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Autore: L_Fy    12/07/2011    0 recensioni
....Per me, le vacanze estive erano semplicemente Cresta del Gallo, con le sue terrazze ripide, con l’odore di bosco che filtrava dalle finestre la mattina, con il blu del lago a salutare in lontananza… e perché no, con la torretta di Villa Lazzari che svettava vicina, complice della mia solitudine poiché solo io potevo vederla e condividerne la solitaria bellezza.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sponte sua
(dal linguaggio giuridico)

“Liberare?” domandai educatamente.
Mi sentivo la faccia insensibile come se me la fossi cosparsa di novocaina.
“Sei stata tu a chiedere se c’era un’alternativa” rispose Tobia un po’ meno ilare “Io ti sto dicendo che c’è.”
Chissà perché la sua dichiarazione non riuscì a tranquillizzarmi; alla luce dei fatti, dubitavo che Tobia tenesse alla mia vita quanto Saverio, il quale aveva detto categoricamente che non c’erano soluzioni alternative.
“Sentiamo” proposi guardinga “Come potrei liberarvi?”
Tobia si accomodò sul bordo della vasca e sorrise con aria di circostanza.
“Uccidendo Paracelso.” disse con voce estremamente professionale.
Lì per lì non seppi bene se scoppiare a ridere o scappare via a gambe levate: era ovvio che Tobia fosse serio, ma lo stesso non riuscivo a capacitarmi del fatto di stare partecipando a quella conversazione.
“Tobia” esordii dopo un lungo silenzio “Non puoi davvero credere che io sia disposta a uccidere qualcuno.”
Tobia mi lanciò un lungo sguardo scaltro, così diverso dal suo solito atteggiamento da sembrare quasi un’altra persona.
“E’ per questo che avevo delle remore nel parlartene” spiegò vagamente annoiato “Oltre al fatto che la faccenda potrebbe risultare molto, molto pericolosa.”
Lo diceva con leggerezza, come se stesse sorseggiando un tè seduto in veranda. Assurdamente, trovai molto più apprezzabile il tentativo di strangolamento di Saverio che la tranquilla proposta di trasformarmi in un killer di Tobia.
“Se ci tieni tanto a far fuori Paracelso, perché non te lo uccidi da solo?” domandai con stizza mentre mi accorgevo di avere i piedi gelati nonostante la temperatura decisamente estiva.
“Perché non posso” spiegò pazientemente Tobia “Un homunculus non può uccidere il suo creatore. Deve obbedire e basta.”
La sua voce si fece metallica.
“Obbedire sempre per anni. Anni che diventano secoli. Secoli che diventano un tempo infinito… Tempo buttato via senza poter scegliere nulla, sempre al servizio di quel rottame incartapecorito aggrappato con le unghie e con i denti a un’esistenza che non ha più senso. A subire i suoi umori, a far fermentare emozioni umane senza avere la possibilità di viverle…”
Parlava sempre con calma ammirevole, ma qualcosa sottile come una vibrazione urlava in fondo al suo petto.
“Mi dispiace” mormorai dopo aver deglutito a secco “Davvero, non sai quanto…”
Tobia si alzò di scatto, aggraziato e felino: il suo viso fu a un centimetro dal mio e i suoi occhi, pieni di una indomabile furia, mi bloccarono il respiro in gola.
“Ti dispiace?” ringhiò furibondo “Alla piccola vergine innocente dispiace davvero tanto… oh, questa sì che è una consolazione!”
Bruscamente si allontanò, girandomi le spalle.
“Me ne frego del dispiacere!” sibilò con una furia nella voce che mi scosse fin dentro l’anima “Io non potrei provare emozioni, e invece sono qui che sento rabbia, disprezzo e odio… odio perché devo essere qualcosa che non sono più, odio per il mio signore e padrone che continua a servirsi di me, odio per la mia volontà che esiste anche se non dovrebbe esistere… odio per te che stai lì con la soluzione tra le tue belle manine pulite e mi dici che ti dispiace tanto!”
Si interruppe di colpo e il rumore del silenzio rotolò in mezzo a noi pesante come una palla di cannone. Il cinguettio degli uccelli e il frusciare discreto delle foglie sembravano magici dopo quell’eruzione di rabbia. Dopo parecchio tempo ripresi a respirare a singhiozzo, anche se più spaventata che mai.
“Tobia…” dissi, ma poi tacqui. Che avrei potuto dire?  
Vidi le sue spalle frementi rilassarsi e abbassarsi lentamente.
“Scusami Lena” disse con voce di nuovo musicale e leggera “Ma come vedi è proprio questo il problema. Il paradosso dei paradossi! In cinquecento anni di Immortalità noi tre abbiamo imparato a essere umani. A provare sentimenti. A desiderare. Ognuno di noi deve mortificare continuamente i propri bisogni: per me e Ruggero si tratta di lottare contro il desiderio di libertà. Saverio invece deve lottare contro di te.”
Si girò e mi pianto i suoi franchi occhi verdi in faccia, come se non mi avesse già tramortita abbastanza con le sue parole.
“Lui è innamorato di te, Lena.” disse con sincera convinzione e il mio cuore smise di battere per trasformarsi in uno sbuffo di aria rovente.
“E’ difficile riconoscere i sentimenti per lui come per me, visto che alla nascita ne eravamo entrambi estranei, ma osservando Saverio dall’esterno è più facile capire. Non lo vuole ammettere coscientemente, ma non può fare a meno di sentire quello che sente. E’ confuso e non sa come gestire questa… cosa… che gli si agita nel petto. Non ha mai provato amore prima, non sa cosa sia o come difendersi dal male che gli provoca. Sa solo che ti vuole ma che non ti può avere, e questo lo sta distruggendo.”
Di nuovo anestesia dovunque: solo il centro del petto bruciava come fuoco, lì dove una volta c’era il cuore. Al prolungarsi del mio silenzio, un sorriso amaro stirò le labbra di Tobia.
“Mamma mia, Lena, che sguardo: se lo urlassi ai quattro venti, quello che senti non sarebbe altrettanto palese.”
Arrossii violentemente abbassando gli occhi, ma a quel punto sapevo bene quanto fosse inutile.
“E’ così evidente?” domandai abbattuta.
“Oh, sì!” ghignò Tobia tra il serio e il faceto “Dovrei essere offeso, visto che il compito di farti innamorare era affidato a me. D’altronde sapere che Saverio è corrisposto mi fa piacere, in un certo senso.”
“Non credo che questo ci porti da nessuna parte” borbottai scoraggiata “Cioè… non posso cambiare idea…”
Tobia chinò il capo in un lungo attimo di silenzio.
“So che non posso chiederti di combattere una guerra non tua” mormorò infine Tobia con umiltà “So che non posso chiederti di capire cosa ha significato vivere per quasi cinque secoli alla mercè di un essere meschino e dispotico… un pazzo così preso dai suoi esperimenti e dalla sua mania di grandezza da perdere per strada la sua umanità, lasciando che noi la raccogliessimo e la facessimo nostra. Voglio solo che tu sappia… che tu sappia di avere la possibilità di salvarci. Tu sola: salvare noi, salvare le ragazze innocenti che verrebbero dopo di te e salvare persino Paracelso stesso. Lui non se ne rende conto, ma la sua esistenza non ha più senso. Liberando noi, libereresti anche lui.”
Alle sue parole sobbalzai, sentendo tanti aghi di ghiaccio che mi trafiggevano il cuore. Qualcosa di umido mi scivolò lungo il mento e mi resi conto sorpresa che era una lacrima.
“Io non sono un’assassina” pigolai con una strana vocetta querula “Non mi puoi costringere…”
“Tecnicamente potrei” suggerì Tobia con uno sprazzo di ironia “Anche noi esseri senz’anima abbiamo le nostre armi segrete. Secondo te come convinciamo le dolci e innocenti vergini a seguirci nel bosco di notte?”
“Offrendo loro caramelle?” tentai con un sorriso storto che sembrava una paralisi facciale.
“Con un bacio” rispose Tobia rispondendo al sorriso “Se ti baciassi saresti costretta a obbedirmi.”
Fece un passo verso di me e immediatamente io mi allontanai, pronta a fuggire via come una lepre. Tobia alzò le mani mostrando i palmi in segno di pace.
“Tranquilla, non ti bacerò” affermò canzonatorio “Non servirebbe a niente. Il problema è che non posso decidere di fare volontariamente del male al mio creatore, nemmeno per interposta persona. Quindi sei al sicuro dalle mie avances. Mi guarderei da quelle di Saverio, però… non so quanto tempo ancora possa resistere alla tentazione. E’ sempre più debole e più tormentato, il poveretto. Mi chiedo cosa ne sarà di lui quando… sarà tutto finito.”
Era stato a un pelo dal dire “quando morirai”: le sue parole non dette erano così evidenti che sembravano impresse a fuoco sulla mia pelle dove bruciavano come l’inferno.
“Potrei andarmene via.” mormorai e in quel momento lo pensavo veramente.
“Condannando un’altra vergine a morte certa?” rispose Tobia inarcando le sopracciglia “Mi sembrava di aver capito che non fossi un’assassina.”
Aveva ragione, naturalmente. Ma che alternative avevo? Una c’era: ma quando l’idea di andare alla polizia mi attraversò la mente, rapida come una meteora, il sorriso gentile di Tobia si raffreddò di colpo, diventando quello di uno squalo a caccia nell’oceano.
“Posto che ci arrivassi viva” buttò lì come se avessi parlato a voce alta “A questo punto, chi mai ti crederebbe?”
*    *       *
Rimasi in silenzio, immobile, aspettando di sentire la paura invadermi l’anima fino a prendere il sopravvento. Aspettai e aspettai, ma non successe niente: alla fine dovetti accettare il fatto che la paura fosse sparita facendo posto a una cupa determinazione. Capii di aver preso la mia decisione e per quanto aberrante e terribile essa fosse, la certezza di non poter far altro che seguirla mise in qualche modo fine a qualsiasi conflitto interiore.
“Cosa devo fare?” domandai incerta e sfinita.
Il viso di Tobia si aprì lentamente in un ampio sorriso: i suoi occhi verdi tornarono a splendere come gemme e la sua espressione era così radiosa che il sole sembrò splendere con più intensità.
“Oh, Lena” mormorò con voce rotta e quasi incredula “Davvero tu…? Insomma, hai davvero deciso di…?”
Dall’espressione del mio viso dovette intuire che non avevo nessuna voglia di chiarificare la mia posizione: potevo lasciare che si intuisse, ma non ero ancora pronta per dire a chiare lettere cosa ero disposta a fare.
Tobia allora fece un passo verso di me con la mano tesa: il suo viso si era addolcito e di colpo sembrò quasi triste.
“Devi davvero tenere molto a lui.” mormorò piano con voce struggente.
Non finsi di non capire: prima ancora che me ne rendessi conto, i miei occhi erano pieni di lacrime e sì, ammisi senza parlare, tenevo davvero tanto a Saverio. Tanto da considerare l’idea di uccidere per lui.
“Non so che cosa farò” dissi allora a voce alta “Se deve essere una cosa che faccio di mia spontanea volontà, non sono sicura di… essere pronta… al momento giusto.”
Di cosa stavo parlando? Uccidere? Sangue vero sulle mie mani? Vacillai, chiudendo gli occhi.
“Non devi decidere niente, adesso” disse Tobia con voce morbida, prendendomi le mani che tenevo a pugno, tanto strette da ficcarmi le unghie nei palmi “Quando arriverà il momento, verrà tutto da sé. Solo… non devi pensare a te stessa come a un’assassina. Qualsiasi cosa tu deciderai alla fine, ricorda questo: per Paracelso non esisti. Per lui non sei altro che un ingrediente utile per le sue alchimie: non sei una persona con dei sentimenti, ma un oggetto da usare a suo piacimento. Alla luce di questo, quando tenterà di ucciderti, ribellarsi sarà solo un atto di legittima difesa. E quello, sono sicuro, verrà esclusivamente dalla tua volontà e dal tuo cuore.”
Annuii, ma ero troppo sfinita per ascoltarlo ancora: ogni sua parola mi incideva profonde ferite nell’anima e ormai ero arrivata allo stremo della mia sopportazione. Il quel momento l’unica cosa che desideravo, con tanta potenza da far male al cuore, era la mia casa, il mio letto, il profumo sicuro delle mie cose…
“Devo andare” dissi liberando le mie mani dalla stretta gentile di Tobia “A casa mi aspettano e io… io devo… devo riflettere.”
Tobia mi guardò a lungo: non c’era apprensione nei suoi occhi, ma solo tanta pena e tanta dolcezza.
“Va bene” disse infine “Noi saremo qui.”
Annuii di nuovo e feci per incamminarmi verso casa.
“Lena.” mi richiamò Tobia: non trovai nemmeno la forza di girarmi.
“Che c’è?”
“Se Saverio venisse a conoscenza della tua decisione, tenterebbe di dissuaderti.”
Tobia aveva ragione, pensai con un tuffo al cuore: se davvero Saverio provava qualcosa per me, avrebbe tentato di allontanarmi definitivamente.
“Gli parlerò” dissi esausta “Lo convincerò che sto per andarmene.”
Tobia non rispose, e io mi incamminai. Andavo verso casa agognando con tutta me stessa la sicurezza delle mie care pareti domestiche e l’infantile sensazione che niente, lì, avrebbe potuto toccarmi.
In cuor mio sapevo che non ci sarebbe stato più nessun posto per me dove mi sarei sentita al sicuro. Lo sapevo, ma finsi lo stesso di sperare mentre correvo imbambolata verso casa.
*    *       *
Nonna Rosa mi aspettava sulla soglia: era preoccupata e lo fu ancora di più quando vide la mia faccia stravolta. Fortuna che i capelli arruffati mi coprivano il collo… Non ebbi la forza di affrontarla: mi limitai a lanciarle uno sguardo ammonitore e supplichevole prima di lanciarmi su per le scale. Lei non osò chiedermi niente, ma sentii i suoi occhi ancorati alla mia schiena mentre salivo le scale a due a due, rapida e sconnessa come se fossi sotto shock. Spalancai la porta della mia camera e l’odore familiare di casa mi investì in pieno, facendomi vacillare. Mi buttai sul letto e iniziai a singhiozzare con lunghi e lenti spasmi, la testa affondata nel cuscino come quando ero bambina. Erano anni che non mi sentivo così disperata, così bisognosa di aiuto… un aiuto che stavolta nessuno poteva darmi. Piansi a lungo lasciando scorrere fuori da me lacrime e pensieri: piansi fino a sfinirmi recependo solo nebulosamente una timida carezza sulla testa e vaghi mormorii al di là della porta. Sapevo che i miei familiari erano tutti lì e che non capivano il perché del mio dolore; sapevo che non potevo chiedere loro aiuto nonostante mi sentissi così sola e spaventata da non potermi reggere in piedi; sapevo anche che qualcosa dentro di me si era spezzato per sempre, irrimediabilmente… che fosse stata la mia innocenza o la mia adolescenza o il mio stesso cuore, ne avevo in mano i cocci e probabilmente non sarei mai più riuscita a ricostruire quello di prima.
“Lena…”
La voce di Rossella, lontana anni luce, lenitiva come un balsamo sul mio cuore ferito, penetrò la spessa coltre di ovatta che mi ero avvolta addosso; la sua mano fresca passò sulla mia fronte congestionata e una tazza fumante apparve magicamente davanti al mio naso.
“Tò, bevi” disse Rossella con voce più spiccia “Altrimenti ti disidrati del tutto.”
Ubbidii, ancora singhiozzante: i primi sorsi di tè bollente mi strinarono la lingua e finirono sul lenzuolo, ma, miracolosamente, quietarono anche il mio pianto convulso. Finalmente mi tirai su a sedere: mi avvolsi fino al naso nel lenzuolo, coprendo opportunamente il collo emaciato, e mi ancorai alla tazza di tè come un naufrago alla zattera. Rossella era acciambellata sul letto disfatto accanto a me, il viso serio e preoccupato.
“Accidenti” disse vagamente intimidita “Non ti ho mai vista mollare gli ormeggi così. Sono sempre stata convinta che tu, miss Equilibrio in persona, non fossi nemmeno capace di piangere, figurati di allagare la camera a furia di lacrime!”
Sorrisi timidamente, tra un singhiozzo residuo e l’altro: mi sentivo la faccia gonfia come se mi avessero pestata, senza contare il probabile covone di fieno dei capelli aggrovigliati sulla testa.
“Volevo tramortirti dalla sorpresa e non mi è venuto in mente nient’altro.” mormorai con voce tremula soffiandomi rumorosamente il naso.
Rossella inarcò un sopracciglio.
“Bastava che mi chiedessi consigli per un rossetto” rispose ammiccando “Così hai fatto prendere un colpo a tutti: nonna Rosa ha rischiato l’infarto e papà è andato a comprare a Ustecchio una fornitura annuale di camomilla. L’unica che non si è mossa di un millimetro è stata Sabrina, ma forse è morta dentro l’amaca e nessuno se n’è ancora accorto.”
“Mi dispiace” sospirai nascondendomi dietro la tazza di tè “Non volevo spaventarvi. E’ che è stata… una giornataccia.”
“Alla faccia” sorrise Rossella rinfrancata dal mio tono di voce decisamente più normale “Me ne vuoi parlare o aspetti il dottor Stranamore, alias la mamma?”
Il pensiero delle domande a mitraglia della mamma, abbinate al suo impalcabile sguardo indagatore, riuscì a farmi rabbrividire di raccapriccio.
“Ti prego, Ross, tieni al guinzaglio il mastino” mormorai “Non avrei la forza di gestirla, adesso.”
Rossella incrociò le braccia sul petto con aria decisa.
“Lena, io sto dalla tua parte, ma solo se mi racconti la verità.” decretò con aria di sfida.
Per poco non le risi in faccia: oh, sorellina, tu non hai nessuna voglia di sapere la verità, credimi…
“Ok” sospirai abbassando gli occhi “Ma ti prego, ti prego… fa in modo che quello che ti dirò rimanga tra me e te in eterno nei secoli dei secoli.”
“Che possa mangiare vomito di rospo.” cantilenò Rossella facendo una croce sul cuore secondo un vecchio rito che risaliva alla nostra prima infanzia. Una feroce malinconia mi azzannò il cuore: oh, Rossella, se solo avessi potuto davvero raccontarti tutto…
“Ovviamente c’è di mezzo un ragazzo” decise mia sorella aggrottando le sopracciglia “Vuoi dirmi tu di chi si tratta o devo fare io nomi e cognomi di tutti i maschi del vicinato?”
Io abbassai di nuovo lo sguardo, cercando di imbastire nella mia mente una storia che fosse il più possibile sincera e indolore.
“A dire la verità ce n’è più d’uno.” risposi sottovoce e Rossella fece un mezzo fischio d’ammirazione.
“Diavolo d’una meretrice!” sorrise complice “Avanti, racconta.”
Inspirai profondamente, cercando dentro di me le parole giuste per poter essere consolata senza mettere in pericolo nessuno.
“Filippo oggi mi ha baciata.” ricordai all’improvviso: era successo solo poche ore prima… mi sembrava un’eternità.
“Oh” fece Rossella, per niente sorpresa “E…?”
“E niente” replicai sincera “Zero. Niente campane, niente arcobaleni, niente colombe lanciate in aria.”
“Che peccato” buttò lì Rossella sinceramente dispiaciuta “D’altra parte, ammetto che Filippo è un po’ troppo bamboccio per poter piacere a una cerebrale come te.”
Detto da Rossella poteva anche non essere un complimento. Comunque il suo naso era troppo fino per potersi accontentare di quella spiegazione.
“Poi?” incalzò infatti con sguardo vigile “Non mi dirai che tutto sto spreco di liquidi è per un bacio di Filippo, vero?”
“Poi sono andata nel bosco.” sospirai vinta.
“E?” si spazientì Rossella, stufa di dovermi tirare fuori le parole con le tenaglie.
“E ho incontrato Saverio Lazzari.”
Altro fischio, sguardo più attento e meravigliato.
“Che è successo? Ti ha baciata anche lui?” buttò lì già agitata.
“No” sospirai vergognosa “Anzi… sono stata io a provare a baciare lui. Ma mi ha respinta.”
Sul viso di Rossella passarono una serie di espressioni così evidenti che mi fece quasi tenerezza.
“Cavolo” commentò alla fine “Che Saverio fosse uno stronzo era fuori questione; ma che tu provassi di tua spontanea volontà a baciare qualcuno mi ha quasi ammazzato di sorpresa. Che ti è preso? Un alieno si è impossessato del tuo corpo?”
“Macchè” risposi vergognosa “E’ che… credo di essermi presa una cotta mostruosa per lui.”
Non era di sicuro una bugia ed era l’unica cosa che potevo condividere con Rossella, per il momento.
Feci una smorfia buffa, stranamente ricambiata: il fatto che ammettessi di avere una cotta proprio con lei, la regina delle cotte di tutto il circondario, mi rendeva indubbiamente più simpatica ai suoi occhi.
“Meno male” sorrise infatti con aria complice “Anche tu hai finalmente dimostrato di avere occhi, sangue e ormoni in regola come tutte noi povere mortali. Cominciavo a pensare che fossi frigida o gay. Non che ci fosse niente di male, eh, ma sai…”
“Eh, già” risi mio malgrado “Così adesso puoi prendere in giro anche me per essere diventata così stupida e patetica da prendermi una cotta per un Lazzari.”
“E come darti torto?” sospirò Rossella indulgente “E’ bello da far schifo. Mi sorprendeva il fatto che solo tu tra tutte le femmine del paese non te ne fossi accorta. Ora, con questa confessione, hai ripristinato l’ordine naturale delle cose.”
Eh, già. Ordine naturale, come no.
“Comunque Saverio non mi fila e questo è quanto.” tagliai corto abbassando lo sguardo.
Sorprendentemente, Rossella mi abbraccio forte avvolgendomi in una confortante nuvola di Hypnose.
“Mi dispiace, Lena” disse sinceramente “Che tu sia finalmente riuscita a provare qualcosa per qualcuno è un ottimo segno, anche se quel qualcuno è uno snob spocchioso e vanesio come Saverio Lazzari. Non lasciarti abbattere: probabilmente non avrebbe avuto miglior successo nemmeno una super top model. Anzi, magari Saverio è gay.”
“Magari.” commentai poco convinta.
Rossella si rizzò a sedere con gli occhi lucidi e animati.
“Sai che facciamo?” si ringalluzzì felice “Stasera a Cresta del Gallo ci sono le Cartèle e lo stand gastronomico: noi ci andiamo, ci sbronziamo per bene e domani stiamo a letto tutto il giorno col mal di testa. Che ne dici?”
Che meravigliosa prospettiva: affogare i dispiaceri amorosi nella Tombolata paesana cercando di tradurre le farneticazioni in dialetto di chi detiene “el cartilù” con la speranza di vincere un galletto nostrano con la cinquina… 
“Dico che sarebbe fantastico.” mormorai moderatamente entusiasta.
Non potevo permettere che Rossella sospettasse la verità: dovevo assecondarla quanto più possibile. E poi, l’idea di una bella sbronza per dimenticare non mi sembrava così malvagia.
“Molto bene” sorrise Rossella tutta contenta “Naturalmente, dovrai lavarti la faccia e darti come minimo una pettinata. Così sembri il mostro della laguna.”
L’avevo pensato anche io un giorno specchiandomi alla fonte, millenni fa.
“Personalmente, ho visto anche di peggio” mi rimbombò in testa una voce canzonatoria, così lontana che mi si strappò il cuore dal petto al pensiero di perderla.
“Ok” risposi precipitosamente prima che i miei occhi aprissero di nuovo i rubinetti a tradimento “Per l’occasione mi presti il bagno con acqua calda o devo procedere con le abluzioni ghiacciate nel bagno esterno?”
Rossella sorrise, maliziosa.
“Sta tornando fuori la vecchia e acida zitellona di sedici anni!” commentò estasiata “Erano tutti così preoccupati di averti persa per sempre. Nonna Rosa soprattutto sarà felice di sapere che sei tornata tra noi.”
Nonna Rosa… chissà quanto era stata in pena. E quanto aveva sospettato. Quasi sentii i sudori freddi scorrermi lungo la schiena: rischiavo di pagare molto cara la mia debolezza pubblica, ma d’altro canto come avrei potuto trattenermi? Col senno di poi, trovavo positivo anche solo il fatto di non essere del tutto impazzita.
“Senti, potresti fare in modo che nonna Rosa non sappia di… ehm… me e Saverio?” domandai a Rossella arrossendo come un gambero “Sai quanto nonna detesti i nostri vicini; se venisse a sapere che uno di loro mi ha… ehm… respinta, per vendicarsi sarebbe capace di mandare a fuoco Villa Lazzari.”
“E’ vero” rispose Rossella sorridendo “Meglio non aizzare la piromane nascosta in lei. Fidati, quando mi farà il terzo grado darò la colpa a George Clooney.”
Storsi il naso ma non commentai: qualsiasi cosa, pur di tenere il naso di nonna Rosa lontano dai miei affari.
Puzzavano talmente tanto che sarebbe bastato un niente per farli scoprire e io non ero capace di mentire, alle persone che amavo, abbastanza bene da non metterle in pericolo di vita.
  
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