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Autore: Shari Deschain    04/07/2011    7 recensioni
«Sssh, Stefan», mormora una voce pacata, vicino al suo orecchio.
Stefan sobbalza e apre gli occhi di scatto, solo per trovarsi davanti il volto indecifrabile di suo fratello, e più in là ancora il soffitto di pietra di una cella che ormai conosce molto bene.
«Va tutto bene», continua Damon. «Era solo un sogno»
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Stefan Salvatore
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'He ain't heavy. He is my brother.'
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Warning: Spoiler, What if? Season 3, Angst, tentativi di Fluff.
Wordcount: 1919 (FDP)
Disclaimer: TVD è di L.J. Smith e di quegli adorabili stronzi di Julie e Kevin. Se mi pagassero per fare questo, sarei la donna con il lavoro più bello del mondo dopo la Dobrev.
N/A: Scritta per il TVG!Fest @ vampiregeometry, prompt Damon/Stefan, “Sssh, Stefan”
Titolo made in Led Zeppelin (Tangerine ♥)
Dedicata a quella splendida donna della Joy, Imperatrice del Fluff, che si lascia coinvolgere dalla cricca e scrive meraviglie per tutte noi.

 

 

 

 

Living reflection from a dream

 

 

 

 

 

Passi concitati nel buio, battiti accelerati di un cuore impazzito dalla paura, ferite aperte che impregnano la notte dell'odore del sangue.
Un sorriso fatto di zanne, un morso sensuale come un bacio, rivoli rossi a macchiare la pelle candida.
Sentirla morire tra le proprie braccia, mentre la vita che le ha rubato ora scorre dentro di lui, attraverso ogni vena, saziando la sua terribile fame.
E poi gli occhi gialli di Klaus che risplendono nel buio, le sue mani sporche, le urla che ancora gli riempiono la testa, nonostante lei sia morta.
Urla sempre più forti e disperate: non sono nemmeno più un richiamo d'aiuto, è solo paura e rabbia, tanta rabbia.
E non è la ragazza ad urlare.

 

 

«Sssh, Stefan», mormora una voce pacata, vicino al suo orecchio.
Stefan sobbalza e apre gli occhi di scatto, solo per trovarsi davanti il volto indecifrabile di suo fratello, e più in là ancora il soffitto di pietra di una cella che ormai conosce molto bene.
«Va tutto bene», continua Damon. «Era solo un sogno»
«No...», prova a rispondere Stefan in un rantolo, ma già quel singolo monosillabo gli fa dolere insopportabilmente la gola arida.
Non era un sogno, e tu lo sai.
«Sssh», ripete suo fratello, come se avesse davvero sentito la replica sferzante, e la sua mano è fresca contro la fronte sudata di Stefan.
«Qui», sussurra ancora, avvicinandogli un bicchiere alle labbra.
Riconoscendo l'odore, il vampiro volta istintivamente la testa, disgustato.
Non ha le forze per opporsi a quella disintossicazione obbligata e necessaria, ma non ha nemmeno tanta voglia di collaborare.
Vorrebbe solo che il mondo si dimenticasse di lui, che tutti loro decidessero di lasciarlo lì per sempre, sprofondato nelle tenebre dell'incoscienza e del rimorso, finalmente innocuo.
Ma non accadrà nulla del genere, purtroppo.
«Bevi», ordina pacatamente Damon, spingendo un po' di più il bicchiere contro il suo volto, e Stefan si costringe ad obbedire, perché sa che l'altro non si farebbe problemi a farglielo ingoiare con la forza, se necessario.
È già successo.
Il sangue gli riempie la bocca, donandogli qualche istante di sollievo, ma ha un gusto così sbagliato che il vampiro si trattiene a stento dallo sputarlo.
È troppo tardi. Il sangue animale non mi basta più, pensa, forzandosi ad inghiottirlo.
Te lo farai bastare di nuovo, gli rispondono severamente gli occhi cupi di suo fratello.
Stefan distoglie lo sguardo, tornando a fissare il soffitto della cella.
Un sospiro, una mano che gli stringe delicatamente la spalla, e pochi istanti più tardi il rumore di un lucchetto d'acciaio che si richiude, annunciano al prigioniero l'inizio di altre lunghe ore di veglia in solitudine.

 

 

Un rumore leggero, quasi esitante.
La porta della cella scricchiola appena.
Poi la voce di suo fratello.
«Stefan...»
«Portala via»
«Stef»
«Portala via, ho detto»
Elena non dice nulla.
Damon obbedisce.
La stessa cosa tutti i giorni.
Ogni giorno lei si lascia cacciare, e ogni giorno ritorna, proprio come i suoi incubi.
La differenza è che con lei aprire gli occhi peggiora solo la situazione.

 

 

Tutto quello che Stefan voleva dalla vita quando ancora ne aveva una che si potesse chiamare tale , era essere una brava persona.
Essere un bravo figlio, un bravo fratello, un bravo fidanzato.
E poi chissà, col tempo un bravo marito, e poi un bravo padre, magari un bravo zio, se Damon si fosse mai deciso a mettere la testa a posto.
Non erano poi chissà quali irrealizzabili aspettative.
E prima di Klaus, a volte Stefan si consolava sognando cosa sarebbe stata la sua vita se Katherine non lo avesse trasformato. Erano bei sogni, e gli davano qualcosa di simile alla speranza di non essere diventato quello che voleva solo perché quella possibilità gli era stata tolta contro il suo volere. Erano bugie buone solo a placargli la coscienza, ma andavano bene lo stesso.
Adesso sa che, con o senza Katherine, lui avrebbe trovato comunque un modo per mandare tutto a puttane, proprio come ha fatto con la seconda possibilità donatagli da Elena.
Adesso sa che non è una brava persona, che nel profondo non lo è mai stato, nonostante fingesse il contrario molto bene, e sa anche che non lo sarà mai davvero, non importa quanti sforzi Elena e Damon possano fare in tal senso.

 

 

«Sei come me», sussurra Klaus, sorridendo. Il suo volto è coperto di sangue, e il suo alito è caldo e quasi corrosivo contro la sua guancia.
Stefan si divincola nella sua stretta, cercando di liberarsi dagli artigli che gli affondano con durezza nella carne.
«No», biascica.
«C'è un motivo se ti ho scelto. Sapevo che saresti stato alla mia altezza»
«Lasciami»
«Ti ho solo fatto un favore. Ti ho mostrato chi sei veramente»
Schiacciato dalla trappola dell'abbraccio di Klaus e reso cieco dalla rabbia, con un ringhio animalesco Stefan snuda le zanne, e invece di provare ancora ad allontanarsi si avventa sulla gola dell'altro vampiro.
Klaus ride e si lascia mordere.

 

 

Quando realizza che le mani che lo stringono sono quelle di suo fratello, Stefan si immobilizza immediatamente, spaventato all'idea di averlo attaccato senza volerlo.
Ma Damon, a parte un'aria vagamente preoccupata, sembra a posto, e non gli rivolge alcuna domanda, limitandosi a porgergli il bicchiere colmo di sangue.
Con un sospiro stanco, il vampiro si costringe per l'ennesima volta ad inghiottirlo.
«Non puoi continuare ad ignorarla per sempre», mormora Damon all'improvviso, prendendolo di sorpresa. Di solito tentano di parlare il meno possibile, giusto per non peggiorare le cose.
Stefan non risponde né dà segno di averlo udito, ma sa che suo fratello ha ragione.
I giorni passano lentamente fino a diventare settimane, ma il dolore pian piano si attenua, e la familiare sensazione di fame torna a strisciargli sotto la pelle.
Gli rimangono solo i ricordi dei suoi incubi fin troppo reali, i rimorsi per tutto quello che ha fatto, e i cocci di una vita che non sa come ricostruire.
«Lei ti ama, Stefan», continua Damon, e il primo pensiero dell'altro è chiedersi quanto debba essergli costato pronunciare quella frase. Il secondo è se ci crede davvero, almeno lui. Il terzo è più un istinto che un vero e proprio pensiero: l'istinto di prenderlo a pugni.
Non sa perché lo fa, forse è solo stanco di vedere suo fratello cercare di rimetterlo insieme quando lui non ha alcuna voglia di affrontare tutto daccapo, forse perché si sente un'ipocrita, dal momento che lui ha fatto esattamente la stessa cosa con Damon, forse perché Klaus gli ha insegnato che la violenza è la soluzione più facile.
Più probabilmente perché vuole guadagnare ancora un po' di tempo.
Ma è troppo esausto, troppo provato dalla prigionia e dalla mancanza di sangue umano. Non è più abituato ad essere così debole.
Con un solo pugno ben assestato, Damon lo fa crollare sul pavimento.

 

 

Non sa bene cosa stia succedendo.
Sa solo che loro sono lì, e ciò non è un bene. Loro dovrebbero essere a Mystic Falls, al sicuro, lontani da Klaus e soprattutto da lui.
Un ruggito profondo si alza da qualche parte alle sue spalle. Klaus.
Cerca di rimettersi in piedi, ma non ci riesce.
Vorrebbe proteggerli, ma non ne è in grado. Ormai può salvare più nessuno, tanto meno sé stesso.
Almeno, si dice, finirà tutto.
E poi sente delle mani afferrargli il volto e tastare delicatamente le ferite. Istintivamente ringhia e le allontana con un colpo secco.
«Sssh, Stefan, sono io», sussurra Damon, passandogli un braccio intorno alle spalle e tirandolo a sedere.
«Va tutto bene. Andrà tutto bene, vedrai», continua, trascinandolo in piedi quasi di peso.
Contro ogni possibile razionalità, Stefan vuole crederci.
Anche perché fa davvero troppo male per essere un sogno.

 

 

È passato quasi un mese.
Stefan stenta a crederci, ma l'espressione di Damon è serissima e sottintende anche ben altro oltre al fatto che dopo tutto quel tempo ha decisamente bisogno di una lunga doccia, cosa che si premura comunque di fargli presente.
Finora suo fratello è stato lo scudo tra lui e il resto del mondo, ma è arrivato il momento che si faccia da parte, e Stefan lo sa.
Vorrebbe comunque poter rimandare ancora.
«C'è ancora quella bottiglia di vino francese, in cantina? Quella di nostro padre?», chiede all'improvviso, mentre un ricordo gli attraversa la mente veloce come un lampo.
Seduto per terra, al suo fianco, Damon si volta appena e gli scocca un'occhiata sorpresa.
«Se Elena non se l'è scolata a nostra insaputa, direi di sì», replica, cercando di ironizzare, ma la battuta non viene fuori come vorrebbe, e dal modo in cui il suo tono si abbassa gradualmente sul finire della frase si capisce che non è molto sicuro che pronunciare il nome di Elena sia una buona cosa.
«Potremmo aprirla adesso», suggerisce Stefan, dopo qualche attimo.
Pur senza guardarlo, può vedere distintamente Damon alzare appena le sopracciglia.
Eppure, sorprendentemente, suo fratello si alza in piedi e va a recuperare il vino, assecondandolo senza fare domande.
Uscendo lascia la porta della cella aperta, e non per dimenticanza.
Stefan si mette a sedere sulla brandina ormai logora, e sorride appena.
«Lo sai vero, che sarà diventato aceto?», gli chiede Damon, rientrando un minuto dopo con una bottiglia polverosa stretta in una mano e due bicchieri altrettanto polverosi nell'altra.
«Ho bevuto di peggio dell'aceto», risponde Stefan, scrollando le spalle.
Non molto tempo prima l'altro avrebbe replicato con una battuta sugli scoiattoli, adesso invece si limita a lasciar cadere la frase nel vuoto.
Sta diventando una specie di abitudine, considera Stefan, ripromettendosi di stare più attento a non creare situazioni che richiedano un lungo silenzio imbarazzato.
Intanto Damon soffia dentro i bicchieri, nel tentativo di pulirli almeno un po', e poi glieli tende, in modo da potersi dedicare all'apertura della bottiglia.
È antica e molto pregiata: suo padre la teneva da parte per le grandi occasioni, forse per il suo matrimonio o quello di Damon, o qualcosa del genere. Di sicuro non per celebrare l'ennesima disintossicazione da sangue umano del suo figlio più giovane.
Con un mezzo sorriso Stefan osserva il fratello litigare brevemente con il tappo, e poi annusare con circospezione il contenuto.
«Forse è bevibile», annuncia Damon, invitandolo con un gesto a porgergli i bicchieri.
Di vino in effetti non ne è rimasto molto, poco più che un paio di sorsi a testa, ma dovranno farseli bastare.
Rimangono a fissare il liquido scuro per qualche momento, in un silenzio quasi religioso, poi, con uno sguardo d'intesa fanno tintinnare i bicchieri in un tacito brindisi, e lo buttano giù tutto d'un fiato.
È peggio dell'aceto.
Ed è peggio anche di qualsiasi altra cosa Stefan abbia mai bevuto in vita sua.
Gli basta incrociare lo sguardo l'uno dell'altro e osservare l'identica smorfia disgustata piegare le labbra di entrambi, per scoppiare a ridere come bambini.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Stefan si sente bene di nuovo.

 

 

Non sa se lei è stata lì per tutto questo tempo e lui non se n'è accorto, o se è appena arrivata, attirata forse dal suono inusuale della loro risata.
Fatto sta che appena rialza lo sguardo se la ritrova davanti, ferma nella cornice della porta ancora spalancata.
Sta sorridendo.
Il sorriso di Stefan invece gli muore sulle labbra, sostituito da una valanga di emozioni con cui ancora non è disposto a fare i conti.
Ma lei non gli dà molta scelta.
Avanza sicura fino a raggiungerli, e non gli permette di distogliere lo sguardo dal suo.
«Elena», inizia Stefan, con voce traballante. Non sa cosa dirle, o meglio sì, ma non sa proprio da dove iniziare.
Lei scuote la testa.
«Sssh», si limita a bisbigliare dolcemente, prendendolo per mano.
Ed in quel momento trovarsi lì, a casa, con Damon ed Elena al suo fianco, è come svegliarsi da un lungo incubo.

 

 

 


 

 

N/A: Di vini antichi non ne so niente, mettiamo subito le mani avanti. A quattordici anni sono andata in gita alla fabbrica del Chianti, ma le uniche mie due preoccupazioni in quel momento erano la mia crush seduta accanto a me sul pullman e rubare un sorso di vino ai ragazzi più grandi che avevano ricevuto l'assaggio gratuito, e quindi. Ho anche provato a documentarmi ma non è servito a molto, per questo ringrazio Joy (e suo marito XD) per le dritte fornitemi in materia.
Poi, uhm, è la seconda volta che faccio fuori Klaus senza spiegare bene come, inizio a sentirmi leggermente in difetto.
A mia discolpa posso dire che probabilmente è a causa del fatto che non lo voglio morto, quindi il mio subconscio si rifiuta di elaborare metodi validi per ammazzarlo. Voglio dire, come si può voler uccidere Joseph Morgan e il suo meraviglioso accento?
Per il resto mi sono palesemente ispirata alla 1x20 e alla disintossicazione forzosa di Stefan. Adoro quella cella.

 

   
 
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