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Autore: Nyappy    01/05/2011    0 recensioni
Rosso e nero, questi erano i suoi colori: capelli come inchiostro, labbra vermiglie.
Amava curare i propri abiti, sistemare rose nell’acconciatura e ornare il collo con un semplice laccetto, l’unica cosa di poco valore sulla sua persona, l’unico sentimentalismo a cui si abbandonava.
Ann era come un fiore –prezioso, profumato, caduco. E voleva morire.

[ Scritta per l'Original Concorso 10 indetto da Eylis ] [Corretta ed ampliata ]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: Scarlatto
I sogni di Ann erano sempre uguali: scuri, sfocati, fatti più di sensazioni che d’immagini, e ogni mattina lei si svegliava di soprassalto, il volto imperlato di sudore e le mani a stringere spasmodiche le coperte. Eppure poteva dirsi fortunata: ogni notte era vittima delle rapsodie fuori controllo del Labirinto e riusciva a risvegliarsi senza impazzire prima.
Quella mattina si alzò come il solito, e dopo aver completato la toeletta sedé davanti alla grande specchiera, stringendo gli occhi per riconoscere i propri lineamenti tra le macchie di colore.
Ogni giorno era più difficile, ma non doveva farsi vincere. Lei era superiore.
Allungò la mano per prendere la cipria ma la strinse sul nulla, e irrigidendo il viso iniziò a tastare finché non trovò un flaconcino, che portò al viso per osservare meglio.
Tintura d’oppio.
Lo gettò a terra con rabbia, lasciando che il pavimento si ricoprisse dei frantumi di vetro bagnati.
Il giorno prima non era così.
*
La prima volta che le era stato legato quel laccetto al collo non sapeva ancora a cosa sarebbe andata incontro. Era povera, era scappata di casa, si era ritrovata a vagare per i bassifondi della città con i piedi nudi e sporchi, senza pudore. Finché non l’aveva trovata lui.
Ormai Ann si era dimenticata il suo viso e la cappa del tempo le aveva offuscato i preziosi ricordi, eppure riusciva ancora a sentire con chiarezza delle mani che le stringevano con troppa forza le braccia, con deviato piacere il loro scivolarle sui seni.
Il Parish Church, il beffardo nome del bordello da cui era scappata, non rimaneva che un ammasso di suoni ed errori, eppure Ann non voleva dimenticare. Si aggrappava ad ogni più piccolo particolare, dalle lacrime tinte di nero che le bagnavano le mani al sangue vivo sulle cosce.
Serbare quei ricordi e cullarli era l’unica cosa che le rimaneva.

In piedi, ritta davanti alla porta che si doveva aprire rivelandole la sostituta, ripensava a quanto ormai le fosse indifferente imprigionare quelle ignare incarnazioni nelle tombe luminose del laboratorio, così diverso rispetto a quel salone decorato da marmi colorati e stucchi.
Dovevano essere una delizia per gli occhi eppure non le erano mai piaciuti particolarmente: al bianco preferiva la sicurezza del nero, all’oro un più terreno rosso.
Finalmente la maniglia si abbassò e Ann scorse un’alta figura ammantata –il Mimo di Avidità, certamente- muovere confusamente una mano, un invito assolutamente patetico e servilista.
Una figura chiara entrò lentamente, di sicuro affascinata. Per una persona povera quel palazzo era paragonabile alla residenza regia, senza dubbio.
-Milady.-, il Mimo la salutò con affettazione e lei porse un braccio alla ragazzina, che venne accettato poco dopo –con molto imbarazzo, Ann ne era certa.
Iniziò a seguire l’uomo, una macchia scura che la guidò attraverso corridoi tutti uguali fino alla Sala del Tesoro.

Ogni Vizio aveva le sue debolezze: Gola era stato drogato a tavola, Lussuria le aveva fatto riprovare le sensazioni sporche di anni prima, Superbia aveva percorso interi corridoi di specchi con un abito bellissimo, e tutti erano caduti in trappola.
L’immagine della Sala del Tesoro era ancora vivida nella mente di Ann, che a suo tempo ne era rimasta affascinata. Piccola, così stipata di perle, gioielli e scrigni da essere soffocante.
Le sue pareti erano coperte da arazzi inestimabili e polverosi, intessuti con fili d’oro e zaffiri, rubini, topazi. Gli svariati forzieri traboccavano di monete e preziosi, coppe e piatti costellavano il pavimento, e il lampadario dorato intensificava i bagliori dorati, illuminando la stanza in modo irreale. Erano sole, e Ann si avvicinò alla ragazzina per studiarla meglio, forse più da vicino del consentito, -Come ti chiami?-
Non era brutta, semplicemente il suo aspetto rispecchiava la povertà in cui viveva: i capelli biondastri erano raccolti in due spesse trecce e la pelle era percorsa da lentiggini, che circondavano due occhi scuri spalancati ed una bocca altrettanto aperta, dalle labbra screpolate.
Era sorpresa, ne era incantata? Certamente. Ann apprezzò il suo non fare domande.
-Emily, Emily Kitton.-, rispose quella che Ann concluse fosse una giovane donna fatta e finita, nonostante la statura.
-Spero che il viaggio sia stato piacevole.-, sentì una fitta dolorosa agli occhi e si portò una mano al viso, deviando all’ultimo le dita sui ricci che le incorniciavano il viso. Perché?
La fece scivolare sulla propria guancia e poi l'allungò per sfiorare con il pizzo prezioso l’incarnazione dell’Avarizia, che sembrava troppo catturata dalla magia della stanza per accorgersi di quel tocco.
Emily bofonchiò qualcosa in risposta prima di notare il piccolo rubino intrecciato nel polsino del guanto, certo più vicino di tutto quell’oro –a Ann era parso tutta un’illusione, anni prima.
Quella giovane donna non era esattamente l’Avida che stava cercando, era troppo concentrata ad ammirare quelle ricchezze per ricordarsi che Ann aveva potere -e che lei non aveva risposto alla cortesia della richiesta del nome.
Una materialista, troppo legata ai doni della terra che rimandavano al cielo, ecco cosa doveva essere. Sarebbe riuscita a succederle degnamente nel ruolo di Dea?
-Cosa faresti se ti lasciassi prendere un po’ di questi tesori?-, modulò Ann piano, soffiandole sulla guancia e gli occhi di Emily brillarono, bramosi.
-Mangerei, e mi prenderei un bel vestito.-, la voce le tremava, quasi temesse rispondere, -Poi darei il resto ai miei fratelli e vivremmo sempre bene.-. 
Almeno ha pensato alla famiglia, Ann sorrise piano tre sé. A suo tempo lei non aveva fatto lo stesso.
-Per ora puoi scegliere un solo oggetto da portare con te, sii accorta. Poi, forse…-, mentre Emily si girò per cercare quello che sembrava più prezioso, Ann portò indietro una mano, raggiungendo una piccola cavità nell’unico muro spoglio alle sue spalle.
Con attenzione le sue dita cercarono più a fondo, toccando finalmente un sottile ago metallico su cui si strinsero.
Lo avvicinò velocemente al viso per individuare la punta avvelenata e nascose la mano tra le pieghe del vestito, aspettando.
Quando Emily si voltò per mostrarle l’oggetto scelto Ann fece un passo avanti, avvolse le spalle della sventurata in un abbraccio e liberò l’altra mano, conficcandole l’ago nel collo.
Nemmeno un lamento uscì dalla giovane quando quella che sembrava una coppa cadde a terra, seguita dal suo corpo.

Parish Church: chiesa parrocchiale. Volevo solo infilare il nome Parish, mi piace troppo :) ho già iniziato con le modifiche al primo capitolo questo, e come promesso sono in rosso scuro.
Si capisce già di più che Ann è... beh, deviata. Ho cercato di renderla un po' diversa dai miei soliti personaggi :) ringrazio Lady Moonlight per aver commentato lo scorso capitolo e la giudice Eylis :D
Spero che anche questo piaccia, e tu, lettore ignoto, non restare nell'ombra ma fai sentire la tua voce :)
Nyappy
   
 
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