Serie TV > I liceali
Segui la storia  |       
Autore: Ofelia di Danimarca    04/06/2011    0 recensioni
Due persone, due mondi lontani un abisso...ma, forse, lo stesso sguardo disincantato verso il mondo...e una strana pressante voglia di far parte della vita dell'altro. Claudio Rizzo e Monica Morucci
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La prima cosa che aveva avvertito era stata una strana sensazione come di sollevamento improvviso….come se una parte del suo corpo fosse riuscita incredibilmente ad emanciparsi dalla legge di gravità, così tutto d’un tratto.
 
Ma, a seguire, uno strattone e una spinta decisa contro la cancellata della scuola gli avevano subito fatto intendere che no, non si trattava di qualcosa di piacevole… che non era una visita di cortesia.
 
L’aveva preso alle spalle.
 
Era l’unica cosa a cui la sua mente riusciva a girare intorno vorticosamente, mentre, seduto su una sedia posizionata al contrario, cercava di placare il sangue dal naso che da alcuni minuti scendeva e sembrava non saper fare altro che continuare a scendere. La camicia, una volta bianca e ora a striature rosse, ne sapeva qualcosa.
 
Messo così, con la testa rovesciata all’indietro per fermare l’emorragia, e un fazzoletto nella mano, quasi gli venne da ridere.
E lo avrebbe certamente fatto, se non fosse stato per la rabbia che lo invadeva in quel momento.
L’aveva preso alle spalle, così, senza preavviso. Da vigliacco.
 
- Claudio, ma che mi combini… proprio adesso che stavi rigando dritto e tutto era tranquillo…ma ma chi era quello là, quell’energumeno…
Dall’altra parte dell’infermeria, Cicerino camminava avanti e indietro con un’aria sconcertata che non provava neanche lontanamente a nascondere.
- Insomma, perché…perché aggredirti a quel modo….
 
Claudio lo ascoltava con curiosità, mentre il sangue decideva finalmente di stare al suo posto.
Era evidente che il prof era allergico a qualsiasi manifestazione di violenza fisica.
Gli venne da sorridere, e stavolta lo fece – in barba alla rabbia.
 
- E mo’ ridi pure… guarda Claudio che sei proprio forte. Sei fortissimo. E io qui che ti sto pure dietro. Mi sa che mi sono ammattito.
 
Silenzio per qualche secondo.
- No prof, non sto ridendo – il tono di Claudio era tranquillo, ma fermo – e le do pure ragione, anche a me non piacciono ‘ste cose. Però vede…stavolta mi spiace deluderla, ma non me la sono provocata io la situazione. Mi è… capitata addosso.
 
Cicerino fece una smorfia rassegnata.
-Eh, sì, proprio addosso ti è capitata. Ma chi era quel ragazzo? Andrà denunciato, questo sicuro, non è che possiamo far finta di niente qui a scuola…
 
Claudio riportò la testa in una posizione normale. Gli doleva la guancia destra, e anche il naso gli dava delle fitte poco simpatiche.
Si alzò in piedi e si scrutò allo specchio dell’infermeria della scuola.
Aveva un occhio rosso e la parte destra della faccia gonfia.
Sembrava un reduce da un incontro di boxe per dilettanti.
 
Con la coda dell’occhio vide che Cicerino gli porgeva qualcosa… la borsa del ghiaccio.
Il fresco che avvertì in faccia fu una specie di benedizione.
 
- Il problema è che non so neanche come si chiami quello.
 
C’era il prof ad ascoltare, ma quella frase l’aveva rivolta più che altro a se stesso.
Nel momento esatto in cui il pugno serrato gli era arrivato in pieno volto, aveva capito di chi si trattava.
Era bastata una frase, poche parole dette mentre il colpo veniva sferrato, e tutto si era chiarito.
“Infame, tu le devi stare lontano, mandale solo anche un altro messaggio e stai piegato”.
 
Addirittura, mentre cercava di schivare i colpi successivi e poi, mentre rispondeva, si stupì mentalmente di non esserci arrivato subito. Di non averlo capito al volo. Di aver pensato quel “ma chi cazzo…” mentre finiva schiena al cancello, senza avere idea.
Che coglione.
 
- Prof, io non lo so il nome di quello. So chi è, ma il suo nome zero.
Cicerino era là che lo fissava con le braccia abbandonate lungo i fianchi, come uno che ha esaurito le risorse disponibili.
 
- Rizzo, sei incredibile.
 
 
--------------------------------------------------------- 
 
 
Guardo l’orologio: è quasi l’una.
Ormai è più di un quarto d’ora che sono chiusi là dentro.
So che sono lì, ho visto Cicerino che ce lo portava,e poi dove altro potrebbe essere in questo momento se non in infermeria?
 
La scuola è quasi vuota. C’è solo l’impresa di pulizie in giro, e forse qualche prof in sala professori, dietro a correggere compiti.
Cook se n’è appena andato via, insieme a Pregoni e a qualche compagno di classe di Claudio.
Volevano vedere come stava, ma una volta capito che le cose andavano per le lunghe, se ne sono giustamente andati. Tanto, come ha detto Lucio, “ Rizzo c’ha le palle, mica basta così poco”.
 
Già.
Io invece sono ancora qui, in corridoio, appoggiata al muro.
Mia madre mi starà dando per dispersa a casa, ma non me ne importa più di tanto.
Anzi, adesso che ci penso meglio, probabilmente non se ne sarà nemmeno accorta, del mio ritardo.
Sarà lì, assorbita anima e corpo nella visione del canale della tv che più di tutti odio: il Canale Elefante.
 
Finalmente, sento che qualcuno da dentro sta aprendo la porta.
Sulla soglia appare il mio prof di italiano. Ha un’aria stravolta - al solito.
 
- Ah, Morucci! Stai qua!
- Già.
 
Apro la bocca per continuare ma mi blocco. Cosa devo dire? Improvvisamente, l’ho dimenticato.
Senza accorgermene inizio a scrocchiarmi le dita, una dopo l’altra… mi prende il nervoso, e non lo sopporto.
 
- Claudio come sta?
Ce l’ho fatta. Respiro. Non era poi così difficile in fondo…o no?
 
- Mah…è un po’ gonfio in faccia, e ha perso un po’ di sangue dal naso. Non è in forma smagliante, ma per nostra sfortuna sopravviverà…
 
Mi viene da sorridere.
Il prof si rimette la giacca scuotendo leggermente la testa.
- Comunque adesso dovrebbe uscire… io vado ora, che c’ho una montagna di roba da fare per voi studenti del terzo…ah Morucci…poi domani discutiamo un po’ della tua iscrizione al test della Normale…
 
Non mi dà nemmeno il tempo di ribattere che si allontana. Cicerino non si smentisce mai.
 
Appena mi volto, vedo Claudio uscire dall’infermeria, con lo smanicato in una mano e la borsa del ghiaccio nell’altra… la camicia è sporca di sangue, e non riesco a fare a meno di fissarla.
Ha gli occhi bassi…è come se non avesse voglia di incontrare lo sguardo di nessuno.
Cerco di prendere fiato.
 
- Come va?
Mi viene voglia di mordermi la lingua, non sono riuscita a pensare a niente di più azzeccato da dire.
- Come stai?
 
Lui si ferma quasi subito, e alza gli occhi.
Come al solito, non riesco a capire ciò che gli passa per la testa. Il suo viso, nemmeno in questa situazione lascia trasparire qualcosa.
Si stringe nelle spalle.
- Sono vivo.
 
Lo vedo che si appoggia al muro, proprio nella posizione in cui ero io fino a pochi secondi fa.
 
- Ti fa molto male…la faccia?
Gira la testa lentamente nella mia direzione, e mi guarda negli occhi.
L’area intorno all’occhio destro è gonfia e la palpebra è un po’ chiusa. Non credevo gli avesse fatto così male.
-Quel tizio ti doveva odiare parecchio a quanto pare…
 
Distoglie lo sguardo, soppesando con la mano la borsa del ghiaccio.
- Sì, evidentemente sì – poi di nuovo mi guarda- quasi quanto te direi.
Gli occhi sono seri, ma le labbra abbozzano un sorriso.
 
Affondo le mani nelle tasche dei jeans, cercando di trovare le parole. Non è una cosa in cui sono molto brava, non lo sono mai stata.
Ma stavolta sento che mi devo sforzare.
 
- Claudio, mi dispiace. Mi…
- Tranquilla - mi interrompe – mica sei stata te a menarmi.
- No – quasi non riconosco il mio tono di voce, per quanto è flebile – non intendevo quello…cioè, sì, mi dispiace che ti abbiano aggredito, ma… intendevo per il fatto di non averti più detto nulla. Sul venire a studiare da te. Quello.
 
Si sistema più comodo, con la schiena totalmente a ridosso del muro. Poi lo vedo aggrottare le sopracciglia.
- Ci speravo sai… che accettassi. L’ho sperato parecchio… ma non ti devi scusare, se non l’hai fatto è perché non ti andava. Giusto? Quindi perché dispiacersi…
 
Si posiziona la borsa del ghiaccio sulla guancia mentre come al solito mi sento perduta.
 
Con lui, mi capita ogni volta. Ma com’è possibile?
Non so assolutamente come prenderlo, non so gestirlo… è come se davanti a lui una forza irrefrenabile e inconscia mi spingesse ogni volta a deporre le armi in anticipo, in una resa senza condizioni.
 
Non è che non l’ho fatto perché non mi andava.
 
- Non è così… a me andava… mi andrebbe, di studiare da te…è solo che…
Si volta e mi fissa.
- Che?
Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, e mi chiedo se ciò che sto per dire gli farà capire o farà in modo che lui mi disprezzi per sempre.
- Che mi fa paura.
 
Di nuovo aggrotta le sopracciglia.
- Sono io a farti paura Morucci? Perché?
 
Già, perché?
Mi tolgo dal muro e faccio qualche passo in avanti.  Vorrei avere la parlantina di Cook, in questo momento.
Poi mi volto verso di lui.
 
- Perché non ti conosco.


--------------------------------------------------------------- 
 
 

- Non dovresti guidare in quelle condizioni.
 
Claudio si fermò diligentemente allo stop, e con la coda dell’occhio notò la passeggera contorcersi nervosa le mani mentre guardava fuori dal finestrino. Sorrise.
 
- Hai intenzione di ripetermelo all’infinito, Morucci? Non ti fidi delle mie abilità di pilota?
 
La vide scuotere la testa con forza.
- Non è di quello che parlavo … tu sei appena stato preso a pugni in faccia…
 
Gli venne ancora da sorridere. Sembrava quasi che si stesse preoccupando. Preoccupando per lui.
Poteva essere realmente così? Sbuffò levandosi un ciuffo di capelli dalle sopracciglia.
 
Mise la prima e diede uno sguardo alla zona che stavano esplorando con la macchina.
Quello era un quartiere che non conosceva molto bene…sapeva che c’era la pizzeria dove Monica lavorava, e dove ogni tanto i suoi ex compagni di classe si trovavano al sabato sera.
In effetti pensò che non fosse così male… era qualcosa di diverso.
Tanti appartamenti, poche ville ma anche tanti bar, e piccoli negozi.
Un’atmosfera più accogliente, meno fredda. Vera.
 
- Non è male qui.
Monica si voltò di scatto a guardarlo. Aveva un’espressione allibita. Poi rise, strizzando gli occhi.
 
- Se, vabbè… non prendermi in giro. Qui è sempre il solito. Paragonato al posto dove vivi tu poi…
- Hai mai visto casa mia?
- No…ma me la immagino.
 
Claudio si ritrovò a scuotere la testa. Quella ragazza non sapeva di cosa parlava.
Non aveva idea di che cosa voleva dire… passare le giornate in una casa come la sua, immensa e nondimeno vuota come le bottiglie di vodka che si scolava periodicamente suo zio insieme ai suoi amici d’alto bordo.
Non aveva idea di che voleva dire camminare da una stanza all’altra, come in trance, con l’unica speranza di vedere saltar fuori anche solo per un momento la sola cosa che veramente aveva contato davvero per lui tra quelle stramaledette quattro mura… Francesco.
 
Ricacciò indietro quel pensiero.
Il dolore alla mandibola e al naso era già sufficiente, non aveva certo bisogno di supporto.
 
- Ma che voleva quel tipo da te?
 
Monica si era voltata a guardarlo.
 
- Manca molto a casa tua?
- No, non manca molto – il tono della ragazza era determinato ora – ma ci sarà un perché se quel tizio è entrato nel cortile della scuola e ti ha preso a pugni.
 
Claudio sentì il nervoso e la rabbia riaffiorargli prepotentemente in corpo.
Monica gli fece cenno che erano arrivati.
 
- Com’è che improvvisamente lo vuoi sapere?
Si voltò a guardarla e vide che, sì, era ansiosa di sapere, anche se tentava di mascherarlo.
Gli occhi verdi erano fissi su di lui, e stavolta non erano titubanti e insicuri come nei loro precedenti confronti. Erano desiderosi di capire.
 
- Soldi o donne?
 
Claudio rimase in silenzio per qualche secondo, colto di sorpresa. Poi la guardò.
 
- Donne.
La vide annuire e muovere le labbra in un sorriso strano.
- Era ovvio - disse infine lei, lievemente.
 
Claudio spense la macchina, ma lei aveva già una mano intenta ad aprire la portiera.
In meno di un attimo, scese senza lasciargli il tempo materiale di impedirglielo.
 
- Grazie del passaggio.
 
Si morse le labbra.
Avrebbe dovuto starsene zitto. Perché tirare in ballo…perché dirle che in quella storia centravano donne?
Ok, era la verità.
In realtà no, ne centrava solo una.
Ma aveva reale importanza? Era un vero problema?
Contava veramente?
 
- Aspetta! Ci verrai…a studiare da me?
 
Lei fece qualche passo verso casa, poi si voltò, alzando le spalle.
 
- Non lo so.
 
--------------------------------------------------------

Per Valy88: grazie per apprezzare questa storia, spero che appassioni voi come a me sta appassionando scriverla! Ah e spero che continuerai a seguirla!
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > I liceali / Vai alla pagina dell'autore: Ofelia di Danimarca