crearti intorno il più sicuro dei rifugi, ti sei
sentita soffocare. E hai deciso che forse era ora di uscire… e l’hai fatto
nell’unico modo possibile… spaccando tutto.
Come un bambino capriccioso che decide di buttare il
giocattolo che fino ad un giorno prima era stato il suo preferito, hai deciso
che era il momento di diventare adulta.
Ma
vuoi sapere come mi sono sentito io?
Svuotato.
Si, credo che sia la parola giusta per descrivere il mio
stato d’animo quando ho aperto la porta di casa nostra e non ho trovato più i
tuoi vestiti nell’armadio.
Non so perché ti sto dicendo queste cose… perché sto
rivangando episodi che appartengono a quel passato che ci eravamo lasciati alle
spalle la notte di quest’ultimo Natale, durante il matrimonio di Aya e
Tsuyoshi.
Forse quel dolore lo sto rivangando per provare a farti
capire perché ti ho fatto una cosa così
orrenda.
Ora non so se questo possa considerarsi un’attenuante,
una sorta di mezza giustificazione, per quello che ho fatto con Matsui la prima
notte nella quale mi sono ritrovato completamente
solo.
Non so come la pensi tu, ma io credo che di un dolore
come quello che mi hai lasciato quel giorno non puoi non tenerne
conto.
Ti
chiedo solo di pensarci almeno un istante, prima di decidere che è tutto
irrecuperabile.
So
di non poter pretendere che tu possa dimenticare quella notte… non posso farlo
neppure io, dal momento che proprio da quella notte è nato mio
figlio.
Si, ormai è un mese che sono
qui.
Vorrei tanto poterti chiamare e raccontarti che quando
l’ho visto la prima volta ho sentito una scossa fortissima nello
stomaco.
Non te lo saprei spiegare a parole, perché è una cosa che
se non la vivi non la puoi capire.
Fuka mi ha presentato come un suo vecchio amico, o come
uno zio,- ora non ricordo di preciso-, e lui mi ha guardato un attimo con aria
confusa.
Ha
i miei occhi. Ce l’ha davvero, Sana. È stato come rivedere me stesso bambino…
per fortuna, però, lui ha i miei occhi ma non il mio
sguardo.
Il
suo è quello di un bambino amato e felice.
Ho
capito subito che Matsui è davvero una buona
madre.
I
primi giorni ho cercato di parlare con lui, di capire se il fatto che fossero
già passati più di tre anni dalla sua nascita, non fosse comunque un ostacolo
per provare a conoscerci.
Qualche giorno fa mi ha sorriso per la prima volta… e ho
capito che mi aveva riconosciuto.
Ieri, dopo averlo messo a letto, stavo per uscire dalla
porta della sua stanza e l’ho sentito parlare nel sonno… mi pare abbia detto
“papà”.
E
in quel momento ho capito che lui è davvero mio figlio. E che, nonostante tutto,
non potrei mai desiderare che non fosse mai venuto al mondo.
So
che non dovrei dirlo proprio a te… dopotutto, è per colpa di sua che credo di
averti persa per sempre.
Però, lo sai.. sei stata presente in ogni minuto della
mia vita e allora ho sempre avuto l’abitudine di raccontarti tutto. Tu hai
sempre saputo tutto di me. Mi conosci molto meglio di quanto io non conosca me
stesso. L’unica volta in cui ho potuto provare a vedere se ero in grado di
cavarmela anche da solo, sono stato sul punto di morire.
E
allora sono arrivato alla conclusione che mi manca da pazzi poterti raccontare
ogni cosa.
Mi
manca dirti che Tsuyoshi ha pensato all’ennesimo regalo da fare alla sua Aya, o
che c’è un allievo nella mia palestra che è già molto più bravo di me, per poi
sentirti dire che non è vero… che non è possibile che ci sia qualcuno più bravo
di me perché per te io sono il migliore.
Ma
a me non è mai importato essere il migliore nel karate.
Sarei voluto essere il migliore per te. L’uomo degno di
starti accanto.
E
ancora ci spero, sai?
Forse sono uno stupido.
O
forse sono solo molto innamorato.
Il
che, in fondo, è praticamente la stessa cosa.
***
Febbraio- Naozumi
Non avevo mai notato quanto New York potesse essere il
posto peggiore in cui vivere.
Ti
sembrerà una cosa stupida, perché ti ho sempre detto che per me era la città più
bella del mondo e che me ne sono
innamorato sin dalla prima volta in cui ci ho messo
piede.
È
tutto così rumoroso, e luminoso… la gente non si ferma mai. Non ha neppure un
attimo per pensare… sono sempre tutti così indaffarati, hanno sempre tutti così
tanto da fare.
Non me ne sono mai accorto prima… forse perché anch’io
avevo sempre qualcosa da fare.
Non che adesso sia diventato una specie di nullafacente
vagabondo,… sai che non sono un tipo che passa le sue giornate seduto scomposto
sul divano a guardare squallidi programmi televisivi e a mangiare gli avanzi
della sera prima, con una bottiglia di birra scadente tra le
mani.
Se
fossi stato uno così, credo che non avresti passato con me neppure un giorno
della tua vita.
Il
lavoro và abbastanza bene. Proprio qualche giorno fa ho iniziato a girare le
prime scene di un nuovo film che, stando ai grandi nomi che recitano al mio
fianco, dovrebbe diventare un vero successo.
A
me, però, non importa granché.
Non mi importa di molte cose, in
realtà.
Sai, ieri sono stato al nostro solito ristorante...
quello dove andavamo quasi ogni venerdì sera e Jack e Kate mi hanno chiesto di
te.
“Ehi, Naozumi, dov’è la tua amata fidanzatina?” mi hanno
detto con il sorriso sul volto.
Loro non sanno che non eri con me nel loro ristorante
perché ti avevo lasciata dall’altra parte del
mondo.
Io
non ho risposto e mi sono limitato ad alzare le spalle e ho sperato con tutto me
stesso che quel gesto bastasse per fargli capire che non volevo parlare di
te.
Per fortuna hanno capito e mi hanno riservato uno sguardo
compassionevole.
E
Dio solo sa quanto li ho odiati per questo!
Se
ne stavano lì, la classica coppietta felice che prova pena per lo sfigato che è
stato mollato dalla sua bellissima fidanzata innamorata di un altro da tutta la
vita.
Li
ho odiati. E ho odiato anche te.
Poi però ho pensato a quello che ti ho fatto e ho odiato
anche me stesso.
È
una cosa frustrante, sai? Sapere di non averti lasciato nient’altro che un mare
di sofferenza.
Eppure ti ho amata così tanto. Ti amo così
tanto.
Vorrei chiamarti per sapere come stai. Per sapere se sei
riuscita a stare un po’ meglio o se ancora ti manca la forza per
respirare.
Vorrei sapere se Hayama ha fatto qualcosa per riprenderti
con sè e se tu hai ceduto di fronte a lui. Se lo ami ancora e se lo
perdonerai.
Ma
il massimo che riesco a fare è comporre il tuo numero e riattaccare non appena
sento il primo squillo.
Forse un giorno riuscirò a chiamarti davvero. O forse ti
verrò anche a trovare.
Intanto resto bloccato qui, immobile e sperduto
nell’immenso caos di New York.
E
tra tutto questo mare di gente mi riscopro ancora a cercare il tuo viso, pur
sapendo che non lo troverò mai.
Questa città ha cambiato volto da quando sei andata via.
A
volte penso che vorrei andarmene anch’io…magari in Europa o da qualche altra
parte.
Ma
poi capisco che ovunque sarebbe lo stesso. Che ovunque ti cercherei. Che ovunque
mi mancheresti.
E
allora resto qui e provo ad occuparmi la vita con cose diverse da
te.
E
magari un giorno, chissà, potrò anche
riuscirci.
***
Marzo- Tsuyoshi
A
volte ho come l’impressione che avrei potuto fare molto di
più.
Si, insomma, che avrei potuto regalarvi più tempo e più
attenzione. Perché, che avevate entrambi bisogno di un amico, mi sembra
abbastanza scontato.
L’ho sempre saputo che siete due imbecilli che si fanno
corrodere dall’orgoglio e da stupidissimi errori, quindi non mi dovrei stupire
più di tanto se siete arrivati a perdervi, ancora una
volta.
Invece, non appena ho saputo la verità, mi sono stupito
eccome.
Perché non potevo credere che foste stati capaci di
impegolarvi in una situazione tanto assurda.
Dico davvero, stupidi senza
cervello.
E
ora non offendetevi, perché è esattamente quello che
siete.
Ho
dovuto praticamente costringere Aya a dirmi tutto quello che sapeva. Perché è
mia moglie, accidenti, e credo di avere il sacrosanto diritto di condividere con
lei ciò che la tormenta.
Dopo il matrimonio, durante i giorni della luna di miele,
era quasi sempre assente. Che ci fosse qualcosa che la turbava l’avrebbe capito
anche un cieco.
All’inizio ha anche provato a negare, a dirmi che non
aveva idea del perché tu te ne fossi andato all’improvviso, mentre Sana era
rimasta nella sua vecchia casa. Senza Naozumi. E senza di
te.
Poi però ha capito che sarebbe stato inutile continuare a
mentire, perché sono suo marito, sto con lei praticamente da tutta la vita, e mi
basta un istante per rendermi conto se qualcosa non
và.
E
allora mi ha confessato tutto, mi ha detto di Fuka e del suo bambino. E io ho
avuto una voglia pazzesca di prenderti a pugni, stupidissimo di un
Akito!
E
te l’ho anche detto, non appena ho trovato il coraggio di farti qualche
telefonata per sapere come procedevano le cose tra te e tuo
figlio.
Ti
ho detto che sei l’uomo più stupido che io abbia mai
conosciuto.
Ti
voglio bene e lo sai. Sono cresciuto con te e ti ho visto innamorarti di lei.
Sin dal primo istante, ho capito che c’era qualcosa di molto speciale che vi
legava e che, con moltissima probabilità, vi avrebbe legati per
sempre.
E
allora dimmi cos’ho sbagliato. Dimmi perché le cose non sono andate come avevo
previsto.
Perché qualcosa dev’essere successo… qualcosa di diverso,
qualcosa che ti è scattato nel cervello, che è scattato anche a lei, e che vi ha
fatto svegliare una mattina e pensare che la cosa migliore da fare era buttare
nel cesso un amore che, forse, non meritavate.
Perché non ne hai parlato con
me?
Perché non mi hai detto che eri stato così disperato da
fare l’amore con la migliore amica di Sana?
Perché, quando hai capito che da solo non ce la facevi,
non mi hai chiesto aiuto?
Sai che ci sarei stato,
Akito.
Avrei potuto parlare con Sana, dirle che volevi che
tornasse a casa. Dirle che volevi sposarla.
Ma
tu dicevi che andava tutto bene, che il fatto che lei fosse andata a New York e
che si fosse messa con Naozumi, forse era stata la cosa migliore per tutti e
due.
Balle, clamorose menzogne.
Forse la colpa è stata anche mia. Colpa per averci
creduto, a quelle bugie, ignorando la vocina dentro di me che mi urlava di
aprire gli occhi.
Ma
non volevo intromettermi, non volevo forzarti a fare qualcosa che non volevi
fare. E invece non ho pensato che l’unica cosa che volevi era proprio quella di
riavere lei.
Sciocco io. Sciocco tu. Sciocca lei.
Ed
è così triste pensare che una cosa bella come il vostro amore possa essersi
rovinata per un po’ di sciocchezza.
È
così facile distruggere tutto.
Sai, Akito, ieri sono passato da casa di Sana. Volevo
vedere come stava, volevo parlare un po’ con lei per cercare di farle capire che
non era ancora tutto perduto. Che se ti amava allora qualcosa si poteva
recuperare.
Ma
lei non c’era. Ho suonato il campanello per un bel po’ di minuti, ma non ho
ricevuto risposta.
In
un primo momento ho creduto che fosse uscita per fare un giro e allora l’ho
aspettata per un po’.
Poi ho visto la signora Misako uscire in giardino per
innaffiare le sue bellissime piante e le ho rivolto un caloroso saluto. Lei mi
ha guardato un attimo confusa e poi mi ha chiesto cosa facessi
lì.
“Sto aspettando Sana!”, le ho
risposto.
Lei si è avvicinata a me e mi ha sorriso appena, prima di
dirmi che Sana non c’era. Perlomeno, non in quel momento e non ci sarebbe stata
neppure in quelli immediatamente successivi.
Si
è trasferita, Akito. È andata ad abitare con Rey e sua moglie Asako, in un
piccolo paesino alle porte di Parigi.
Tu
sei ad Osaka e lei in Francia. Siete di nuovo distanti un mondo
intero.
Quanto durerà questa situazione?
Avete davvero intenzione di non fare niente? Di lasciare
le cose così come sono?
Accidenti a voi! So che non è facile rimediare, ma almeno
provateci!
Mi
sento un po’ più vuoto anch’io senza di voi. Mi sento un po’ più triste anch’io,
se so che non siete felici.
Aya continua a dirmi di non fare nulla. Di lasciare che
siate voi due a decidere in quale direzione far evolvere le cose.
Credo che la ascolterò, anche perché non saprei cosa fare
per aiutarvi.
Dovrete essere voi due a capire che essere felici è un
dovere. E che pensare di poter vivere senza dar peso alla voce del cuore è solo
una follia. E una macroscopica utopia.
Quindi io aspetterò in disparte le vostre mosse, con la
promessa che ci sarò sempre, e in ogni momento, se vi servisse ancora un
amico.
Sento, o forse spero, che ci sarà aria di
cambiamenti.
In
fondo, è già primavera.
***
Aprile- Sana
Forse ti sembrerà strano, ma mi sono resa conto che la
primavera è davvero arrivata solo questa mattina.
Per capirlo, mi è servito sentire Asako entrare nella mia
stanza per svegliarmi e vederla spalancare le ante della finestra accanto al
letto.
Ecco, in quel momento ho sentito un fortissimo odore di
fiori. E ho capito che l’inverno era passato… almeno sul
calendario.
Già, perché dentro di me, l’ inverno, lo sento ancora
saldamente ancorato al cuore.
Non c’è l’ombra neppure di un piccolissimo bocciolo,
niente che possa dimostrarmi un po’ di
primavera.
Strano, vero?
Perché io sono sempre stata una persona piena di
entusiasmo e di voglia di vivere, e spesso sentivo la primavera molto prima di
tutti gli altri, la sentivo anche nel più gelido inverno, anche durante il più
triste degli autunni.
Inutile dire che la colpa è tua.
Dopotutto, di chi altri potrebbe
essere?
È
per colpa tua che sono stata “costretta” a fuggire da Tokio e dalla mia vecchia
casa…tra quelle mura familiari erano troppe le cose che mi parlavano di
te.
Incredibile come una sola persona possa essere capace di
influenzare a tal punto la tua vita. Bisognerebbe creare dei limiti, dei confini
oltre i quali i sentimenti non possono andare, giusto per proteggersi un po’ di
cuore.
Se
così fosse stato, ora non mi ritroverei in queste condizioni. Non sarei
costretta a quest’apatia che mi spinge a non trovare un senso a niente. A non
vivere il passare dei giorni con l’entusiasmo tipico di chi ha qualcosa da
aspettare. Perché io non aspetto più niente.
Trovo che sia la cosa più orribile che possa capitare, lo
stato d’animo peggiore che una persona possa provare… il non aspettarsi niente,
perché tanto ogni nuovo giorno è uguale al precedente e il tempo lo vedi passare
solo sulla calendario.
Prima era tutto diverso. Prima, c’erano tanti progetti,
tante cose da fare e il tempo sembrava non bastare mai. Ora ne ho così tanto che
non so che farne. Ne ho così tanto che quasi vorrei
regalarlo.
Eppure so che mi basterebbe guardarti per tornare ad
emozionarmi di fronte ad un’alba.
Mi
basterebbe sentire la tua voce per ricominciare a interrogarmi su cosa fare
domani. E per creare progetti, sogni,
aspettative.
So
benissimo di essere una donna fortunata. Ho una famiglia che mi ama e un lavoro
che la maggior parte della gente può solo
desiderare.
Sto bene qui, con Rey e Asako. Hanno avuto una bambina,
sai?
È
nata quando ero ancora a New York, quindi l’ho vista per la prima volta quando
mi sono trasferita qui. Qualche giorno fa, ha compiuto due
anni.
Si
chiama Nami ed ha lo stesso viso di sua madre. Rey si arrabbia molto quando
qualcuno gli fa notare che potrebbe anche non essere sua figlia, visto che non
gli somiglia per niente.
Però non è vero. Ritengo che da Rey abbia preso il
sorriso. E questo basta per renderla indiscutibilmente sua
figlia.
Ogni volta che guardo Nami, mi viene inevitabilmente in
mente il fatto che anche tu ora hai un bambino. E non ti odio abbastanza per non
voler sapere com’è stato incontrarlo. Come ti sei sentito quando hai incontrato
i suoi occhi per la prima volta.
Vorrei sapere se ti somiglia e se sei riuscito ad
entrargli nel cuore. Ma questo, probabilmente, lo so già. Perché tu sai entrare
nel cuore, Akito. Il problema è che poi non sai più uscire. O lo sai ma non vuoi
dirmi come fare, perché ritieni che meriti ancora un po’ di
sofferenza.
Se
è così, se davvero conosci un modo per permettermi di non amarti più, allora ti
prego di dirmelo e di permettermi di liberarmi di te una volta per
tutte.
O
perlomeno dimmi come fare per trovare un senso anche a ciò che non porta il tuo
nome e che non ha il tuo volto.
Sono sempre stata così piena di te, durante il corso di
tutta la mia vita, che ho paura che se riuscissi a cancellarti, poi non mi
resterebbe più niente. Ho paura che la tua mancanza finirà per svuotarmi e io
resterò qui da sola, ad annaspare senza fiato, sapendo che non ci sarà mai
nient’altro con cui potermi riempire.
E
allora dimmelo tu cosa fare, perché io non lo so.
So
solo che non riuscirò ad odiarti finché continuerai a mancarmi. Finché
continuerò a pensare che è molto meglio amarti soffrendo, piuttosto che
cancellarti.
E
mi dispiace di essere stata così stupida. Mi dispiace di essermene andata
quattro anni fa.
Mi
dispiace di averti lasciato con il cuore stracolmo di rabbia e di delusione e di
averti fornito la possibilità di tradirmi nel modo peggiore in cui potevi
tradirmi.
Perché sei stato debole e sciocco, e su questo non ci
sono dubbi.
Ma
sono stata debole e sciocca anch’io, forse molto più di
te.
E
allora magari questa sofferenza me la merito. Ma sento che potrei stare molto
meglio se solo ti vedessi anche un istante… magari da lontano, dal ciglio
opposto della strada, o in mezzo ad un mare di persone. Mi basterebbe uno
sguardo fugace, giusto il tempo di vedere se la voglia di abbracciarti supera
quella di prenderti a schiaffi e di mandarti a quel
paese.
Che stupida, questo lo so già. Mi sembra inutile persino
dirti la risposta, perché se sto ancora qui a pensarti vuol dire che, con il
cuore, vorrei prendere il primo aereo e gettarmi tra le tue
braccia.
E
al diavolo Fuka, al diavolo gli errori, il tempo sprecato a farci del male. Al
diavolo tutto.
Poi penso che, tra il mare di sbagli commessi, c’è un
bambino che porta sul viso i tuoi lineamenti, e allora capisco che forse è
meglio mantenerla, questa distanza.
Perché a volte il cuore non basta, a volte è necessaria
anche un po’ di ragione.
Eppure nei sentimenti, ho sempre pensato, è il cuore
quello che deve decidere.
Forse sbagliavo… ma so che sarebbe davvero bellissimo, se
solo bastasse poterlo seguire.
***
Maggio- Fuka
Non ho mai avuto un’amica come te. Forse non ho mai avuto
una vera amica, prima di incontrarti.
Te
lo ricordi il momento in cui ci siamo viste per la prima volta,
vero?
Ci
siamo soffermate molto spesso a ripensarci, negli anni a venire. E ogni volta ci
lasciavamo scappare una risata divertita.
Perché se ci pensi, è stata una cosa strana. Voglio dire,
anche se non ci fossimo viste in bagno, anche se non ti avessi chiesto un po’ di
lacca per sistemare la frangetta tagliata troppo corta, ci saremmo incontrate
nella stessa aula solo pochi minuti dopo.
Si, ci saremmo viste in aula, ma forse sarebbe stato
tutto diverso.
Forse non ci saremmo parlate subito, forse mi sarei
seduta lontana da te, accanto ad un’altra compagna che magari avrebbe preso il
tuo posto.
Forse, se non ci fossimo parlate in quel bagno, non ci
saremmo mai scelte.
Perché noi ci siamo scelte, Sana. È bastato un attimo,
due parole scambiate qua e là, e subito abbiamo capito che c’era quell’alchimia.
Che io sarei diventata la tua migliore amica e che tu saresti diventata la
mia.
E
così è stato. Almeno fino a quel maledettissimo giorno di più di quattro anni
fa.
Credimi, fare l’amore con Akito era l’ultima cosa che mi
passava per la testa. Se tu me l’avessi detto tanti anni fa, tra una battuta e
l’altra, ti sarei scoppiata a ridere in faccia.
E
ti avrei detto che mai e poi mai ti avrei fatto una cosa del genere. Che mai e
poi mai lui l’avrebbe fatta a te.
Ed
era vero, è sempre stato vero, almeno fino a quando non hai deciso che la cosa
migliore da fare era scappare dall’altra parte del mondo e metterti con un uomo
che con il tuo Akito non c’entrava nulla. Che non c’entrava nulla neppure con
te.
E
non so se è stata colpa del destino o del nostro sconfinato timore di restare da
sole, ma anche Takaishi, a quei tempi, prese la tua stessa
decisione.
E
io, come te, ero troppo debole per non cercare aiuto. E conforto. E
amore.
Tu
l’hai fatto con Naozumi, io l’ho fatto con
Akito.
Si, lo so bene che è una cosa completamente diversa.. che
stando con Akito ho fatto del male anche a te. Ma quella notte non è stato
nient’altro che un modo per rendermi conto che non ero l’unica a soffrire. E il
fatto che ci fosse qualcun altro che soffrisse come me, che avesse la mia stessa
voglia di morire, mi ha fatto sentire un po’ meno disperata.
Solo per un po’.
Credimi, non ho pensato al fatto che ti avrei distrutta.
Non ho pensato che anche se eri a New York, il tuo cuore era rimasto accanto ad
Akito.
Se
ti può consolare, è stato così anche per il
suo.
Poi, il fatto che da quell’errore sia nato mio figlio, è
una cosa che non potevo prevedere. E che non posso assolutamente
rinnegare.
Mio figlio è tutta la mia vita da quando Takaishi se n’è
andato. E da quando te ne sei andata anche tu.
Mi
ha spinto a tornare ad amare la vita, mi ha fatto sentire di nuovo importante
perché ha bisogno che io mi prenda cura di lui.
E
questo non c’entra niente con Akito.
Certo, lui è il padre. Ma può continuare ad esserlo anche
senza dover rinunciare a te.
È
qui da qualche mese ormai, e mi sembra che le cose stiano andando anche meglio
del previsto.
Forse non dovrei raccontare queste cose proprio a te, ma
sei la mia migliore amica e voglio che tu sappia che certe cose non sono mai
cambiate.
L’amore che prova Akito verso di te, per esempio. E
quello che tu provi per lui.
Perché ti conosco fin troppo bene per non essere
assolutamente certa del fatto che, in questo momento, sarai da qualche parte del
mondo a pensare a lui e a dannarti perché non riesci ad
odiarlo.
Se
è così, non dannarti più.
Non tentare di odiarlo perché non ci riusciresti. Perché
odiarlo non servirebbe, non ti restituirebbe la voglia di sorridere. Quella, lo
sai, dipende da lui.
So
che una cosa come quella che ti abbiamo fatto non si può perdonare facilmente,
ma ti voglio troppo bene per non chiederti di perdonare almeno Akito.
Non perdonare me se non te la senti… almeno non ancora.
Prenditi tutto il tempo che ti serve, lascia scorrere tutta la vita che vuoi far
scorrere.
Lui, però, cerca di perdonarlo. Lo dico per te, perché so
che solo lui può farti tornare quella di sempre.
E
lo dico per lui, perché gli voglio bene. Perché non sai che la sera, quando
pensa che siamo già andati tutti a dormire, lo sento piangere da dietro la sua
porta. Lo sento singhiozzare il tuo nome.
E
se l’amore che provate l’uno per l’altra è sopravvissuto anche ad un errore come
il nostro, allora vuol dire che non potrà mai morire. E tu non lo devi
sprecare.
Fallo per lui, fallo per
te.
Ho
provato anch’io ad odiare Takaishi, quando mi ha lasciata. Ho provato a
fargliela pagare e hai visto com’è andata a
finire.
Dopo lo stupore iniziale, dopo lo shock per la
separazione, ho pensato che la cosa migliore da fare fosse odiarlo. Odiarlo così
tanto da far rimanere nella mia mente solo i momenti peggiori…da non ricordare
il modo in cui mi guardava, ma solo gli occhi che aveva nel momento in cui mi
diceva che era meglio andare via.
Ho
lasciato che la rabbia si impossessasse di me e mi corrodesse, fino a farmi
dimenticare che avrei potuto odiarlo anche per tutta la vita, ma la ferita non
si sarebbe rimarginata.
Perlomeno, non così in fretta. Non riempiendola di
rancore.
È
stato solo quando ho capito che non dovevo essere arrabbiata, che non dovevo
costringermi ad odiarlo, che ho iniziato a stare un po’
meglio.
E
allora ho accettato il fatto che le storie d’amore possono anche finire e che
l’unico motivo per il quale Takaishi mi ha lasciato è che, semplicemente, non
era più innamorato di me.
E
di questo non posso certo fargliene una colpa.
Ho
continuato ad amarlo per un bel po’, forse lo amo tutt’ora. Ma riesco a
convivere con il ricordo della nostra storia, riesco a pensare a lui e, a volte,
mi viene anche da sorridere.
Ma
avrei tanto voluto che mi avesse lasciata per uno stupido litigio o per un po’
d’orgoglio, proprio com’è successo a te e ad
Akito.
Un
errore si può riparare, la mancanza d’amore no.
È
più facile rassegnarsi se chi ti lascia non ti ama più, perché alla fine sai che
non c’è niente che tu possa fare per cambiare la
situazione.
Ma
voi vi amate ancora. E c’è qualcosa che potete
fare.
Potete perdonarvi.
Fidati, Sana, lo devi a quell’enorme pezzo di vita
vissuto accanto ad Akito. Lo devi ai vostri momenti, alle sensazioni che ancora
provate quando siete vicini. Lo devi ai brividi che vi regalate con un solo
sguardo, ai sorrisi che hai voluto soffocare, ai progetti che dovevate
realizzare. Lo devi ai figli che sognavate di avere, ai respiri che dovevate
farvi mancare.
Soprattutto, lo devi al tuo cuore… Stavolta, ti giuro, lo
dovresti davvero ascoltare.
***
Giugno.
Aprì le finestre lentamente, cercando di fare meno rumore possibile. Sentì il legno ruvido delle ante sotto le dita e la brezza mattutina accarezzargli il viso ancora leggermente insonnolito.
Restò immobile per qualche secondo, piacevolmente sorpreso dal calmo paesaggio che gli si stagliava di fronte. C’era una calma quasi irreale eppure bellissima… così diversa dal caos che accompagnava i suoi risvegli nelle mattine a Tokyo.
Inspirò a fondo, sollevando il capo e alzando gli occhi verso il cielo. Quasi si sentì perso, di certo minuscolo, al cospetto di quell’immensa distesa azzurra e limpidissima.
Non c’era neanche una nuvola, quasi come se niente dovesse intaccare quel manto immacolato.
Era tutto così perfetto da sembrare quasi una fotografia, o un’immagine di quelle che si vedono sui cartelloni pubblicitari e che si usano per attirare turisti in questa o quella zona del mondo.
Tutto odorava già d’estate.
- Akito, sei già sveglio?
Fuka fece capolino dallo stipite della porta, con indosso ancora l’enorme pigiama con il quale amava dormire.
In questo, somigliava molto alla sua Sana.
Anche lei, infatti, era solita dormire con dei pigiami davvero poco consoni e femminili, anche quando fuori iniziavano le giornate più calde.
- Si, mi sono appena svegliato.
La vide entrare lentamente e subito riconobbe lo sguardo che le scorse sul viso.
Quello era lo sguardo che Fuka aveva quando stava per iniziare uno dei suoi soliti discorsi.
Uno dei suoi vecchi discorsi. Quelli che amava fare quando era ancora la ragazza allegra e chiacchierona di un tempo.
- Senti, Akito… io devo parlarti.
Appunto.
Lui si strinse nelle spalle e si preparò mentalmente ad ascoltarla.
- In realtà, è un discorso che voglio farti da un bel po’.. ma non ho mai avuto la giusta occasione per farlo. Ora Shin è di là che dorme e mi sembra anche abbastanza tranquillo, quindi ho deciso di farlo ora.
- Matsui, si può sapere cosa devi dirmi?
- Si tratta di te. E di Sana.
Avvertì una pugnalata al cuore, solo nel sentire quel nome.
Abbassò il capo e fece qualche passo per raggiungere il letto e per sedersi sulle lenzuola disfatte, conscio che quella sarebbe stata una lunga conversazione. Lunga e molto difficile.
- Ecco io.. io credo che tu dovresti tornare a casa.
- Come ti salta in mente una cosa del genere?
- Io ti sento, Akito.
- Cosa?
- Voglio dire, io ti sento piangere quasi ogni notte. E ti sento dire il suo nome.
Di fronte a quella inaspettata rivelazione, si sentì perso. Un uomo minuscolo di fronte ad una verità troppo grande e troppo pesante da sopportare.
Perché finché era solo lui a saperlo, finché piangeva in silenzio sotto le lenzuola senza che nessuno potesse sentirlo, allora era diverso. Faceva male, certo, ma almeno non doveva giustificarsi inventando assurde motivazioni alle quali neppure uno stupido avrebbe creduto.
Ora, invece, Fuka conosceva la sua debolezza. Forse l’aveva sempre conosciuta, ma se le dici ad alta voce le cose sembrano molto più vere. E fanno molto più male.
- E con questo cosa vorresti dirmi, Matsui?
- Voglio dirti che non è necessario che tu continui a soffrire così. Sei venuto qui per conoscere tuo figlio e l’hai fatto. Sei riuscito ad entrare nel suo cuore e credo che anche lui sia riuscito ad entrare nel tuo. Vedervi insieme mi rende la persona più felice del mondo, mi fa sentire meno in colpa per i tre anni che, egoisticamente, vi ho negato…
E ora perché lei stava piangendo?
- … ma non potrei mai chiederti di sacrificare la tua vita per nostro figlio. Mai. Perché ti voglio bene e credo che tu sia una persona meravigliosa… e so che non ci lasceresti mai se non fossi io a chiederti di farlo.
- Lo stai facendo? Mi stai chiedendo di lasciarvi?
D’improvviso anche a lui venne voglia di piangere.
- Si. Ma non fraintendermi, non voglio che tu ci lasci definitivamente. Voglio solo che tu torni a Tokyo e che cerchi di rimettere in piedi la tua vita.
- La mia vita va benissimo così.
La vide asciugarsi le lacrime e sorridergli appena.
- Non dire sciocchezze, Akito. La tua vita non và affatto bene se non c’è Sana. Ti sto chiedendo di tornare a casa per riprenderti la donna che ami, perché non voglio che mio figlio sia l’alibi per non cercare di rimediare ai tuoi errori.
Ora non piangeva più. E non sorrideva neppure. Ora aveva lo sguardo forte e determinato di quando l’aveva conosciuta.
- Tu sarai sempre il padre di Shin, questo non potrà mai cambiare. E potrai continuare ad essere suo padre per tutto il tempo che vorrai. Potrai telefonargli ogni giorno, ogni ora.. potrai venirci a trovare ogni fine settimana e potremmo venire anche noi, di tanto in tanto.
- Lei… lei non mi vuole più.
- Oh, sciocchezze! Sono sicura che lei non vede l’ora che tu torni a casa. È la mia migliore amica, nessuno la conosce meglio di me.
Lei si lasciò andare ad un breve risata.
Incredibile come Fuka fosse capace di cambiare umore nel giro di pochi secondi.
- Quando… quando potrò rivedere mio figlio?
- Quando vorrai! Noi siamo qui, non scappiamo mica!
Certo, ora si metteva anche a fare battutine.
Un tempo, aveva odiato quel suo lato del carattere.. quel suo voler sdrammatizzare su tutto, anche quando non c’era proprio nulla da sdrammatizzare.
Eppure ora gli venne il fortissimo impulso di abbracciarla forte.
E lo fece, cingendole con le braccia la vita sottile. La sentì emettere un mezzo sospiro, di certo sintomatico di un comprensibile stupore.
- Grazie…
Sussurrò vicino al suo orecchio. Lei si separò da lui e gli sorrise, mentre una nuova lacrima scendeva a rigarle il volto leggermente arrossato.
- Di niente. Ora vai su, inizia a preparate i bagagli!
Per un attimo, rivide
La seguì con lo sguardo, mentre lei si dirigeva frettolosa verso la porta.
Prima di uscire, si girò ancora per guardarlo e alzò l’indice, puntandolo minacciosa verso di lui.
- Ah, sappi che la prossima volta che ci vedremo voglio che tu mi dica che stai di nuovo insieme a Sana!
Stavolta anche a lui scappò una piccola risata.
Lei neppure ascoltò la sua eventuale risposta, uscì dalla stanza e si diresse verso la cucina, forse per preparare la colazione per Shin.
Già, Shin.
A lui come l’avrebbe detto? Come gli avrebbe detto che stava per andare via?
Pensando al dolore che avrebbe procurato a suo figlio, quasi pensò che sarebbe stato molto meglio restare ad Osaka.
Poi ricordò le parole di Fuka e capì che Shin non avrebbe sofferto più di tanto. Avrebbe comunque continuato ad avere un padre, perché lui non sarebbe mai sparito dalla sua vita. Sarebbe andato a trovarlo spesso, l’avrebbe chiamato più volte al giorno.
Si, forse Fuka aveva ragione. Forse poteva davvero funzionare.
Poteva concedersi di amare Shin e di amare Sana, senza che una cosa escludesse l’altra.
Shin ci sarebbe sempre stato.
Sana, invece… per Sana avrebbe ancora dovuto lottare.
Avrebbe dovuto fare di tutto per riportarla da lui.
Si, Fuka aveva ragione anche su questo. Serviva solo un po’ di coraggio.
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Note dell’autrice: Eccomi qui! Ormai pubblicare capitolo ad orari indecenti è diventata un’abitudine! xD Bene, come avrete avuto modo di notare, questo capitolo è leggermente diverso da quelli precedenti… Ho voluto descrivere il passare del tempo analizzando il punto di vista dei singoli personaggi, facendoli parlare in prima persona. Spero che abbiate apprezzato questo piccolo cambiamento! ;)
Come avevo già anticipato, il prossimo capitolo dovrebbe essere quello conclusivo. Credo che sarà un po’ più lungo degli altri e quindi mi ci vorrà un po’ più di tempo per scriverlo come voglio io!
Confido nella vostra infinita pazienza! ^^
Ringrazio tutte le mie accanite lettrici, perché è per loro che mi sono affezionata ancora di più a questa storia! Vi adoro davvero! *-*
Ora la smetto di annoiarvi e vi aspetto, come sempre, nelle recensioni. ;)
A presto! ^^