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Autore: L_Fy    12/07/2011    3 recensioni
....Per me, le vacanze estive erano semplicemente Cresta del Gallo, con le sue terrazze ripide, con l’odore di bosco che filtrava dalle finestre la mattina, con il blu del lago a salutare in lontananza… e perché no, con la torretta di Villa Lazzari che svettava vicina, complice della mia solitudine poiché solo io potevo vederla e condividerne la solitaria bellezza.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Omnia vincit amor
 (detto popolare)

Mi svegliai, o meglio, tornai in me, dopo quello che poteva essere un tempo infinito.
Ero nella mia camera, dentro il mio letto, avvolta nelle fresche lenzuola che odoravano di sapone e di casa: un silenzio pigro avvolgeva tutto, anche la mia solita sveglia che qualcuno aveva opportunamente privato della pila e che ora giaceva inutile sul comodino. Dalla finestra entrava una luce livida tipica del mattino presto o della sera tardi: contro di essa si stagliava una figura in penombra, in piedi che guardava fuori. Quando mi mossi facendo frusciare le lenzuola, la figura si voltò e io lo riconobbi. Era Saverio.
Indossava un paio di pantaloni e una camicia di mio padre che gli stavano squisitamente larghi, ma come al solito, addosso a lui, sembravano disegnati su misura per far risaltare la sua incredibile bellezza. I suoi capelli scuri, ancora umidi come se fosse uscito da poco dalla doccia, erano tirati indietro e scoprivano il viso liscio e pulito.
“Ciao relitto.” mi salutò con quella sua voce morbida e bellissima “Come stai?”
Come stavo? Mi sembrava di avere lo ossa di vetro e il sangue di ghiaccio artico.
“Una favola” gracidai in risposta “E tu?”
Saverio non rispose, ma in compenso girò il viso verso la finestra, indicando con il mento la torretta di Villa Lazzari che si stagliava cupa contro il cielo livido.
“E così, eri tu che mi spiavi” domandò inarcando un sopracciglio “Mi sono sempre chiesto perché mi sentissi osservato, quando mi mettevo alla finestra…”
“La camera sulla torretta era la tua?” chiesi, ma senza sorpresa: col senno di poi, tutte le cose sembravano andare a posto da sole, seguendo un disegno già stabilito.
“Sì” rispose anche se non ce n’era più bisogno “E a dire il vero anche io spiavo questa finestra, chiedendomi se c’eri tu o tua nonna che mi lanciava anatemi.”
Mi sorrise: benché stanco e triste era così radiosamente bello che di riflesso sorrisi anche io, anche se sapevamo benissimo entrambi che non c’era proprio niente di cui sorridere. La sua mano per un attimo si sollevò, ma poi ricadde inerme dentro la tasca. Non potei fare a meno di accorgermi che, sotto alla manica arrotolata della camicia di mio padre, la ferita che gli aveva inferto l’Immortale e cheavevo visto pericolosamente profonda si era già del tutto rimarginata. Notare quel particolare praticamente insignificante confronto a tutto il resto mi procurò l’ennesimo colpo al cuore, la prova tangibile che quello che era successo era vero e reale. Con un sospiro, esausta, sprofondai nel cuscino e rimasi a rimirare la luce delicata che filtrava dalla finestra; quella pace improvvisa sembrava un frastuono assordante dopo tutto l’orrore che ci eravamo lasciati alle spalle… Aspirando distrattamente l’odore rassicurante di casa, mi sforzai di mettere ordine dentro di me per capire cosa stavo aspettando che succedesse: alla fine, mi girai verso Saverio che era rimasto perfettamente immobile.
“Che giorno è?” gracidai con voce roca e tremolante.
“Non lo so” mi rispose sinceramente Saverio con un piccolo sorriso storto “Per usare un drammatico eufemismo, posso dirti che è il giorno dopo. Comunque, è mattino presto e tu hai dormito un giorno intero. Più qualche ora d’avanzo.”
Mi sollevai a sedere con precauzione e Saverio si avvicinò al letto, quasi a malincuore.
“Sabrina?” domandai facendo mente locale e cercando di dare un ordine alla marea di domande che mi affollavano la mente.
“Sabrina starà bene” mi rassicurò lui con voce pacata “Dormirà per molte ore e quando si sveglierà sarà intontita e confusa.”
“Niente di diverso dal solito, allora.” risposi io, deglutendo a fatica.
Lui sorrise di nuovo mestamente con quel suo sorriso triste che spezzava il cuore.
“Per un po’ di giorni faticherà a connettere con lucidità ma poi tornerà come prima” continuò Saverio per spezzare il silenzio “Se è fortunata non ricorderà nulla.”
“Bene” risposi sottovoce “Buon per lei.”
Quanto avrei voluto poter dire la stessa cosa di me.
“Cosa ci facciamo qui?” chiesi lentamente: in realtà volevo chiedergli come fosse possibile che eravamo lì e non in prigione o all’inferno… Saverio, con un sospiro, si sedette sul letto di fronte a me, abbastanza vicino perché potessi percepirne l’odore, quel profumo stordente che già mi procurava nostalgia benché potessi ancora aspirarlo.
“E’ una storia lunga” mi avvisò seriamente “Hai tempo?”
Gli feci una smorfia buffa che lui ricambiò: di nuovo la nostalgia del presente mi trafisse il cuore come una sciabolata.
“Vai, Cicerone.” lo incalzai con voce tremante e lui tornò serio.
“Innanzi tutto, lasciati dire che i tuoi genitori sono persone meravigliose” cominciò con evidente sincerità “Hanno accettato di ascoltarmi prima di chiamare la polizia, e con Sabrina e te in quelle condizioni deve essere stato uno sforzo enorme per loro. Ancora mi chiedo come mai non mi abbiano ucciso su due piedi: forse erano travolti dal sollievo o storditi dalla situazione…”
“Forse li hai ammaliati col tuo fascino da Immortale nuovo di zecca.” mi sforzai di scherzare, ma lui non sorrise.
“Ho raccontato ai tuoi genitori una versione riveduta e corretta delle cose” continuò “Non sono potuto andare in dettaglio, per il loro stesso bene, ma sono stati molto comprensivi. Dopo, insieme, abbiamo chiamato i pompieri: nella Villa non c’erano domestici perchè erano stati tutti allontanati per il fiat vitae, ma era scoppiato un incendio piuttosto serio e ci è sembrato più prudente così.”
“Un incendio?” domandai con un tuffo al cuore.
Saverio annuì con la faccia inespressiva.
“Il giardino della Villa è stato raso al suolo” disse con voce atona “Hanno trovato dei cadaveri: il medico legale ha identificato le vittime come Ruggero, Tobia e Saverio Lazzari.”
Un nuovo tuffo al cuore, più doloroso stavolta.
“Oh” commentai a bocca asciutta “E io con chi ho il piacere di parlare in questo momento?”
Saverio non sorrise: mi guardò serio con quelle pietre verdi che aveva per occhi e io pensai con struggente nostalgia che non avrei mai visto niente di più bello, in vita mia.
“Lena, è meglio che questo tu non lo sappia.” rispose lentamente.
“Certo” glissai con finta sicurezza “Come vuoi. Ma tu da chi l’hai saputo il tuo nuovo nome?”
Lui mi lanciò un nuovo sguardo serio, incerto se dirmi o no la verità.
“L’Osservatore” rispose alla fine quasi a malincuore “A quanto pare, non ho ereditato solo un nome e una memoria dall’Immortale che ho ucciso.”
Ma certo, avrei dovuto immaginarlo: ora Saverio era un Immortale a tutti gli effetti… Osservatore, Gioco e Buzz compresi. Questa consapevolezza ne portò immediatamente un’altra, ancora più dolorosa.
“Allora, stai già… ehm… emettendo un richiamo? Il Buzz?” domandai incerta.
Saverio annuì con tranquilla calma. Io deglutii mentre il male cominciava a diffondersi dal cuore a tutto il resto del corpo.
“E’ pericoloso per te rimanere qui” dissi controvoglia con un filo di voce “Potrebbero trovarti.”
Di nuovo Saverio annuì gravemente e io sentii le lacrime pungermi gli occhi ferocemente.
“Sei sicuro di questo?” buttai lì rabbiosamente passandomi in fretta la mano sulle ciglia “Io non sento niente mentre il Buzz dell’Immortale l’ho sentito!”
Saverio fece un sorrisetto mesto e gli occhi, per un attimo, scintillarono.
“Ho chiesto al mio Osservatore spiegazioni su questa cosa” mi avvisò pazientemente “Che tu abbia sentito il Buzz dell’Immortale è davvero strano. Ma lui mi ha detto che può succedere se ci sono in gioco forti pressioni emotive.”
“Pressioni emotive?” domandai senza capire.
Lo sguardo che mi lanciò, dolente e pacato insieme, mi ferì come una scudisciata.
Omnia vincit amor” rispose Saverio con saggia consapevolezza “L’amore vince tutto. Non si dice così?”
Non risposi. Omnia vincit amor… che pietosa mezza verità.
L’amore non vince tutto: l’amore fa quello che può. A volte sorprende rendendo possibile l’impossibile… e a volte si rassegna, come stavamo facendo noi in quel momento.
Saverio abbassò gli occhi e sospirò: con amara chiarezza, intuii che stava raccogliendo le forze per dirmi qualcosa di doloroso, qualcosa che non voleva dirmi per non farmi male ma che era necessario… era tutto così palesemente scritto sul suo viso che in realtà avevo già capito.
“Milena…” disse alla fine, ma io lo interruppi, posando una mano sulla sua guancia.
“Non c’è bisogno” mormorai con la voce che era poco più che un sussurro “Le cose sono successe in fretta, ma le ho vissute sulla mia pelle e so già cosa vuoi dirmi. Io sono una comunissima ragazza e tu sei un Immortale. Buzz, Reminescenza, Gioco e tutto il resto… sono ferrata sull’argomento, ricordi?”
Sorrise con tristezza e annuì senza parlare.
“So che devi andare” continuai facendo violenza a me stessa “Non c’è bisogno che tu mi dica addio.”
In realtà, non volevo sentire quella parola detta con la sua voce: era già abbastanza straziante sapere di non poter fare nulla per impedire alle cose di essere com’erano, e cioè del tutto sbagliate per noi.
Che strano parlare di noi…In realtà, non ci sarebbe mai stato un noi. Chissà perché ci avevo sperato. Ero davvero una piccola e ingenua mortale.
“Lo sapevo dal primo momento che ti ho vista.” disse Saverio distogliendomi dai miei pensieri.
“Sapevi cosa?” domandai incerta.
Lui sembrò valutare l’idea di non rispondermi.
“Che eri un guaio” mi disse infine con struggente dolcezza “Un maledettissimo guaio che odorava di buono.”
Lo sguardo mi si appannò così repentinamente che dovetti sbattere le ciglia più volte prima di poter rimettere a fuoco il suo viso.
“Già” gracchiai con voce debole “Me lo avevi già detto.”
Saverio abbassò gli occhi, posando la fronte contro la mia: era deliziosamente fresca e asciutta, quasi lenitiva.
“Grazie di essere stata un guaio.” mormorò.
Non volevo che mi ringraziasse: le sue parole avevano il sapore di un addio, e io non ero pronta, non potevo ancora lasciarlo andare… io volevo solo guardarlo negli occhi e imprimermi nella memoria l’espressione del suo viso, volevo solo respirare il suo respiro e ricordare quanto potesse essere buono il suo profumo. Lui con un sospiro posò la mano sulla mia e girò appena il viso per catturare il mio pollice tra le sue labbra come aveva fatto una volta, un milione di anni fa. Gli occhi mi si riempirono immediatamente di lacrime; non pensavo che il cuore potesse sanguinare ancora così, dopo tutto quello che aveva passato, e invece sanguinava e faceva così male che avrei voluto strapparmelo via.
“Non sai cosa darei per poter restare.” mormorò la sua voce contro il palmo della mia mano.
E io sto così male che vorrei morire, pensai io, ma a che pro dirlo? Per fargli ancora più male?
Feci scivolare la mano lungo la sua guancia, seguii la curva del collo e arrivai a posare il palmo aperto sul suo petto.
“Portami con te” risposi invece “Qui.”
Il suo cuore batteva così forte… batteva per me. Con un sospiro strozzato, Saverio mi prese tra le braccia e strinse forte come se volesse passarmi la sua anima con quel contatto di pelle. Eppure, anche se non eravamo mai stati così vicini fisicamente, lo sentivo lontano come se fosse già a una distanza siderale, irraggiungibile.
“Sai che non posso dirti che ti amo, Lena” sussurrò così piano che forse non era lui, ma il vento “Non potrò mai dirti che mi mancherai ad ogni respiro…”
Ma mi amava e gli sarei mancata a ogni respiro, a ogni battito di ciglia: glielo leggevo nella vocelo sentivo sotto la pelle. Questo però non cambiava le cose, riusciva solo a farmi soffrire così tanto che avrei preferito morire.
Poi, prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, Saverio si era già scostato.
Si alzò in piedi con uno di quei suoi fluidi movimenti aggraziati e le sue mani si ficcarono di nuovo al sicuro nelle tasche. Mi guardò a lungo, facendomi sentire il calore di quelle pietre verdi e limpide dei suoi occhi posati su di me per un’ultima volta.
“Abbi cura di te, mocciosa.” disse con voce seria.
“Anche tu, Saverio.” risposi troppo esausta persino per sperare.
Lui sorrise e poi mi girò le spalle: con due passi elastici era già alla porta, la aprì e la chiuse discretamente dietro di sé, senza far rumore. Saverio uscì dalla mia vita così, in punta di piedi, lasciandomi con un dolore così grande e pacato che sembrò ingrigire tutto il mondo, come un velo di nebbia triste e fredda.
Mi mancava l’aria: gemendo, scesi dal letto e mi avvicinai claudicante alla finestra spalancandola di getto per vederlo un’ultima volta… per vederlo andare via, portando con sé quel poco di cuore che mi era rimasto.
*             *             *
Quanto dura la felicità? Per la maggior parte della gente quantificare i giorni felici diventa possibile solo nel momento in cui questi finiscono o si perdono perché quasi mai ci si accorge della felicità quando la si ha in mano. E’ difficile che uno di noi pensi, coscientemente e sinceramente “Ecco, adesso sono felice”. E’ più facile guardarsi indietro, scavare nei ricordi e dirsi “Ecco, in quel momento ero felice”. Ma la felicità, così effimera, così sfuggente, quanto dura nella vita? Un secondo? Qualche giorno? Una vita? O dipende da quanto una persona si aspetta, se si accontenta o se pretende, dalla fortuna e dalla sfortuna, dalle scelte fatte o dalle scelte non fatte?
Forse la risposta è una sola: la felicità non dura. Per quanto ci si aggrappi, per quanto si ponderino le scelte e ci si metta al riparo dal tornado del destino, prima o poi se ne va.
A questo punto diventa inutile rimpiangere, analizzare, imprecare, sottomettersi.
Quando arriva la felicità, non c’è niente che la possa trattenere. Solo, forse, una cosa: il ricordo. E’ per questo che occorre vivere intensamente ogni singolo giorno della vita: per essere certi di fare il pieno di ricordi da rispolverare nel momento del bisogno.
Io sapevo, con il cuore che urlava e sanguinava, che ricordi di me e Saverio ne avevo troppo pochi, che non era giusto, che il tempo era stato troppo avaro con noi…
Ma la domanda principale rimane: quanto dura la felicità?
*             *             *
Ci pensai mentre rimanevo immobile contro la livida alba in arrivo, con le mani appoggiate sul davanzale e l’aria del mattino che mi agitava la camicia da notte mentre guardavo Saverio allontanarsi lungo il viale di ghiaia.
La sua testa ciondolava, il suo passo era stanco ma inesorabile e le sue mani erano ficcate negligentemente nelle tasche. Non si girò mai indietro a guardarmi.
*             *             *
Ora credo di sapere quale fu l’esatto minuto secondo in cui la felicità arrivò, sotto un temporale estivo, e l’esatto minuto secondo in cui se ne andò via, con il profumo di un’alba estiva, i colori tenui di una camicia svolazzante nell’incerta luce mattutina e il ritmo di una camminata stanca e sbilenca. 
E’ durata molto? Chissà.
Da quando se n’è andata, il tempo in cui è rimasta mi sembra sempre troppo poco.
 
 
FINE
  
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