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Autore: L_Fy    12/07/2011    0 recensioni
....Per me, le vacanze estive erano semplicemente Cresta del Gallo, con le sue terrazze ripide, con l’odore di bosco che filtrava dalle finestre la mattina, con il blu del lago a salutare in lontananza… e perché no, con la torretta di Villa Lazzari che svettava vicina, complice della mia solitudine poiché solo io potevo vederla e condividerne la solitaria bellezza.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nitimur in vetitum semper cupimusque negatum.
(Ovidio)
 

Quando entrai in casa, fuori pioveva come nella foresta Amazzonica e la mia camicetta era diventata una fastidiosa seconda pelle di cotone. Ero furibonda e non sapevo perché. Nonna Rosa non migliorò di certo la situazione quando mi accolse con il classico “te lo avevo detto” seguita a ruota da Sabrina che commentò piacevolmente la mia acconciatura alla Bon Jovi in concerto live. Parentado degenere. Comunque, nonna aveva ovviamente ragione, andare al lago senza nemmeno uno straccio di ombrello era stato un comportamento da stupida, come se non conoscessi la portata dei temporali estivi a Cresta del Gallo… Mi chiusi in camera con un asciugamano in testa e un diavolo per capello mentre ancora Rossella se la rideva dalla soglia della sua stanza guardando le impronte bagnate che avevo lasciato sulle scale. Perché ero stata così impulsiva? Non era da me. Nemmeno quel nervosismo che mi faceva fremere più del freddo era da me. Non lo volevo ammettere, ma sapevo benissimo a cosa darne la colpa. A cosa, o meglio a chi. Saverio Lazzari. Quando pensavo alle sue sopracciglia inarcate di spocchiosa sorpresa e a quel suo sorrisetto sardonico ancora mi ribolliva il sangue nelle vene. Eppure, non era stato così scortese. Cioè, lo era stato, ma sembrava anche esserlo stato quasi inconsapevolmente. Sbuffando, mi sedetti sul davanzale e i miei occhi cercarono involontariamente la torretta di Villa Lazzari in mezzo al grigio uniforme del temporale in atto. Di solito amavo la pioggia e il senso di languida spossatezza che la accompagna: avevo un debole per l’ovattata e nebbiosa atmosfera della pioggerella autunnale e trovavo eccitanti i violenti temporali estivi. Quel giorno, però, mi sembrava di odiare tutto e tutti, soprattutto me stessa. Anzi, soprattutto Saverio Lazzari. Quel damerino presuntuoso e arrogante, quello snob maleducato e altezzoso, quel... Lazzari! Potevo coniare un nuovo insulto a uso e consumo del più antipatico e rappresentativo esponente di quel nobile casato? Certo che potevo. E nel caso l’avessi rivisto, glielo avrei anche sbattuto il faccia, restituendogli un po’ di quella sua puzza sotto il naso che mi irritava tanto. In genere mi ritenevo una persona tollerante nei confronti del prossimo, magari non davo molta confidenza ma per indole non ero mai scortese. Era la prima volta in vita mia che incontravo una persona così completamente e squisitamente antipatica: ero quasi certa che quello che provavo in quel momento fosse odio. Odiavo Saverio Lazzari? Sì, decisi, lo odiavo. L’importante era non chiedersi perché continuassi a pensare a quei suoi dannati occhi verdi.
*    *       *
Il giorno dopo avevo la febbre alta e una tosse che sembrava partire dai talloni, senza contare un sospetto dolore al braccio. Il tempo, grazie a Dio, era ancora piovigginoso e la mamma mi proibì categoricamente di uscire dal letto. Io, naturalmente, protestai con tutte le mie forze: il pensiero che Sabrina o Rossella scendessero alla fonte a prendere l’acqua e incontrassero Tobia mi riempiva di puro e terribile panico. Immaginavo agghiacciata la scena: Rossella che arrivava alla fonte dove Tobia aspettava con i suoi impeccabili pantaloni bianchi, la sua impeccabile camicia di lino e i suoi impeccabili capelli spettinati ad arte (niente impeccabile ombrello, troppo volgare per i divini Lazzari); si bloccava a guardarlo con la bocca aperta modello sarago appena pescato; Tobia che sorrideva educatamente e chiedeva “Dov’è Lena? L’aspettavo qui come al solito…”
Oh, morte, no! Fortunatamente, causa pioggia, Rossella e Sabrina si rifiutarono categoricamente di andare alla fonte, così fu nonna Rosa a prendere il bottiglione e ad avviarsi brontolando di figlie ingrate e nipoti zotiche e sfaticate. Rimasi nel mio letto con le orecchie tese e col fiato a singhiozzo fino al suo ritorno, aspettando che la sua voce salisse dalla cucina: “Lenaaaaa! Ti devo parlare!!”
Niente. Nonna Rosa rientrò in casa continuando a salmodiare su parenti serpenti, sbraitò dietro a Sabrina perché togliesse dal corridoio il suo skate board, berciò contro mia madre perché aveva messo troppo sale nell’acqua della pasta e poi si calmò. Quel giorno lo passai dormendo moltissimo, bevendo brodini insipidi e lasciando vagare la testa con insolita leggerezza. Davo la colpa alla febbre, ma in realtà era un sollievo poter allentare un po’ la guardia sulla direzione dei miei pensieri. Inoltre, ed ero quasi sollevata per il fatto di essermi ammalata: magari lo sfogo di rabbia del giorno prima poteva essere attribuito a un malore, no? Tutti quei miei vaneggiamenti su Saverio Lazzari e sui mille modi in cui gli avrei risposto se si fosse azzardato di nuovo a rivolgermi la parola erano per forza un delirio febbrile: perché altrimenti avrei dovuto interessarmi così a lui? Perché il mio sonno agitato avrebbe avuto due glaciali e felini occhi verdi che mi seguivano dappertutto?
Dormii poco e male e il giorno dopo, preannunciata da un pallido grigiore perlaceo del cielo, la pioggia, come anche la febbre, scemò. Passai la mattina a leggere e a tossire nei miei Kleenex, ebbi di nuovo i miei dieci minuti di panico quando nonna Rosa tornò dalla fonte e mi annoiai a morte durante tutto il pomeriggio anche se tempo e salute sembravano decisamente virati al miglioramento. Sabrina e Rossella scesero al lago e io non potei nemmeno sedermi in giardino, causa rabbiosi ruggiti del mio cane da guardia, alias la mamma. 
La sera per cena decisi di sfidare la mamma/virago e di schiodare le mie stanche membra dal letto raggiungendo gli altri a tavola. Trascinandomi con le ciabattone di pile e avvolta in una coperta patchwork mi sedetti sulla mia sedia tra Sabrina (in canottiera) e Rossella (in infradito): la mamma mi scodellò davanti l’ennesimo brodino mentre io mangiavo con gli occhi il piatto di costolette d’agnello profumate di aglio e rosmarino davanti a Sabrina.
“Qualcuno mi spiega perché i malati devono mortificarsi con questi liquidi incolori mentre i sani si abbuffano di costolette al sangue come carnivori nella savana?” grugnii mescolando di malavoglia il mio brodo.
“Perché così i malati sanno cosa si perdono se vanno in giro in mutande in piena alluvione” rispose candidamente mamma sventolandomi davanti al naso con intenzione una costoletta “Comunque, domani potrai uscire.”
“Non potete immaginare chi c’era oggi al molo!” cinguettò Rossella tutta eccitata.
Il mio cucchiaio si fermò a mezz’asta e il mio cuore fece una capriola così rumorosa che temevo si fosse sentita in tutta la stanza.
“Chi?” domandò nonna Rosa lanciandomi uno strano sguardo indagatore con gli acuti occhi azzurro slavato.
“Saverio Lazzari” rispose Rossella, verbalizzando il mio più recondito timore “E’ stato tutto il pomeriggio con la barca attraccata al molo, lui e uno di quei polacchi che hanno assunto per l’estate. Tutto. Il. Pomeriggio.”
Scandì bene le ultime tre parole per enfatizzare la particolarità di quell’evento. Sabrina, papà e mamma sembravano doverosamente colpiti.
“Wow.” commentò Sabrina semiseria.
“E che cosa faceva?” domandai io, incapace di trattenermi “Placcava d’oro la chiglia della barca?”
“Quasi” sorrise Rossella, fiera di essere al centro dell’attenzione “Ha ridipinto la fiancata destra. Di vernice bianca però, non d’oro.”
“E non poteva farlo fare a uno dei suoi schiavi?” commentò papà con noncuranza “Mirna, passami l’insalata, grazie… insomma, non è molto aristocratico mettersi a dipingere la fiancata di una barca, e i Lazzari sono sempre così aristocratici...”
Rossella aggrottò leggermente le sopracciglia, scandalizzata.
“Papà, i Lazzari non hanno degli schiavi” rettificò col naso per aria “E poi, sapessi che meraviglia della natura vedere Saverio Lazzari in pantaloncini e canottiera che usa la pennellessa…”
Rossella fece un sospiro così allusivo che di colpo mi tornò la febbre. Sabrina invece mimò un conato di vomito e nonna Rosa mi lanciò un altro sguardo strano.
“Potresti risparmiarci i tuoi deliri ormonali, grazie?” sospirò la mamma leggermente schifata. La ringraziai selvaggiamente col pensiero.
“Guarda che non ero la sola a rifarmi gli occhi” precisò Rossella punta sul vivo “C’erano anche Martina e Sara. Dovevi vederle, sospiravano e ridacchiavano come oche nello stagno ogni volta che lui girava gli occhi dalla nostra parte. Peccato non vederlo in costume, deve essere tipo l’ottava meraviglia del mondo.”
“Mai visto un Lazzari in costume” dichiarò Sabrina con aria compunta “Troppo volgare mostrare gli addominali alle zotiche masse.”
Il sangue mi ribolliva nelle vene. Altro che brodino, mi sentivo prossima a sputare fuoco come un drago.
“Immagino.” ringhiai mentre davanti agli occhi mi passava come un flash l’immagine di Saverio Lazzari, canottiera aderente e muscoli guizzanti, che rivolgeva uno di quei suoi preziosi e scintillanti sorrisi a mia sorella e le sue amichette, sventolando la pennellessa gocciolante vernice bianca. Che schifo. Mi veniva la nausea solo pensarci.
“E non è tutto” si animò ancora Rossella con occhi lucidi di entusiasmo “Ci ha salutate. Me, Sara e Martina e anche Filippo e Marco. Cioè, a dire la verità ha salutato prima Filippo con un gran sorrisone…”
Io concentrai lo sguardo sul brodo come se mi ci volessi affogare dentro mentre Rossella si perdeva nelle sue elucubrazioni.
“Comunque, domani deve finire di verniciare anche l’altra fiancata e io e le ragazze ci siamo prenotate un posto in prima fila. Vengono anche le cugine di Sara da Ustecchio! Lena, vieni anche tu?”
Non so come, riuscii a non vomitarle addosso il brodo misto a qualche centinaio di improperi.
“No, grazie” risposi seccamente “Sembrerà di essere a San Siro durante il derby e a me la folla non piace. Oltretutto, non trovo che Saverio Lazzari sia così… così…”
Non mi veniva proprio fuori una bugia così grossa.
“… Così interessante.” terminai debolmente.
Rossella fece un sorriso saputo, come se lei avesse sterminate e vastissime esperienze di uomini interessanti.
“Certo che lo è” rispose Rossella con espressione golosa “Devi vedere che braccia… abbronzate, muscolose ma non troppo, ha quei muscoli lunghi da nuotatore… e quelle spalle larghe e quel sedere…”
“Rossella” sospirò la mamma posando la forchetta con una certa foga “Siamo a tavola.”
“Sì, e a me viene il vomito se si parla dei sederi dei tuoi ragazzi mentre sto mangiando.” grugnì Sabrina.
A me salì il sangue al cervello in meno di mezzo secondo.
“Non è il suo ragazzo.” sibilai controllando a malapena la voce.
Che idiota. Rossella mi guardò come si guarda uno strano insetto peloso scovato dentro il proprio piatto di pasta.
“Lo sappiamo tutti, Nosferatu.” mi rispose sprezzante, ricordandomi nel frattempo che le mie occhiaie facevano paura.
Nonna Rosa scelse quel momento per intervenire con estrema calma mentre tagliuzzava con cura la sua costoletta di agnello.
“Saverio non era l’unico Lazzari in giro oggi” disse soave “Io ho incontrato Tobia stamattina.”
Ecco. Lo sapevo che nonna Rosa nascondeva qualcosa… quelle sue occhiate indagatrici la dicevano lunga. Anche in quel momento non mi staccava gli occhi di dosso e io dovetti far ricorso a tutta la mia arte figurativa per riprendere a sorbire il mio brodo come se niente fosse.
“Non ci credo!” si entusiasmò invece Rossella, enfatizzando dall’emozione le parole chiave come faceva Martina “Dove l’hai incontrato? Che stava facendo? Ti ha salutato?”
Gli occhi di nonna Rosa mi trapanavano la fronte.
“Era nel bosco” rispose alla fine con tranquillità “Stava passeggiando e mi ha salutato molto educatamente. Mi ha chiesto come stavo io e come stava la famiglia.”
“Ti ha chiesto di noi?” domandò Rossella abbacinata: questo superava ogni sua più rosea aspettativa.
“Non ti fare scoppiare un embolo, Ross” ghignò Sabrina sadicamente “Quello nemmeno sa che esisti.”
“E comunque era una domanda retorica, no?” aggiunse mamma, dubbiosa.
L’improvvisa “civilizzazione” dei Lazzari inquietava anche lei.
“Tobia è passato anche ieri sera in gelateria” aggiunse Rossella lentamente “Non abbiamo nemmeno fatto in tempo ad accorgerci che era sceso dalla Maserati che già era ripartito… però è strano che quest’anno si facciano vedere così tanto in giro.”
“Io non ho mai capito perché stessero sempre così lontani dalla gente” buttò lì Sabrina controllando se era rimasto qualcosa di commestibile dentro il suo piatto “In fondo non sono mica dei vip come George Clooney o Montezemolo!”
“I Lazzari sono sempre stati molto riservati” disse pacatamente nonna Rosa senza staccare gli occhi dalla mia faccia “Tranne un breve periodo, mi ricordo… durante la guerra, invece che venire qui in vacanza si stabilirono a Villa Lazzari per tutto l’anno. Forse per forza di cose, ma sembravano più accessibili. Io abitavo in paese, mentre vostro nonno abitava con i suoi genitori che facevano i custodi di Villa Lazzari; il signor Lazzari andava spesso a caccia con il bisnonno e giocava a carte con la bisnonna in veranda, prima che…” si interruppe cogitabonda. Rimasi con le orecchie ritte aspettando il seguito ma nessuno le chiese di proseguire: possibile che interessasse solo a me? “Poi, sparirono per un po’, quando finì la guerra” continuò nonna dopo un po’ “Dopo una decina di anni tornarono e mi ricordo che tutte le ragazze persero la testa per Tobia…”
“Tobia?” trasecolò Rossella spalancando gli occhi: nonna le lanciò uno sguardo paziente.
“Il padre di Ruggero” spiegò con un sorriso “I Lazzari si tramandano i nomi di generazione in generazione.”
“Noblesse oblige.” grugnì papà, vagamente divertito.
“Anche tu, nonna, ti eri presa una cotta?” di informò Sabrina curiosa “La maledizione dei Lazzari colpì anche te?”
Nonna sembrò seriamente pensierosa.
“I Lazzari riescono a essere molto affascinanti” rispose senza sbilanciarsi “E’ davvero molto facile invaghirsi di loro.”
Mentre parlava mi guardava negli occhi. Ops…
“Persino mamma si prese una cotta per Ruggero” ghignò perfidamente Rossella “Quindi nessuno ci faccia caso se parlo del sedere di Saverio Lazzari a tavola!”
Misericordiosamente, nonna tacque: forse aveva intuito qualcosa, ma il messaggio che voleva farmi recepire era arrivato forte e chiaro anche senza ulteriori spargimenti di sangue.
“Io me ne vado a letto” dichiarai alzandomi dalla sedia “Ma sia chiaro, mammina, che domani non ho nessuna intenzione di rimanere inchiodata fra queste quattro anguste mura.”
“Non venire al molo con quella faccia, però” squittì Rossella velenosa “Non voglio che si sappia in giro che sono la sorella di Nosferatu.”
“Rossella!” la rimproverò mamma, ma io scossi la testa con noncuranza.
“Ti ho già detto che non verrò al molo” ribattei decisa “E comunque, nemmeno io voglio che si sappia in giro che sono la sorella di Candy Candy.”
Le girai le spalle e tornai in camera mia prima che nonna Rosa ritornasse a guardarmi con quegli occhi pieni di ombre.
*    *       *
Il giorno dopo il sole era tornato a splendere nel cielo e la febbre era completamente passata. Avevo dormito come un sasso per tutta la notte e al risveglio avevo finalmente ripreso contatto con le cose essenziali della vita: doccia calda (gentile concessione materna del bagno interno causa malattia), colazione con pane tiepido e fragrante, un filo di burro con marmellata di more e un bel libro in attesa di essere letto all’ombra di un larice. Ero così euforica che nemmeno mi presi la briga di pensare a chi sarebbe andato alla fonte a prendere l’acqua: ci provò Rossella, probabilmente sperando di incrociare Tobia e di sommergerlo di entusiastiche informazioni sulla salute della famiglia di cui si era così gentilmente interessato. La faccia lunga che esibì al suo ritorno la disse lunga su ciò che (non) aveva trovato nel bosco. Dopo pranzo, ghignando sotto i baffi, rimasi a guardarla mentre era intenta nella sua vestizione per l’evento mondano che l’aspettava di lì a poco. Ero curiosa di vedere quale fosse secondo lei il look migliore per andare al molo a spiare un tizio che dipingeva la carena di una barca. Alla fine, uscì dalla porta gloriosamente vestita di bianco, con una lunga gonna svolazzante e un top talmente striminzito che poteva tranquillamente appartenere alla Barbie. Sabrina, con estremo tatto come suo solito, la paragonò alla signora Bruna, la moglie del gelataio Antonio, e Rossella, dopo una breve riflessione, corse a cambiare il top bianco con uno identico color turchese. Se ne andò ancheggiando, preceduta e seguita da una soffocante nuvola di Hypnose mentre io e Sabrina condividevamo un raro momento sororale ridendole dietro come due pazze. Quando il sole diventò abbastanza caldo da farmi sudare, decisi di infiltrarmi nel bosco a prendere un po’ di frescura sola con i miei pensieri. Rubai un cestino di ciliegie dalla dispensa di nonna, contando di spiluccarmele per merenda. Avevo esplorato piuttosto intensamente il bosco nei dintorni di casa e avevo i miei luoghi preferiti a seconda delle situazioni: il ramo di quercia grosso e nodoso ottimo per stendersi sopra a leggere un libro; il prato ben nascosto da una fitta siepe di rovi dove prendere il sole in topless; la mini caverna dove rimuginare pensieri di morte su Rossella e Sabrina; il fiumiciattolo tortuoso dove farmi la pedicure… Optai per il ramo di quercia anche se non avevo più voglia di leggere. Mi incamminai con il libro in una mano e il cestino di ciliegie nell’altra, cappello di paglia ben calato sulla testa, pantaloncini di spugna e ciabatte infradito fischiettando sadicamente la canzone di Candy Candy. Giunta a destinazione mi arrampicai sul ramo basso e quasi orizzontale, mi stesi supina con un braccio sotto la nuca a farmi da cuscino e rimasi a guardare il cielo con gli occhi pieni di sole e qualche formica che mi solleticava le cosce nude. Che pace c’era a Cresta del Gallo. Solo in quel posto riuscivo a comprendere e ad assaporare la parola silenzio. C’era un che di quasi magico nel modo pigro che avevano le roverelle di piegarsi al vento, nello strillo acuto e lontano delle aquile e dei nibbi, nel profumo persistente e malinconico di humus e di pino. Non so come, persa in placidi pensieri di pace, mi appisolai.
*    *       *
“Hei.”
Qualcosa mi pungolava il braccio e finalmente mi svegliai: confusamente, sbattei gli occhi abbacinati dal sole e intuii un’ombra di fianco a me.
“Che c’è?” domandai scattando a sedere e la testa prese a girarmi come una trottola; mi coprii gli occhi con una mano mentre una risatina sardonica si alzava dal mio misterioso vicino.
“Che brusco risveglio” mi canzonò una voce allegra “Se fossi stato il Principe Azzurro chino su di te per svegliarti con un bacio, mi avresti tramortito con una testata.”
Aprii cautamente un occhio annebbiato e scrutai esterrefatta la faccia ridente di Tobia Lazzari vicinissima alla mia.
“Tobia!” lo salutai incredibilmente sollevata “Mi hai fatto paura!”
Lui rise e si sedette di fianco a me: era vestito di chiaro come al solito e sembrava stranamente più rilassato. Risposi al suo sorriso mentre la vista tornava a essere limpida.
“Devo essermi addormentata” dissi allegramente “Dopo tre giorni di pioggia l’unica cosa che riesco a fare è stendermi al sole e sonnecchiare come le lucertole.”
“Una lucertola molto graziosa” concesse lui cavallerescamente “Ho dovuto girare tutto il bosco per scovarti.”
Un brivido mi percorse la schiena segretamente: il pensiero che Tobia mi avesse cercata mi riempiva di orgoglio ma anche di ansia.
“Adoro nascondermi nel bosco” sorrisi con leggerezza “E poi, mi piace stare sola.”
“Non ti sei fatta vedere alla fonte.” disse lui con dolcezza e anche con velato rimprovero.
“Ero malata” risposi disinvolta “Mi sono bagnata durante il temporale e mi sono buscata un raffreddore coi fiocchi.”
“Già” buttò lì Tobia, di nuovo di buon umore “Saverio ha detto di averti incontrata. Ti ha dato un passaggio, vero?”
Dovetti sforzarmi per continuare a sorridere.
“Mi dispiace di aver sporcato gli interni in pelle della Maserati” mi scusai contrita “Non avrei dovuto caricare la bici. Sono stata molto villana.”
Inaspettatamente, Tobia rise e io alzai gli occhi su di lui, sorpresa.
“E’ la stessa cosa che ha detto Saverio” spiegò poi piacevolmente accomodandosi meglio sul ramo “Secondo lui ti sei comportata in maniera… com’è che ha detto? Abominevole. Però rideva quando lo raccontava: ho il sospetto che sia stato salutare per lui essere un po’ strapazzato.”
Ci misi qualche secondo ad assimilare le sue parole, ma quando lo feci riuscii a infuriarmi e a mortificarmi nello stesso momento.
“Strapazzato?” mi accigliai arrossendo di rabbia “Sono davvero costernata di aver strapazzato il principino… se mi procurerà una frusta, vedrò di provvedere da sola alle dieci scudisciate che mi spettano per l’efferato crimine.”
Tobia rise di nuovo con gli occhi scintillanti: si era abbronzato e la carnagione scura contrastava col bianco dei denti e con il verde innaturale delle iridi. Era di una bellezza pazzesca e io mi incantai a guardarlo.
“Posso?” domandò sbirciando il mio cestino di ciliegie.
“Certo” risposi distraendomi “Lasciamene qualcuna però.”
Tobia prese una ciliegia e la mangiò strizzandomi l’occhio.
“Non devi prendertela con Saverio” disse poco dopo, pescando un’altra ciliegia dal cestino “E’ snob e arrogante, ma non lo fa apposta.”
“Nemmeno io faccio apposta a essere velenosa nei suoi confronti.” ribattei a denti stretti. 
“Saverio sa essere molto generoso” continuò Tobia stranamente loquace “E’ solo preoccupato…”
“Tranquillizzalo pure” berciai irritata “Non ho l’abitudine di mangiare spocchiosi pavoni di sangue blu, né a colazione né a cena.”
Tobia mi rivolse uno sguardo strano, quasi intimidito.
“Lui è preoccupato per me” disse lentamente e sottovoce “Ha paura che tu non possa capire.”
“Capire cosa?” domandai incerta.
Tobia mi lanciò uno sguardo di striscio.
“Ci sono cose che vorrei tanto dirti” disse lentamente, cercando con cura le parole “Ma è difficile comprendere… ed è facile ferire.”
Io gli spalancai gli occhi in faccia, incredula.
“Ferire?” sbottai incredula “Ti assicuro che non vado in giro armata…”
“Ah, no?” domandò Tobia a bruciapelo “E quegli occhi bellissimi non sono un’arma impropria?”
Io, di botto, divenni rossa come un pomodoro maturo. Ovviamente, mi ammutolii mentre Tobia rideva vagamente imbarazzato e prendeva un’altra ciliegia.
“Senti, ti va di giocare a tennis uno di questi giorni?” mi domandò quando capì che avevo ripreso in mano le redini delle mie funzionalità. Di nuovo un colpo al cuore: prima un complimento (un autentico, inequivocabile complimento) e poi un invito? Un invito ufficiale?
“Sono una schiappa a tennis” mormorai mortificata “Però sono bravina a calcio.”
“Calcio?” si sorprese lui sinceramente.
Mi strinsi nelle spalle, ancora incerta dopo il doppio montante che mi aveva rifilato. Tobia sembrò pensarci un po’ su.
“Allora vedremo” decise scivolando con grazia giù dal tronco “Ti ho lasciato ben due ciliegie.” mi avvisò con finta severità.
Io sorrisi e lui, spiazzandomi completamente, si avvicinò leggero come una piuma e profumato come un giardino fiorito e mi baciò la guancia.
“Ci vediamo domani, bella addormentata?” chiese con disinvoltura facendo scintillare i suoi ridenti occhi verdi.
Io mi trattenni a stento dal portare la mano alla guancia dove mi aveva baciata e raccolsi tutto il mio coraggio per rispondergli con nonchalance.
“Perché no?”
La mia voce risultò molto acuta e il mio sguardo particolarmente ebete, ma Tobia sembrò non farci caso: mi salutò con la mano e camminò via, con la sua camminata elastica e leggera, sparendo nel bosco silenzioso come se non sfiorasse nemmeno il terreno.
 

  
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