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Autore: Pharmakon    31/05/2011    1 recensioni
"Hannon le, Legolas."
Tornerà di sera. Ad ululare, quale lupo solitario è, ad una luna distante.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Legolas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Where to begin.











È qualcosa di sconvolgente la freddezza con cui l'elfo osserva l'ascesa al trono del ramingo; quest'ultimo ha abbandonato le povere spoglie dei vagabondi, il mistero che gli copriva il volto – come in quella locanda, quel cappuccio nascondeva un semplice uomo dalle responsabilità della vita – e le urla della battaglia.
Legolas ha, dietro di sé, stendardi lucenti e candidi a svelare i contorni della sua pelle, ancora più chiara; e pare che la luce del sole gli si rifletta addosso o lo trapassi – tutta la sua anima, sotto la corona che porta sulla fronte, è libera. Peccato non abbia nulla da dire con quelle sue labbra; le tiene socchiuse, piccolo bimbo che ascolta il mondo pulsare e vivere.
Aragorn prende un profondo respiro, nell'ansia e nel peso di tutti gli sguardi – tranne il suo. Quell'elfo sa, come ogni parte del suo volto, che non è da re che vuol essere guardato quel mortale. Tutta la fragilità di quel momento si configura in una semplice corona, basterebbe calpestarla; se avesse avuto possibilità di scelta, forse l'avrebbe fatto.
Ha solo rischiato.
Ringrazia solo i Potenti che sia il biondo a muovere uno, due, tre – quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici... Quanti passi ci vogliono perché lui, da uomo qual è, possa sentirne il respiro? - passi.
Solo tre, e la distanza è quanto un braccio; il Re di Gondor la misura subito, afferra la spalla, calcola. La conferma del braccio di Legolas non può che spezzargli gli occhi. Una scelta.
“Hannon le, Legolas.”
Su quell'altura, la brezza leggera accarezza i capelli di tutti; respirano faticosamente, lungo la loro esistenza e quel Principe li vede come stendardi al vento, ora lucenti in tutta la loro gloria – se visti da un albero, sembrano fiori insani, ma ogni cosa è destinata a morire e rifiorire. La brezza porterà i loro semi, gli ansiti nascosti quel che c'è da lasciar ereditare ai nuovi padroni. È giunto, dunque, il tempo degli uomini?
L'elfo sorride. È così bella la tristezza di Aragorn che sfocia nell'invidia per i piedi veloci di quella creatura distante; Legolas Verdefoglia?
È fuggito. Due istanti fa. Come sulla neve correva e non si fermava se non dinanzi la dura roccia. Allora, balzava.
Pur di non guardare il ramingo negli occhi – per lui rimane un ramingo, un ramingo dal mantello scuro, dalla spada sconosciuta, dagli occhi stanchi, dal volto segnato da ere intorno a quelle labbra, pelle erosa come baci del destino – è alla sua destra che mira.
Scocca la freccia.
Aragorn si distrae.








Tornerà di sera. Ad ululare, quale lupo solitario è, ad una luna distante.








Allora dirà talmente tante cose, che Legolas capirà – di nuovo! I tempi si ripetono con tanta facilità che gli pare d'essere acqua di un placido mare scossa da sassi – perché i corpi di quegli esseri così spezzati dai desideri pesino così tanto.
Così tanto da -
precipitare lungo la morte?
Le loro impronte sono già svanite su quella terra bruciata. Il metallo lascia spazio a coloriti rossastri. Non sarebbe forse meglio, soffiare semi su tutte le strade?
Se poi, quei due semi sono due occhi...
si chiudono al forte vento, il viso si contrae, non si ama il disprezzo. Ancora meno la lingua. L'uomo è, infine, cieco.

“Possibile che ti abbia visto poche volte dormire?”
Se Legolas si scuote, è solo perché ad ascoltare i piccoli suoni non si aspettava certo quello di una voce tanto imponente. La guardia è bassa, si direbbe che dorma così.
“Sul mio viso non vedresti certo i segni della stanchezza, l'indomani. Arwen non potrebbe dire la stessa cosa del tuo.”
La cosa buffa, pensa Aragorn, è che Legolas è un'ape pungente, dopo il primo morso il suo sarcasmo muore. Non riesce ad essere umano – sarebbe strano vederlo insistere in questo, comunque.
Il fine che – il filo, suona molto meglio!, l'elfo insegue nelle sue azioni culmina proprio attorno al collo di Aragorn; si volta, ne osserva l'espressione tetra. Ammette, Legolas, che la delusione che gli alberga sul palato è amara.
“Ti allontani di notte per sfuggire all'odore dei suoi capelli. E, nel mentre, ritrovi quello dei sudori umani, delle lotte, più lontano: i fiori o la stessa direzione da cui la brezza proviene.
Quello del sangue è quasi svanito sulla tua pelle, vieni a cercarlo di notte. Quando tutto ti copre e la Luna poco si preoccupa di illuminare una coro-”
Il ramingo prende fiato, pare il soffio di una tempesta a quelle sensibili orecchie.
“Basta.”
Sulla soglia di quel limite, i capelli biondi scivolano lungo la spalla sinistra all'inclinazione della testa; la curiosità, sincera e dolce dei suoi occhi blu investe quel grigio sporco. Capelli scuri coprono un viso invecchiato di un giorno.
Non sa usare occhi e non sa forgiare parole con quei suoi denti; ed allora cosa aspetta, Verdefoglia, a lanciare uno sguardo nitido come l'immagine di un bosco in Autunno?
È l'unico modo che ha per descrivere tutto quello.
“Adesso sei libero, ramingo.”
Prova a serrargli la bocca...
“Adesso.”
… Stringere le tue grandi mani attorno quel viso pallido, così da fargli rompere i denti contro la sua maestria, tanto da fargli perdere il dono d'ogni leggiadra parola.
“Adesso guardami negli occhi e dimmi che sei incerto del domani: che non sai quando il sole ti brucerà la pelle, quando vedrai l'estate giocosa regalarti una nuova tinta e l'affanno del caldo, che si manifesta nella contraddizione di una goccia lungo la tua pelle. E dimmi che ne sarai felice.”
Aragorn, con le labbra schiuse, misura, ancora una volta, la distanza tra loro.
“Perché con certezza sai che, nel toglier la corona che osa splender tanto al sole, arriva la frescura e la tenue, dolce luce del Vespro. E nulla vuole illuminare, se non i tuoi occhi.”
L'uomo è cieco, ma l'elfo socchiude solo gli occhi; soffia, soffia forte tra le parole – che brutta abitudine, parlare, se fossero muti, gli uomini non saprebbero nulla dell'amore. Sono goffi e divertenti, così come lo è Aragorn con quei due occhi spalancati e quel sorriso imbarazzato.
“Te lo dirò il prossimo inverno, come ricordo del mezzodì d'agosto.”



La caducità della vita affascina quel Principe, ma vegliare su di un Re, gli par come spezzare sassi contro rocce: i primi, frantumandosi, schizzano e brillano, veloci – i momenti e le gioie – e le seconde, poco a poco, si scheggiano – i volti.
Eppure, ha quel fascino tetro della bellezza dei fiori.















Allora, prima di esprimere qualsiasi parere/turbamentale/bivoshugahwui (?!), mi addolora dire che Aragorn e Legolas non mi appartengono - ma se volete regalarmi Viggo ed Orlando, mica mi oppongo! - e che io, con questa storia, non sono stata pagata.



Dunque, devo dire che è la mia prima fanfiction in assoluto - OH OH OH! - su LOTR; ho letto i libri quando ero una piccola bimba innocente (?) ed ultimamente m'ero anche fidata di Sky per guardare la Trilogia. Ho poi scoperto che erano le versioni base ed ho cambiato canale. Bah.
Sulla storia ho poco da dire. Non so nemmeno io cos'è. E non l'ho riletta - quindi, insomma, sono anche giustificata per eventuali errori, ovvio! - perché altrimenti l'avrei cestinata. A voi lascio la libera interpretazione di tutto questo... uh, questo.
Beh, alla prossima. Spero!
  
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