Claudia aveva nove anni e un neo sotto l’occhio sinistro. Di professione era scrittrice.
Che cosa accadrebbe se una bambina entrasse nel mondo che ha creato la sua fantasia?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa
è un racconto che ho scritto nel 2008; in realtà
si tratta della versione breve, dato che ho perso quella originale. Ho
voluto riscriverlo così com'era, senza apportare modifiche
(eccetto alcuni errori di grammatica), ma un giorno lo stile e la forma
cambieranno sicuramente. Come si può notare, sembra che a
quel tempo non conoscessi nemmeno i punti e virgola e mettessi punti
dovunque, rendendo le frasi brevissime (e anche fastidiose da leggere).
In ogni caso, spero che possa piacere un po' anche così.
Claudia
aveva nove anni e un neo sotto l’occhio sinistro. Di
professione era scrittrice: quando leggeva le sue opere i suoi
ascoltatori
erano bambole e pupazzi che teneva sparsi per la sua cameretta. Era una
soffitta occupata da due letti, uno dei quali era appartenuto alla
sorella
maggiore di Claudia. Il resto della soffitta ospitava diversi
giocattoli della
bambina, un misterioso baule accanto alla piccola finestra di legno e
uno
scrittoio che Claudia adorava: le piaceva sedersi lì e
inventare racconti che
poi avrebbe illustrato agli abitanti immaginari di quella stanza.
Quella
sera Claudia, dopo aver composto il suo racconto ed
averlo osservato soddisfatta, stava per narrare una nuova avvincente
avventura
al suo vasto pubblico, quando vide una luce provenire dal misterioso
baule.
Claudia si avvicinò titubante e appoggiò una mano
sulla chiave di ferro
infilata nel lucchetto pesante che chiudeva il baule. Girò
la chiave nella
serratura del lucchetto, sollevò il coperchio e…
cos’era quel prato lì dentro?
Voltandosi Claudia si accorse che, al posto delle buie e soffocanti
pareti
della soffitta, era stagliato un cielo di un azzurro chiarissimo,
costellato
ogni tanto da sottili nuvole di zucchero filato. Il verde
dell’erba estiva
riempiva l’intero paesaggio. Claudia iniziò a
correre, felice come mai prima di
allora, contenta di essere finalmente uscita dalla casa in cui la madre
l’aveva
rinchiusa dopo la morte del padre, proibendole di incontrare le sue
amiche e
rassicurandole in lacrime che, quando si sarebbe rimessa in forma,
avrebbe
potuto riprendere le abitudini liete di un tempo; ma erano mesi ormai
che
Claudia non vedeva altra luce che quella che a stento riusciva a
passare
attraverso le finestre della casa.
Continuò
a correre per i campi, quando vide Nero, il suo
cavallo di peluche, e Piuma, il suo uccellino, dialogare
tranquillamente tra
loro di filosofia.
-
Mio caro, mi pare abbastanza ovvio che le conoscenze siano
innate nella nostra mente – diceva Nero.
-
Ergo non ha mai letto gli empiristi, professore? –
chiedeva Piuma.
-
Ti prego! Non nominare quei filosofi da strapazzo in mia
presenza, Piuma! – .
Con
un sorriso che da molto tempo non le illuminava il viso,
Claudia entrò in un boschetto e, addentrandosi solo un
po’, vide miriadi di
farfalle che le volavano intorno, tutte di colori diversi. Subito dai
nascondigli sotto gli alberi uscirono folletti e fate dei boschi, coi
capelli
lunghi e verdi o irti sulle piccole teste. D’improvviso tra
loro giunse una
giovane donna, un elfo attraente e misterioso.
-
Astrid – la chiamò Claudia: sapeva il suo nome
perché era
stata lei ad inventarla, e si accorse che anche i folletti e le fate
che le
saltellavano e volavano attorno erano sue creazioni.
-
Sei nel nostro regno, bambina – sorrise Astrid. –
Ora è
nostro compito farti vivere - .
Riprendendo
a camminare lungo il sentiero, Claudia vide un
palazzo del secolo passato, lugubre e in decadenza. Ritrovandosi sola,
vinse la
sua paura e oltrepassò la porta cigolante. Sentendo un canto
femminile si diresse
verso l’ultima stanza del corridoio. Entrò senza
far rumore e vide una ragazza
in una veste color argento piangere coprendosi gli occhi con entrambe
le mai.
-
Cos’hai? – le chiese la bambina, e subito la
ragazza
abbassò le mani e mostrò il suo vero, spaventoso
volto. Aveva un viso lungo e
pallido, due occhi rossi e sottili e una bocca piena di denti
affilatissimi.
Claudia non si spaventò, riconoscendo un altro dei suoi
personaggi, Asia, il
fantasma di una ragazza che, vedendo ostacolato irrimediabilmente il
suo amore
per un servitore, si era uccisa nella sua camera. Tuttavia Claudia non
si
aspettava che Asia cominciasse a fluttuarle contro con una risata tetra
e, non
sapendo cosa fare, si gettò dalla finestra aperta della
camera.
Fu
presa al volo da Nemo, l’astronauta coraggioso che aveva
scoperto la stella di Clisia. Nemo la portò nella sua
navicella, mostrandole
tutti i congegni che usava per perlustrare lo spazio infinito. Claudia
riconobbe la
Luna
cosmica, che illuminava le stelle che si nascondevano dietro ai pianeti
più
grandi per non essere scoperte.
Improvvisamente
fu trascinata fuori dalla navicella da
Martin, il mozzo avventuriero, che la stava trascinando su
un’isola sperduta
per portarla con sé alla ricerca del tesoro del Corsaro
Grigio. Percorsero il
Rio delle Amazzoni su una canoa di legno, viaggiarono in sella a tigri
del
Bengala, mangiarono insieme ai nativi africani; si addentrarono nella
giungla
più fitta fino al terzo albero a destra rispetto alla Roccia
del Naufrago. Lì,
scavando con entusiasmo, trovarono il forziere che nascondeva il tesoro
del
temibile Corsaro Grigio. Claudia vide il più grande bottino
della sua
immaginazione: dobloni, rubini e smeraldi, collane di diamanti e, sul
fondo del
forziere, un lungo vestito dorato.
All’improvviso
sentì una voce dietro di lei: - Potrebbe
consegnarmelo, madonna? Appartiene alla mia dama e io sono venuto fin
qui per
trovarlo e restituirglielo - .
Voltandosi
Claudia si accorse che davanti a lei ora c’era
solo Sir Arthur, l’intrepido cavaliere. Claudia gli tese il
vestito.
-
La ringrazio, nobile dama. Posso accompagnarla al castello
perché anche la mia dolce principessa possa mostrarle la sua
gratitudine? - .
Claudia
acconsentì e salì sul cavallo bianco di Sir
Arthur;
cavalcarono fino a una valle incantata, nel mezzo della quale si
stagliava il
castello rosa della bella principessa. La bambina notò
subito, entrando nella
corte, l’assenza dei giullari variopinti e delle damigelle
chiassose. Alzò lo
sguardo verso le torri e vide che il malefico Drago Nero aveva rapito
l’incantevole principessa. Sir Arthur salì di
corsa di cinquecento scalini
della torre e con un colpo della sua potente spada mozzò la
testa al drago e
salvò la sua dama.
La
bellissima principessa strinse le mani di Claudia e le
sorrise.
-
Ti ringrazio per aver consegnato a Sir Arthur il mio
vestito. Ti dono questo come ricompensa – disse mettendole al
collo un laccio
che teneva una pesante chiave d’oro. – Grazie ad
essa potrai tornare nel nostro
mondo quando vorrai. Basta appoggiarla sul petto, accanto al cuore, e
sentirlo
battere - .
Sfinita
a causa delle avventure meravigliose della giornata,
Claudia si addormentò sul letto che la bella principessa le
aveva ceduto per
quella notte, chiedendosi a sognare tra le tende del baldacchino.
Si
svegliò di soprassalto nella sua camera, sdraiata tra i
cuscini sul pavimento e i suoi amici di pezza. Sapeva che non era stato
solo un
sogno, sapeva che ogni volta che si fosse sentita oppressa dalle pareti
grigie
e dal buio della soffitta, le sarebbe bastato poggiare la piccola
chiave sul
cuore e sentire il suo battito per rivedere i colori e la vita di quel
mondo
fantastico che lei stessa, tante volte, aveva raccontato.