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Autore: Rota    07/07/2011    1 recensioni
-America-kun, quali nuove?-
-Ho sentito che ti sei dato alle costruzioni, Braginski! Questo fatto mi è davvero nuovo! Come mai tanto desiderio di protezione?-
-America-kun, quando si ha a che fare con animali selvatici, la prima cosa che si deve fare è costruire loro un recinto…-
-Ah, quanto hai ragione, Braginski! Penso esattamente la stessa cosa!-
-Piuttosto, so che anche tu hai qualche problema con quell’isoletta tanto piccina nei tuoi mari…-
-Se avessi qualche problema saresti uno dei primi a venirlo a sapere, Braginski!-
-Questo è assolutamente ovvio, America-kun. Questo è assolutamente ovvio…-
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Autore: margherota
*Titolo: The art of war
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Ivan Braginski (Russia), Alfred F. Jones (America)
*Avvertimenti: Shonen ai, What if…?, One shot
*Generi: Introspettivo, Sentimentale, Storico
*Rating: Giallo
*Parole: 1394
*Note: Come dire, mi mancavano? No, non posso dirlo, ma è innegabile che questa coppia mi piaccia da impazzire. E un video su di loro basta per riaccendere l’amore spropositato.
Come dire, questo è un altro concetto di prigionia, per me. Nel senso che Ivan e Alfred sono prigionieri l’uno dell’altro, del gioco assurdo che hanno messo in opera e che li vince totalmente nella dipendenza che ha creato per loro.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è stata presa da qui http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_fredda


Per il compleanno di Alfred, anche se qualche giorno in ritardo (L)


(1)The art of war, Sabaton
(2)1961, inizio della costruzione del Muro di Berlino
(3)Cuba, per la precisione, e la cosiddetta crisi dei missili
(4)In riferimento all’ Operazione Urgent Fury HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Urgent_Fury" http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Urgent_Fury
(5)Nel 1979 l’URSS invade l’Afghanistan, il cui governo era alleato con gli americani
(6)1989, caduta del muro di Berlino



I stand alone and gaze upon the battlefield
Wasteland is all that’s left after the fight
And now I’m searching a new way to defeat my enemy
Bloodshed I’ve seen enough of death and pain(1)



In realtà sarebbe bastato un nulla, per loro, perché tutto quello semplicemente vedesse la sua fine più immediata.
Premere un tasto, lanciare un razzo, accorgersi degli sgarbi presenti e ricordare, all’improvviso, tutti quelli passati e sospettare dal nulla quelli eventuali e futuri, muoversi di qualche passo in più di quelli consentiti dagli accordi comuni. Un movimento senza pensiero, qualcosa di vagamente o beffardamente avventato, e avrebbero avuto la scusa per scannarsi alla luce del sole, senza falsi sorrisi a nascondere il tutto e senza quelle inutili maschere pulite e perfette a nascondere turbini desideri.
Erano passati anni, anni e ancora anni, dove la gente aveva urlato disperata e ogni cosa era stata deturpata al sacro valore della guerra. Chi di loro poteva ancora dirsi realmente buono, realmente giusto, realmente retto? Da una parte e dall’altra, cambiavano i nomi ma non i concetti.
Allora, sarebbe stato davvero bello potersi mordere così, con uno sguardo carico di tutto l’odio represso puntato al viso del proprio nemico.
Sarebbe stato davvero bello poter godere del sangue versato e gloriarsi, ad alta voce, dei propri misfatti e delle proprie vittorie, incoronandosi con le proprie mani l’assoluto vincitore di quel folle gioco.
Ballare, ballare fino allo sfinimento sopra cadaveri in putrefazione – non i propri, perché quelli meritavano l’onore di una tomba e di una lapide all’onore; non i propri, ma quelli altrui, strappati con dita vogliose alla semplice dignità umana per far delle loro membra carne da macello, vittime sacrificali di un ideale appositamente proposto alle masse per gestire paura e rabbia.
Ma a quel punto, tristemente, sarebbe tutto finito. La corda si sarebbe spezzata verso una delle due parti, ciondolando misera e inerme, regalando quell’attimo di sublime quanto effimero e istantaneo godimento.
Mai stanchi – perché sarebbe stata una debolezza eccessiva.
Mai sfiniti – perché sarebbe stato come arretrare troppo.
Mai tristi, arrabbiati, turbati – perché sarebbe stato ammettere di dare qualche valore all’altro.
Esteriorità imperturbabile, con quella faccia da prendere a cazzotti violentemente.
Ivan e Alfred si ritrovavano, inconsapevolmente, prigionieri di un gioco senza tempo.

***************************************************************************************************

Il telefono squilla, producendo un suono prolungato e inarrestabile, ripetuto, a tratti lugubre.
Toris, al quarto squillo, riesce ad arrivare con un certo affanno all’oggetto e con un gesto della mano solleva la cornetta.
-Pronto?-
Una voce conosciuta gli arriva direttamente all’orecchio, allegra e spensierata.
-Lituania-kun!-
Toris resta spaesato per qualche attimo – grazie anche allo stordimento che lo strillo acuto appena riservato alla sua orecchia ha causato – per poi sentire il suo cervello mettersi in funzione e quindi cominciare a elaborare le informazioni ricevute.
Con tono pacatamente gentile, fa un cenno al suo invisibile interlocutore.
-Le passo Russia-san, America-kun…-
L’altro fa un verso strano al di là della cornetta, attendendo paziente.
Il lituano allora semplicemente preme un tasto in parte alla linea dei numeri, entrando in contatto diretto con il proprio superiore. E la voce gentile di Braginski si fa sentire.
-Chi è?-
-Russia-san, c’è America-san che desidera parlarvi al telefono…-
Silenzio, poi Toris può benissimo immaginare il sorriso glaciale di Ivan distendersi in una smorfia poco rassicurante. Nascosto nel proprio studio, gli basta semplicemente controllare il tono della voce e ogni rumore circostante per mantenere la propria faccia. Così, sente qualcosa muoversi – come se una persona stesse velocemente lasciando il posto, dopo aver ricevuto un cenno di assenso da parte sua – e dopo poco vede comparire, in fondo al corridoio, la sagoma zoppicante di Raivis.
-Passamelo subito, Toris…-
Ancora, un altro tasto viene celermente premuto.

-America-kun, quali nuove?-
-Ho sentito che ti sei dato alle costruzioni, Braginski! Questo fatto mi è davvero nuovo! Come mai tanto desiderio di protezione?-(2)
-America-kun, quando si ha a che fare con animali selvatici, la prima cosa che si deve fare è costruire loro un recinto…-
-Ah, quanto hai ragione, Braginski! Penso esattamente la stessa cosa!-
-Piuttosto, so che anche tu hai qualche problema con quell’isoletta tanto piccina nei tuoi mari…-(3)
-Se avessi qualche problema saresti uno dei primi a venirlo a sapere, Braginski!-
-Questo è assolutamente ovvio, America-kun. Questo è assolutamente ovvio…-


Quando Toris sente la cornetta che si abbassa, come un’eco lugubre che parte direttamente dallo studio di Ivan Braginski, un senso di vertigine lo coglie totalmente e il suo corpo comincia a tremare, in maniera convulsa.
Dopo quei lunghi minuti di silenzio di ghiaccio l’aria viene squarciata da un semplice urlo rabbioso, come se la bestia sopita finalmente aprisse gli occhi all’ira e chiedesse la giusta compensazione per una frustrazione imperante.
-Toris, vieni qui!-


Il telefono squilla, producendo un suono prolungato e inarrestabile, ripetuto, a tratti lugubre.
Alfred muove appena la testa, ancora tra le labbra il suo considerevole panino. E' stato interrotto nel bel mezzo di una partita per salvare la terra, e non ha molta voglia di alzare quel suo sedere largo per andare a vedere chi è mai che ha il coraggio di interromperlo.
Ma il telefona continua a squillare, imperterrito, e anche quando torna allo schermo del suo televisore per tentare di riprendere la partita lì dove l'aveva lasciata, viene infastidito in maniera non perdonabile. Ferma lo schermo, esattamente lì dove Capitan America fa fuori l'ennesima spia sovietica e si alza dal divano, facendo rumore con le ciabatte pelose contro il pavimento come un bambino piccolo e capriccioso che vuole testimoniare al mondo intero il suo disappunto.
Arriva davanti al comodino del telefono e lo squadra, come se potesse lanciargli qualche maledizione efficace. Ma non funziona nulla, né le imprecazioni semplicemente pensate né quelle quasi urlate ad un fantasma opalescente. Il telefono continua a squillare, ed è probabile che chi è al di là della cornetta abbia un interesse ineguagliabile se ancora non si è stufato di attendere.
In virtù di questo pensiero nuovo, Alfred alza la cornetta e alla fine la sente - quella voce che potrebbe riconoscere tra mille altre al mondo.
Sorride, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso e cominciando a giocare con il filo del telefono.

-Se era tuo desiderio farmi una visita potevi anche avvertirmi che mi sarei preparato meglio, America-kun…-(4)
-Vedere la tua faccia sorpresa è stato qualcosa di assolutamente indescrivibile, Braginski! Non potevo perdere l’occasione!-
-In effetti posso comprendere quanto sia bella una cosa del genere. È stato lo stesso anche per me quella volta in Asia…-(5)
-Vedi che io e te ci capiamo, Braginski?-
-Perfettamente, America-kun. Perfettamente…-
-Per questo motivo è così divertente litigare con te, Braginski. Cuba non è così attento a queste cose, e neppure mio fratello Arthur. Almeno con te posso parlare sullo stesso livello. Mi sembra quasi di parlare allo specchio!-
-Per carità! Non sono mica come te, io!-
-Ah, Braginski! Non mi trovi più d’accordo che su proprio su questo!-


La cornetta viene di nuovo abbassata e il silenzio torna a regnare in casa Jones.
Passa qualche secondo prima che Alfred realizzi davvero la cosa, tanto che il suo pensiero rimane ancora fermo alle ultime sillabe pronunciate da Braginski. Il sorriso sul volto gli si piega alla follia pura, senza condizioni.
Si volta verso il salotto, raggiungendo la postazione abbandonata non più di un quarto d'ora prima. E dopo aver bevuto un sorso abbondante di coca- cola, Capitan America torna alla sua strage quotidiana.


La testa di Ivan è incassata tra le spalle, sembra quasi penzolare tra di esse, prive di vita.
La testa di Alfred è fissa, senza che neppure un muscolo del volto riesca a muoversi dalla sua posizione.
Respira, profondamente.
Respira, fremendo piano.
Gli occhi si velano di semplice malinconia nel riguardare indumenti usati da anni così miseramente buttati per terra e stracciati in malo modo. Urgeva trovare un altro nome.
Gli occhi si chiudono appena, nel guardare il vuoto con tanta intensità che quasi fa male, immaginando un confine lontano che va oltre l'orizzonte. E' stato bello vedere il cielo che si tingeva di rosso, anche se per un istante.
Si volta all'improvviso verso il corpo che gli sta accanto, e lo scorge nudo tra le lenzuola: profuma ancora ed è sicuro che toccandolo sentirà caldo.
Si muove appena verso l'uomo che gli è accanto, seduto nella conca che sente sul materasso: vorrebbe toccarlo come ha fatto durante tutta la notte, nel tentativo di imprimere quel momento di gloria nelle loro pelli - ma non lo fa, perché sarebbe imperfetto.
Respira, profondamente.
Respira, fremendo piano.
Nasce semplicemente il sorriso quando gli sguardi si incontrano di nuovo, richiedendo un nuovo bacio nel quale illudersi, prigionieri di un gioco che non deve avere fine.

Il telefono ha smesso di squillare. Solo per qualche giorno.

-Braginski…-
-Sì, America-kun?-
-Temo che il tuo recinto sia caduto…-(6)
-Temo anche io, America-kun…-
-Molte delle tue preziose bestie sono scappate ovunque…-
-Pare proprio così…-
-Braginski?-
-Sì, America-kun?-
-Vero che continueremo a giocare assieme, Braginski?-
-Questo non devi neanche chiederlo, America-kun…-
-Sapevo che non mi avresti abbandonato, Braginski!-
   
 
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