Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: aliasNLH    19/04/2011    4 recensioni
«Sei uno stramaledetto egoista» ribatté l’altro «sei uno stupido, incosciente, incapace, imbranato, ignorante, irrecuperabile, pauroso buonista» fece una pausa in cui rimase per un momento a respirare l’odore dei capelli di Tsuna, appena uscito dalla doccia, con addosso i residui dello shampoo che l’Hibari del futuro sembrava prediligere tanto «è ovvio che diventerai un altrettanto schifoso angioletto tutto tremante».
«E tu?» aveva chiesto Tsuna dopo un attimo, stringendosi inconsciamente ancora di più su di lui «anche tu avrai un paio di belle ali bianche?»
«Le schifezze piumose le lascio a quelli come te» rispose immediatamente Hibari «non mi serviranno dove andrò»
«E allora come farai a mordermi a morte?» la voce del giovane era triste.
«Con chi credi di stare parlando? Erbivoro…» Hibari rotolò sul materasso di modo da far adagiare Tsuna di schiena, sotto di lui, e sfiorando la cintura che teneva uniti i lembi del largo accappatoio «credi forse che riusciranno a tenermi fuori?»
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kyoya Hibari, Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                I’ll bite you to death, Tsunayoshi Sawada.


 

Cosa dire…? Beh, innanzitutto: Ciao! Sono tornata :)

A questo punto ci sono quelli che non hanno letto le mie prime fic su Katekyo Hitman Reborn a cui il mio ritorno non può fregar di meno, o che magari sono curiosi (ragazzi, non sono nelle vostre teste, quindi non lo so) e poi ci sono quelli che le hanno lette:

Oh, avanti…non disperatevi troppo che potrei crederci…

ahah!! Ok, sto scherzando ma spero veramente che leggerete questa con lo stesso entusiasmo dell’altra, anche se tratta un argomento del tutto differente. Innanzitutto non è comica (almeno, non all’inizio. Non posso assicurare che la mia vena ironica non esca fuori a sproposito, nel caso mi scuso o spero vi divertiate, come preferite) ed è anche un tantino più lunga, il numero di capitoli non li so esattamente ma sicuramente non due (almeno 8, poi non saprei…).

Quindi…preparatevi psicologicamente e…buona lettura :)

 

Ok, ragazzi, adesso chiudete gli occhi (solo metaforicamente parlando, eh! Altrimenti come fareste se no a continuare a leggere…uff, devo spiegare proprio tutto…) dicevo, chiudete (metaforicamente) gli occhi e immaginatevi lo scenario:

 

Sono tutti tornati dal futuro, stanno tutti bene, hanno le nuove versioni degli anelli Vongola e anche quelli delle loro box. Sono tranquilli, sono felici. Sono tutti insieme.

Troppo bello per essere vero, no? Quanto credete che questa idilliaca pace potrebbe durare? Un mese? Due? Qualche settimana? Sbagliato ragazzi…solo tre giorni.

 

Di nemici sconosciuti, Tsunayoshi Sawada, ne ha veramente tanti, forse fin troppi. Ha nemici ovunque, anche amici ed alleati, questo è certo, ma, per quanto possano stare tutti all’erta, ogni cosa non può essere tenuta sotto controllo. Nemmeno con il super intuito Vongola.

In particolare se i sopracitati si trovano a migliaia di chilometri di distanza. Soprattutto se questi nemici si trovano provvisti di un’arma sconosciuta e dagli effetti devastanti come quella che la famiglia Ferro aveva creato.

Un’arma talmente potente da essere in grado di far sparire il Decimo dalla faccia della terra.

Ed è così che Sawada Tsunayoshi è scomparso. Lasciando una scia di amici, alleati, forse nemici, conoscenti e avversari senza di lui. Senza la loro guida.

E senza che ne serbassero memoria.

Ed è qui, signori, che la mia storia avrà inizio: in un pomeriggio come tanti nella cittadina di Namimori, un anno dopo il ritorno dal viaggio nel Futuro, con dei protagonisti che di comune non hanno nulla se non un ancora sconosciuto obiettivo e un identico senso di vuoto, sordo e inspiegabile.

 

Hayato Gokudera non sapeva perché ma c’era qualcosa che lo teneva legato a quella terra così lontana da casa, al Giappone. A dirla tutta ricordava anche solo vagamente il motivo per cui, più di un anno prima, vi si era trasferito; era in qualche modo certo che fosse stato un motivo importante ma non riusciva proprio a ricordarselo.

Ogni giorno si alzava da quella piccola casa che aveva affittato, andava a scuola, litigava con il proprio compagno di banco, Yamamoto, pranzavano insieme, a volte con la speciale presenza dei fratelli Sasagawa, molto spesso da soli e in silenzio. Come se non avesse niente da dirgli.

Come se non si chiedesse come mai si sentisse tanto vicino a quel ragazzo fissato con il baseball e che non ricordava assolutamente il modo con cui erano diventati tanto amici o, almeno, così intimi da permettersi fugaci abbracci, pranzi in compagnia e tante informazioni l’uno sull’altro.

Mancava come il collegamento tra tutti quei fatti.

Perché si trovava ancora in Giappone? Cosa lo legava a quel posto? Perché, nel tardo pomeriggio dopo la scuola, si sentiva come se mancasse qualcosa di fondamentale? Non sapeva cosa fare. Cosa faceva di solito dopo le lezioni? Come occupava il tempo?

~×~

Battendo con tutta la propria forza la palla che il lanciatore avversario gli aveva tirato, Takeshi Yamamoto, la vide schizzare via come mai aveva fatto. La vide salire in alto, sempre più in alto, fino al tetto della scuola e poi cominciare la sua lenta parabola di discesa perdendosi oltre l’edificio. Che fosse fuori campo era ovvio; era finita oltre il perimetro della scuola. Mentre correva per le basi tra i gridolini eccitati delle ragazze sugli spalti e le urla sconcertate di tutti, distrattamente si chiese da dove venisse tutta quella forza.

Da dove arrivasse quell’istinto di far scivolare leggermente il gomito indietro e squarciare l’aria come se stesse maneggiando una spada e la palla fosse in realtà un nemico, Yamamoto, non lo sapeva.

Come non sapeva collocare il senso di disagio che lo prendeva ogni volta in compagnia di Gokudera, o l’ansia che lo attraversava quando che entrava nella palestra della scuola, o la sensazione che gli mancasse qualcosa.

Ma cosa?

~×~

«Tempo!»

Ryohei Sasagawa si tirò indietro vagamente confuso, l’entusiasmo energico che solitamente lo accendeva perso tra la folla esaltata ai lati del ring.

Osservò immobile l’arbitro chinarsi sulla giovane promessa della boxe professionistica, che il ragazzo aveva appena colpito con il suo primo pugno, svenuto e totalmente fuori gioco.

«Vittoria per ko» decretarono i giudici increduli ed estasiati. Era la prima volta che un liceale riusciva in un’impresa del genere. Quel Sasagawa doveva essere un genio della boxe.

L’incontro era durato solo 5 secondi del primo tempo.

Ryohei accettò con insolita calma l’asciugamano dall’allenatore e se lo mise sugl’occhi per non far vedere il proprio viso a nessuno, nemmeno a sé stesso.

Lo aveva colpito ed era caduto senza il minimo sforzo. Com’era possibile? Da dove arrivava tutta quella forza?

~×~

Come ogni giorno, da che si ricordi, ma di sicuro dalle ultime quattro settimane, Chrome Dokuro stava alla finestra del capannone di Kokuyo che permetteva la visuale dell’ingresso del parco, la visuale sul cancello e non ne sapeva dare un spiegazione. Provava come un senso di mancanza e non era l’unica.

Anche Mukuro-sama provava un senso di inquietudine che non riusciva a spiegarsi e non faceva nemmeno nulla per nasconderlo. Cosa le mancava? Cosa l’aveva portata lì? A chiedersi come o perché fosse nato il legame con Mukuro-sama. A domandarsi perché il desiderio di vendetta sulla mafia che quest’ultimo aveva sempre irradiato, si fosse spento così, come da un giorno all’altro.

Cosa gli mancava? Cosa mancava ad entrambi?

~×~

Lambo correva veloce per tutta la cucina di casa Sawada mentre una sempre più scocciata I-pin lo rincorreva con un gyoza in mano mezzo mangiato. Nana Sawada rideva divertita abbracciata al marito.

Non si ricordavano perché quei due, più un Fuuta momentaneamente assente e una Bianchi in viaggio, fossero comparsi da un giorno all’altro nella loro casa ma non si facevano domande. C’era come qualcosa che spingeva a non chiedere niente, come se tutto quello fosse normale.

«Su, bambini» Nana mise fine alla contesa dei due con un dolce sorriso e un piatto di fumanti gamberi al vapore in mano «a tavola!»

Ridendo e scherzando tutti si posizionarono mentre la donna li appoggiava al centro del piano guardando con apprensione la sedia vuota al proprio fianco.

«Ma dove sarà andato Reborn? È insolito che salti la cena…»

«Tranquilla, Nana, starà dormendo» Iemitsu la tranquillizzò con un sorriso «vedrai che non appena sentirà odore di cibo ci raggiungerà».

Nessuno sembrò curarsi o anche solo accorgersi di un’ulteriore sedia vuota, proprio accanto  quella di Reborn. Nessuno la vedeva ma c’era e aveva di fronte anche una ciotola vuota che veniva posizionata ogni volta senza saperne veramente il motivo e che la padrona di casa, puntualmente, rimetteva a posto chiedendosi ad alta voce come mai aggiungesse sempre un piatto in più a tavola e ridendo con il marito della propria sbadataggine.

Chi altro ci sarebbe dovuto essere?

~×~

Erano ormai le sette di sera quando, il presidente del comitato disciplinare Hibari Kyoya, firmò le ultime pratiche necessarie all’inizio sotto controllo dell’anno scolastico. Passandosi una mano sugl’occhi prese l’ultimo foglio e scorse impassibile i nomi degli studenti che avevano cambiato scuola, che avevano osato lasciare la Namimori per andarsene in un’altra.

Li avrebbe morsi a morte.

Hibane Shita.

Ryuuga Sumine.

Kamane Ayako.

Wasada Tsunayoshi.

Shinba-

Un brivido freddo lo percorse costringendolo ad interrompere la lettura; come se uno di quei nomi…con occhio attento li scorse nuovamente per cercare di capire quale di quelli lo avesse così inaspettatamente colpito. Chi? Aveva forse combattuto con uno di loro e ne era persino rimasto soddisfatto? Cosa?

Leggendoli nuovamente con attenzione si fermò su alcuni più di altri nel tentativo di riprovare quello stesso brivido, per cercare di capire.

Dopo la quinta rilettura alzò le spalle e mise quel foglio nuovamente sulla pila, deluso.

La stanchezza gli stava giocando brutti scherzi da qualche tempo a quella parte; non riusciva a dormire bene e non ne capiva il motivo.

E Hibari Kyoya odiava non avere il controllo su tutto.

~×~

Lontano dai rumori provenienti dalla cucina e da chiunque altro essere vivente, l’assassino arcobaleno Reborn stava seduto a gambe incrociate sulla finestra dell’unica camera con letto singolo di casa Sawada, gli occhi nascosti dalla falda del cappello, Leon che lo guardava come preoccupato e la sola luce della luna ad illuminare l’espressione seria e confusa allo stesso tempo.

Qualcosa non andava.

Con uno sbuffo si rigirò l’anello del Cielo che sarebbe dovuto appartenere al Decimo Vongola e lo vedeva ben diverso da quando era al dito del Nono. Trasformato.

E c’era anche un’altra cosa: aveva riunito i sei guardiani.

E allora perché mancava loro una guida? Con che criterio erano stati scelti? Cos’era successo?

 

Come inizio, magari, può sembrare un po’ triste (e pure incomprensibile direbbe qualcuno…o tutti…) ma, fidatevi, è necessario per comprendere bene il seguito.

Spero vogliate seguirmi :)

 

Un bacio

NLH






  
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