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Autore: hotaru    15/04/2011    3 recensioni
- E com'è questa storia? -.
Forse era vero che solo Luna ne conservava memoria, dato che controllava il passato, perché sia Artemis che Diana si voltarono verso di lei.
La gatta nera si leccò lentamente una zampa, per poi passarsela sul muso ed esordire:
- Conosci Plutone, bambina? -.
Prima classificata al contest "La Tempesta" di Vienne e al contest "Un Segreto in Soffitta" di DarkRose86 e iaia86@
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Artemis, Chibiusa, Luna, Makoto/Morea
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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1- Sagome di gatti
Un giro di chiave

Un giro di chiave


Sagome di gatti


 "E il tempo non mi riguarda,
perché il tempo mi appartiene."

("Il fabbricante di sogni", Modena City Ramblers)


- Io posso portare questo, maestra Makoto! -.
- Sei sicura, Chibiusa? Non è troppo pesante per te? -.
- No, certo che... - una bambina dai capelli raccolti in due folti codini tentò di alzare uno scatolone grande quanto lei, ma dovette constatare di non riuscire a spostarlo nemmeno di un centimetro. Lo guardò, costernata, e poi rivolse alla maestra uno sguardo di scuse.
Makoto, mordendosi le labbra per non mettersi a ridere, disse accomodante:
- Tranquilla, a quello scatolone penso io. Tu puoi portare queste maschere, per favore? -.
La piccola annuì vigorosamente, prendendo quelle quattro maschere come se fossero state fatte di cristallo, invece che di cartapesta.
- Voi due cosa fate? Ci aiutate? - Makoto si rivolse a due bambini che stavano alle spalle di Chibiusa, e che in tutta risposta scossero velocemente la testa. Poi si eclissarono in tutta fretta, verso la maestra Minako intenta a cantare una delle sue filastrocche assieme agli altri.
- È perché hanno paura, maestra – spiegò Chibiusa – Sono dei fifoni: pensano che al piano di sopra ci sia chissà quale mostro che si nasconde nel buio -.
- Beh, in effetti di sopra è sempre buio, dato che non ci va mai nessuno e le finestre sono perennemente chiuse. Sicura di voler venire con me? -.
- Oh, ma io non sono come loro – si affrettò a mettere in chiaro Chibiusa – Non vedo l'ora di vedere cosa c'è -.
- Allora facciamo così: se davvero mi aiuti a rimettere a posto i costumi della recita, puoi dare un'occhiata in giro – propose Makoto.
Alla bambina brillarono gli occhi.
- Davvero? - nessuno aveva il permesso di salire le scale, peraltro rese inaccessibili da una porta chiusa a chiave. Ragion per cui nessuno dei bambini dell'asilo era mai stato al piano di sopra. Proprio dove lei stava andando.
- Certo. Una promessa è una promessa -.


In realtà risultò poi che le maschere dovevano essere sistemate non al piano superiore, bensì in soffitta. La maestra Makoto aveva detto a Chibiusa che avrebbe potuto aspettarla in corridoio, magari vicino ad una finestra da cui entrava un filo di luce, ma le aveva anche proposto di seguirla.
Chibiusa non se l'era fatto ripetere due volte, tallonandola mentre salivano la stretta scala in legno nascosta dietro una porticina nel muro, fino ad arrivare ad una specie di botola forse più adatta ad una nave che a una casa.
L'asilo di Chibiusa si trovava in un vecchio edificio che era stato un'elegante dimora signorile, donato ottant'anni prima dall'ultima anziana padrona, stanca di vedere la propria casa tanto vuota. Pensava che sarebbe stato bello se, dopo la sua morte, si fosse riempita di tutti quei bambini che non aveva mai avuto: era riuscita ad immaginare i freddi e bui corridoi animati dalle voci e dalle canzoncine di decine di bambini tra i tre e i cinque anni- l'età più bella- e le era piaciuto. Così aveva lasciato casa e giardino come donazione, che dopo la sua morte un consiglio di amministrazione si era occupato di mettere in regola come scuola materna.
Trattandosi di bambini così piccoli, la legge prevedeva che l'asilo si trovasse su un unico piano, per evitare pericolose scale, e così era stato deciso che si sarebbe utilizzato solo il piano terra: gli spazi erano stati adattati per ricavarne una sala mensa, dei bagni, una stanza per i riposini, qualche aula e un grande salone per il ritrovo di tutti. Il piano di sopra veniva usato come deposito e archivio, e le uniche a potervi salire erano le maestre.
A cinque anni le prerogative degli adulti somigliano quasi a privilegi divini, e Chibiusa si sentiva al pari di un'iniziata mentre saliva quella scala, un gradino alla volta, al seguito della maestra Makoto.
- Fa' attenzione, Chibiusa: è molto ripida -.
Oh, ma lei a casa aveva addirittura una scala a chiocciola: era più che allenata ai gradini insidiosi.
Quando si trovarono finalmente in quel sottotetto chiamato "soffitta", Chibiusa per un attimo si chiese se si trovassero davvero ancora nel suo solito, vecchio asilo: era il terzo anno, per lei, e lo conosceva ormai come le sue tasche. Scoprire che celava ancora dei misteri era la cosa più emozionante che le fosse capitata quell'anno.
- Accipicchia... e adesso dove sarà lo scatolone delle maschere? - si stava chiedendo la maestra, grattandosi dubbiosa la testa. Non l'avrebbe mai detto a voce alta davanti a uno dei bambini, ma visto che a rimetterlo a posto l'ultima volta era stata Minako, prevedeva che non sarebbe stato tanto facile ritrovarlo. Per quel che ne sapeva, poteva anche averlo nascosto dentro a un vecchio baule, e riesumarlo in quella confusione si annunciava una vera e propria caccia al tesoro.
- Chibiusa, io qui ne avrò per un po'. Se ne hai voglia, puoi dare un'occhiata in giro – propose Makoto alla bambina, pensando che comunque non l'avrebbe persa di vista, dato che quella soffitta non era che un grande sottotetto senza muri né pannelli.
Fu come se a Chibiusa avessero detto di diventare la protagonista del suo libro preferito: quell'ambiente era talmente diverso da tutti quelli che conosceva, da poter benissimo essere uscito dalle pagine di una fiaba. Annuì sognante e cominciò a guardarsi intorno, chiedendosi da dove potesse cominciare.
La maestra Makoto aveva acceso una piccola lampadina che penzolava nuda dal soffitto e proiettava una luce polverosa sull'ingombro di mobili e scatole, ma lei riteneva che la luce proveniente dagli arcuati finestroni posti all'altezza del pavimento consentissero di vederci a sufficienza. La luce bianca del sole di quella mattina entrava potente, anche se i vetri erano ormai piuttosto opachi, e il pulviscolo luminoso danzava nell'aria in minuscole schegge di luce.
Chibiusa avanzò verso il lato opposto rispetto a dove si trovava la maestra, divertendosi a spostarsi tra le zone di luce e ombra, pensando che gli altri di sotto non potevano nemmeno immaginare quale mondo misterioso stesse esplorando in quel momento. E pensare che stava camminando sopra le loro teste! Quest'ultima considerazione la fece ridacchiare allegramente, e cominciò quasi a saltellare.
Mobili, bauli, attaccapanni, qualche strumento musicale e scatole a non finire... le sarebbe piaciuto aprirle, ma non sapeva se "dare un'occhiata in giro" contemplasse anche questo. Meglio non rischiare, era già un grande privilegio poter essere lì.
Mobili, scatole, mobili, scatole, mob... Chibiusa si fermò, aguzzando la vista. Tra i mobili, le scatole, le vecchie poltrone e gli attaccapanni si stagliava una specie di torre verticale, come un campanile tra le case, per metà illuminato dalla luce che entrava a raso terra e per metà in ombra.
Chibiusa si avvicinò, contemplando quello che riconobbe come un grande e distinto orologio, più che altro per il quadrante lassù sopra la sua testa. Alla sua altezza si trovava una teca in vetro che conteneva degli strani pesi dai riflessi dorati, e più in basso finivano in un disco che sembrava il piatto di una batteria. Era tutto perfettamente immobile, come se stesse trattenendo il respiro da chissà quanto tempo.
E più in alto, sopra il il quadrante, dove la luce non arrivava ad illuminare direttamente c'era... qualcosa. Chibiusa non riusciva a vedere bene, così si guardò intorno e notò che lì accanto c'era una vecchia poltrona dai cuscini verde stinto. Lanciò un'occhiata all'indirizzo della maestra Makoto, ancora impegnata a frugare e a maledire silenziosamente la sua collega confusionaria, quindi spostò silenziosamente la poltrona e la mise proprio davanti all'orologio. Ci salì sopra e, alzando un po' la testa, vide finalmente che cosa c'era sopra al quadrante dalle lancette immobili, anch'esso nascosto da una teca.
Il legno era intagliato in una specie di mezzaluna colorata, nel cui centro si stagliava una figurina a forma di gatto, colorata di un grigio tendente al lilla. Era un micino così carino che, se fosse esistito nella realtà, Chibiusa avrebbe assolutamente voluto tenerlo con sé. Chiaro com'era, risaltava perfettamente sullo sfondo blu alle sue spalle, di un blu profondo decorato con una serie di pianeti dorati. Le sarebbe piaciuto provare a toccare il piccolo micio in legno, ma non arrivava così in alto. Stava appoggiando le dita sulla teca del quadrante, e spostando la mano si accorse di qualcosa che sporgeva all'interno. Provò ad aprire la teca, che non oppose alcuna resistenza, e si accorse che quella che sporgeva sembrava una specie di chiave, un po' come quelle che si trovano sotto i carillon per caricarli. Ricordava che sua madre ne aveva uno a forma di stella, regalatole dal marito quando erano ancora fidanzati. La chiave che stava guardando ora aveva una forma quasi a cuore, con al centro una piccola pietra rossa, e chissà se...
Provò a girarla con una mano, ma era troppo dura. Facendo pressione anche con l'altra, riuscì a spostarla e sentì gli ingranaggi all'interno muoversi leggermente. Completò un giro, e poi un altro, ma non accadde niente. Beh, pensò, in fondo si trattava di un orologio, non di un carillon.
Un po' delusa, alzò la testa e constatò con sommo stupore che gli occhi del gatto, prima chiusi, erano ora aperti: di un marrone chiaro tendente al rosso, guardavano dritto avanti a sé, grandi e luminosi.
Lo osservò affascinata per qualche istante, poi controllò il quadrante e constatò che le lancette non si erano spostate nemmeno di un millimetro, anche se più in basso il pendolo aveva cominciato ad oscillare piano. Che strano orologio: che senso aveva, se non segnava nemmeno l'ora? Ma forse era talmente vecchio che non funzionava più, e poi chi poteva venire fin lassù solo per controllare che ora fosse?
Chibiusa udì un tramestio dietro di sé, e si ricordò all'improvviso che in quella soffitta c'era anche la maestra Makoto. Era convinta di non stare facendo nulla di male, ma non le piaceva l'idea di essere sorpresa a trafficare con un oggetto antico come quello. Quindi richiuse la teca di vetro e saltò giù dalla poltrona, salutando con un'occhiata affettuosa il bel micino grigio che ora, grazie a lei, poteva finalmente guardarsi intorno.
- Oh, eccoti qui – fece Makoto, passandosi una mano sulla fronte leggermente sudata – Finalmente ho trovato lo scatolone che cercavo, possiamo scendere -.
Chibiusa annuì, per niente dispiaciuta di aver dovuto trascorrere lì ben venti minuti della sua ancora breve esistenza. Mentre scendevano le scale della soffitta prima e del piano di sotto poi, pensò che una giornata magica come quella fosse un evento assolutamente irripetibile.
In realtà non aveva la minima idea di quanto si stesse sbagliando.






Questa storia si è classificata prima al contest "La Tempesta" indetto da Vienne, dove bisognava scrivere una storia prendendo spunto da una frase di Shakespeare. Quella che ho scelto io è la meravigliosa: "Noi siamo della materia di cui son fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sonno."
Si è classificata prima anche al contest "Un Segreto in Soffitta" indetto da DarkRose86 ma giudicato da iaia86@: da contest, dovevamo ambientare la storia per l'appunto in una soffitta e utilizzare un elemento a nostra scelta. Come si vedrà qui, io avevo inizialmente scelto l'orologio a pendolo, ma sono poi "slittata" chissà come sulla chiave- e se ricordate "Sailor Moon", indovinerete anche di che chiave si tratta...
La Chibiusa di questa storia ha cinque anni, perciò è da ricondurre alla seconda serie di "Sailor Moon". Tuttavia il personaggio è leggermente diverso, per forza di AU: il carattere diffidente e quasi insopportabile che aveva nell'anime era dovuto principalmente alla situazione in cui si trovava- era stata separata dai genitori; a causa di un suo guaio, il suo mondo rischiava di cadere in rovina; inoltre era finita da sola nel passato, inizialmente senza sapere se avrebbe davvero potuto fidarsi delle guerriere Sailor. Credo che il personaggio vada visto in questa luce, perciò ho ipotizzato che in una situazione di normalità, in cui Chibiusa viva felicemente con i propri genitori, possa essere molto più dolce- una dolcezza che comunque nell'anime si intuiva.
Liberi di essere d'accordo con me oppure no, ma questa è la mia opinione. Poi è anche vero che Chibiusa come personaggio mi piace molto. ^^
   
 
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