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Autore: Anonimous_    06/05/2011    3 recensioni
Piccola one shot che parla di ricordi. Ricordi portati alla luce da un anello. Edward ripensa a tutto questo. Con il suo dono, riesce a tornare indietro a quando tutto è iniziato attraverso i ricordi che Carlisle gli ha trasmesso..
La donna che lo ha dato alla luce ha voluto per lui ancora un'altra vita. Edward pensa a tutto questo e ad altro ancora....
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, Eclipse
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ciao ragazze! Allora, niente, avevo già pronto il capitolo dell'altra storia.. e stavo pensando se pubblicare adesso o questa sera, quando, vedendo la nuova stills uscita oggi da breaking dawn, non mi è venuta in mente questa one-shot. Che dire, di cosa parla lo scoprirete voi leggendo. Spero che vi piaccia, lasciatemi sapere la vostra opinione se viva! Un abbraccio e a questa sera con il capitolo di Hope!
 



«Give it to him»

 
Chicago, 1918

«Oh, dottore, ben arrivato, la stavamo aspettando»
Un uomo in camice bianco alzò lo sguardo. Era un uomo giovane, avrà avuto massimo una trentina d’anni eppure, per tutti, lui era il migliore. E non solo perché in quel tempo di così grande crisi si dedicava al lavoro notte e giorno, facendo orari assurdi e rinunciando persino a qualche ora in più di sonno. Sembrava non tornasse mai a casa e, se poteva, si premurava di assistere lui tutti i pazienti, durante il turno di notte.
Se non era in reparto, era con la faccia in qualche grosso tomo, cercando un appiglio, in tutti quegli scritti. Qualcosa che lo facesse riuscire dove tutti, al mondo, avevano rinunciato.
La guerra aveva decimato gli uomini al fronte, in Europa. Adesso, in America, portava il suo carico di terrore con quell’influenza.

Uomini, donne, bambini.
Li vedeva passare così, uno dopo l’altro, in quel pronto soccorso. Li vedeva arrivare distrutti da quell’epidemia così devastante. Distrutti ma, ancora in vita. Li vedeva affidarsi a lui, alle sue cure, alle sue mani, con la speranza di riuscire a guarire. Una speranza quanto mai vana perché, quella terribile malattia non risparmiava nessuno.
Era un mostro persino peggiore di lui, si ritrovava a pensare. E combatteva. Combatteva in quei tomi impolverati, vecchi di secoli, che conservavano la storia dell'intera medicina.

Ma niente. Niente. Nessuno mai aveva incontrato qualcosa di simile e per lui, l’unica cosa da fare, era rimanere accanto a quei pazienti. Curarli, amarli come un padre.
Ad ognuno di loro, donava un pezzo di sé. Provando forse in questo modo, a chieder loro perdono. Lui, ammesso che la sua potesse chiamarsi vita, aveva avuto un’altra possibilità. Ma, era giusto fare quel pensiero? Era giusto pensare di poter… risparmiare qualcuno? No.
Non poteva essere giusto. Lui era un mostro. Un assassino. Per quanto anni, decenni, secoli di astinenza dal sangue umano lo rendessero diverso… non poteva che considerarsi un essere abominevole. Lui non meritava di vivere. Ma, tutti loro… tutti loro, che si ostinava con forza a curare… Loro dovevano vivere. Avevano ancora tanto da vedere e da fare.
«Dottore…»
Lo aveva chiamato di nuovo l’infermiera. Si distolse dai suoi pensieri. «Si, arrivo Jasmin, dove mi desiderano?» Le chiese. La confusione, in quell’ospedale era totale. Per ogni letto vuoto, vuoto perché la malattia continuava a decimare vite, arrivava qualcun altro in cerca d’assistenza. Qualcun altro che, però, difficilmente avrebbe trovato un futuro, in quel luogo.
Gli arrivi e i decessi erano di un numero così elevato che la burocrazia era stata del tutto abbandonata e quello era diventato una specie di lazzaretto. Gli venne in mente quello scritto italiano. In quel libro, Manzoni parlava della peste di Milano. Le cose non erano poi così diverse. Si chiese se per qualcuno in quella sua strana realtà, ci sarebbe stato un lieto fine.

«Dimmi cosa è successo mentre ero via?»
«Dottore, la signora Masen, si è aggravata ulteriormente… lei, insisteva così tanto nello stare vicina a suo figlio che…» l’infermiera s’interruppe un attimo, chinando il capo per asciugarsi una lacrima, sperando di non essere vista. A lui, di nuovo, tornò alla mente quel romanzo. Tornò alla mente la mamma di Cecilia che non si capacitava di vedere una figlia morire. La signora Elizabeth, era uguale a quella donna. Si preoccupava così tanto del figlio, ostinata ad assisterlo nonostante le sue stesse condizioni. Il figlio era un giovane alto e ben piazzato. Non era troppo robusto ma neppure smilzo. Chiunque, avrebbe notato la loro somiglianza. Gli occhi e i capelli dello stesso colore. Di un verde smeraldo i primi ed di un particolarissimo castano ramato i secondi. Quel giovane poteva avere diciassette, forse diciotto anni. Era nel fiore della sua gioventù, avrebbe dovuto essere pieno di forze ed energia, invece…
Invece la malattia lo aveva consumato giorno dopo giorno. Non ce l’avrebbe fatta ancora per molto. Ogni mattina che staccava il suo turno lo lasciava un po’ peggio e, non c’era nulla che potesse fare. La madre, Elizabeth, assisteva a tutto questo dal suo letto. Lei sapeva, sapeva che non ci sarebbero state speranze per il figlio così come non ce ne erano state per il marito. Ed ogni giorno, viveva col dolore che solo una mamma può provare, col dolore di vedere il suo giovane, piccolo, uomo scomparire.

«Vado subito da lei» Tagliò corto, lasciando libera l’infermiera di riprendersi da quella scossa. Non era mai facile. Nessuno, mai, si sarebbe potuto abituare a tutto quel dolore.
Elizabeth, al contrario del figlio, non sembrava in fin di vita. Almeno non fino a quella mattina. In poche ore, infatti, la sua condizione si era irrimediabilmente aggravata. Gli si strinse il cuore. Madre e figlio, in due letti diversi, entrambi in fin di vita. Aveva sperato così tanto, per loro… ma tutto, tutto era stato inutile.
Le si avvicinò, non sapeva se lo avesse riconosciuto ma, le parlò comunque. «Signora Masen, sono il dottor Cullen» le disse mentre controllava la temperatura. E lei, come presa da una nuova forza, aprì gli occhi e li fissò in quelli dorati di lui.
«Salvalo!» fu l’unica parola che disse. Lo disse con la voce rauca, implorandolo con le poche forze che le rimanevano ma, a lui, suonò forte come un ordine imperativo a cui non poteva sottrarsi. Non che avrebbe voluto solo che… non conosceva alcun modo umanamente possibile per…
«Farò il possibile» le rispose allora. Cosa poteva dirle? Poteva forse rifiutare una richiesta ad una madre, su letto di morte? No, non poteva. E, non voleva. Perché avrebbe voluto salvare quel ragazzo. Avrebbe voluto un modo… un segno… un gesto per…
«Devi» continuò. Per una volta, temette lo sguardo di quella donna. Il che era assurdo, visto e considerato che nessuno, mai, avrebbe potuto fargli nulla. Ma quello sguardo. Era più potente di qualunque arma. Sembrava che… Si sentì stringere la mano dalla donna.
«Devi fare tutto ciò che puoi. Ciò che agli altri non è consentito, ecco cosa devi fare per il mio Edward»
E si sentì raggelare. Quella donna. Che davvero, stesse facendo riferimento alla sua natura? Che… avesse capito chi in realtà era? Cosa, era? Gli sembrò di sentire un brivido lungo tutta la schiena.

Non fece in tempo a dirle nulla perché lei, con le ultime forze, aveva lasciato la presa dalle sue mani e, sfilandosi un anello e porgendoglielo, gli disse:
«Dallo a lui»
Non riuscì a dire altro. La febbre era troppo alta e, quello sforzo, le aveva rubato l’ultimo briciolo di forze che ancora conteneva in sé. Forse, aveva aspettato il suo arrivo. Sapeva che sarebbe passato da lei. Lo faceva ogni sera. Forse...
Rimase lì, con lei, per un’ora. Perso nei ricordi di quella strana conversazione. Una conversazione fatta di parole non dette e frasi lasciate intendere. Si ridestò solo quando si rese conto che, quella donna, adesso, era passata ad un’altra vita. Quella che lui non avrebbe mai conosciuto.

Lei lo sapeva, dunque. Sapeva chi era. Sapeva che non era umano. Eppure, si era fidata di lui al punto di affidargli la cosa più preziosa, suo figlio.
E lui? Lui avrebbe potuto infrangere quella promessa?
No.

Edward Masen era nel letto accanto. Delirante anche lui, per la febbre alta. Non gli sarebbero rimaste che poche ore di vita. Una serie di domande, iniziarono a correre nella sua mente.

Poteva curarlo? No.
Poteva salvarlo? No.
Poteva dargli una vita normale? No.
Poteva dargli un’altra opportunità? Si.
Voleva dargli quella forma di vita? Si. Sì, sebbene meritasse qualcosa di più.


Sì, perché l’unico modo per salvarlo, l’unico modo che lui e lui solo poteva a discapito di tutti gli altri, era quello che l’avrebbe reso come lui.
Era ormai notte fonda, in reparto nessuno badava a lui. Fu così, che prese la sua decisione. Il ragazzo respirava a fatica, nessuno se ne sarebbe accorto, da sotto il lenzuolo. Condusse prima sua madre, poi lui all’obitorio, solo che, mentre per la prima quello sarebbe stato un addio, per Edward, le cose sarebbero andate diversamente. Lo prese in braccio, senza che il peso incidesse sul suo portamento e, scattando per i tetti delle case di Chicago, lo portò a casa sua.
Nella testa ancora le parole di Elizabeth.
«Salvalo» sentiva risuonare in testa, come se fosse ancora lì, accanto a lui.
Si chinò e, senza saper bene come fare, morse il collo del ragazzo.

 


Ripensava a tutto questo, osservando il piccolo anello di diamanti che, da dentro la scatolina in satin nero, faceva bella mostra di sé. L’anello di Elizabeth Masen, unica donna della sua prima vita.
Quando, pochi giorni dopo la sua rinascita, Carlisle glielo aveva consegnato, aveva visto, attraverso gli occhi e i ricordi di suo padre, gli ultimi istanti di vita di sua madre. La forza con cui voleva sapere suo figlio Salvo. Aveva visto sua madre consegnare quel piccolo anellino a Carlisle…
Quell’anello…
Se tutto fosse andato come sperava, sarebbe appartenuto per sempre alla donna della sua seconda vita.
Sorrise. Entrambe, erano dannatamente risolute.
«Ti sarebbe piaciuta, mamma.» Sussurrò all’anello, prima di richiuderlo nella scatolina.




 

ok, spero davvero che questo delirio vi sia piaciuto! A me è venuto via tutto di getto.. È stato veramente bello scriverlo! Che altro vi dico?... Oh sì... per i dialoghi... ho cercato di mantenermi più fedele possibile a quello che Carlisle confida a Bella in New Moon. Quindi, buona parte di essi sono della Mayer. Ovviamente, la parte dell'anello è invece tutto di mia immaginazione. È solo che mi è sembrato carino.... Niente, ditemi cosa ne pensate! A presto!
 
  
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