Guardava la scena attenta, seduta nel suo morbido piedistallo di seta rossa.
La testa leggermente china, le mani raccolte in grembo.
La ragazza ballava. Le lunghe gambe fasciate da calze scure e pesanti, strappate; scalza.
Snella e alta; movimenti sinuosi. Braccia tatuate si agitavano sopra la sua testa, una lunga chioma nera frustava con violenza l'aria.
Musica forte, arrogante: voce sicura, chitarre che catturano, batteria profonda; suoni che rimbalzano nel petto come tamburi.
Buia era la stanza, poche luci rosse si riflettevano sulla sua pelle.
Strinse i pugni, contrasse il viso leggermente. Gli occhiali le scivolavano dal naso.
Stessa stanza, parete opposta.
Un azzurro tenue le illuminava il lungo vestito bianco. Movimenti limpidi, lenti.
Gli occhi assorti, le braccia chiuse intorno al corpo. Un leggero sorriso le impreziosiva il viso.
Girava su se stessa, disegnava confuse immagini di serenità con le braccia, carezzando dolcemente l'aria.
Come in un carillon si cullava nella pace assoluta dei sensi, facendo tacere la mente e ascoltando il cuore.
Rise.
Distolse lo sguardo. Le vedeva nitide, riflesse nelle lenti degli occhiali.
Una a destra e una a sinistra.
Simili nell'aspetto come gemelle, caratteri diversi come estranei.
Chi sono io?
Strizzò gli occhi. Troppi pensieri, la testa le scoppiava.
Lanciò uno sguardo ostile alle ragazze, intimidatorio.
La stanza le comprimeva, le soffocava. In preda al panico, la imploravano con gli occhi.
Chi siamo? Diccelo maledizione, diccelo!
Gli occhiali caddero, le lenti si spezzarono. Le ragazze sparirono.
Chi sono?
Grazie,
gloom.