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Autore: White Gundam    11/07/2011    3 recensioni
[Settima classificata al contest "Sacrifice - L'ideale degli stolti" indetto da Tifa Lockheart90]
Una figlia, una moglie e Cloud che si è ripreso dal coma; ti senti veramente fortunato della tua vita Zack... Sempre ammesso che questa sia veramente la tua vita.
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cloud Strife, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Vite
 
“Papà!”
La bambina ti prende la mano, tu gliela stringi e lei sorride. Ha cinque anni, i capelli castani di sua madre e i tuoi occhi azzurro cielo.
Sorridi nella sua direzione, carezzandole il capo:
“Dove mi porti di bello?”
Le chiedi, scherzando, e accompagnandola a giocare nel giardino di casa. Lì, intorno a voi, crescono fiori di tutte le varietà e di tutti i colori. Sorridi pensando a quanto tua moglie avesse insistito per comprarne un seme di ogni tipo e tu avevi ceduto, comprandoli tutti e piantandoli nel giardino.
“In un bosco incantato.”
Risponde tua figlia, seria come solo i bambini riescono ad esserlo durante il gioco.
“Però…”
La bambina ti guarda, dagli occhi traspare la sua preoccupazione.
“Però?”
Incalzi tu, divertito dal gioco quasi quanto lei.
“Però è pieno di mostri.”
Ti sussurra lei a mezza voce e tu fingi di impugnare una spada, grande come quella che usavi numerosi anni prima, quando eri un SOLDIER della Shinra.
“Zack Fair, 1° Classe SOLDIER, al suo servizio, signorina Anne.”
Le dici e lei annuisce, conscia che sei in suo potere almeno quanto sei in potere di Aerith, tua moglie.
La guardi ridere, fingere combattimenti contro mostri che conosce solo dai tuoi racconti, giocare buttandosi per terra sul prato gridando di essere ferita. E mentre la guardi sorridi. Anne, tua figlia, la bambina che ti aveva convinto a lasciare il tuo lavoro di tuttofare per fare il casalingo, per vederla crescere, per vederla giocare.
Mentre giochi con lei e la osservi il tuo cellulare suona. Anne ti guarda e sbuffa:
“Uffa… Chi è?”
Ti chiede, con la voce squillante. Tu guardi il display del cellulare, pronto a metterlo in modalità silenziosa e lasciarlo suonare, quando i tuoi occhi cadono su quel nome con cui non hai più contatti da anni.
“Un amico di papà.”
Rispondi, mentre lacrime di gioia rigano il tuo viso. Non riesci a trattenere un singhiozzo mentre aggiungi, in un sussurro:
“Il mio migliore amico.”
Lei ti guarda nuovamente, infilando le sue iridi azzurre nelle tue, probabilmente chiedendosi il motivo per cui non l’aveva mai sentito nominare.
La guardi e le fai cenno con una mano di aspettare un attimo e intanto la stringi a te, il tuo sorriso che si allarga sul volto.
“Cloud! Sei tu?”
Sentì il tuo respiro rompersi di nuovo, bloccato dalle lacrime di commozione e sollievo che scendono copiose dai tuoi occhi.
“Sì.”
La sua voce roca si prende un respiro dopo il monosillabo. Senti il tuo cuore scoppiare di gioia: è vivo, si è ripreso dal coma, è salvo!
Le emozioni ti travolgono e tu rimani fermo, con il cellulare in mano, senza dire una parola.
“Tra una settimana mi dimettono, non vedo l’ora di rivederti, Zack.”
Cloud ansima tra una parola e l’altra, parlare non è mai stato il suo forte e dopo gli anni passati in coma gli riesce ancora più faticoso.
“Anche io non vedo l’ora di rivederti, e poi ho così tante cose da raccontarti…”
Vorresti incominciare e non ti fermeresti più se tua figlia non ti prendesse la mano chiedendoti di tornare a giocare.
“Ti vengo a trovare stasera.”
Mormori, al cellulare.
“E appena potrai uscire sei invitato a cena, a casa mia, così conoscerai anche Aerith ed Anne.”
Concludi. Lui ti ringrazia, spiccio ma sincero.
Guardi tua figlia e pensi a lei, a tua moglie ed al tuo migliore amico.
Sono fortunato ad avere tutti voi.
Pensi, seguendo la bambina nelle sue fantasie.
Sono davvero fortunato.
 
“E tu cosa farai quando arriveremo a Midgar?”
Le parole che poco prima avevi pronunciato ti rimbalzavano nella mente.
Eri stato tu ad aprire quell’argomento, sicuro che a Midgar voi due sareste davvero giunti. Guardavi, con gli occhi intrisi di un’allegra malinconia, il suo volto sereno e gli occhi chiusi come se egli stesse ancora dormendo. Gli passasti la tua mano tra i capelli biondi, come facevano i genitori con i loro figli. Ma lui non era tuo figlio e, a ben pensarci, anche se spesso lo trattavi come un bambino, egli aveva appena due anni meno di te.
Volevi tornare a casa tua, riabbracciare Aerith che non vedevi più da numerosi anni, dirle il fatidico “Ti amo” che ancora non avevi mai osato pronunciare. Volevi aprire un’agenzia che faceva di tutto e gestirla con lui, con il tuo migliore amico.
“Siamo amici, vero?”
L’avevi posta tu quella fatidica domanda ed ormai era tardi per tornare indietro. Avevi dichiarato di essere suo amico mentre gli chiedevi conferma. Avevi dimostrato di esserlo già molto prima, portandotelo appresso, in coma, durante la tua fuga. Non l’avresti abbandonato, non potevi, eravate amici.
Sentisti il suo respiro farsi più pesante e gli appoggiasti una mano sulla fronte sudata.
“Va tutto bene Cloud, resisti, siamo quasi arrivati.”
Mentivi, sapevi di mentire, ma l’ospedale era a Midgar e non vi erano dottori in mezzo al deserto. Anzi, per essere precisi, non vi era proprio nessuno in quel luogo sperduto, eccezion fatta per l’uomo che vi aveva dato un passaggio sull’ape gialla e… Che cos’era quel rumore?
Nei tuoi occhi serpeggiò l’ombra del terrore. Ti sentisti strano, non avevi mai provato quell’emozione, nonostante tu fossi stato più volte vicino alla morte.
“Si fermi dietro quel masso!”
Gridasti al conducente, l’angoscia che permeava il tuo timbro vocale. L’uomo eseguì, lasciandovi dove avevi chiesto.
Sospirasti e guardasti nuovamente il ragazzino che avevi a fianco.
“Va tutto bene.”
Cercasti di sorridere e di convincerti delle tue stesse parole.
“Torno subito.”
Concludesti, scompigliandogli un’ultima volta i capelli. Prendesti un ultimo respiro e ti avviasti fuori dall’ombra proiettata dal masso, senza voltarti indietro per la paura di perdere il coraggio che avevi in quel momento, senza vedere la sua mano alzarsi, in un breve istante di coscienza, a chiederti di restargli a fianco.
Quando arrivasti al centro della piana deserta li vedesti: riconoscevi le divise azzurre dei fanti della Shinra e i mitragliatori puntati verso di te. Avevi sentito bene, il rumore che avevi udito era quello dei proiettili!
Li guardasti, tentando invano di contarli; il loro numero era superiore a quello delle stelle nel cielo notturno, o almeno così ti parve.
Estraesti lentamente la buster sword.
E’ la fine…
Pensasti e ti figurasti adulto, in un giardino con tua figlia, sposato con Aerith e con la conferma che Cloud si era finalmente ripreso dal coma.
E’ davvero questa la fine?
Un brivido gelato ti attraversò la schiena, folgorandola di preoccupazione e timore.
E va bene…
Pensasti, lasciando sparire il tuo futuro in una fievole fantasia, ed estraesti completamente la pesante spada metallica. Te la appoggiasti dinnanzi alla fronte e prendesti un respiro.
“Sono pronto!”
Gridasti ai soldati ed essi si avventarono contro di te.
Non contasti il loro numero mentre ti venivano incontro, il tuo cuore era carico della forza della disperazione, che ti dava la coscienza del fatto che quella battaglia sarebbe stata soltanto un eroico suicidio, e insieme della speranza, riposta per sempre nel futuro di un ragazzo che neanche sapevi se si sarebbe svegliato dal coma.
Non sentisti i proiettili conficcarsi nel tuo corpo, né il tuo respiro mozzarsi salutando la vita. I tuoi pensieri erano concentrati su di lui e sulla domanda che gli avevi posto mentre egli non poteva risponderti.
“Siamo amici, vero?”
Ti rispondesti da solo nel ricordare la tua domanda, sì amici, ed ora potevi dimostrarlo, ed ora dovevi dimostrarlo; prima che i fanti si fossero accorti che tu non eri solo nella tua fuga, prima che lo uccidessero.
Forse non era una morte eroica come quelle degli eroi omerici, sicuramente non era la morte che avresti desiderato, semmai tu avessi desiderato qualcosa di diverso dal calore della vita; non era nulla di questo, ma era una morte necessaria alla sua vita.
Lasciasti che ti colpissero sul petto, macchiando di scarlatto la divisa blu scuro dell’esercito da cui avevi disertato. E, mentre salutavi nel pensiero le tue fantasie sul futuro, un candido sorriso si accese sulle tue labbra, lo stesso che le avrebbe poi spente:
Ma lui è vivo, è a lui che voglio regalare il mio futuro…
Pensasti, mentre la nera signora si avviava a lenti passi verso il tuo corpo dilaniato.
…Al mio migliore amico.
 
“Cloud.”
Denzel e Marlene sorrisero e lui ricambiò quel loro movimento dei muscoli del viso.
“Che c’è?”
Chiese lui, i bambini indicarono la motocicletta del padre adottivo.
“Ci porti a fare un giro?”
Chiese Marlene, cercando di salire. Cloud sorrise nuovamente, aiutando i bambini a salirci, poi prese posto davanti a loro.
La terra scorreva veloce sotto i loro piedi, l’aria scompigliava loro i capelli. Cloud frenò davanti ad un parco giochi permettendo ai bambini di scendere.
Li guardò correre sullo scivolo e dondolarsi sull’altalena.
“Cloud…”
Denzel gli si rivolse a bassa voce. Cloud si chinò per permettere al bambino di guardarlo negli occhi.
“Dimmi.”
Gli disse, incitandolo a parlare.
“Giochi con noi?”
Cloud tacque e alzò le spalle, non sapeva giocare. Non si ricordava nemmeno più cosa voleva dire. Guardò Denzel ed i suoi occhi speranzosi.
“Okay…”
Rispose, arrendendosi. I due bambini gli raccontavano delle storie affascinanti di boschi e castelli e rovine. Scoprì la gioia del gioco proprio quando il suo cellulare suonò.
Non rispondeva mai al telefono ed i bambini non ci fecero caso, eppure quella volta accese il display. Il nome visualizzato era quello della donna con cui viveva.
Cloud sospirò, premette il pulsante verde e avvicinò il telefono all’orecchio.
“Pronto?”
La sua voce si spense nel sentire la voce gioiosa di Tifa che lo avvertiva della nuova notizia.
“E’ nato! E’ un maschio!”
Cloud sentì il suo cuore sobbalzare, il terzo fratello era ormai nato.
“…Zack… Ti prego…”
Lo sentì mormorare Tifa dall’altro cellulare.
“Cosa?”
Gli chiese.
“Chiamalo Zack, ti prego.”
Ripeté Cloud a voce a malapena più alta.
“E Zack sia.”
Rispose la ragazza, con un sorriso che le attraversava il volto mentre stringeva tra le braccia il figlio di Cloud, che portava il nome del migliore amico che egli avesse mai avuto.
   
 
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