Un
attimo alla volta, per sempre
di
slice
Entrando in un
ospedale chiunque può avvertire l'assenza di odori che
contraddistingue quelle strutture. È qualcosa di leggero,
nella sua spietatezza, che verte vagamente verso il disinfettante, fa
venire in mente l'asettico, il pulito, il vuoto; il letto, la camera
puliti e vuoti di un essere umano che se n'è andato.
Sasori
oltre a tutto quello vede lo smacco terribile che è la morte
alla grandezza dell'umanità. Una specie così evoluta,
capace e intelligente - in teoria - messa in ginocchio da
microorganismi e cellule avariate. La caducità della piaga
planetaria lo rende sempre nervoso e intollerante, la sua idea di
perfezione ha preso una piega utopica in un breve periodo subito sopo
la prematura morte di entrambi i suoi genitori. È rimasto
solo, con la nonna paterna.
Ripensare a come la donna si è presa
cura di lui e ha tentato di insegnargli lo stesso mestiere che lo
aveva privato dei genitori, in un incendio nel loro piccolo teatro
tramandato da generazioni nella sua famiglia, non lo aiuta a vedere
quelle scale bianche come l'unica cosa che li separa.
Lei aveva
visto il suo dolore, ma nuotava già in modo piuttosto
scomposto nel proprio e tutto quello che poté fare fu
renderlo partecipe della passione di famiglia. Lui aveva odiato quel
maledetto teatro tanto quanto la condizione umana, riuscendo ad amare
la perfezione delle marionette e dei personaggi che interpretava
molto più della realtà. Raggiunta la maggiore età
la gestione del locale passò nelle sue mani, come diceva il
testamento del nonno, e Sasori lo trasformò in un pub con
musica dal vivo.
'Perché tanto tutto finisce e la
tristezza delle persone che sopravvivono è tutto quello che
rimane'.
Lì aveva
incontrato Deidara.
La porta bianca che divide le scale dal
reparto sembra qualcosa di invalicabile e l'idea di parlare con
infermiere ciniche e stanche non lo alletta, ma è tutto
bianco, ovunque, e fa voglia di vedere se oltre quelle ante c'è
qualcosa di colorato.
Deidara è colorato. Deidara urla,
salta, s'incazza, coltiva un fiore che sboccia ogni quarant'anni
perché crede che le cose che durano un attimo siano
magnifiche, e poi lo bacia, anche; velocemente, perché 'anche
l'orgasmo è un attimo e quello ti piace'.
Ma
quando le porte si aprono non vede niente nemmeno di lontanamente
somigliante a Deidara, niente di colorato. Nemmeno gli occhi
dell'infermiera a cui chiede informazioni hanno colore. Non quel
colore che cerca lui.
Allo stesso modo le stanze a cui passa
davanti sono tutte uguali, sono tutte silenziose, sono tutte piene e
vuote allo stesso tempo.
Chiyo ha gli occhi chiusi quando lui
entra nella stanza e per un momento la osserva fermo davanti alla
porta. Poi si muove, prende larga la curva che lo porta al capezzale,
si prende il tempo necessario per vedere gli anni passati lontani su
quel viso anziano, su quei lineamenti contratti dal dolore e quel
respiro affannoso.
Un inaspettato sorriso lo blocca sul
posto.
“Sasori...”
Il suo nome viene scandito
lentamente da una voce arrochita che non riconosce come quella di sua
nonna, la osserva ancora però, avvicinandosi.
“Questa
vecchia... sperava che venissi a salutarla un'ultima volta,”
continua a sorridere lei, tossendo mentre si porta un fazzoletto
davanti alla bocca.
“Mi dispiace.” riesce a dire lui
quando torna il silenzio.
Perché non aveva capito niente e
ha lasciato che le ottusità di una vecchia generazione
facessero da scusa per staccarsi da lei. Sasori si rende conto di
essere rimasto piccolo fino a poco tempo fa e tutto, adesso che è
adulto, pesa come se non fosse mai stato bambino.
“Deidara
va benissimo, Sasori... perché la vita è breve e le
scelte giuste sono solo quelle che ci rendono sereni,” dice,
tornando seria, “volevo che lo sapessi... che non importa, che
niente importa perché io ti ho amato come ho amato mio
figlio... e avrei amato anche Deidara se solo non fossi stata cieca e
stupida,” tossisce ancora e tutte le volte che lo fa il
fazzoletto si colora di rosso.
Sasori le porge il bicchiere che
c'è sul comodino e l'aiuta a bere, poi si sporge per
rimetterlo a posto e lei lo tira verso di sé. Lo abbraccia e
appoggia la fronte sulla sua spalla.
“Non sei mai stato
solo...”
Poi c'è silenzio. Le dita bianche e vecchie
sulla stoffa della sua maglia cedono, il corpo contro il suo si
rilassa. Sasori appoggia il capo della nonna sul cuscino e le chiude
gli occhi.
La bacia, sulla guancia già fin troppo fredda, e
le accarezza i capelli grigi che cadono dalla fronte sul cuscino
bianco. Come il letto, come il pigiama di sua nonna, come sua nonna.
Di sicuro quella che pochi istanti fa era sua nonna e non colei che
adesso è solo bianca, vuota, una vecchia qualsiasi.
“Non
sei contento di averla vista? Sai, non è mai stata così
bella!” dice Deidara, avvicinandosi, “Le persone poco
prima di morire sono belle come...”
Si blocca e non riparte
più e Sasori alza la testa per vedere cosa sia successo per
aver interrotto quella manfrina. Ma il testone iperattivo lo prende
per un polso e lo trascina per due reparti, un sacco di scalini e
corridoi, e si fa aprire ad un portone uguale a quello del reparto
dove ha lasciato sua nonna, l'unica differenza è che dietro
quelle porte c'è colore. C'è movimento, ci sono risate
e miagolii strani, ci sono chiacchiere e sorrisi e c'è un
vetro dietro al quale si agita la vita.
“Le persone poco
prima di morire sono belle come appena dopo la nascita,”
conclude Deidara, osservando il compagno spalancare gli occhi e
poggiare le dita sul vetro come se ci si stesse sorreggendo.
Sono
bambini. Sono così piccoli che sembrano marionette. Sono
resettati: fogli bianchi dove la vita deve ancora scrivere, dove
chiunque deve ancora imprimere il proprio passaggio. Sono l'unico
vero potere della sua specie, sono loro ad essere eterni.
“Eppure
crescono in fretta, quindi durano giusto un attimo, uh,”
sorride Deidara, facendo spallucce.
Sono eterni e durano un
attimo. E loro non potranno mai averne uno, non con i loro geni.
E
se la vita è tutta oltre quel vetro allora loro cosa stanno
facendo?
“Mh, è una cosa stupida, ma ho sempre
pensato che quelli lì non siano altro che un concentrato dei
genitori...” risponde Deidara che ha imparato a leggere
letteralmente Sasori, grattandosi il naso, vagamente imbarazzato,
“magari quindi l'importante è, che ne so, l'amore, tipo,
mh?”
L'altro lo guarda, aggrotta la fronte e il ragionamento
fila, sorprendentemente.
Ha sempre pensato di essere rimasto solo,
si è sempre sentito molto solo, ma la verità era che
sapere sua nonna viva, ancora in giro su questo mondo, gli faceva
pensare di avere tempo, di avere qualcuno nonostante tutto. Ma è
lì, il suo qualcuno. Dice cazzate e urla ed è biondo,
però è davvero lui che riempe tutto quel vuoto, quel
bianco, quell'assenza di odori e sapori e che colora tutto facendo
esplodere il microonde 'perché è
artistico!'.
Dietro il vetro
una persona adulta si muove con un altro concentrato tra le braccia e
lo deposita in quel momento in un nuovo lettino. Scrive qualcosa e
poi appende il cartellino in modo che si possa leggere da
fuori.
“Chiyo!” quasi grida Deidara, sorpreso,
indicando l'etichetta del nome della nuova bambina.
E Sasori
sorride perché non importa niente, non importa nemmeno che la
madre in vestaglia e flebo e il padre denuncino l'incompetenza delle
infermiere anche nello scrivere il nome Ichigo,
perché tanto lui non è mai stato solo.
Owari
L'ultima
frase doveva essere accompagnata da questo ---> (?) perché
è un po' come dire: “domani piove perché tanto
gli uccellini cantano”, che cazz...? u___u' Mah.
Oggi, 17
maggio, era la giornata internazionale contro l'omofobia e la
transfobia, e ne sono stata informata una decina di minuti dopo aver
finito la bozza di questa cavolata. Sembra qualcosa di vagamente
attinente? Non so, in un suo modo, secondo me sì.
Un giorno
vorrei dire ai miei figli che le persone amano tutte allo stesso
modo: scendono a compromessi. E allora è bene dividere la vita con qualcuno che ci rende felici, indipendentemente da razza, sesso, religione e quant'altro, altrimenti si è più stupidi di chi
giudica.
Poi, per il resto, sono chiacchiere e cazzate perché
nessuno può giudicare e non c'è un modo giusto di
vivere la propria sessualità. Contronatura è un
termine usato dagli ignoranti che non sanno che ci sono stati più
gay in passato di quanto ce ne possono essere ora.
Grazie Tessa, per l'info! XD E grazie mille ad Aya, per il suo prezioso betaggio dell'ultim'ora. *___*
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.