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Autore: Feel Good Inc    08/07/2011    7 recensioni
Uno: nasci con un dono. Due: entra nella storia. Tre: cammina sulla luna. Quattro: cura il mondo. Cinque: non crescere mai. Sei: balla per tuo figlio, quando nessun altro può vederti. Sette: Non lasciarti abbattere. Otto: fai piangere il mondo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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How to become a legend ~

{ otto piccoli grandi passi }

 

 

 

 

 

Uno: nasci con un dono.

 

 

La prima volta che Katherine aveva sentito cantare il piccolo Michael, non vi aveva dato molto peso. Tutti i suoi fratelli e sorelle erano soliti, a quell’ora della sera, quando il fuoco del caminetto rendeva più piacevole stare stretti assieme in una sola stanza, strimpellare qualcosa e canticchiare vecchi strascichi di canzoni; e raramente la donna sollevava lo sguardo dal ricamo, dal bucato o dalla Bibbia per posarlo sui figli, giacché scene simili si ripetevano ormai troppo spesso per risultare nuove o sorprendenti. Così, a stento si era accorta che la vocina di Michael era la più bella e intonata di tutte.

Ma accadde un fatto, una volta: suo figlio venne direttamente a posare le piccole dita sulle sue, sfilandole via dai ferri e dalla lana, attirando la sua attenzione come gli altri quasi non osavano fare.

« Mamma, guarda. Guarda cosa faccio. »

Katherine lo osservò a lungo; vide il modo in cui i suoi piedi sembravano volare sul logoro tappeto davanti al fuoco. Vide, soprattutto, l’impegno che permeava il suo visetto concentrato. Vide che era speciale.

Non sapeva ancora che da allora in poi, ogni volta che il piccolo Michael avesse ballato e cantato, lei si sarebbe fermata a guardarlo.

 

 

 

 

 

Due: entra nella storia.

 

 

John osservò il giovane uomo che giocava al pinguino nella palestra deserta, inarcando teatralmente un sopracciglio.

« Michael, gentilmente, avrei bisogno che tu ti concentrassi. »

Non era facile lavorare con lui. Dopotutto era ancora un ragazzino – talentuoso oltre ogni dire, sì, ma pur sempre un ragazzino. Quanti anni aveva? Ventitré, ventiquattro? A giudicare da come gli piaceva buttarsi a terra sulla pancia e scivolargli ai piedi per fargli il solletico, gliene avrebbe dati meno di quindici. Dio, lo faceva sentire così vecchio.

« Non sto scherzando. Dobbiamo lavorare. Ola, dammi una mano! »

Ola gli lanciò un’occhiata colpevole. Era palese che si stava divertendo come un’adolescente al primo appuntamento. Non che potesse darle torto; ma un’alleata gli avrebbe fatto comodo, Cristo santo.

« Andiamo, John, non fare il guastafeste. » Michael si rialzò, soltanto per prendere un’ennesima rincorsa e slanciarsi sul pavimento con un sorriso abbagliante. « Mi sto esercitando per la mia parte. »

« Gran bel modo » sbuffò il regista; ma non fu di rimprovero il suo tono – non riusciva mai ad arrabbiarsi davvero con quel dannato, bambinesco, incredibile ragazzo.

Non gli restò che riprendere a sciorinare consigli per Ola, sopprimendo il sorriso che gli era sorto in volto al pensiero che l’allegria di Michael avrebbe reso quel lavoro il successo più grande della storia della musica.

 

 

 

 

 

Tre: cammina sulla luna.

 

 

Era pazzesco. Un talento pazzesco. Berry lo guardava, e non riusciva a ordinare alle proprie labbra di richiudersi.

« Dica, signor Gordy, l’ha visto? Ha visto cosa fa? »

Neanche si ricordava più chi gli fosse seduto accanto, a strattonargli il gomito, indicandogli freneticamente il fenomeno che si svolgeva dinanzi ai suoi occhi – come se ce ne fosse bisogno! Lo vedeva bene da sé. Il bimbo minuscolo che tanti anni prima era arrivato da lui, sperduto tra i fratelli, era ormai cresciuto, e oggi volteggiava su un palco con un microfono in mano e un cappello in testa e compiva quella stessa magia che Berry da molto tempo rimpiangeva.

Non era l’artista a mancargli; era la persona, l’entusiasmo che gli leggeva negli occhi ogni volta che Michael affrontava un pubblico.

Poi, d’improvviso, lo vide accennare un movimento inconsueto: un istante dopo il pubblico impazzì.

Sentì le persone più vicine trattenere il fiato; lui stesso si ritrovò a seguire trasognato il modo in cui Michael si muoveva sul pavimento liscio, nei suoi mocassini neri, come a metà tra questa dimensione e quella dell’armonia pura. Forse fu soltanto quello il momento in cui Berry davvero capì chi aveva di fronte.

Quel ragazzo volava; letteralmente.

 

 

 

 

 

Quattro: cura il mondo.

 

 

Un’unica notte, e quarantacinque artisti si erano riuniti in uno stesso punto del pianeta a cantare per un obiettivo comune. Là dentro Diana si era commossa. Solo grazie a quella canzone si sarebbe potuto raggiungere un obiettivo simile.

« Ti ho mai detto che amo ciò che scrivi? »

Sorrise timido, seduto accanto a lei sui gradini esterni dello studio di registrazione. Lo vide sfregarsi le mani nelle tasche. Era gennaio, e faceva freddissimo.

« Sei gentile. Ma non viene da me; è la musica che vuole uscire. Sa di essere destinata a cose più grandi di noi. »

Diana adorava il fuoco che gli sentiva ardere dentro. Era perfettamente visibile, proprio là, nel suo sguardo dolce e affamato di vita. Non si stupì delle parole che gli sentì mormorare dopo un attimo di riflessione.

« È questo che voglio fare, sai... Cantare parole che rendano migliore il mondo. Voglio che la gente sappia che deve partire tutto da noi. » Si voltò, il sorriso ancora stampato sulle labbra piene. « Pensi che potrei farcela? »

Lei lo abbracciò, sorridendo al calore che avvertì sulle guance di Michael prima di avvolgerlo nella sua lunghissima sciarpa di lana. « Tu puoi fare qualunque cosa. »

Ci credeva con tutta se stessa.

 

 

 

 

 

Cinque: non crescere mai.

 

 

« Allora, ti piace? »

La fissava con una punta d’ansia. Janet si concesse di ricambiare lo sguardo per un istante più del dovuto, emozionata al ricordo delle tante sere passate insieme, da bambini, a scambiarsi punti di vista cercando di non infastidire gli altri. Michael ci teneva tanto, al suo parere: era sempre stato così. Era sempre Janet la prima che doveva dire la sua, quando lui aveva pronto un passo nuovo o una modifica a una canzone o qualunque altra cosa che valesse la pena di essere messa in discussione – che si trattasse di un paio di calzini di un certo colore o di una residenza da chissà quanti milioni di dollari.

« Mi piace da morire, Mike. »

Lui sorrise, raggiante. In quel momento più che mai somigliò al bambino che era sempre stato – che sarebbe sempre stato. Neverland era l’unico posto davvero giusto per lui. Sì, le piaceva da morire vederlo lì... così felice.

« Sapevo che l’avresti detto! Ma adesso, sorellina, dovrai rispettare la regola numero uno della mia nuova casa. »

Janet si allarmò. « E quale sarebbe? »

Da chissà dove, Michael tirò fuori una pistola ad acqua. « Bagnarsi! »

Già, lo diceva; Neverland era proprio l’unico posto giusto per Peter Pan.

 

 

 

 

 

Sei: balla per tuo figlio, quando nessun altro può vederti.

 

 

Debbie soffriva d’insonnia. Era una cosa piuttosto normale, dopo un parto così travagliato; ma il piccolo Prince aveva già dimostrato di avere un bel caratterino, e non c’era quasi nulla che riuscisse a tranquillizzarlo nei momenti in cui faceva sentire la voce – che a giudicare dalle frequenze doveva aver preso dal papà.

« Con te è sempre così docile. Ma cosa gli fai? »

Quando la sentiva lamentarsi così, Michael le indirizzava il suo sorriso più sognante, come se la risposta fosse semplicemente troppo bella per poter essere espressa a parole. Debbie aveva smesso di fargli domande quando aveva capito che, se non parlava, era perché l’emozione di essere padre arrivava in certi momenti a togliergli ogni parola.

Poi, un giorno, uscendo dal bagno si ritrovò a passare davanti alla stanza in cui aveva lasciato Prince e Michael insieme; e alle parole improvvise – « Va bene, ma questa è l’ultima volta, ok? » – non resisté all’impulso di fermarsi a guardare.

Nel suo lettino, Prince rideva e agitava le manine, mentre davanti a lui Michael esibiva i suoi passi migliori solo per il piacere di veder sorridere suo figlio.

Ciò che esprimeva con quella danza andava al di là di qualunque descrizione. Non l’aveva mai visto ballare così; mai.

Con discrezione, Debbie chiuse la porta.

 

 

 

 

 

Sette: non lasciarti abbattere.

 

 

Liz lo aveva visto piangere spesso, da quando quella brutta storia era iniziata. E le aveva detestate tutte, una per una, le lacrime che aveva visto scorrere sul suo volto provato e stanco; non era così che avrebbe dovuto essere. Michael era famoso per i suoi sorrisi luminosi e per la sua risata contagiosa. Quel pianto faceva solo del male a lui e a chi gli stava intorno.

Ma, a poco a poco, lo aveva anche visto risollevarsi. Era fatto così. Lottava da sempre: contro le voci, contro le gelosie, contro le menzogne gratuite – questa non era altro che una di quelle, certo più pesante e più dolorosa, ma ugualmente falsa. Ce l’avrebbe fatta. Liz lo conosceva troppo bene per poter anche solo immaginare il contrario.

Sempre più spesso lo vedeva farsi coraggio, andare incontro a quei microfoni spianati a testa alta, con la silenziosa tranquillità di chi sa di essere innocente, e ha fiducia. Questo era Michael. Non si era aspettata nulla di diverso da lui.

« Non so se ce la farei senza di te » le diceva spesso; ma non era vero.

Il tredici giugno, mentre il giudice parlava e la folla fuori dal tribunale esultava, per la prima volta fu Liz a piangere; ma di gioia.

 

 

 

 

 

Otto: fai piangere il mondo.

 

 

Miliardi di persone in tutto il mondo sentirono morire un pezzetto di sé, quando la bara ricoperta di fiori rossi si portò via l’ultimo passo di danza di Michael Joseph Jackson, un uomo che era riuscito a diventare una leggenda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Ecco, non so come definirla.

Mi è venuto in mente di scriverla nel cuore della notte, dopo una commossa visione del tributo realizzato per Michael Jackson in occasione degli Annual Grammy Awards del 1993, quando gli fu conferito il premio alla carriera direttamente dalle mani di sua sorella Janet. Come disse lei stessa, Michael era, prima ancora che un mito vivente, suo fratello: un essere umano entrato nella leggenda. E sulla scia di quel tributo ho deciso di descrivere quelle che sono secondo me le cose che l’hanno reso immortale: il talento, Thriller, il moonwalk, We are the world e l’impegno umanitario, Neverland e lo spirito bambino, il rapporto con i figli, l’innocenza troppo tardi dimostrata, e in ultimo il fatto che, andandosene, sia riuscito a far piangere il mondo intero. Il tutto andava necessariamente filtrato dagli occhi di alcune delle persone più importanti della sua vita – Katherine Jackson, John Landis, Berry Gordy, Diana Ross, Janet Jackson, Debbie Rowe, Liz Taylor... e tutti i suoi fan. Perché Michael non è una di quelle leggende astratte e lontane che ci passano accanto senza toccarci. Sono sicura che, anche tra cento anni, ci sarà qualcuno che vivrà della sua musica e che piangerà un po’ per lui.

It’s all for L.O.V.E.,

Aya ~

   
 
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