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Autore: Ramiza    18/05/2011    3 recensioni
Questa è la storia di Guglielmo IX, duca d'Aquitania e conte di Poitiers, uno degli uomini più potenti del suo tempo. Questa è la storia del primo trovatore. La vita che i documenti non ci hanno mai raccontato. Tutto quello che non ci è stato detto: la storia di un amore segreto tra Guglielmo e il suo servitore, di una devozione infinita, di una tenerezza mai mostrata. Mi sono concessa di giocare con quest'uomo che da anni attraversa i miei studi e le mie letture e di proporlo in una versione assolutamente personale.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Nel 1092, dopo tre anni di matrimonio, Guglielmo IX ripudiò la moglie Ermengarde d'Anjou. Il fatto, ovviamente, contribuì a rafforzare l'inimicizia tra le due famiglie e acuì la tensione tra il conte e la chiesa, di cui era allora alla guida Urbano II.

 

Ieu conosc ben sen e folhor

E conosc ante e henor

Et ai ardimen et paor;

Et si m partetz un juec d'amor,

No suy tan fatz

Non sapcha triar lo melhor

Entre ls malvatz

(Guglielmo IX, Ben vuelh que sapchon li pluzor)

[Conosco senno e follia

e conosco onta e onore,

e in me c'è coraggio e paura:

e se mi proponete un gioco d'amore,

non sono tanto sciocco da non distinguere quello migliore

da quelli cattivi]

 

 

Guilhem sedeva stancamente su una sedia, circondato dalla corte dei suoi vassalli. Si curava poco dei loro discorsi e sorseggiava di tanto in tanto dal bicchiere che aveva davanti.

Il suo sguardo si perdeva a fissare qualcosa d'invisibile, sulla grossa porta lignea che delimitava la stanza.

La stanza risuonava di voci e risate.

Il conte si alzò improvvisamente e gli sguardi dei presenti si catalizzarono su di lui, in attesa.

Scese il silenzio e tutti parvero aspettare le sue parole come la profezia di un oracolo.

“Bene, miei signori. Credo sia giunto il momento di dirvi perché siete qui” esordì sorridendo, mentre nei suoi occhi passava quella strana luce che i suoi uomini avevano ormai imparato a conoscere. Era la luce che annunciava una nuova mossa sul tavoliere del gioco.

Il teatrale gesto che seguì confermò le loro supposizioni. Gulhem saltò sulla sedia e si esibì in un profondo inchino.

“Vi annuncio che presto tornerò un uomo libero, amici miei. La vita matrimoniale non fa per me” proseguì.

“Intendete ripudiare vostra moglie?” esclamò Iwaine al colmo dello stupore.

“Posso scegliere tra questo e l'omicidio – rispose con un sorriso rilassato – e ho deciso di percorrere la prima via”, quindi, come se nulla fosse accaduto, si rimise a sedere e parve tornare a sprofondare nei suoi pensieri.

“Non ci avete mai parlato di una simile intenzione” proruppe Robert.

“Perché non si trovava ancora tra le mie intenzioni, mio caro” disse.

“E non vi pare una decisione avventata, conte? Avete calcolato quello che potrebbe accadere dopo?” lo incalzò Iwaine.

“Ho calcolato qualcosa, qualcos'altro, probabilmente, mi è sfuggito. Ma la partita non sarebbe veramente divertente, se fosse possibile prevedere tutte le mosse, non credete?” rispose con tranquillità.

“Non tutto si può vedere così, conte. Non potete considerare ogni avvenimento come un semplice gioco. Ci saranno ripercussioni... grosse ripercussioni. Come credete che reagirà il conte d'Anjou? E Urbano II? Conte, avete considerato che l'antipatia della Chiesa nei vostri confronti è ormai palese? Abbiamo bisogno di alleati, non di altri nemici. Rischiate di mettere in pericolo tutto quello che avete costruito per un semplice capriccio” spiegò ancora Iwaine cercando di mantenere la calma.

Guilhem, tuttavia, giocherellava con un tovagliolo e pareva non prestagli alcuna attenzione.

“State ascoltando le mie parole?” incalzò l'uomo.

Il conte lo fissò con disinteresse.

Iwaine, di riflesso, sospirò con rassegnazione.

“Vi prego di rifletterci su ancora un po', è una scelta assai poco saggia” proseguì.

“Come la maggior parte di ciò che faccio, a vostro avviso – rispose seccamente – fortunatamente io sono padrone della mia vita e non devo rendere conto delle mie decisioni né a voi né a nessun altro su questa terra”.

“Ma dovrete ben rendere conto a Dio, un giorno” esclamò Robert.

“Vi preoccupate per la mia anima?” chiese improvvisamente divertito.

“Il Papa vi presenterà quel conto invece di Dio, conte. Di questo mi preoccupo. Di questo ci preoccupiamo tutti” rispose.

“Non ne avete motivo, miei signori. So bene quello che faccio. La mia anima è perduta! - esclamò facendo tintinnare il cucchiaio sul calice – ma il corpo vive e trionfa, e nessuno, al momento, è in grado di affrontarmi, neppure il re”.

“Volete dirci che avete fatto i vostri calcoli? Si tratta dunque d'una mossa politica?” incalzò il nobiluomo.

“Si tratta di una promessa che feci a me stesso due anni fa, amici miei, e che ora ho l'occasione di mantenere” rispose tranquillamente, mentre un sorriso beffardo gli si dipingeva sul bel volto luminoso.

“Ma saprò giocare bene le mie carte, come sempre. Dubitate forse della mia abilità nel condurre la partita?” chiese.

Tutti tacquero.

“Non dovreste. Le terre che vi ho concesso dipendono da questa. Dovreste ormai sapere che so scegliere bene le mie mosse. Mia moglie non mi ha dato un erede, in questi tre anni, e vi giuro su questa spada che Urbano II mi concederà l'annullamento! - tuonò – a costo di puntargliela alla gola!”.

Rise rumorosamente.

Come se tutti fossero stati trascinati dalla forza del suo carisma, l'ilarità cominciò improvvisamente a serpeggiare nella sala. Dapprima si videro sorrisi forzati, poi il rumore tintinnante delle risate prese il sopravvento.

“Se avete deciso, allora saremo con voi, come sempre” esclamò Iwaine.

“Anche perché – chiosò Bernard – nessuno di noi vorrebbe mai essere nei panni di un vostro nemico. Diteci, conte, quale imperdonabile torto vi ha fatto il conte d'Anjou per attirarsi in questo modo la vostra ira?”.

“Oh, amico mio, mentirei se dicessi che lo ricordo! Credo avesse qualcosa a che fare con un cervo. E con degli stivali” rispose vagamente mentre la sua mente si perdeva dietro ai ricordi.

Infine sollevò il calice

“Alla libertà!” scandì.

“Alla libertà! - replicarono in coro – e a Guilhem, IX conte d'Aquitania”.

 

“Avete discusso a lungo, quest'oggi” disse Tristan quella sera.

“Tentavano di farmi desistere dal mio proposito, cosa che trovo piuttosto fastidiosa, a dirti la verità” rispose Guilhem.

“Un proposito pericoloso, posso supporre” azzardò sorridendo.

“Tutt'altro, a mio avviso. Un proposito liberatorio. Ripudierò la mia giovane moglie e tornerò alla beata vita dell'uomo libero” disse lasciandosi andare sulle coperte di seta.

“Perché fate una cosa simile?” gli chiese sorpreso.

“Non avrei mai dovuto sposarla – rispose – non è stata neppure in grado di darmi un erede”.

“È davvero questo il motivo, signore? Soltanto questo? Ditemi, vi prego, che non pensate ancora a ciò che accadde due anni fa” bisbigliò timidamente.

Guilhem spalancò gli occhi e lo fissò improvvisamente con ardore.

“Naturalmente ci penso. Non faccio mai promesse a vuoto, Tristan, e certamente non le faccio a te. Non posso uccidere quell'uomo, ma posso restituirgli una figlia svergognata, ed è esattamente quello che farò” disse.

Il ragazzo rimase immobile.

“Non potete mescolare la vostra vita e la mia, non potete porle sullo stesso piano e lasciare che interferiscano” sussurrò spaventato.

Guilhem sorrise.

“Hai paura? - chiese – Temi per quello che potrebbe accadere?”.

Tristan non rispose e neppure osò sollevare gli occhi nei suoi.

Il conte strinse una mano sul suo capo e l'attirò a se fino a sfiorargli la fronte.

“Dici cose sciocche. La mia vita non ha alcun senso se la penso distinta dalla tua. Lasciami prendere questa piccola soddisfazione, Tristan, lascia che ti vendichi nel solo modo in cui mi è possibile. Permettimi di riparare alla passività che, volente o nolente, mostrai quel giorno e a ogni volta in cui, davanti alla gente, sono costretto a ignorarti. Consentimi di farlo per ogni cena a cui non puoi sedere con me. Per tutte le volte in cui la mia indifferenza ti ha ferito. Per ogni volta in cui sono stato meschino con te”.

“Siete voi a dire cose sciocche e senza senso – rispose senza allontanarsi – credete che non sappia, che non capisca? Credete che vi accusi di qualcosa?”.

“So bene che non mi accusi di nulla” disse.

“Dunque non avete alcuna ragione di farlo. Ho paura, sì, paura di quello che potrebbe accadere. Non dovrei averne? Ma io non sono voi, signore, io non so prevedere il futuro, non ho alcuna abilità politica e, di sicuro, mi manca il vostro coraggio. Sono solo un servitore, e come tale, lo ammetto, ho paura” sussurrò.

“Tu hai più coraggio di quanto io potrò mai averne, Tristan, e sei infinitamente più di quello che dici. Ma non devi avere paura. Non ce n'è motivo. Se anche un giorno perdessi tutto questo, se anche fossi costretto a una vita di miseria, non rimpiangerei questa decisione. La devo a me stesso e alla mia codardia di allora. La devo all'amore che provo per te e che troppo spesso non so dimostrarti. La devo all'uomo che vorrei e che non posso essere” rispose accarezzandolo.

Tristan si accoccolò alle sue carezze come un cucciolo e parve a Guilhem piccolo e delicato, eppure così forte e sicuro, lui che l'aveva sostenuto sempre, lui che era stato al suo fianco in ogni occasione, lui che condivideva in silenzio i suoi sogni e l'attendeva in disparte, con discrezione e umiltà, sopportando le sue follie, le sue insolenze, i suoi deliri d'onnipotenza. Lui che aveva rifiutato di rivolgersi a lui con più familiarità, quando erano soli, perché “sono lieto di essere un servitore – aveva detto – non c'è nient'altro che vorrei essere”.

“Non c'è niente che non possiate essere – rispose – ma qualunque cosa scegliate, mi troverete sempre qua”.

Parve a Guilhem possedere la grazia di un nobile, l'eloquenza d'un trovatore, la grazia d'una dama. Tutto ciò in quella sottile figura che gli sedeva accanto. E per un attimo dimenticò il gioco, la partita, la guerra continua che era la sua esistenza, e trovò pace.

 

 

Brevissima nota autrice.

Io, comunque, preferisco i fisici!

 



  
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